Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-07-29, n. 202004827

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-07-29, n. 202004827
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004827
Data del deposito : 29 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/07/2020

N. 04827/2020REG.PROV.COLL.

N. 03027/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3027 del 2017, proposto da
Autorita' per Le Garanzie Nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Bt Italia S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R C, F C, S F, con domicilio eletto presso lo studio R C in Roma, via Ludovisi n. 35;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 00918/2017, resa tra le parti,


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Bt Italia S.P.A;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 9 luglio 2020 il Cons. Davide Ponte;

Dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del Dl. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame l’Autorità odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 918 del 2017 con cui il Tar Lazio aveva accolto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto avverso le deliberazioni del Consiglio dell’Agcom n. 690\15\CONS e n. 647\15\CONS, recanti le diffide a versare alla stessa Agcom i contributi dovuti dagli operatori, rispettivamente, per gli anni 2014 e 2015, la cui misura era stata decisa dall’Autorità nelle deliberazioni n. 547\13\CONS e 71\14|CONS (entrambe per l’anno 2014, che hanno fissato la misura della contribuzione dell’uno virgola quattro per mille dei ricavi totali degli operatori – voce A1 del Conto economico di bilancio) e n. 567\14\Cons e n. 87\15\CONS (entrambe per l’anno 2015, che hanno fissato il detto importo nell’uno virgola cinque dei ricavi di cui alla voce A1 del Conto economico di bilancio).

In particolare, in ragione delle modalità di calcolo previste dall’Autorità negli atti presupposti, le due deliberazioni gravate con il ricorso originario esponevano una differenza da versare pari a 372.657,68 comprensiva di interessi per l’anno 2014 e pari ad euro 368.909,58 comprensiva di interessi per l’anno 2015;
tali deliberazioni hanno quindi fissato i contributi annuale per il 2015 nella misura dell’uno virgola quindici per mille dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato prima dell’adozione delle stesse, ossia della voce A1 del Conto economico

All’esito del giudizio di prime cure il Tar accoglieva il ricorso in relazione al profilo di doglianza svolto in via principale, per il quale sarebbe errata la base imponibile dalla quale l’Agcom procede al calcolo delle somme dovute a titolo di contributo da parte degli operatori telefonici, nella quale ricomprende anche i ricavi conseguiti da questi ultimi che non sono connessi alle attività soggette ai compiti di regolamentazione ex ante dell’Autorità.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda parte appellante contestava le argomentazioni della sentenza impugnata e formulava i seguenti motivi di appello:

- erronea interpretazione dell’art. 12, par. 1, della direttiva 2002/20/CE e della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, violazione della legge nazionale sul finanziamento dell’Autorità, in specie dell’art. 1, commi 65 e 66 della legge n. 266 del 2005, in quanto le attività inerenti alla sua gestione, controllo e applicazione, altro non sono che tutte le attività che l’autorità è chiamata a svolgere in base allo stesso quadro europeo, cioè di tutte le attività di regolazione, vigilanza, sanzionatorie e di risoluzione di controversie che sono necessarie per il funzionamento complessivo (gestione, controllo e applicazione) del regime di autorizzazione generale;

- erronea interpretazione del comma 2-bis dell’articolo 34 del d.lgs. n. 259/2003, introdotto dall’art. 5 della legge 29 luglio 2015, n. 115, sulla portata di norma di interpretazione autentica e violazione dell’art. 12 della direttiva 2002/20/CE, omesso esame e erronea valutazione delle allegazioni di parte resistente.

La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Successivamente, parte appellante chiedeva il rinvio della discussione in quanto, in analoghe controversie (contraddistinte dai seguenti numeri di ruolo: 3448, 3535, 3885, 3985 e 4502/2017), con ordinanza n. 3109 del 2019 questa sezione ha rinviato ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la soluzione delle medesime pregiudiziali questioni interpretative. La questione era pendente avanti alla Corte di Giustizia UE nella Causa C399/19-1.

