Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-05-25, n. 201803138
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Pubblicato il 25/05/2018
N. 03138/2018REG.PROV.COLL.
N. 08307/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8307 del 2017, proposto da:
-O-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco -O- Sisto, F S D, A M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A M in Roma, via Federico Confalonieri n. 5;
contro
Prefetto -O-, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Albo Nazionale Gestori Ambientali – Sezione Puglia, non costituiti in giudizio;
Comune di -O-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato M F I, con domicilio eletto presso lo studio Mario -O-ino in Roma, viale Parioli, 180;
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Anac - Autorita' Nazionale Anticorruzione, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, e presso gli uffici della stessa domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
-O-, -O-, -O-, -O-, non costituiti in giudizio;
-O- - -O-, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Fantini, con domicilio eletto presso lo studio Alberto Fantini Tonucci &Partners in Roma, via Principessa Clotilde, 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari - Sezione III, n. -O-, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento di una informativa interdittiva antimafia e degli atti conseguenti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -O-, di -O- -O-Stabile Società Consortile a r.l., del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dell'Interno e di Anac - Autorita' Nazionale Anticorruzione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati F S D, A M, Francesco -O- Sisto, M F I, Alberto Fantini e l'Avvocato dello Stato Tito Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso al Tar Puglia, -O- impugnava l’informativa interdittiva prot. n.-O-emessa nei suoi confronti dal Prefetto -O-.
La società ricorreva, altresì, per l’annullamento di plurimi atti comunque connessi alla predetta informativa, fra cui: - il decreto prefettizio del -O-recante diniego di iscrizione della -O-. nella c.d. white list ;- il provvedimento del -O-con il quale il Comune di -O- aveva comunicato il recesso del rapporto contrattuale con la -O-. a decorrere dal 19/1/2017;- la determinazione dirigenziale del-O- disponente lo scorrimento della graduatoria ed il subentro del -O-Stabile -O- dal 13/3/2017;- il decreto del 23/2/2017 con il quale la Prefettura -O- aveva disposto il commissariamento degli appalti che la -O-. aveva in corso ad eccezione di quello di -O-;- il provvedimento del 11/4/2017 con il quale la Sezione Regionale della Puglia dell’Albo Gestori Ambientali aveva rinnovato l’iscrizione della ricorrente nelle Categorie 1, 4 e 5, limitando l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti ai soli appalti oggetto di commissariamento;- il provvedimento del 20/4/2017 con il quale la Sezione Regionale della Puglia dell’Albo Gestori Ambientali aveva confermato l’iscrizione della ricorrente nella Categoria 10, limitando l’esercizio dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti ai soli appalti oggetto di commissariamento.
2. Il Tar adito respingeva il ricorso e i motivi aggiunti, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle Amministrazioni statali e del Comune di -O- e compen-O-dole nei confronti di -O-.
2.1. In particolare, il giudice di prime cure, con riferimento all’interdittiva prefettizia, rilevava che:
“ diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente nelle varie doglianze articolate nell’atto introduttivo, l’impugnata interdittiva antimafia è sorretta da adeguata motivazione atta ad esternare gli elementi fattuali che consentono di affermare, su un piano necessariamente prognostico, la sussistenza del pericolo di ingerenza della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale della società istante e di un quadro indiziario complessivo dal quale può ragionevolmente desumersi l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
Al riguardo, il Prefetto -O- ha dato diffusamente conto degli elementi fattuali dai quali ha desunto la sussistenza di detto pericolo e che si sostanziano fondamentalmente negli accertamenti svolti dalla Direzione Investigativa Antimafia, in particolare con riguardo all’appalto aggiudicato alla -O-. dal Comune di -O- per il servizio di raccolta rifiuti e con riguardo alla -O-cata presenza nella compagine aziendale della ricorrente di molteplici dipendenti (nominativamente indicati nel rapporto informativo e negli allegati depositati) pregiudicati, dediti ad attività criminale e/o contigui a sodalizi criminali .
[...]
Dall’informativa della DIA trasmessa al Prefetto -O- il 9 settembre 2016 emerge chiaramente che nel Comune di -O-erano stati commessi nel 2014 attentati incendiari ed estorsivi (poi ricondotti all’attività della criminalità organizzata) nei confronti della ditta -O-affidataria all’epoca del servizio di smaltimento rifiuti che, conseguentemente, si determinò a recedere dal servizio. Tale servizio venne poi affidato alla -O-. (che inizialmente aveva partecipato alla gara e non era risultata aggiudicataria, nonostante le pressioni e intercessioni di tale -O-(che agiva spendendo il nome della -O-) presso il Sindaco -O-. Quest’ultimo, nel corso di una conversazione con un assessore di -O-, captata a seguito di intercettazione ambientale e dunque certamente genuina, aveva infatti raccontato delle pressioni ricevute dalla -O-. già al momento dell’espletamento della gara poi affidata alla -O-, per il tramite di -O-, presentatosi quale “responsabile” della società, successivamente arrestato nell’-O- della più ampia indagine denominata “-O-”. L’episodio delle pressioni al Sindaco era stato, peraltro, da questi riferito al Prefetto di Reggio Calabria anche per gli accertati legami dell’-O- con esponenti di cosche mafiose locali. Trattasi di circostanze di fatto che evidenziano una netta permeabilità della -O-. alle infiltrazioni di esponenti della criminalità organizzata o di soggetti a questa vicini, in un contesto ambientale in cui la raccolta e la gestione dei rifiuti costituisce un’occasione di business per le cosche mafiose, come pure accertato attraverso la complessa attività investigativa della quale viene dato atto nell’interdittiva impugnata e negli atti istruttori posti a base del provvedimento ”.
