Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-04-26, n. 201802540

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-04-26, n. 201802540
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802540
Data del deposito : 26 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2018

N. 02540/2018REG.PROV.COLL.

N. 08853/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8853 del 2017, proposto da
Baby &
Job S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati P C, E B, e M I, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Agostino Depretis, n. 86;

contro

Comune di Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato S G, con domicilio eletto presso lo studio Grez e Associati s.r.l., in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

nei confronti

Panta Rei, società cooperativa sociale, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Leopoldo Melli, con domicilio digitale pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via di Ripetta, n. 142;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna – Parma, Sez. I, n. 00274/2017, resa tra le parti, concernente l’affidamento del servizio di “ Gestione del nido d’infanzia G M per il periodo 01/09/2016 – 30/06/2019 ”.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Reggio Emilia e della Panta Rei società cooperativa sociale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Iannacci, Papponetti, per delega di Ferrari, e Manzi per delega di Gnoni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La Baby &
Job (d’ora in poi B&J) è stata esclusa, per anomalia dell’offerta, dalla procedura aperta indetta dall’Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia del Comune di Reggio Emilia per l’affidamento del servizio di “ Gestione del nido d’infanzia G M per il periodo 01/09/2016 – 30/06/2019 ”, da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del rapporto qualità/prezzo, ai sensi di quanto previsto dall’art.95, comma 3, lett. a), del D. Lgs. 18/4/2016, n. 50.

Il giudizio di incongruità si fonda, in particolare, sulla riscontrata sottostima del costo del personale e sulla conseguente erosione di tutto l’utile d’impresa.

Ritenendo l’esclusione illegittima la Baby &
Job l’ha impugnata con ricorso al TAR Emilia Romagna – Parma, il quale, con sentenza 26/7/2017, n. 274, lo ha respinto.

Avverso la sentenza la Baby &
Job ha proposto appello.

Per resistere al ricorso si sono costituite in giudizio l’amministrazione comunale di Reggio Emilia e la Panta Rei società cooperativa sociale, classificatasi seconda nella gara in questione.

Con successive memorie tutte le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 5/4/2018 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si denuncia l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure nel respingere la censura con cui era stato criticato il giudizio di incongruità emesso dalla stazione appaltante sul presupposto che la sottostima del costo del personale indicato dalla B&J, desunta dallo scostamento dalle apposite tabelle ministeriali, fosse idonea a erodere totalmente l’utile.

Il TAR non avrebbe tenuto conto:

1) dell’esiguità dello scostamento in concreto riscontrato;

2) delle giustificazioni in ordine allo stesso addotte dalla B&J sulla base della propria esperienza aziendale;

3) della necessità di valutare l’offerta nel suo complesso e non con riferimento a singole voci.

Il medesimo Tribunale non avrebbe, inoltre, valutato che la B&J, in sede di verifica, avrebbe:

1) fornito giustificazioni atte a dimostrare la correttezza della propria originaria stima (che quantificava il costo in parola in € 386.971,00), specificando di aver:

a) calcolato i costi per la sostituzione del personale assente applicando la tariffa oraria massima;

b) accantonato € 2.700 annui per spese extra relative alla gestione del personale;

c) previsto un accantonamento annuo di € 4.000 per spese “ varie ed eventuali ”;

d) ignorato eventuali agevolazioni derivanti dalla normativa sul lavoro;

e) previsto la spesa annua di € 10.000 per materiali di consumo che risulterebbero prudenzialmente sovrastimati;

f) considerato un sovrabbondante importo annuo di € 36.400 per consulenze e atelieristi;

2) rideterminato il costo del personale portandolo a € 411.145,89, al solo scopo di dimostrare che, anche partendo da tale dato (ottenuto applicando i contestati criteri di calcolo proposti dal responsabile unico del procedimento - RUP), l’offerta sarebbe rimasta in ogni caso congrua.

La doglianza così sinteticamente riassunta non merita accoglimento.

In termini generali occorre premettere che nelle gare pubbliche, i valori del costo del lavoro risultanti dalle apposite tabelle ministeriali, costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell'offerta, con la conseguenza che l'eventuale scostamento delle voci di costo da essi non legittima, di per sé, un giudizio di anomalia (Cons. Stato, Sez. V, 6/2/2017 n. 501).

Tuttavia, se è vero che le tabelle ministeriali recanti il costo della manodopera espongono dati non inderogabili, si deve altresì convenire che le medesime assolvono ad una funzione di parametro di riferimento dal quale è possibile discostarsi, in sede di verifica, solo sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa in ordine alle ragioni che giustificano lo scostamento (Cons. Stato, Sez. V, 30/3/2017, n. 1465;
28/6/2011, n. 3865).