All’esito del deposito dell’ordinanza 29 aprile 2020 della Cge, alla pubblica udienza del 9 luglio 2020, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnativa degli atti adottati dall’Autorità appellante al fine della determinazione dei contributi dovuti dagli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche per il funzionamento della stessa Autorità e l’interpretazione della relativa disciplina.

2. Preliminarmente, va rilevato come, in analoghe controversie, questa sezione abbia rinviato la relativa questione interpretativa alla Corte di giustizia.

Occorre pertanto, a fini di decisione anche della presente controversia, premettere un breve riassunto delle questioni sollevate nonché degli esiti del relativo giudizio dinanzi alla Corte europea.

3. Con l’ordinanza richiamata (n. 3109 del 2019) la sezione ha evidenziato che le controversie interessate vertevano su questioni interpretative sulla compatibilità della normativa nazionale disciplinante le modalità di calcolo per la individuazione del contributo dovuto annualmente all’Agcom dagli operatori del settore delle comunicazioni elettroniche con le disposizioni e i principi del diritto europeo. Nel dettaglio, anche in quel caso il giudizio di appello era derivato dall’accoglimento in primo grado dei ricorsi proposti da operatori di mercato che avevano impugnato i provvedimenti dell’Agcom con i quali era stata fissata la disciplina per il calcolo del contributo dovuto dagli stessi operatori per gli anni 2014, 2015 e 2016, nonché i susseguenti atti di richiesta del contributo annuale.

3.1 In particolare, il collegio ha sottoposto alla Corte di giustizia UE un quesito legato alla compatibilità con il diritto europeo del diritto nazionale nella parte in cui pone a carico degli operatori economici del settore tutti i costi sostenuti dalla stessa autorità (costi amministrativi per l’organizzazione e lo svolgimento di tutte le funzioni, comprese quelle di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie) e non solo quelli connessi ad attività di regolazione ex ante. Ha quindi formulato un secondo quesito con il quale ha sottoposto alla Corte la questione se il rendiconto annuo dei costi amministrativi dell’Autorità possa essere pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale nel quale sono stati riscossi i diritti amministrativi, secondo le leggi nazionali di contabilità pubblica, e se sia poi possibile apportare le rettifiche anche con riferimento ad esercizi finanziari non immediatamente contigui.

In tale ordinanza il Collegio, dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, ha svolto i seguenti passaggi argomentativi.

3.2 Le disposizioni interne (art. 1, commi 65 e 66, della c.d. legge finanziaria 2006, l. 23 dicembre 2005, n. 266) prevedono che le spese di funzionamento dell’Agcom vengono finanziate dal mercato di competenza. Tale mercato: deve essere determinato tenendo conto delle competenze e delle funzioni amministrative attribuite all’Agcom quale Autorità di regolazione nei mercati delle comunicazioni elettroniche, dei servizi media, dell’editoria e dei servizi postali;
è disciplinato al fine di individuare i soggetti che effettivamente sono onerati della partecipazione al finanziamento di Agcom ed è formato dalle società che operano in ciascuno dei suindicati mercati di settore.

Di conseguenza sono stati sollevati i seguenti dubbi di compatibilità della disciplina nazionale.

3.2.1 In primo luogo, con riferimento all’art. 1, commi 65 e 66, l. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) e quindi con riguardo al comma 2-bis dell’art. 34 d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), introdotto dall’art. 5, l. 29 luglio 2005, n. 115, nella parte in cui stabilisce che il finanziamento realizzato attraverso il contributo imposto agli operatori del settore sia destinato alla “copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorità”, rispetto a quanto previsto dall’art. 12 della direttiva 2002/20/CE, specificandosi che dette funzioni non si limitano alla c.d. attività di regolamentazione ex ante.

3.2.2 In secondo luogo, con riguardo alla previsione recata nel comma 2-ter dell’art. 34 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, nella parte in cui stabilisce che: “Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e l'Autorità pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attività di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche”. La compatibilità è riferita all’art. 12, par. 2, della direttiva autorizzazioni nella parte in cui stabilisce che “Le autorità nazionali di regolamentazione che impongono il pagamento di diritti amministrativi sono tenute a pubblicare un rendiconto annuo dei propri costi amministrativi e dell'importo complessivo dei diritti riscossi. Alla luce delle differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche”.

3.3 In dettaglio, va ricordato che con la procedura di infrazione n. 2013/4020, la Commissione europea ha ritenuto che gli artt. 6 e 12 della direttiva 2002/20/CE (cd. direttiva autorizzazioni) non fossero stati recepiti dalla normativa italiana.

L’art. 12 regola la quantificazione dei diritti amministrativi, il cui pagamento viene richiesto dai singoli Stati Ue alle imprese autorizzate a collocare sul mercato reti o servizi di comunicazione elettronica e i diritti amministrativi devono essere quantificati in modo da coprire solo i costi amministrativi sostenuti dall’amministrazione per gestire il regime delle medesime autorizzazioni o concessioni, nonché essere proporzionati, obiettivi e trasparenti. L’art. 12, par. 2, impone quindi alle Autorità nazionali di regolamentazione, che nei singoli Stati applicano alle imprese i diritti amministrativi, di pubblicare un rendiconto annuo sia degli stessi costi amministrativi sostenuti, sia dei diritti amministrativi riscossi. In tale contesto la Commissione ha ritenuto che il d.lgs. n. 259 del 2003, che ha recepito in Italia la direttiva 2002/20/Ce, non abbia correttamente trasposto tali prescrizioni. Infatti, le Autorità cui, in Italia, sono state attribuite le funzioni di Autorità di regolazione non si presentavano provviste di un’adeguata rendicontazione.

La Commissione aveva ancora ritenuto che il combinato disposto dell’art. 34, comma 2, e dell’Allegato 10 del d.lgs. n. 259 del 2003, con riferimento alla quantificazione dei diritti amministrativi, non soddisfacesse le esigenze di proporzionalità, trasparenza e non discriminazione derivanti dalle indicazioni contenute nella direttiva. Infatti, i diritti amministrativi erano modulati in esclusivo rapporto alla consistenza numera dei potenziali destinatari dell’offerta dell’impresa e non in relazione a circostanze concrete e specifiche come il numero dei clienti effettivi, il fatturato e le dimensioni dell’impresa.

3.4 Al fine di ovviare all’apertura della procedura di infrazione, il legislatore nazionale è intervenuto nel 2015, con il comma 1, lett. a), n. 1, dell’art. 5, l. n. 115 del 2015, che ha inserito nell’art. 34 del d.lgs. n. 259 del 2003, il comma 2-bis, in base al quale “Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie attribuite dalla legge all'Autorità nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 è determinata ai sensi dell'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso”.

Con il successivo comma 1, lett. a), n. 2), dell’art. 5, l. n. 115 del 2015, è stato inserito nell’art. 34 del Codice delle comunicazioni elettroniche il comma 2-ter in base al quale “Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e l'Autorità pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attività di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche”.

3.5 È peraltro rimasto inalterato il dubbio circa la compatibilità delle norme nazionali vigenti antecedentemente alla novella del 2015 con l’ordinamento europeo di settore e segnatamente con l’art. 12 della direttiva autorizzazioni. Infatti nei confronti dell’Italia è stata avviata una procedura esplorativa Eu Pilot 7563/15/CNCT per la verifica della corretta applicazione degli artt. 12 della direttiva 2002/20/CE (c.d. direttiva autorizzazioni) e 3 della direttiva 2002/21/CE (c.d. direttiva quadro).

In particolare, la Commissione aveva già evidenziato che per “attività di regolazione ex ante”, espressione utilizzata all’art. 12 della direttiva autorizzazioni, dovesse intendersi una parte delle funzioni attribuite alle autorità nazionali di regolamentazione dalla direttiva quadro e dalle c.d. direttive specifiche. I costi di tale attività possono essere finanziati con i diritti amministrativi di cui all’art. 12 della direttiva autorizzazioni;
tale ultima disposizione, tuttavia, ammette che anche altri costi delle autorità di regolamentazione nazionale, diversi da quelli connessi all’attività di regolamentazione ex ante, siano finanziabili attraverso i predetti diritti amministrativi. La giurisprudenza europea aveva ritenuto che l’art. 12 della direttiva autorizzazioni andasse interpretato nel senso che esso non ostasse alla disciplina di uno Stato membro, ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall’autorità nazionale di regolamentazione e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che: tale diritto sia esclusivamente destinato alla copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione;
che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività;
che lo stesso diritto sia imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Viene ancora precisato che in base all’art. 12 possono essere posti a carico degli operatori i costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione;
tali diritti non possono coinvolgere altre categorie di spese.

3.6 Sulla scorta di tale quadro regolatorio, con riferimento alla fattispecie in esame con l’ordinanza predetta (n. 3109 del 2019) venivano formulati due quesiti interpretativi alla Cge: : 1) “Se l’articolo 12 della direttiva 2002/20/CE, paragrafo 1, lett. a), osta ad una norma nazionale che pone a carico dei soggetti autorizzati ai sensi della direttiva stessa i costi amministrativi complessivamente sostenuti dalla Autorità nazionale di regolamentazione per l’organizzazione e lo svolgimento di tutte le funzioni, comprese quelle di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie, attribuite all’Autorità nazionale di regolamentazione dal quadro europeo delle comunicazioni elettroniche (di cui alle direttive 2002/19/CE,2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE);
ovvero se le attività indicate nell’art. 12 paragrafo 1, lett. a), della direttiva 2002/20/CE si esauriscono nella attività di “regolazione ex ante” svolta dall’Autorità nazionale di regolamentazione”;
2) “Se l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2002/20/CE si interpreta nel senso che il rendiconto annuo dei costi amministrativi dell’Autorità nazionale di regolazione e dei diritti riscossi: a) può essere pubblicato successivamente alla chiusura dell’esercizio finanziario annuale, secondo le leggi nazionali di contabilità pubblica, nel quale sono stati riscossi i diritti amministrativi;
b) consente all’ANR di apportare le “opportune rettifiche” anche con riferimento ad esercizi finanziari non immediatamente contigui.


4. All’esito del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice europeo, la Corte di giustizia ha adottato l’ordinanza datata 29 aprile 2020.

Dopo aver ricostruito il quadro normativo, europeo e nazionale, e le controversie interessate, il collegio europeo ha adottato una ordinanza sulla scorta dell’articolo 99 del suo regolamento di procedura, secondo cui la Corte, in particolare quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o quando la risposta a tale questione non dà adito a nessun ragionevole dubbio, può, su proposta del giudice relatore, sentito l'avvocato generale, statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

Occorre quindi procedere all’esame delle argomentazioni svolte dalla Corte eruopea in relazione alle procedure connesse.

5.1 Sulla prima questione, secondo la Corte, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni debba essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di detta disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono i costi amministrativi complessivamente sostenuti dall’Autorità per lo svolgimento di tutte le sue attività, comprese le funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie, o solo quelli causati dall'attività di «regolazione ex ante.

A tal proposito, la Cge richiama il precedente (18 luglio 2013) in cui, dinanzi alla contestazione dell’importo del diritto imposto in forza della medesima normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, per il motivo che detto diritto copriva voci non direttamente collegate alle spese sostenute dall'ANR ai fini della regolazione ex ante del mercato, la Corte, ha dichiarato che l’articolo 12 della direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla disciplina di uno Stato membro ai sensi della quale le imprese che prestano servizi o reti di comunicazione elettronica sono tenute a versare un diritto destinato a coprire i costi complessivamente sostenuti dall'ANR e non finanziati dallo Stato, il cui importo è determinato in funzione dei ricavi realizzati da tali imprese, a condizione che siffatto diritto sia esclusivamente destinato alla copertura di costi relativi alle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale disposizione, che la totalità dei ricavi ottenuti a titolo di detto diritto non superi i costi complessivi relativi a tali attività e che lo stesso diritto sia imposto alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente.

In particolare, al punto 38 di detta sentenza, la Corte ha rilevato che risulta dai termini dell'articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni che gli Stati membri possono imporre alle imprese che prestano servizi o reti ai sensi dell'autorizzazione generale o che hanno ricevuto una concessione dei diritti d'uso di radiofrequenze o di numeri soltanto diritti amministrativi che coprono complessivamente i costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l'applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso e degli obblighi specifici di cui all'articolo 6, paragrafo 2, di tale direttiva, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione.

Inoltre, ai punti 39 e 40 della sentenza del 18 luglio 2013, Vodafone Omnitel e a. (da C-228/12 a C-232/12 e da C-254/12 a C-258/12, EU:C:2013:495), la Corte ha ricordato che siffatti diritti possono coprire soltanto i costi che si riferiscono alle attività ricordate al punto precedente della presente ordinanza, i quali non possono comprendere altre voci di spesa e che, di conseguenza, i diritti imposti in forza dell'articolo 12 della direttiva autorizzazioni non sono volti a coprire i costi amministrativi di qualsivoglia tipo sostenuti dall'ANR. Essa ha precisato, al punto 41 di detta sentenza, che risulta dall'articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva, letto alla luce del considerando 30 della medesima, che i diritti in parola devono coprire i costi amministrativi veri e propri risultanti da tali attività e che vi debba essere equilibrio con tali costi. Il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri non può quindi eccedere il totale dei costi relativi a dette attività.

Tale orientamento è stato ribadito dalla Corte nelle sentenze del 28 luglio 2016, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (C-240/15, EU:C:2016:608, punti 45 e 46), nonché del 30 gennaio 2018, X e Visser (C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 64).

In particolare, al punto 22 della sentenza del 27 giugno 2013, Vodafone Malta e Mobisle Communications (C-71/12, EU:C:2013:431), la Corte ha parimenti osservato che i diritti amministrativi di cui all'articolo 12 della direttiva autorizzazioni hanno carattere remunerativo, poiché, da un lato, possono essere imposti solo per i servizi amministrativi svolti dalle ANR a favore degli operatori di comunicazioni elettroniche, segnatamente a titolo dell'autorizzazione generale o della concessione di un diritto d'uso delle frequenze radio o dei numeri e, dall'altro, devono coprire i costi amministrativi sostenuti per tali servizi.

5.2 Pertanto, tanto dalla formulazione dell'articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni quanto dall'interpretazione che ne è stata fatta nelle sentenze richiamate, risulta che i costi dell'ANR che possono essere coperti da un diritto in forza di tale disposizione sono non l’insieme delle spese di funzionamento dell'ANR, ma i costi amministrativi complessivi relativi alle tre categorie di attività di cui a detta disposizione, vale a dire:

i) in primo luogo, le attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale ai sensi dell'articolo 3 della direttiva autorizzazioni, il quale comprende le condizioni che possono corredare l'autorizzazione generale elencate all'allegato, parte A, di tale direttiva;

ii) in secondo luogo, le attività di gestione, controllo e applicazione dei diritti d’uso di radiofrequenze e di numeri di cui all'articolo 5 della direttiva autorizzazioni e delle condizioni che possono corredare tali diritti, elencate all'allegato, parti B e C, di tale direttiva, e

iii) in terzo luogo, le attività di gestione, controllo e applicazione degli obblighi specifici di cui all'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, che comprendono gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori di reti e di servizi di comunicazione elettronica ai sensi dell'articolo 5, paragrafi 1 e 2, e degli articoli 6 e 8 della direttiva accesso o in forza dell'articolo 17 della direttiva servizio universale, nonché gli obblighi che possono essere imposti ai fornitori designati per la fornitura di un servizio universale conformemente a quest'ultima direttiva.

Inoltre, possono essere inclusi nei costi amministrativi complessivi relativi a tali tre categorie di attività, i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione.

5.3 Per quanto riguarda le funzioni dell’Autorità di settore relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie, menzionate nell’ordinanza di rinvio, la Corte rileva che queste derivano dalle attività di gestione, controllo e applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d'uso o degli obblighi specifici, di modo tale che i costi sostenuti per le medesime possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all'articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni.

Inoltre, per quanto riguarda l'attività di «regolazione ex ante», la Corte ha osservato che tale espressione che non è presente nella direttiva autorizzazioni, né nelle direttive quadro, accesso o servizio universale. Invece, la regolazione ex ante del mercato, di cui è responsabile l’Autorità come è indicato all'articolo 3, paragrafo 3 bis, della direttiva quadro, consiste nell'imporre ai fornitori di reti o di servizi di comunicazione elettronica obblighi come quelli previsti all'articolo 5, paragrafi 1 e 2, o all'articolo 6 della direttiva accesso e quelli imposti, conformemente all'articolo 8 di tale direttiva o all'articolo 17 della direttiva servizio universale, alle imprese designate come dotate di significativo potere di mercato a seguito della procedura per l'analisi di mercato di cui all'articolo 16 della direttiva quadro.

5.4 Pertanto, secondo la Corte è giocoforza constatare che la regolazione ex ante del mercato fa parte integrante della terza categoria di attività dell'ANR (menzionata al punto 39 della stessa ordinanza) nonché di taluni compiti (menzionati al punto 40 della medesima).

Di conseguenza, secondo la Cge, i costi che possono essere coperti dai diritti amministrativi imposti conformemente all'articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni non possono limitarsi a quelli sostenuti per l'attività di regolazione ex ante del mercato.

5.5 In conclusione, relativamente al primo quesito la Cge ha risposto dichiarando che l'articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che i costi che possono essere coperti da un diritto imposto in forza di tale disposizione alle imprese che forniscono un servizio o una rete di comunicazione elettronica sono unicamente quelli relativi alle tre categorie di attività dell'ANR menzionate in tale disposizione, comprese le funzioni relative alla regolazione, alla vigilanza, alla composizione delle controversie e sanzionatorie, senza limitarsi ai costi sostenuti per l'attività di regolazione ex ante del mercato.

6.1 Sulla seconda questione, con cui si chiedeva, in sostanza, se l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuo previsto in tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell'esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall'altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi, il ragionamento della Cge ha preso le mosse dalla stessa norma letta alla luce del considerando 30 della medesima direttiva, per cui i diritti amministrativi che possono essere imposti conformemente all'articolo 12 di tale direttiva devono coprire i costi amministrativi veri e propri risultanti dalle attività menzionate al paragrafo 1, lettera a), di tale articolo e che vi deve essere equilibrio con tali costi. Il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati membri non può quindi eccedere il totale dei costi relativi a tali attività.

Il rendiconto annuale previsto all'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni mira, come risulta dal richiamato considerando 30, a garantire la trasparenza della contabilità gestita dall’Autorità, consentendo così alle imprese interessate di verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti.

6.2 Al riguardo, nel richiamare le precedenti statuizioni (punto 41 della sentenza del 18 luglio 2013), la Cge ha ricordato che la direttiva autorizzazioni non prevede né il modo in cui determinare l'importo dei diritti amministrativi che possono essere imposti ai sensi dell'articolo 12 di tale direttiva, né le modalità di prelievo di tali diritti. Ne deriva che spetta agli Stati membri determinare le modalità della pubblicazione del rendiconto annuale e dell'attuazione delle opportune rettifiche imposte dall'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni, garantendo al contempo la trasparenza in maniera tale che le imprese interessate possano verificare se vi sia equilibrio tra i costi amministrativi e i diritti.

In tale ottica, né la pubblicazione del rendiconto annuale successivamente alla chiusura dell'esercizio finanziario annuale durante il quale i diritti amministrativi sono stati riscossi, né l'applicazione delle opportune rettifiche durante un esercizio finanziario che non sia immediatamente successivo a quello durante il quale tali diritti sono stati riscossi sembrano, di per sé, impedire il soddisfacimento di tale requisito.

6.3 Quindi la risposta al secondo quesito è la seguente: l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva autorizzazioni deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale, da un lato, il rendiconto annuale previsto da tale disposizione è pubblicato successivamente alla chiusura dell'esercizio finanziario annuale nel quale i diritti amministrativi sono stati riscossi e, dall'altro, le opportune rettifiche sono effettuate nel corso di un esercizio finanziario non immediatamente successivo a quello nel quale tali diritti sono stati riscossi.

7. La soluzione della presente controversia non può che derivare da una conseguente e conforme applicazione delle risposte rese dalla Cge, in esito alla quale l’appello è fondato in parte qua.

Infatti, se in linea generale la risposta al quesito 1 ha confermato l’estensione delle voci rilevanti, al di là di quelle concernenti la regolazione ex ante del mercato, la quale fa parte di una delle tre voci generali richiamate, in dettaglio la risposta al quesito 2 ha confermato la compatibilità alla disciplina europea di una rilevante parte delle specifiche regole oggetto di applicazione e contestazione, con esclusione di alcuni ricavi dalla base di calcolo.

8. Con riferimento al caso di specie, la Corte ha confermato l’impostazione di fondo seguita dall’Autorità, per cui, pur nel limitare a tre voci generali di costo la possibile previsione, le stesse hanno ad oggetto una estensione tale da comprendere quanto posto a base delle delibere impugnate in termini di costi dell’organismo.

L’estensione delle tre voci è tale da comprendere altresì l’ulteriore attività strumentale, individuata i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali le decisioni in materia di accesso e interconnessione.

9. Orbene, l’estensione è tale da andare ben oltre la rigorosa limitazione così come statuita dalla pronuncia di prime cure.

9.1 A fronte di tale quadro normativo ed ermeneutico europeo non può farsi applicazione della norma e dell’orientamento previgente, richiamata dal Tar che ha reputato non rilevante e inapplicabile al caso de quo la successiva disposizione (introdotta nel 2015, nell’ambito delle annuali leggi di adempimento agli obblighi comunitari, a fini di risposta all’avviata nuova procedura di contestazione europea).

Conseguentemente, sulla scorta delle indicazioni della Cge e del necessario adeguamento al contesto normativo europeo, deve farsi applicazione della disciplina introdotta nel 2015, cui attribuire la natura interpretativa, necessaria a fini di immediato adeguamento alle indicazioni sovranazionali avente carattere preminente.

9.2 Inoltre, anche la seconda argomentazione posta a base della sentenza appellata, circa la limitazione delle voci da includere nel contributo secondo la giurisprudenza europea, non è fondata alla luce del contesto emerso dal rinvio pregiudiziale;
in proposito, le precisazioni fornite dalla stessa Corte di giustizia nell’ordinanza sopra esaminata confermano un’estensione delle stesse tale da comprendere anche le attività strumentali predette nonché l’inammissibilità di una limitazione alle spese di regolazione ex ante.

10. Alla infondatezza degli argomenti posti a base della sentenza impugnata consegue altresì quella delle ulteriori argomentazioni svolte da parte appellata, originaria ricorrente.

10.1 In proposito, scendendo nel dettaglio esemplificativo delle spese contestate, si invocano i costi amministrativi di strutture come la Direzione Infrastrutture e Servizi Media, il Servizio ispettivo registro e CoReCom, la Direzione Tutela dei Consumatori, che sarebbero estranee alle voci strettamente intese.

10.2 Peraltro, sul punto la Direzione Servizi Media è stata fatta rientrare nel settore delle comunicazioni elettroniche in quanto competente, da organigramma dell’Autorità, alla materia dei cc.dd. “diritti d’uso”, quindi delle frequenze;
materia riferibile alla seconda delle voci di cui all’art. 12 nella ricostruzione sopra ribadita.

10.3 Analogamente, il servizio Ispettivo, ancora, è stato considerato nel Rendiconto in quanto opera al fine di effettuare le verifiche presso gli operatori, rientrando nell’ambito della terza delle voci predette.

10.4 Del pari la Direzione tutela dei consumatori, nei termini compiutamente evidenziati dalla difesa erariale, svolge una serie di attività riferibili direttamente alle voci predette, in specie relativamente alle individuate attività strumentali, quali preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, comprese quelle in materia di accesso e interconnessione. In proposito, va evidenziato il carattere fondamentale dell’attività finalizzata alla tutela dei consumatori, nell’ambito di un’Autorità di regolazione;
da ciò ne consegue la necessità di perseguire un interpretazione della disciplina in termini tali da evitare l’illogicità che deriverebbe dall’escluderne la relativa estensione in materia di contribuzione.

11. A diverse conclusioni deve giungersi rispetto alle ulteriori voci di ricavi, oggetto di inserimento nelle delibere impugnate a fini di determinazione della base imponibile e di contestazione da parte appellata.

In particolare, trattasi dell’inclusione dei ricavi derivanti da servizi professionali di consulenza o vendita di apparecchiature hardware (utilizzate dal cliente, tipicamente una grande azienda, per la realizzazione di reti private, infrastrutture IT, spesso accompagnate dalla vendita di licenze software), dalla fornitura di servizi di data security e di hosting/housing presso i data centre di BT, vale a dire la fornitura di spazio fisico per ospitare server, servizi di full outsourcing dei sistemi informativi/applicazioni del cliente presso il data centre, gestione dei firewall, servizi di secure Remote Acess.

11.1 Per tali elementi, oggetto di specifica contestazione, se da un lato non emerge alcuna immediata riferibilità alle tre voci individuate sulla scorta della giurisprudenza europea, dall’altro lato le stesse delibere appaiono viziate in termini di difetto di motivazione dei peculiari elementi sulla base dei quali inserire i relativi ricavi nelle predette voci di calcolo. Né in proposito elementi adeguati sono stati forniti dalle difese erariale. Cosicchè per tale limitata parte la sentenza di prime cure ed i relativi effetti devono essere oggetto di conferma.

11.2 Analoghe considerazioni vanno estese relativamente alla contestata inclusione nella base imponibile dei ricavi riversati ad operatori terzi. Questi ultimi sono quelli derivanti dalla prestazione di servizi di telecomunicazioni, non trattenuti dall’operatore (in questo caso BT) ma in parte riversati in favore di operatori concorrenti a pagamento dei servizi di interconnessione, raccolta e terminazione prestati.

In proposito, alla logicità delle deduzioni di parte originaria ricorrente, si accompagna il difetto di motivazione rispetto al conseguente rischio di duplice contribuzione: sia da parte dell’operatore che presta il servizio all’utente finale e al contempo paga il servizio di interconnessione/raccolta/terminazione (nel caso di specie l’appellata BT), sia da parte del terzo operatore cui le quote sono riversate a titolo di corrispettivo e per il quale rappresentano un ricavo parimenti sottoponibile a contributo.

Né in proposito è sufficiente il richiamo alla genericità della voce ricavi di cui alla norma invocata, secondo la quale “la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 è determinata ai sensi dell'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso”.

Infatti, nessun elemento specifico viene indicato in merito al nesso esistente fra i ricavi predetti e le attività oggetto di autorizzazione e concessione dell’Autorità;
né viene indicato in quale delle voci predette, così come chiarite dalla giurisprudenza europea, tali connesse attività rientrerebbero.

12. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto in parte qua e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di prime cure limitatamente all’inclusione delle voci di ricavi sopra individuate.

Sussistono giusti motivi, a fronte della peculiarità della questione, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

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