Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2024-05-07, n. 202404117
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Pubblicato il 07/05/2024
N. 04117/2024REG.PROV.COLL.
N. 06221/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6221 del 2023, proposto da
A T, rappresentato e difeso dall'avvocato O C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 21;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 06341/2023, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la nota depositata in data 26 marzo 2024 con la quale la parte appellata ha chiesto il passaggio in decisione della causa senza preventiva discussione;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 il Cons. Marco Valentini e udito per la parte appellante l’avvocato O C;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Avanti il giudice di prime cure, l’originario ricorrente, odierno appellante, ha chiesto l’annullamento:
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
-della Determinazione Dirigenziale del Municipio Roma I n. rep. CA/2686/2019 – prot. CA/162419/2019 del 7/8/2019, comunicata in data 6/11/2019, conclusiva delle Conferenze di Servizi relative alla conversione delle autorizzazioni c.d. “anomale” ai sensi dell'art. 52 D.A.C. n. 29/2018;
- delle note del Municipio Roma I prot. nn. CA/209264, CA/209269 e CA/209273 del 6 novembre 2019 con cui sono stati comunicati i motivi ostativi all'accoglimento delle istanze di conversione delle autorizzazioni c.d. “anomale”;in uno a tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 12/3/2020:
-della Deliberazione della Giunta del Municipio Roma I Centro n. 46 del 29 novembre 2019, prot. CA/230821 del 5/12/2019, avente ad oggetto: “ Ambiti territoriali n. 1 e n. 2 del Tavolo Tecnico per il Decoro – Tipologie di postazioni: Automezzi adibiti alla vendita del settore alimentare, Urtisti, Posteggi isolati, fissi, Posteggi c.d. anomali, Pittori/Ritrattisti/Caricaturisti – individuazione delle aree per la rilocalizzazione definitiva ”;
- della nota della Soprintendenza Capitolina in essa richiamata;in uno a tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, o comunque in essi richiamati.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 10/1/2022:
-della Determinazione Dirigenziale del Municipio Roma I n. rep. CA/2686/2019 – prot. CA/162419/2019 del 7/8/2019, comunicata in data 6/11/2019, conclusiva delle Conferenze di Servizi relative alla conversione delle autorizzazioni c.d. “anomale” ai sensi dell'art. 52 D.A.C. n. 29/2018;
- delle note del Municipio Roma I prot. nn. CA/209264, CA/209269 e CA/209273 del 6 novembre 2019 con cui sono stati comunicati i motivi ostativi all'accoglimento delle istanze di conversione delle autorizzazioni c.d. “anomale”. in uno a tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;
-della Determinazione Dirigenziale n. 2170 emessa dal Dirigente (titolare dei poteri sostitutivi ex D.D. DG/65/2021) del Municipio Roma I in data 24/9/2021, comunicata in data 15/10/2021, avente ad oggetto “ conversione delle autorizzazioni per il commercio su aree pubbliche c.d. “anomale” in posteggi isolati fissi, ai sensi dell'art. 52 D.A.C. 30/2017 e ss.mm. e ii – Atto di chiusura del procedimento”.
Il primo giudice ha in parte dichiarato improcedibili e in parte respinto il ricorso e i motivi aggiunti.
In particolare, ha osservato il TAR che il ricorso introduttivo ed il primo ricorso per motivi aggiunti devono essere dichiarati improcedibili.
Richiamando pregressa giurisprudenza della stessa Sezione, il primo giudice ha rilevato come alcuna utilità il ricorrente potrebbe oramai conseguire dall’annullamento degli atti impugnati, stante l’intervenuta adozione da parte dell’Amministrazione Capitolina di un successivo provvedimento dispositivo sul punto della collocazione dei posteggi in questione, che, peraltro, soddisfa l’interesse azionato, in quanto attribuisce (perlomeno allo stato, fino ad un eventuale nuovo e diverso provvedimento) il bene della vita anelato (vale a dire, la possibilità di esercizio del commercio nella specifica postazione richiesta).