Pertanto, il fatto che lo scostamento dalle anzidette tabelle non fosse, come afferma l’appellante, di grande entità (circa il 6 %), non esonerava quest’ultima dal giustificarlo. E ciò anche perché l’avversato giudizio di anomalia non si fonda sul mero scostamento dalle suddette tabelle, ma sulla circostanza che la conseguente sottostima del costo del lavoro, tenuto conto dell’offerta nel suo complesso, è stata, dalla stazione appaltante, giudicata tale da erodere completamente l’utile.

I vari fattori addotti dall’appellante al fine di dimostrare che in ogni caso la propria offerta sarebbe risultata congrua non sono idonei allo scopo.

Ed invero, come si ricava dalla relazione con cui il RUP ha espresso le proprie conclusive valutazioni sulle giustificazioni prodotte:

a) nel riepilogo complessivo dei costi, non vi è traccia dell’accantonamento dei “2.740 euro annui per spese extra relative alla gestione del personale ”;

b) i 4.000 euro annui “ per spese varie ed eventuali o maggiori costi ” non possono essere considerati al fine di giustificare la sottostima del costo della manodopera in quanto già conteggiati nell’ambito della voce “ spese generali ”, ritenuta, anche aggiungendo la detta somma, notevolmente inferiore alla percentuale di tali spese solitamente indicata dalle imprese.

Quanto agli altri fattori invocati è sufficiente rilevare che:

a) il fatto di aver calcolato i costi per le eventuali sostituzioni del personale assente sulla base della tariffa oraria più elevata invece che su quella più bassa non è dirimente, atteso che tale modalità di calcolo era doverosa in quanto coerente con la qualifica posseduta dalla gran parte dei 20 dipendenti da impiegare nell’appalto;

b) non possono essere conteggiate le eventuali agevolazioni economiche previste dalla normativa sul lavoro di cui la concorrente potrebbe in ipotesi beneficiare, atteso che, per pacifica giurisprudenza, le giustificazioni addotte dal concorrente devono fare riferimento a situazioni esistenti al momento della presentazione dell'offerta o, al più, a quello successivo del procedimento di verifica dell’offerta, mentre non possono essere ancorate alla ricorrenza di elementi futuri e/o ipotetici, anche se probabili, pena la violazione del principio di serietà ed affidabilità dell'offerta (Cons. Stato, Sez. V, 13/2/2017, n. 607;
Sez. IV, 18/1/2016, n. 143;
Cons. Giust. Amm. Sicilia, 21/7/2008, n. 605);

c) l’affermazione secondo cui le spese per materiali di consumo e quelle per consulenze e atelieristi sarebbero state prudenzialmente sovrastimate non trova alcun riscontro probatorio.

L’appellante deduce ancora che, in sede di verifica, avrebbe rideterminato il costo della manodopera, portandolo a € 411.145,89, al solo scopo di dimostrare che anche così ricalcolato il detto costo, l’offerta avrebbe mantenuto un utile, senza con ciò voler accedere ai rilievi mossi dalla stazione appaltante.

L’argomento non è decisivo, perché indipendentemente da quelle che fossero le intenzioni dell’impresa, ciò che conta è che, comunque, il costo del personale doveva essere rivisto al rialzo stante la necessità di prendere in considerazione voci di spesa non eliminabili, quali quelle occorrenti per la sostituzione del personale assente per malattia, gravidanza e infortunio, in precedenza non contemplate.

Al riguardo l’adito Tribunale ha, infatti, correttamente rilevato che a fronte di un’indicazione tabellare di 120 ore annue per dipendente di assenze per malattia, gravidanza e infortunio, la B&J aveva indicato, per le assenze in questione, un monte ore complessivo di sole 170 ore annue, dato evidentemente incongruo (tenuto conto che i dipendenti da impiegare erano 20), vieppiù se si considera che la concorrente ha tentato di giustificarlo “ sulla base di non meglio documentate statistiche aziendali ”.

Col secondo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato:

a) a disattendere, senza adeguata motivazione, i dati ISTAT e quelli ricavabili dal documento n. 27 prodotto in primo grado dalla B&J, dai quali emergerebbe che il ribasso economico da quest’ultima offerto sarebbe assolutamente in linea con quello usualmente praticato negli appalti del medesimo tipo di quello per cui è causa, anzi il prezzo offerto nella fattispecie risulterebbe addirittura superiore a quello risultante dalle medie di settore in ambito nazionale, regionale, provinciale e comunale.

b) a respingere la doglianza con cui era stato dedotto che lo sconto offerto dalla B&J, pari al 10,5% della sola quota a carico del Comune, corrispondesse in concreto, se rapportato alla retta complessiva, ad uno sconto effettivo del 5,3%, posto che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, la retta a base d’asta era costituita da due quote, una a carico della parte pubblica (€ 365) e l’altra gravante sugli utenti (€ 361).