Ad avviso del Tar Puglia non poteva inoltre attribuirsi alcun pregio alla censura della ricorrente in ordine all’epoca in cui erano avvenuti gli atti intimidatori poiché “ dal 2014 al 2016, non è intervenuto alcun mutamento nella compagine societaria e nelle modalità di gestione della società ricorrente (non essendo stata data alcuna prova del contrario) ”.
Né poteva rilevare che l’affidamento alla -O-. era avvenuto ad opera dei Commissari nominati a seguito dello scioglimento del Comune di -O-posto che lo stesso era stato disposto “ sulla base di quello che formalmente risultava dagli atti (ossia che la -O-. era la concorrente alla quale spettava l’aggiudicazione a seguito della rinuncia della -O-) e, dunque, senza che i Commissari avessero conoscenza di quanto invece poi accertato dalla DIA ” ; con riferimento poi all’avvenuta risoluzione del rapporto di consulenza con -O-il Tar giudicava “ del tutto irrilevante [...] la tardiva resipiscenza della società allorquando, solo dopo che era stato reso noto a tutti chi fosse realmente l’-O-, ha preso da questi le distanze e risolto il rapporto ” .
Ad avviso della sentenza gravata, inoltre, doveva ritenersi priva di pregio anche la doglianza della ricorrente secondo cui nulla le poteva essere rimproverato in merito all’assunzione di dipendenti pregiudicati o comunque contigui all’attività della criminalità organizzata sull’assunto che le assunzioni sarebbero state la conseguenza della necessitata applicazione delle c.d. clausole sociali. Tanto sul presupposto che l’obbligo di riassunzione “ trova deroga in tutti i casi in cui prioritarie esigenze aziendali impongano di non procedere all’assunzione di taluno dei dipendenti in precedenza occupati. E tra tali prioritarie esigenze vi è certamente quella di evitare e prevenire tutte quelle situazioni di fatto che potrebbero essere sintomatiche del pericolo di infiltrazione mafiosa e, quindi, l’adozione di eventuali provvedimenti inibitori dei rapporti con la pubblica amministrazione. Peraltro, anche la presenza nella compagine societaria di un solo dipendente pregiudicato o contiguo a consorterie mafiose può costituire sufficiente ragione per la legittima adozione dell’interdittiva antimafia ” . Sicché, risultava sufficientemente dimostrata la circostanza per cui “ -O-. ha comunque inteso mantenere rapporti con tali dipendenti pur non essendo a ciò tenuta in forza delle clausole sociali alle quali si è fatto innanzi cenno ”.
2.2. Per quanto concerne le censure formulate dalla ricorrente in ordine alla comunicazione di recesso conseguente all’informativa prefettizia, da parte del Comune di -O-, il Tar statuiva, fra l’altro, che:
“ la stazione appaltante (Comune di -O-) poteva legittimamente decidere di risolvere il contratto attraverso il provvedimento di recesso del 30/12/2016 con un semplice richiamo alla interdittiva antimafia del 23/12/2016, senza necessità di richiamare alcuno specifico interesse pubblico (evidentemente da ritenersi sussistente in re ipsa) alla non prosecuzione del rapporto con una impresa oggetto di tentativo di infiltrazione criminale.
Inoltre, non sono suscettibili di positivo apprezzamento le censure che riguardano la circostanza di non avere atteso i pronunciamenti cautelari del T.A.R., ovvero l’aver violato la procedura di cui all’art. 92, comma 3 dlgs n. 159/2011, ovvero non aver atteso l’esito della verifica del presunto inadempimento di -O-, poiché le suddette circostanze non inficiano in alcun modo la legittimità del provvedimento comunale di recesso del 30/12/2016 (come detto di carattere puramente vincolato e consequenziale alla interdittiva antimafia del 23.12.2016).
[...]