Diversamente la Determinazione Dirigenziale n. 2170 prot. CA/156689 del 24.09.2021, ha inciso immediatamente sulla posizione dell’interessato, avendo espressamente rilasciato un titolo concessorio, sebbene qualificato come temporaneo.
Circa i secondi motivi aggiunti, tuttavia, il TAR ha respinto il primo di essi, non potendo essere ravvisata illegittimità derivata da provvedimenti contro cui sono stati svolti motivi di impugnazione oramai improcedibili.
Il secondo motivo aggiunto della seconda serie, che propone la questione dell’impossibilità di rilasciare titoli temporanei, neppure è stato accolto.
Le censure, che richiamano il termine di scadenza delle concessioni previsti dalla c.d. Direttiva Bolkenstein al 31 dicembre 2018, devono ritenersi, come affermato in pregressa giurisprudenza della stessa Sezione, improcedibili, in quanto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 17 e n. 18 del 2021, ha affermato, tra l’altro, il principio di diritto relativo al dovere di non applicazione delle disposizioni di rinnovo automatico delle concessioni, in quanto illegittime per contrasto con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, e che il dovere di disapplicazione si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in generale ed i soggetti ad essi equiparati, anche in caso di direttiva “self executing”.
Il TAR ha poi evidenziato, nella giurisprudenza richiamata, come sia indiscutibile che i posteggi per l’esercizio del commercio, nel comune di Roma Capitale, siano un bene limitato, considerato anche il ristretto carattere territoriale del Comune concedente, l’attuale assenza di concorrenzialità del settore e l’elevata attrattività che rivestono per gli operatori tali attività, specie nel contesto caratterizzato da profili di unicità e assoluta particolarità quale è quello di Roma.
Parimenti improcedibile, per quanto detto, è stato ritenuto il motivo che critica l’individuazione del termine di scadenza delle nuove collocazioni al novantesimo giorno successivo alla fine dell’emergenza sanitaria da Covid 19, in quanto fa riferimento all’art. 26 bis del D.L. n. 41\2021.
Il motivo è infondato in quanto la richiamata norma, pur emessa nell’ambito della legislazione emergenziale legata alla pandemia iniziata nel 2020, detta comunque un termine di scadenza legato alla sorte delle concessioni di posteggio sulle aree pubbliche sull’intero territorio nazionale, e dunque il riferimento ad essa operato dall’atto impugnato non risulta incongruo rispetto alla materia trattata e alle finalità perseguite.
Quanto ai motivi che affermano la violazione dell’interesse degli esercenti ad ottenere la ricollocazione in una postazione di loro gradimento o da loro indicata, il TAR ha ribadito quanto affermato con la sentenza n. 8177/2019, secondo la quale i titoli in considerazione sono qualificati, nell’ambito della stessa regolamentazione comunale, come “anomali”, proprio in quanto non rientranti strettamente nelle tipologie disciplinate dapprima dalla legge n. 112/1991 e poi dal d. lgs n. 114/1998, cioè a posto fisso o itinerante.
La posizione degli operatori non può ritenersi cristallizzata e non soggetta a variazioni.
L’ultimo motivo, secondo il TAR, neppure può trovare accoglimento.
Esso invoca la violazione dei principi di partecipazione procedimentale in un procedimento scaturito da istanza degli interessati, che hanno potuto rappresentare anche le proprie preferenze in punto di nuova collocazione, e che deriva dall’applicazione di regolamentazione comunale la cui adozione è stata preceduta da ampia partecipazione delle associazioni di categoria.
In conclusione, come detto, il ricorso introduttivo è stato dichiarato improcedibile, mentre i motivi aggiunti sono stati dichiarati in parte improcedibili e in parte infondati nei limiti di cui in motivazione.
Avverso la sentenza impugnata in data 18 luglio 2023 è stato depositato ricorso in appello.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale.