La doglianza è infondata.

Occorre premettere che, per pacifica giurisprudenza, la censura di difetto di motivazione della sentenza o di omessa pronuncia è resa inammissibile dall'effetto devolutivo dell'appello.

In secondo grado, infatti, il giudice è chiamato a valutare tutte le domande, integrando - ove necessario - le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 23/3/2018, n. 1853;
19/2/2018, n. 1032 e 13 febbraio 2009, n. 824;
IV 5 febbraio 2015, n. 562, VI, 14 aprile 2015, n. 1915).

Passando al merito delle censure prospettate non merita condivisione quella articolata sotto la lett. a).

Ed invero, un consolidato orientamento giurisprudenziale insegna che la verifica di congruità di un'offerta sospetta di anomalia non può essere effettuata attraverso un giudizio comparativo che coinvolga altre offerte, perché va condotta con esclusivo riguardo agli elementi costitutivi dell'offerta analizzata ed alla capacità dell'impresa - tenuto conto della propria organizzazione aziendale e, se del caso, della comprovata esistenza di particolari condizioni favorevoli esterne - di eseguire le prestazioni contrattuali al prezzo proposto, essendo ben possibile che un ribasso sostenibile per un concorrente non lo sia per un altro, per cui il raffronto fra offerte differenti non è indicativo al fine di dimostrare la congruità di una di esse (Cons. Stato, Sez. V, 13/2/2017, n. 607;
20/7/2016, n. 3271;
7/9/2007 n. 4694;
Sez. IV, 29/10/2002, n. 5945).

Il principio vale, a maggior ragione, allorquando si pretenda che il raffronto avvenga non con altra specifica offerta presentata nella medesima gara, ma addirittura con dati statistici (nazionali o locali) relativi a gare del settore, dai quali non è possibile trarre alcun elemento atto a dimostrare la sostenibilità dell’offerta nello specifico caso considerato.

Peraltro, come rilevato dal giudice di prime cure, nella fattispecie non risulta nemmeno comprovato che i dati statistici invocati si riferiscano a strutture di “ … pari livello qualitativo ”.

Ugualmente priva di pregio è la censura sub b).

Difatti, il Disciplinare di gara (pag. 7) prevedeva che l’offerta economica dovesse essere formulata prevedendo “ un ribasso percentuale sull’importo a base di gara che ammonta a € 845.100,00 (oltre IVA se dovuta) ” e tale importo è, ovviamente, relativo alla sola quota della retta a carico dell’amministrazione.

Pertanto, rispetto a tale importo, il ribasso proposto dalla ricorrente è effettivamente pari al 10,5%, così come, del resto, dalla medesima dichiarato nell’offerta e come correttamente rilevato dal RUP in sede di verifica.

A prescindere da ciò è appena il caso di aggiungere che, essendo le due quote pressoché di pari importo (€ 365 quella a carico dell’amministrazione, € 361 quella gravante sugli utenti), un ribasso del 5,3% sulla loro somma (come invocato dall’appellante) non darebbe luogo a significative differenze.

Col terzo motivo si deducono contro l’impugnata sentenza le seguenti ulteriori critiche.

1) Il Tribunale ha contraddittoriamente respinto la doglianza diretta contro l’affermazione del RUP in base alla quale “ se consideriamo che il servizio con i bambini funziona dal 1/9 al 30/6 non è possibile pensare che il personale lavori dal 1/9 al 30/6. Da un punto di vista organizzativo qualche giornata di lavoro in agosto per la predisposizione degli ambienti e in luglio per la sistemazione successiva non può non essere prevista, per cui un conteggio reale della spesa del personale dovrebbe tener conto di 44 settimane (se non 45 come avviene nei servizi gestiti direttamente dall’Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia e nelle strutture attualmente gestite in appalto con altre ditte) ”.

Ed invero, pur riconoscendo che “ … il preteso impiego di personale per una o addirittura due settimane per l’esecuzione di dette attività non trova previsione in detti termini nella disciplina di gara …”, ha ritenuto che “ non è contestabile che il servizio in questione preveda l’espletamento di attività propedeutiche che rendano la struttura idonea e fruibile alla data di inizio delle attività ”.

Così facendo non avrebbe tenuto conto che l’attività dell’anno educativo successivo è organizzata e pianificata nel mese di giugno e che “ l’asilo viene lasciato perfettamente pulito al termine dell’anno precedente, gli arredi coperti con teli e tutto viene riposto nei propri scaffali ”, per cui le attività propedeutiche alla riapertura sarebbero già contemplate nei costi del personale relativi ai 10 mesi in cui si svolge il servizio.