Non può trovare positivo apprezzamento neanche la censura (cfr. pag. 11 del primo ricorso per motivi aggiunti) relativa al vizio di incompetenza del RUP alla stregua degli artt. 109 dlgs n. 50/2016 e 134 dlgs n. 163/2006 (i quali prevedono una competenza della stazione appaltante ad adottare l’atto di recesso dal contratto), poiché, venendo in rilievo un’attività amministrativa assolutamente vincolata (adozione di un provvedimento di recesso consequenziale alla interdittiva antimafia), è palese - ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2 legge n. 241/1990 - che il contenuto dispositivo del provvedimento (rectius recesso del 30/12/2016) non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Con riferimento alla censura relativa all’asserita violazione dell’art. 6 bis legge n. 241/1990 da parte del RUP ing. -O-che non si sarebbe astenuto sia dal dichiarare il recesso in danno alla -O-, sia dal disporre il subentro di -O-, essendo lo stesso coimputato con i vertici di -O- (consorziata di -O-) in un procedimento penale pendente innanzi al Tribunale -O-, va evidenziato che non sussiste alcun conflitto di interessi rilevante ai fini della disposizione in commento ” anche perché il provvedimento di recesso si configura “ quale atto vincolato e consequenziale (rispetto alla interdittiva antimafia) e sottratto ad ogni profilo di discrezionalità, essendo provvedimento discendente direttamente dalla intervenuta interdittiva antimafia, nonché da specifiche e cogenti disposizioni normative di carattere imperativo (i.e. artt. 88, 92 e 94 dlgs n. 159/2011).
2.3. In merito al decreto di commissariamento, il Tar rilevava che esso risultava “ strettamente consequenziale alla interdittiva antimafia ”, che quindi rientrava “ nella discrezionalità della stazione appaltante l’aver esteso il provvedimento di commissariamento alla esecuzione di tutti i contratti pubblici di appalto in corso di esecuzione ovvero di completamento tuttora in essere ” e che tale giudizio non poteva mutare per la sola circostanza che “ la governance della stessa ricorrente non ha subito procedimenti penali, né ha mai intrattenuto rapporti e/o contatti con la criminalità organizzata non rileva ai fini della valutazione sottostante l’adozione del provvedimento di commissariamento ”.
2.4. Infine, con riguardo ai gravati provvedimenti della Sezione Pugliese dell’Albo Gestori Ambientale dell’11/4/2017 e del 20/4/2017, il giudice di prime cure statuiva che “ i provvedimenti impugnati appaiono avere contenuto vincolato ”, ciò che peraltro comportava anche la reiezione della censura in ordine all’asserita violazione dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento.
3. Avverso la sentenza ha proposto appello -O-., affidando il gravame ai seguenti motivi.
3.1. L’appellante osserva, anzitutto, come la Prefettura abbia posto al centro dell’interdittiva l’appalto di -O-ed i rapporti tra la -O- e l’ing. -O-, che, secondo la ricostruzione dell’UTG, sarebbe una figura anomala in quanto avrebbe agito in nome e per conto della -O- pur non essendo un dipendente della Azienda presso la quale non rivestiva neppure cariche sociali.
In proposito, -O-. rappresenta che:
- la società si era aggiudicata la gara d’-O-, che comprendeva anche il Comune di -O-, a settembre 2013 e quindi prima di avviare il rapporto di consulenza con l’ing. -O-;
- il prezzo dell’appalto del Comune di -O-era in linea con quello degli altri enti del medesimo -O-;
- non esiste alcun elemento, neppure indiziario, che dimostri come l’ing. -O- abbia mai fatto pressioni sul Sindaco di -O-e anzi, negli atti di causa, esiste la prova del contrario, visto che le insinuanti affermazioni del Sindaco, unici elementi posti a sostegno della tesi delle “pressioni”, sono state ritenute completamente inattendibili dal giudice penale che ha accertato come il “primo cittadino” volesse effettuare in realtà un vero e proprio depistaggio;
- contrariamente a quanto statuito dal Tar, -O- non ha nulla a che fare con l’attentato incendiario occorso alla ditta -O-con la quale non hai mai concorso in gara ed alla quale non è neppure subentrata successivamente al ridetto evento;
- l’informativa prefettizia non riferisce dell’ing. -O- come gestore degli appalti per conto della -O-. e quindi, sul punto, il Tar è incorso in un vizio di ultrapetizione per aver integrato la motivazione del provvedimento;
- ogni scelta riguardante le assunzioni, le spese ed i rapporti contrattuali con i committenti pubblici è stata sempre assunta, in via esclusiva e diretta, dai vertici aziendali e non dall’ing. -O-, il quale si è dunque limitato allo svolgimento dei compiti assegnatigli;
- la società ha interrotto il rapporto di consulenza con il suindicato professionista non appena ha appreso, da articoli di stampa, di una possibile sua controindicazione scaturente da precedenti fatti risalenti al periodo in cui era un pubblico dipendente;
- il giudice di prime cure, nel contestare alla ricorrente una “tardiva resipiscenza”, probabilmente allude al fatto che -O- già conoscesse le ragioni di controindicazione dell’ing. -O-, ma l’assoluta inconsistenza di tale tesi è dimostrata dal fatto che essa non è stata mai evidenziata dall’UTG né dal giudice penale.
3.2. Con riferimento all’assunzione di persone controindicate, l’appellante rappresenta, anzitutto, che con riferimento agli 8 operai dei cantieri calabresi - -O-di -O-, -O-di -O-, -O-di -O-, -O-di -O-, -O-di -O-, -O- di -O-, -O-di -O-, -O-di -O- -O-- le ragioni di controindicazione sono del tutto inconsistenti in quanto:
- i 6 operai di -O-erano tutti incensurati ad eccezione del -O-, che “ aveva un paio di condanne per porto d’armi risalenti a 25-30 anni fa ”, ed erano stati assunti su indicazione nominativa da parte del Comune in esecuzione di specifica clausola sociale;
- gli operai -O-e -O-, assunti a tempo determinato rispettivamente a -O- e -O- -O-per soli 1-2 mesi nel 2015, erano anche loro completamente incensurati;
- nessuno di questi operai risulta essere un esponente e/o un affiliato e/o contiguo alla criminalità organizzata;
- dagli unici accertamenti effettuabili in sede di assunzione da parte dell’appellante
(acquisizione dei certificati penali), alcuna delle ragioni di controindicazione sarebbe potuta emergere tranne le asintomatiche e remote condanne del -O- del 1986/1991;
- che non costituisce certamente motivo per negare l’assunzione e/o per licenziare, né la circostanza che una persona sia stata testimone oculare di un evento delittuoso né che sia stata vittima di minacce e neppure le sue eventuali parentele (ammesso che tali fatti siano conosciuti e conoscibili dal datore di lavoro con l’ordinaria diligenza a questi richiedibile);
- che, al momento delle assunzioni, i parenti dei controindicati non erano stati neppure condannati in primo grado operando quindi la presunzione di non colpevolezza.
Con riguardo agli altri operai indicati dall’UTG, l’appellante osserva che:
- i 3 operai -O-e -O-di -O- nonché -O-di -O- erano tutti incensurati e i primi due erano stati assunti per passaggio diretto, mentre il -O-lo era stato in virtù della sua pregressa esperienza in altra impresa del settore: possibili circostanze di controindicazione, come ad esempio la frequentazione occasionale del -O-con un pregiudicato, non erano conoscibili da parte della società;
- gli operai -O-, -O-, -O-, -O-, -O-, -O-, -O-, -O-, -O-e -O-erano stati assunti per passaggio di diretto e non avevano carichi pendenti;
- le 6 unità -O-, -O-, -O-, -O-,-O-e -O-avevano effettivamente intrattenuto un rapporto di tirocinio con -O- (già conclusosi molto prima dell’interdittiva) ma tanto era avvenuto nell’-O- di un’iniziativa, avviata con i servizi sociali cittadini e finanziata con fondi pubblici, volta proprio al reinserimento occupazionale delle categorie svantaggiate fra le quali vi erano gli ex detenuti;
- gli altri 6 operai assunti volontariamente dall’appellante - -O-, -O-, -O-, -O-, -O-e -O-- non avevano precedenti penali per reati spia e comunque legati alla criminalità organizzata.
Inoltre, l’appellante osserva che è del tutto irragionevole ritenere che la mera presenza di operai che pos-O-o presentare ragioni di controindicazione esporrebbe l’impresa al rischio di condizionamento, anche perché “ viene fatta un’indebita, gratuita e totalmente inaccettabile assimilazione tra delinquenti e parenti di pregiudicati ”, “ gli operai assegnati alla raccolta della spazzatura provengono, per la quasi totalità, dalle fasce sociali più basse ed esposte al degrado ”, “ in un’azienda di grandi dimensioni (che impiega alcune centinaia di persone in diverse Regioni), gli operai non hanno rapporti con i vertici aziendali e non possono quindi assolutamente influenzare le scelte di chi è distante centinaia di chilometri ”, “ l’ipotizzato condizionamento opererebbe – ed avrebbe operato – esclusivamente per -O- e non anche per le altre ditte che, prima e dopo l’appellante, hanno tenuto – e tutt’ora tengono – alle loro dipendenze quelle stesse maestranze ”.
3.3. Per quanto concerne i provvedimenti conseguenti all’interdittiva, la società censura anzitutto le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure in ordine al decreto di commissariamento, in quanto tale provvedimento sarebbe viziato da macroscopici vizi non rilevati dal Tar.
In proposito, -O-. sostiene che il decreto, oltre ad essere illegittimo per invalidità derivata, sia censurabile in quanto:
- è pacifico che la governance della società non ha mai subito procedimenti penali e non ha mai neanche avuto contatti con la criminalità organizzata, di talché l’unica misura che si sarebbe potuta applicare sarebbe quella del sostegno e monitoraggio dell’impresa attraverso la nomina di esperti che si limitano a fornire prescrizioni operative riferite agli ambiti organizzativi, al sistema di controllo interno ed agli organi amministrativi e di controllo (art.32, co. 8, L. n.114/14);
- in ogni modo, il commissariamento avrebbe dovuto riguardare solo le commesse nelle quali erano state ipotizzate delle criticità (Calabria e Puglia) e non anche quelle del Lazio (-O-, -O-e -O-) nelle quali non era stata verificata la sussistenza di elementi sintomatici, bastando – per queste ultime – al più la nomina di esperti per il sostegno e monitoraggio dell'impresa;
- il decreto avrebbe dovuto includere l’appalto di -O- con ciò violando il principio del tempus regit actum, oltre ad aver permesso a quel Comune di disattendere le indicazioni ricevute dall’UTG consentendo l’adozione di un provvedimento di recesso contrastante con i principi ispiratori della normativa antimafia e con gli interessi tutelati dal commissariamento.
3.4. L’appellante si duole, altresì, dell’errore in cui sarebbe incorso il Tar nel ritenere che la cancellazione dall’Albo Gestori Ambientali, con rinnovo dell’iscrizione della -O- limitatamente al solo completamento degli appalti oggetto di commissariamento, costituirebbe atto dovuto a contenuto vincolato, con ciò che ne consegue anche in termini di irrilevanza dei vizi procedimentali.
Ad avviso della società, infatti, in forza delle regole per l’iscrizione all’Albo (art.10 del D.M. n.120/14), la preclusione sarebbe potuta discendere soltanto da una misura di prevenzione definitiva, ma tale non poteva essere ritenuta l’interdittiva sia per la sua stessa natura giuridica sia perché già sub judice al momento della presentazione della domanda di iscrizione.
Inoltre, il rinnovo limitato alla sola prosecuzione degli appalti commissariati contrasterebbe con lo spirito e la ratio del Codice Antimafia, il cui art.83 chiarisce, secondo la ricostruzione di -O-., che l’-O- di applicazione della citata normativa è esclusivamente quello dei contratti pubblici mentre le imprese interdette possono continuare ad operare con i clienti privati.
3.4. In merito al recesso comunicato dal Comune di -O-, l’appellante, oltre a denunciarne l’illegittimità derivata per l’invalidità dell'informativa prefettizia, sostiene che la scelta di conservare o meno il rapporto contrattuale con -O- sarebbe spettata esclusivamente al Prefetto -O- che non aveva ancora speso il relativo potere del cui imminente esercizio aveva peraltro informato preventivamente tutti i Comuni invitandoli a non interrompere i rapporti in corso. Sul punto, dunque, il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere che in materia di interdittiva, l’interesse pubblico tutelato dall’ordinamento sarebbe quello del committente che potrebbe, pertanto, autonomamente determinarsi a recedere dal contratto. In realtà, ad avviso di -O-., l’interesse tutelato dall’ordinamento è quello pubblico generale (e non quello particolare delle stazioni appaltanti) tanto è vero che l’art.32, co. 10, della L. n.114/14 riconosce come le misure debbano garantire e preservare i diritti fondamentali, nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali e l'integrità dei bilanci pubblici;di qui la sicura prevalenza della potestà prefettizia che deve autonomamente determinarsi circa le misure da adottare in ordine alla conservazione o meno dei contratti in corso e fino a quel momento alcun atto può essere adottato dai Comuni.
Inoltre, l’ente, prima di recedere, avrebbe dovuto attendere il pronunciamento cautelare del Tar.
Peraltro, l’esercizio del potere di recesso sarebbe viziato perché: - violerebbe la procedura delineata dall’art.92, co. 3, D.Lgs. n.159/11;- per eccesso di potere poiché l’ente voleva già sciogliersi dal vincolo per asseriti inadempimenti contrattuali da parte di -O-.;- per conflitto di interesse, in quanto adottato dall’ing. -O-, che risultava interessato allo scioglimento del vincolo contrattuale per le ragioni evidenziate nel ricorso di primo grado;- per omissione di qualsivoglia effettivo controllo sulla sussistenza e permanenza dei requisiti di partecipazione in capo al -O--O-.
4. Nel giudizio si sono costituiti il Comune di -O- e, seppure soltanto formalmente, -O-.
4.1. Il Comune ha preliminarmente eccepito la “ inammissibilità e/o, comunque, l’improcedibilità ” dell’appello per difetto di notifica nei confronti della “controinteressata” impresa -O--O-, subentrata nella gestione del servizio ad -O-, nonché per violazione del combinato disposto degli articoli 40, commi 1 e 2 e 101 del c.p.a., in quanto l’appellante non avrebbe indicato gli specifici motivi di censura nei riguardi della sentenza gravata.
L’Amministrazione ha quindi replicato ai motivi di censura attinenti al recesso contrattuale, difendendo le statuizioni di prime cure ed insistendo per la reiezione del gravame.
5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 5 aprile 2018.
DIRITTO
1. Devono essere preliminarmente esaminate le eccezioni processuali formulate dal Comune di -O-.
1.1. Quanto all’asserito difetto di notificazione nei confronti dell’impresa -O--O-, è sufficiente rilevare che trattasi di soggetto estraneo al processo di primo grado, nei cui confronti non sussisteva, pertanto, alcun onere di notificazione dell’appello a pena di “inammissibilità/improcedibilità”.
Inoltre, come rilevato dall’appellante nella memoria difensiva, il recesso non conteneva l’indicazione dell’impresa che sarebbe subentrata a -O-. e, cionondimeno, la società aveva notificato il ricorso di primo grado all’impresa che, all’epoca, appariva come la possibile affidataria del servizio, -O-, in quanto seconda classificata.
1.2. Parimenti priva di pregio è l’eccezione di genericità dell’appello. Ritiene, infatti, il Collegio che negli atti di causa, complessivamente considerati, siano rintracciabili gli specifici profili di censura della sentenza e le ragioni a supporto del gravame.
2. Nel merito, l’appello è fondato.
2.1. Giova premettere che, come recentemente ribadito da questa Sezione, “ la valutazione prefettizia [...] deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della « logica del più probabile che non », consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico ” e che “ l’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale sopra richiamati, richiedono alla Prefettura un’attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale ” (Cons. Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565).
Un approfondito esame degli elementi posti a base dell’informativa, letti alla luce degli atti dell’indagine penale e della sua evoluzione, fa emergere la fallacia delle conclusioni cui sono giunti il Prefetto e il giudice di prime cure.
3. L’interdittiva muove dall’assunto che l’ing. -O-, agendo in nome e per conto della -O-. e avvalendosi dei suoi rapporti con -O-della ‘ -O- -O-, avrebbe esercitato pressioni sul “primo cittadino” al fine di far ottenere alla società l’affidamento dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti presso il medesimo Comune. Tanto sarebbe provato da alcune asserzioni del Sindaco di -O-, proferite in conversazioni carpite da intercettazioni ambientali, e quindi ritenute genuine.
La gravità del contesto di riferimento sarebbe segnalata, altresì, dagli attentati incendiari ed estorsivi perpetrati nel 2014 nei confronti della ditta -O-, che all’epoca era affidataria del servizio di smaltimento rifiuti e che, conseguentemente, si determinò a recedere dal servizio.
Tali eventi, nella ricostruzione contenuta nell'interdittiva e fatta propria dal Tar, sarebbero particolarmente significativi sia perché il recesso della -O-avrebbe consentito a -O-. di succedere nel contratto sia in quanto gli atti incendiari sembrerebbero riconducibili proprio alla ‘-O- -O-, ossia a quella con cui l’ing. -O- intratterrebbe i propri rapporti.
3.1. In proposito, rileva, anzitutto, il Collegio che il Tribunale penale di Reggio Calabria ha ritenuto inattendibili le asserzioni del Sindaco di -O-che “ ormai avveduto … della presenza di attività investigativa…, ben sapendo che egli con il suo comportamento omissivo e compiacente nei confronti dei locali ‘ndranghetisti aveva commesso gravi reati, cerca nella presente intercettazione di pilotare il discorso al fine di fornire una plausibile discolpa per il suo comportamento ”.
Di talché, la circostanza per cui il Sindaco avrebbe ricevuto pressioni da parte dell’ing. -O- al fine di far aggiudicare il servizio alla -O- è smentita dagli atti, che, anzi, disvelano una realtà profondamente diversa.
Del resto, l’aggiudicazione del servizio alla società appellante era avvenuta nel 2013, ossia prim’ancora che venisse stipulato il contratto di consulenza fra la società stessa e l’ing. -O-.
3.2. Inoltre, non sembra possa essere rintracciato alcun credibile collegamento fra attentati incendiari a danno della -O-e aggiudicazione del contratto in favore della -O-.
Infatti, come puntualmente rappresentato nel ricorso in appello, la -O-nel 2012 partecipò, da unica concorrente, alla gara provvisoria indetta dal Comune di -O-per la gestione del servizio di raccolta rifiuti con cassonetti stradali. Tale gara provvisoria era stata bandita in attesa che i servizi di igiene urbana di alcuni Comuni della Piana di Gioia Tauro venissero accorpati e quindi assegnati a seguito di una gara unitaria d’-O- (gestita dalla SUAP di Reggio Calabria). All’esito della gara unitaria d’-O-, nel settembre 2013, il servizio venne appunto aggiudicato alla -O-, unica concorrente, prim’ancora che la stessa stipulasse il contratto di consulenza con l’ing. -O-.
Nel frattempo, alla -O-fu dapprima prorogato il servizio e poi affidato un nuovo appalto provvisorio per altri 4 mesi, finché la -O-medesima subì l’incendio di un automezzo nel marzo 2014, con conseguente esercizio del recesso ad un mese dalla naturale scadenza del contratto.
Alla -O-succedette, non già la -O-., bensì la ditta -O-, che fu destinataria di un affidamento diretto operato dal Sindaco di -O-, poi arrestato proprio con riferimento a tale vicenda.
Nel mentre, il Comune di -O-revocò gli atti della gara di cui era risultata aggiudicataria -O-. e fu, quindi, espletata una nuova procedura per l’affidamento provvisorio del servizio. La gara, cui -O-. non partecipò, fu aggiudicata alla ditta -O-, alla quale è poi succeduta, nella gestione del servizio, la società appellante. Tanto avvenne in conseguenza della sentenza del TAR Reggio Calabria n. -O-, che dispose l’annullamento dell’atto di revoca adottato dall’ente comunale.
Non è, quindi, vero che -O-. è subentrata alla -O-e non è neppure vero che la rinuncia di quest’ultima ha agevolato l’appellante.
Si legge, infatti, nella sentenza del processo -O- del 22/10/16: “ Quell’atto criminale [incendio dell’automezzo della -O-] è risultato finalizzato ad estromettere la citata ditta -O-[che pagava il pizzo ad una sola cosca] dal lucroso appalto in corso, per farla sostituire con la società -O-, che, evidentemente, assecondava gli appetiti di entrambe le cosche operanti a -O-e che ha consentito di appianare i forti contrasti che prima sussistevano tra le due organizzazioni … ”
3.3. Giova, inoltre, osservare che non si può reputare anomala una figura come l’ing. -O- per il fatto che questi non risultasse strutturalmente inserito nella compagine societaria e che, nondimeno, agisse dinanzi agli enti locali per conto della -O-.
Infatti, l’ing. -O- e la -O-. erano legati da un contratto di consulenza avente ad oggetto la “s upervisione unitaria delle problematiche tecnico/amministrative ” delle commesse nonché “ i rapporti con il personale dipendente ” ed il “ controllo di gestione ” dell’appalto.
In proposito, non può certamente dirsi stravagante che un’impresa di grosse dimensioni affidi compiti di supervisione e, per certi aspetti, di gestione a una figura locale che presenti una certa esperienza nel settore.
Peraltro, è significativo che, una volta adombratisi dubbi sulla correttezza dell’ing. -O-, la società appellante abbia immediatamente receduto dal contratto. Né si può sostenere, in assenza di un rigoroso quadro probatorio, che la -O-. già conoscesse le asserite ragioni di controindicazione del professionista e che, quindi, lo scioglimento del vincolo contrattuale debba essere interpretato quale atto di tardiva resipiscenza.
4. Quanto all’assunzione dei dipendenti controindicati, ritiene, anzitutto, il Collegio che debbano essere forniti alcuni chiarimenti sulla rilevanza di tale circostanza come sintomatica del tentativo di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata.
A rilevare non è il dato in sé che un’impresa possa avere alle proprie dipendenze soggetti pregiudicati oppure sospettati di essere contigui ad ambienti mafiosi, quanto piuttosto che la presenza degli stessi possa essere ritenuta indicativa, alla luce di una quadro indiziario complessivo, del potere della criminalità organizzata di incidere sulle politiche assunzionali dell’impresa e, mediante ciò, di inquinarne la gestione a propri fini.
Se si adotta questa prospettiva risulta chiaro perché questa Sezione, in alcuni propri precedenti, abbia annoverato fra gli elementi indiziari del tentativo di infiltrazione mafiosa “ l’assunzione esclusiva o prevalente, da parte di imprese medio-piccole, di personale avente precedenti penali gravi o comunque contiguo ad associazioni criminali ” (sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016, richiamata anche dalla sentenza n. 3299 del 20 luglio 2016).
Non può dunque sussistere alcun automatismo fra presenza di dipendenti controindicati e tentativo di infiltrazione mafiosa.
Del resto, se così non fosse, se ne ricaverebbe che un soggetto pregiudicato non possa mai essere assunto da alcuna impresa, non solo se attiva nel mercato delle commesse pubbliche (e, più in generale, dell’economia pubblica), ma anche se operante nell’economia privata, stanti i più recenti approdi di questo Consiglio in ordine all’-O- di applicazione dell’informativa antimafia (Cons. Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565). Ma così evidentemente non è.
Se ne ricaverebbe, altresì, che il dipendente controindicato possa essere, qualora già assunto, immediatamente e legittimamente licenziato, ma ciò non sembra in linea con i più recenti approdi ermeneutici del giudice del lavoro, che invece sembrano inclinare per una maggior cautela prima di risolvere il rapporto (Corte di Cassazione, Sez. L., 10 gennaio 2018, n. 331).
Giova, inoltre, osservare che il giudizio sulla permeabilità dell’impresa non può prescindere dalla disamina degli strumenti che l’ordinamento mette ordinariamente e concretamente a disposizione degli operatori economici per evitare di assumere soggetti controindicati (essenzialmente, certificato del casellario e dei carichi penali pendenti).
Si vuole cioè dire che la circostanza che un'impresa abbia assunto persone controindicate, nell’assenza di ulteriori elementi, può assumere in sé valore sintomatico della contiguità con gli ambienti della criminalità organizzata a condizione che gli operatori economici - soprattutto nei settori “a rischio” di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 in cui la pervasività del fenomeno mafioso è statisticamente più evidente - siano dotati dal legislatore di adeguati meccanismi preventivi per venire a conoscenza della possibile sussistenza di ragioni di controindicazione a fini antimafia, pur genericamente formulate, vieppiù nell’ipotesi in cui l’imprenditore sia già iscritto alla cd white list di cui al D.P.C.M. 18 aprile 2013 (equipollente all’informativa antimafia liberatoria) e le plurime e contestuali nuove assunzioni conseguano all’adempimento di un obbligo giuridico, come nel caso della cd clausola sociale.
E’ noto che la clausola sociale volta a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato presso il gestore uscente, è imposta, nella formulazione dei bandi di gara, dall’art. 50 del vigente codice dei contratti pubblici “ per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera… ”. Essa deve essere incondizionatamente accettata dal subentrante, pena l’esclusione dalla gara, salva la possibilità di quest’ultimo di armonizzare l’indiscriminato dovere di assorbimento del personale dell’impresa uscente con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro propria del subentrante (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato Sez. III, n. 5 maggio 2017, n.2078).
Dinanzi a questo obbligo giuridico, temperato - all’attuale stato della giurisprudenza – dai soli aspetti organizzativi e oggettivi peculiari del subentrante, non è seriamente esigibile dall’imprenditore un controllo personale, e un giudizio, altrettanto personale, sull’esistenza e influenza delle parentele dell’assumendo, sulle sue frequentazioni, o sulle indagini non ancora giunte ad un rinvio a giudizio (evento a seguito del quale la notizia è evincibile dal certificato dei carichi penali pendenti), e soprattutto, non è esigibile che esso imprenditore si sottragga agli obblighi assunzionali per ragioni soggettive (e non oggettive) in assenza di previsioni di legge che vietino l’instaurazione o la prosecuzione del rapporto, o comunque di informazioni qualificate, in quanto provenienti dalla Prefettura o dagli organi di Polizia, che rendano verosimile la sussistenza del rischio che l’assumendo possa essere un “cavallo di Troia” delle associazioni mafiose o anche semplicemente un soggetto “controindicato” ai fini antimafia, avuto riguardo al tipo di attività e al luogo di svolgimento della stessa.
Nel caso di specie, in assenza di meccanismi informativi predisposti dall’ordinamento, deve ritenersi secondo la logica del più probabile che non, e salvo quanto appresso si dirà in ordine alle singole posizioni lavorative, che è ben più probabile che l’assunzione di soggetti controindicati tra quelli già in servizio presso l’uscente, sia avvenuto in un quadro di inconsapevolezza delle ragioni di controindicazioni (diverse da quelle evincibili dalla certificazione penale). Né, del resto l’amministrazione ha fornito una prova contraria, ossia che le assunzioni siano avvenute per compiacenza o sottomissione agli ambienti malavitosi.
4.1. Chiarito quanto sopra, giova comunque precisare, come sottolineato nel ricorso in appello e non confutato dall’amministrazione, che ben 18 dei 33 dipendenti controindicati erano stati assunti in esecuzione di apposite clausole sociali. Sulla base delle indagini che la società aveva potuto condurre (acquisizione dei certificati penali), trattavasi di persone incensurate, ad eccezione del -O-, che aveva riportato condanne penali per porto d’armi in epoca piuttosto risalente.
Altri 6 operai erano stati assunti con contratto di tirocinio nell’-O- di uno specifico programma dei servizi sociali comunali di reinserimento di ex detenuti, ciò che evidentemente non poteva e non può essere ritenuto sintomatico di alcun tentativo di infiltrazione mafiosa.
Quanto ai restanti 9 dipendenti, liberamente assunti dalla -O-:
- gli operai calabresi -O-, -O- e -O-erano stati assunti per brevissimi periodi (1 o 2 mesi nel 2015 per garantire le sostituzioni di altri operai assenti per ferie/malattie) ed erano tutti completamente incensurati;
- i 6 operai di -O- non avevano condanne definitive, risultando coinvolti in vicende penali per reati di spaccio e, quanto a uno, per tentato omicidio, per un episodio intervenuto 2 anni dopo rispetto all’assunzione.
Peraltro, è appena il caso di notare che, in relazione a diversi dipendenti, le ragioni di controindicazione rappresentate dall’UTG appaiono del tutto inconferenti. E’ questo il caso dei soggetti controindicati perché testimoni oculari degli attentati incendiari a danno della -O-e vittime di minacce (-O-, -O-, -O-) oppure di quelli aventi parentele con soggetti pregiudicati o comunque inseriti in ambienti malavitosi (es., -O-, -O-, -O-, -O--O-, -O- -O-), in assenza di elementi, anche indiziari, ulteriori e non coincidenti con il mero rapporto di parentela o affinità, circa la contiguità con associazioni mafiose.
Va inoltre considerato che la Prefettura avrebbe dovuto confrontare le proprie rilevazioni in merito alle assunzioni, con altre circostanze, al fine di verificare se l’impianto posto alla base dell’informativa potesse, comunque, rimanere solido. Sul punto, è ad esempio significativo che non siano emerse notizie di coinvolgimento alcuno da parte dei vertici aziendali con esponenti della criminalità organizzata.
Alla luce degli elementi sin qui riportati non risulta comprovato, secondo il richiamato criterio del più probabile che non , né che le assunzioni siano avvenute per effetto di tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata né che per mezzo di quei dipendenti si sia verificato un siffatto tentativo.
5. L’accoglimento di tali motivi, siccome comportante l’invalidità derivata degli altri atti impugnati in primo grado, rende inutile, nell’ottica della massima soddis-O-ne dell’interesse dell'appellante, l’esame delle ulteriori censure, che restano quindi assorbite.
6. In conclusione, l’appello dev’essere accolto e, per l’effetto, devono essere annullati tutti gli atti impugnati in primo grado.
7. Avuto riguardo alla complessità delle questioni, in fatto e in diritto, appare equo compensare le spese di entrambi i g-O- di giudizio.