In data 29 febbraio 2024 ha depositato memoria la parte appellante.
In data 5 marzo 2024 ha depositato memoria la parte appellata.
Nell’udienza pubblica del 9 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In sede di appello, sono stati dedotti:
- travisamento/erronea ricostruzione del fatto – violazione di legge (art. 35, lett. c) c.p.a.) - error in procedendo
Il TAR del Lazio, nella sentenza impugnata, ha innanzitutto errato, secondo l’appellante, nel ritenere completamente improcedibili il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti, per avere la sopravvenuta D.D. 2170, prot. CA/156689 del 24/9/2021 soddisfatto l’interesse azionato dal ricorrente, in quanto tale D.D. citata avrebbe confermato, quantunque provvisoriamente, i siti indicati dal ricorrente medesimo.
Tale affermazione, evidenzia l’appellante, è vera esclusivamente in relazione all’autorizzazione con posteggio in Via Frattina, alt. civ. 152, mentre è errata per le altre due istanze, ovverosia per i posteggi richiesti in Via della Croce e Vicolo Doria, ricollocati, quantunque provvisoriamente, in altra area, e segnatamente in Via Carlo Felice, ovverosia in maniera difforme da quanto richiesto dall’istante. Pertanto, è evidente non v’è coincidenza fra la richiesta del ricorrente e l’esito del provvedimento di conversione, che ha attribuito una collocazione diversa e deteriore, anche da un punto di vista commerciale, rispetto all’istanza.
Tale circostanza osta, secondo l’appellante, a una declaratoria di improcedibilità del ricorso e dei primi motivi aggiunti in relazione alle istanze di conversione aventi ad oggetto le postazioni, per l’appunto, di Via della Croce e Vicolo Doria, il che impone una riforma della sentenza di prime cure, con annullamento della declaratoria di improcedibilità ed esame nel merito dei motivi di censura.
Per tale motivi si ripropongono, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. i seguenti motivi contenuti nel ricorso e nei primi motivi aggiunti, assorbiti dalla pronuncia in rito in primo grado e come tali non esaminati.
Detti motivi in realtà coinvolgono aspetti relativi all’intero procedimento e pertanto, oltre che porsi come motivi di censura avverso provvedimenti per i quali ne era stata ritenuta l’improcedibilità, riguardano anche i motivi svolti avverso la D.D. n. 2170/2021 e parimenti disattesi dalla sentenza gravata.
-violazione di legge e/o regolamento (delibera a.c. n. 29/2018, art. 52 -legge regionale Lazio n. 22/2019 – d. lgs. 42/2004 art. 52 – delibera a.c. n. 96/2014) – eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti, sviamento, illogicità, disparità di trattamento, contraddittorietà, erroneità, travisamento dei fatti;illegittimità derivata
La problematica relativa all’individuazione e all’interesse all’ottenimento di una ricollocazione in postazione “limitrofa”, che possa essere di gradimento dell’istante, o quanto meno da questi indicata, sottolinea l’appellante, è argomento che coinvolge tutti gli atti impugnati e, seppur ritenuta assorbita per quanto concerne gli atti gravati con il ricorso introduttivo del primo grado e con i primi motivi aggiunti, è stata affrontata dalla sentenza impugnata con riferimento alla sola D.D. n. 2170/2021.
Il TAR Lazio, tuttavia, secondo l’appellante, ha liquidato la questione affermando che, trattandosi di autorizzazioni c.d. “anomale”, la posizione dei relativi operatori non potesse ritenersi cristallizzata e non soggetta a variazioni.
Detta motivazione tuttavia è per l’appellante viziata sia da un punto di vista logico sia con riferimento ai principi del procedimento amministrativo e alla normativa applicabile al caso di specie.
La disciplina cui fare riferimento per il procedimento di conversione delle licenze c.d. anomale è quella risultante dall’ultima versione dell’art. 52 del Regolamento del Commercio su Area Pubblica (siccome approvata dall’Assemblea Capitolina con Deliberazione n. 29/2018).
Per quanto riguarda l’istanza diretta ad ottenere la conversione con posteggio individuato in Via Frattina il provvedimento è effettivamente conforme all’istanza dell’interessato;diverso discorso è invece per le altre due istanze, con le quali l’originario ricorrente, odierno appellante, ha chiesto che venissero indicati quali posteggi di svolgimento dell’attività, rispettivamente, Vicolo Doria e Via della Croce.
Le domande sono perfettamente in linea con quanto previsto dal richiamato regolamento, in quanto questo non ha fatto altro che indicare nelle istanze, quale opzione di posteggio, le ubicazioni indicate originariamente sui titoli.
Quindi, l’Amministrazione avrebbe dovuto in primo luogo verificare la concedibilità dei siti indicati nelle istanze e, in caso di esito negativo, individuare una zona “limitrofa”.
L’eccesso di potere sotto tutti i profili denunziati è per l’appellante ancor più evidente laddove si consideri la disponibilità, espressa nelle istanze del ricorrente, a limitare la propria occupazione anche a solo un metro quadrato e ad esercitare un’attività tradizionale, quale quella di caldarroste o di vendita di fiori, attività certamente ritenute compatibili con le aree originarie e, comunque, con la zona del Centro Storico.
A queste condizioni, non si comprenderebbe come talune attività non siano state sottoposte ad analogo giudizio di incompatibilità pur insistendo nei medesimi ambiti territoriali, come ad esempio le molteplici edicole esistenti nell’ambito del c.d. “Tridente”, dove continuano ad essere mantenute anche occupazioni di suolo pubblico per gli esercizi di somministrazione.
La discrepanza è ancora più evidente laddove si consideri che le edicole per la vendita di giornali e riviste, in virtù delle recenti modifiche legislative di cui al Testo Unico del Commercio adottato dalla Regione Lazio con Legge Regionale n. 22/2019, possono smerciare anche bevande ed articoli alimentari, mentre analoga attività viene ritenuta incompatibile per le attività ben meno impattanti proposte dall’odierno ricorrente.
Il che costituisce anche evidente disparità di trattamento che vizia anche sotto tale aspetto i provvedimenti impugnati, di cui la sentenza appellata non ha tenuto conto.
-violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 53 legge regionale del Lazio n. 22/2019) – eccesso di potere per difetto di istruttoria
La sentenza impugnata ha rigettato infine il motivo che denunziava il difetto di partecipazione procedimentale, in particolare per il mancato intervento delle associazioni di categoria, ritenendo il TAR tale violazione insussistente, per essere il procedimento scaturito da istanza dell’interessato ed in applicazione di regolamentazione preceduta da partecipazione delle associazioni di categoria.
Tale motivazione è però secondo l’appellante errata.
Nella fattispecie, evidenzia l’appellante che l’istanza di “trasformazione” delle autorizzazioni è stata congegnata dal regolamento comunale come atto necessario a contenuto vincolato, obbligatorio ai fini della conversione, pena la decadenza dalla licenza.
Nessuna partecipazione attiva, si deduce, è stata prevista in capo all’interessato, salvo la mera possibilità di indicare nell’istanza uno dei siti contenuti nel titolo;tant’è che i siti alternativi richiesti – come già evidenziato – non sono stati neanche esaminati.
Il fatto che la regolamentazione di carattere generale sia stata preceduta dalla partecipazione delle associazioni di categoria, non esclude che le associazioni avrebbero dovuto partecipare, con ruolo attivo, anche alla disciplina di dettaglio, trattandosi di piani regolamentari e di procedimenti assolutamente diversi.
In altre parole, per l’appellante, la circostanza che le Associazioni abbiano interloquito nella stesura del regolamento del commercio non esclude che, in ossequio a quanto previsto dall’art. 53 della L.R. Lazio n. 22/2019, avrebbero dovuto essere coinvolte anche nel particolare e distinto procedimento di ricollocazione delle autorizzazioni anomale.
L’appello è infondato.
Osserva il Collegio, preliminarmente, di non ravvisare motivi per discostarsi da quanto statuito dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata.
In particolare, quanto al primo motivo di appello, l’asserita difformità della collocazione delle postazioni indicate per lo svolgimento delle attività connesse ad alcune autorizzazioni anomale, rispetto a quanto richiesto dall’interessato, non appare tale da evidenziare profili di illegittimità degli atti impugnati, tenuto conto in generale che, come rilevato dal primo giudice, con Deliberazione della Giunta Capitolina n. 65/2021 si è provveduto a convertire in posteggi fissi un elenco di autorizzazioni anomale, indicandone i rispettivi siti.
Nello specifico, la lamentata mancata corrispondenza di due delle postazioni richieste (Via della Croce e Vicolo Doria) va valutata alla luce:
-della dichiarata incompatibilità dei luoghi prescelti, alla luce di quanto emerso in sede di Tavolo del decoro;
-della natura espressamente temporanea di dette autorizzazioni;
-dell’impegno dell’amministrazione, in caso si acclarata incompatibilità, a valutare soluzioni limitrofe ovvero alternative.
L’eterogeneità della materia e le posizioni differenziate dei diversi operatori giustificano come del tutto ragionevole l’avvertita necessità di intervenire con una disciplina amministrativa che si connoti come più appropriata anche in relazione all’osservazione delle problematiche emergenti e della generale condizione di fruibilità dei luoghi cittadini, specie se di particolare pregio.
L’insieme di tali considerazioni esclude ad avviso del Collegio l’emergere di profili di censura della sentenza di primo grado, che ha statuito l’improcedibilità dei relativi motivi, nel senso che, nei limiti indicati dalle disposizioni del procedimento, l’individuazione di una collocazione alternativa va considerata coerente con l’interesse dell’originario ricorrente, in quanto considerato nella cornice delle disposizioni all’uopo dettate, senza che si evidenzino dunque profili di illegittimità da parte della pubblica amministrazione.
Quanto al secondo motivo di appello, ripropositivo di quanto già dedotto in primo grado, ha ragione il primo giudice a ritenere che, nel caso delle autorizzazioni c.d. anomale, la posizione degli operatori non può ritenersi cristallizzata e non soggetta a variazioni.
Fermo quanto detto relativamente al primo motivo di appello, non risulta che l’amministrazione non abbia eseguito un’adeguata istruttoria per verificare la concedibilità dei siti richiesti e l’eventuale individuazione di altra soluzione limitrofa o alternativa.
Per converso, come detto, mentre va sottolineato che gli emersi profili di incompatibilità discendono dalle valutazioni in seno ad un apposito tavolo per il decoro e che l’individuazione di una collocazione alternativa prova che sia stato condotto un appropriato esame delle possibili soluzioni, non sono dimostrati i dedotti profili di eccesso di potere per asserita disparità di trattamento, tenuto conto della natura assai diversificata delle attività per cui è in questione la concessione di dette autorizzazioni.
Quanto al terzo motivo di appello, anch’esso ripropositivo di quanto dedotto in primo grado, va condiviso quanto statuito dal primo giudice circa l’assenza di qualsivoglia violazione relativa ai profili di partecipazione procedimentale, tenuto conto, come pure evidenziato nella sentenza impugnata, che ai richiedenti è stato possibile indicare specifiche preferenze sulle nuove collocazioni e che le associazioni di categoria sono state preventivamente consultate.
Non appare significativo al riguardo, sotto il profilo della dedotta illegittimità, quanto argomentato dall’appellante circa la valutazione, che va considerata di mera opportunità e di natura discrezionale, che tali associazioni di categoria avrebbero dovuto partecipare anche alla definizione della disciplina di dettaglio.
L’appello pertanto va respinto.
Sussistono nondimeno peculiari motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.