2) L’appellante aveva criticato la percentuale di assenza dei bambini che comportano uno sconto sulla retta a carico degli utenti stimata dal RUP tra il 24% e il 26%, obiettando che in base alle proprie statistiche interne tale percentuale si aggira intorno allo 0,5 % con una conseguente riduzione del fatturato insignificante.

Il Tribunale ha respinto la doglianza rilevando che ciò non esonerava la B&J dal calcolarne l’incidenza sui ricavi preventivati, senza rendersi conto che quest’ultima aveva tenuto conto di tale aspetto nella propria offerta giudicandone, però, gli effetti del tutto marginali.

3) La stazione appaltante ha considerato sottostimato il costo delle utenze (€ 10.000 annui), rilevando che il costo storico dell’energia elettrica per strutture similari era pari a € 13.800 annui e quindi, considerate tutte le altre voci, il costo complessivo ammonterebbe a € 18.000.

Al riguardo l’odierna appellante aveva dedotto che:

a) il costo dell’energia può variare in base al tipo di contratto e al gestore;

b) in virtù delle numerose strutture gestite vanterebbe accordi molto vantaggiosi con i distributori di energia;

c) nei mesi di luglio e agosto non vi sarebbe consumo di energia;

d) in un asilo privato del comune di Roma il costo per l’energia sarebbe stato pari a € 1.991,09;

e) l’ipotizzato costo per utenze di € 10.000 sarebbe stato ricavato dall’analisi della spesa sostenuta per la gestione di altro asilo nido.

Il Tribunale ha respinto la doglianza limitandosi ad affermare che la struttura presa in considerazione era “ …ubicata in area climaticamente differente che non consente di riconoscere al dato un carattere di assoluta attendibilità ”, senza accorgersi che la stima effettuata dall’odierna appellante si fondava su una pluralità di dati e circostanze.

4) La stazione appaltante ha ritenuto sottostimato l’importo per spese generali dichiarato dalla B&J (inferiore al 3%), rilevando lo scostamento dalle percentuali usualmente praticate dalle ditte appaltatrici (dal 10 % al 18%).

Non avrebbe, però, tenuto presente che l’impresa:

a) non ha spese per canoni di locazione e costi di sede in quanto si avvale di strutture di cui ha la proprietà;

b) copre tutti i costi generali con altre commesse e ha calcolato solo le spese incrementali derivanti dalla gestione dell’asilo oggetto della gara per cui è causa;

c) il riferimento a percentuali di spese generali tra il 10% e il 18% è del tutto apodittico.

La censura è infondata in tutte le sue articolazioni.

Quanto al profilo sub 1).

Il TAR ha correttamente rilevato che la << necessità di attività propedeutiche all’apertura della struttura è ammessa dalla stessa ricorrente che nel progetto educativo e tecnico organizzativo presentato al punto a.2 precisa che “è compito dell’adulto predisporre un ambiente curato e accogliente e stimolante che sappia accogliere le peculiari e plurime esigenze dei bambini” e che lo spazio delle sezioni sarà allestito ad inizio anno per accogliere i bambini e le famiglie in inserimento…” >>.

E peraltro non è verosimile che le attività di predisposizione della struttura possano essere svolte in giugno o alla riapertura, dopo due mesi di chiusura, con la presenza dei bambini.

Quanto al profilo sub 2).

Il TAR ha motivato la reiezione della censura osservando, tra l’altro, che la “ ricorrente ha inoltre omesso ogni considerazione della circostanza che la retta è soggetta ad ulteriori riduzioni in ipotesi di più figli iscritti dalla medesima famiglia che determinerebbero ulteriori contrazioni dei ricavi che dovevano necessariamente essere considerate ”, e tale affermazione non è stata fatta oggetto di censura. Mentre risulta priva di riscontri probatori l’affermazione dell’appellante secondo cui, in base a proprie statistiche interne, le assenze che danno diritto a sconti sarebbero pari allo 0,5%.

Quanto al profilo sub 3).

Il giudice di prime cure ha correttamente escluso che potesse essere presa come termine di paragone per il calcolo del costo delle utenze una struttura che non fosse, sotto tutti gli aspetti, omogenea a quella ove è ubicato il nido d’infanzia G M.

In ordine alla possibilità di godere di sconti dal distributore di energia è sufficiente rilevare che tale evenienza non risulta esplicitata nelle giustificazioni, né l’appellante ha fornito prova delle proprie affermazioni in sede processuale.

Quanto al profilo sub 4).

La doglianza è inammissibile, ex art. 101, comma 1, del c.p.a., non essendo rivolta contro un capo della sentenza, ma direttamente nei confronti del giudizio di anomalia emesso dalla stazione appaltante.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi