Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-11-02, n. 202309439

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-11-02, n. 202309439
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309439
Data del deposito : 2 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/11/2023

N. 09439/2023REG.PROV.COLL.

N. 03465/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3465 del 2023, proposto da Consorzio Speciale per la Bonifica di Arneo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato E S, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

contro

M C C, M R C, rappresentate e difese dall'avvocato G P, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento n. 11;
Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. 00267/2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di M C C e di M R C e di Agenzia del Demanio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati,come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso dinanzi al Tar Puglia, M C C e M R C, comproprietarie di un fondo agricolo sito nel Comune di Nardò e censito nel Catasto comunale al Foglio 91 p.lle 6, 7, 8, 9 e 329 e al Foglio 111 p.lla 26, impugnavano, domandandone l’annullamento, il decreto del 20 settembre 2016 n. 164 del Subcommissario del Consorzio di Bonifica dell’Arneo, che aveva disposto l’espropriazione definitiva di un’area di mq. 12.884 ricompresa nel predetto fondo agricolo, nonché la presupposta deliberazione commissariale dello stesso Consorzio, dell’11 febbraio 2015 n. 21, di proroga in via sanante della dichiarazione di pubblica utilità (scaduta il 21 settembre 2014) sino al 21 settembre 2016 degli “interventi per la mitigazione del rischio idraulico all’abitato di Nardò (LE) I lotto funzionale”.

2. In particolare, era accaduto che il Consorzio di Bonifica dell’Arneo aveva disposto, con decreto del 16 aprile 2010 n. 1, l’occupazione d’urgenza del riferito fondo agricolo per una superficie pari a 12.884 mq (limitatamente alla porzione censita in Catasto al Foglio 91 p.lle 6, 7, 8, 9 e 329), funzionale alla esecuzione degli “interventi per la mitigazione del rischio idraulico all’abitato di Nardò (LE) I lotto funzionale” approvati, ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, con delibera commissariale del Consorzio del 6 febbraio 2009 n. 21. Eseguita l’occupazione d’urgenza, i lavori avevano avuto inizio ed erano stati sostanzialmente ultimati con la esecuzione di un canale fiancheggiato da scarpate in pietrame, che ha comportato l’irreversibile trasformazione dell’area, senza che entro il termine finale di efficacia della disposta occupazione di urgenza (il 21 settembre 2014, coincidente con quello finale della dichiarazione di pubblica utilità) fosse stata disposta l’espropriazione delle aree irreversibilmente trasformate.

3. Con separato ricorso n. 2245/2015 R.G., le predette germane avevano adito il T.a.r. per la Puglia, dichiarando di voler abdicare al proprio diritto dominicale sul suddetto fondo agricolo irreversibilmente trasformato e, quindi, chiedendo che il Consorzio di Bonifica dell’Arneo fosse condannato “al risarcimento del danno per effetto della occupazione divenuta illecita di parte del predetto fondo di loro proprietà e della sua irreversibile trasformazione in misura pari al valore venale delle aree occupate e irreversibilmente trasformate dalla PA (rinuncia abdicativa) e del soprassuolo, per la demolizione di fabbricato rurale di mq. 76,39 (completo di finiture con struttura portante in muratura e copertura a volta), nonché per la diminuzione di valore subita dalla parte restante del fondo agricolo non interessata dalla trasformazione, di cui l’esecuzione dell'opera di bonifica ha reso più onerosa una razionale coltivazione, e per il mancato godimento delle superfici occupate dalla scadenza della occupazione legittima alla liquidazione giudiziaria e l’indennità per il periodo di occupazione legittima sino al momento di perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, da determinare nella misura di 1/12 per anno sul valore venale delle aree ablate, oltre rivalutazione monetaria (tranne che per la voce relativa all’indennità per il periodo di occupazione legittima), secondo gli indici ISTAT, da computarsi dalla data dell'inizio dei lavori fino al deposito della sentenza ed interessi legali”.

3.1. Quest’ultimo giudizio si concludeva con la sentenza n. 1054 del 14 giugno 2019, con la quale il Tar per la Puglia dichiarava parzialmente inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda delle germane C relativa all’indennizzo per il periodo di occupazione legittima (sino al momento di perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità) e riteneva infondate le domande risarcitorie proposte dalle stesse “in ragione dell’omessa impugnazione della delibera commissariale n. 21 dell’11/02/2015 (esibita il 20/03/2019) di proroga in via sanante della dichiarazione di pubblica utilità al 21/09/2016, nonché del decreto definitivo di esproprio n. 64 del 20/09/2016 (esibito il 25/03/2019) emesso dal Sub-commissario del Consorzio resistente, che impediscono - allo stato - di ravvisare l’illecito della P.A. e di accogliere, quindi, le domande risarcitorie azionate dalle ricorrenti”.

4. Nell’originario ricorso avverso il decreto 20 settembre 2016, n. 164, oltre ad impugnare la delibera commissariale n. 21 dell’11 febbraio 2015 (esibita il 20 marzo 2019) di proroga in via sanante della dichiarazione di pubblica utilità al 21 settembre 2016 ed il decreto definitivo di esproprio n. 164 del 20 settembre 2016 emesso dal Sub-commissario del Consorzio di Bonifica dell’Arneo, le ricorrenti reiteravano le domande risarcitorie già proposte con il separato ricorso n. 2245/2015 R.G. chiedendo la condanna del medesimo Consorzio al risarcimento per equivalente del danno, consistente, nella loro prospettiva, nel valore venale delle aree trasformate e del soprassuolo (un fabbricato rurale di 76,39 mq.), nel mancato godimento delle aree predette per l’occupazione illegittima e nella diminuzione del valore della parte residua del fondo agricolo (in ragione della sua meno agevole coltivabilità), con annessa richiesta di rivalutazione monetaria dal 21 settembre 2014 fino al deposito della sentenza ed interessi legali da questa al soddisfo.

4.1. A sostegno del ricorso venivano dedotti i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 42 bis T.U. - D.P.R. n. 327 del 2001;

2) violazione dell’art.13 comma 5 T.U. - D.P.R. n. 327 del 2001.

5. Il T.ar per la Puglia, in accoglimento parziale del ricorso:

- annullava il decreto di esproprio n. 164 del 20 settembre 2016 del Subcommissario del Consorzio di Bonifica dell’Arneo e la delibera commissariale n. 21 dell’11 febbraio 2015 (di proroga in via sanante della dichiarazione di p.u.);

- condannava il Consorzio Speciale per la Bonifica di Arneo al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, in favore delle ricorrenti, della somma complessiva di € 19.339,28;

- condannava il Consorzio Speciale per la Bonifica di Arneo al pagamento, a titolo di spese processuali, in favore delle ricorrenti, della somma complessiva di € 1.500,00 disponendo la compensazione delle spese di lite nei confronti dell’Agenzia del Demanio;

6. Avverso la sentenza ha proposto appello il Consorzio speciale per la bonifica di Arneo, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

7. Contro la sentenza indicata l’Agenzia del Demanio ha proposto ricorso incidentale, chiedendo la declaratoria del proprio difetto di legittimazione passiva.

8. Si sono costituite nel presente giudizio M C C e M R C, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.

9. In vista dell’udienza del 28 settembre 2023 le parti hanno depositato memorie con le quali hanno chiarito e ulteriormente argomentato la fondatezza delle rispettive linee difensive.

10. All’udienza pubblica del 28 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

1.1. Con un primo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata per difetto di motivazione e per non aver dichiarato l’inammissibilità/irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività. In particolare, la tardività del ricorso deriverebbe dal fatto che lo stesso è stato notificato il 4 settembre 2019, mentre la parte ricorrente avrebbe avuto conoscenza della deliberazione n. 21 del 11 già nel corso del mese di febbraio 2015, allorquando il Commissario Straordinario del medesimo Consorzio ha deliberato la proroga della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera (fissando la scadenza al 21 settembre 2016), procedendo, con avviso prot. n. 678 del 23 febbraio 2015, alla pubblicazione della medesima ex art. 11, comma 2, del D.P.R. n. 327/2001, nell'Albo pretorio dal 27 febbraio 2015 al 26 marzo 2015.

Sotto altro profilo, la tardività del ricorso deriverebbe dal fatto che le ricorrenti avrebbero avuto piena conoscenza dell’impugnato decreto di esproprio del 20 settembre 2016 n. 164 già in data 20 marzo 2019, in conseguenza dell’avvenuto deposito dello stesso nel giudizio proposto con ricorso n. 2245/2015 e deciso dal T.a.r per la Puglia con la sentenza n. 1054 del 14 giugno 2019.

1.3. Il motivo non è fondato.

Il Collegio rileva che il decreto di esproprio n. 164/2016, benché oggetto di pubblicazione, non è stato mai individualmente notificato, ma soltanto prodotto, in data 25 marzo 2019, dalla difesa del Consorzio resistente nell’ambito di un diverso giudizio. Già in base ai principi generali, desumibili dalla legge sul procedimento amministrativo (art. 21 – bis ), il provvedimento di esproprio, in quanto rientrante tra i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati, acquista efficacia soltanto con la comunicazione effettuata nei confronti del relativo destinatario. Tale conclusione trova conferma anche nella normativa di settore.

La principale novità introdotta dal TU in materia di espropri, con riguardo alla fase finale del procedimento espropriativo, risiede, infatti, nell’aver configurato la notificazione (e l’esecuzione del decreto) del provvedimento esproprio come condizione per la traslazione del diritto di proprietà in capo alla autorità espropriante. (cfr. da ultimo Sezioni Unite 12 gennaio 2023 n. 651;
Cons. St., Ad. gen., parere n. 4/2001).

L’art. 23, comma 1, lett. f, TU in materia di espropri, stabilisce, infatti, che il decreto di esproprio dispone il passaggio del diritto di proprietà, o del diritto oggetto dell'espropriazione, sotto la condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed eseguito. Ne discende, pertanto, la inidoneità della mera pubblicazione di massa, ex art. 11 del D.P.R. n. 327 del 2011, ad assolvere la funzione (garantista) di condizione di efficacia dell’atto ablatorio nei confronti del relativo destinatario.

1.4. Né può assumere rilievo, per giungere a diverse conclusioni, la circostanza, pur valorizzata dalla parte appellante, per cui le ricorrenti in primo grado avrebbero avuto piena conoscenza dell’impugnato decreto di esproprio del 20 settembre 2016 n. 164 già in data 20 marzo 2019, in conseguenza dell’avvenuto deposito dello stesso nel giudizio proposto, sempre dinanzi al Tar Puglia, con ricorso n. 2245/2015.

In senso contrario, il Collegio ritiene di condividere, in quanto maggiormente coerente con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 1 del c.p.a., l’orientamento giurisprudenziale che, ferma la specificità delle singole fattispecie, afferma, da un lato, che “la conoscenza degli atti prodotti da altra parte del giudizio è riferibile al solo difensore con la conseguenza che dell’avvenuto deposito degli stessi non può farsi discendere ex sé una presunzione di conoscenza in capo alla parte ricorrente” (cfr. Cons. Stato Sez. V 12.5.11 n. 2846;
Sez. IV 10.4.08 n. 1556) e, dall’altro, che “Nel processo amministrativo, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, è decisiva solo ed esclusivamente la conoscenza diretta del provvedimento da parte dell'interessato mediante la sua comunicazione o notifica, e non quella del suo difensore nel giudizio in cui l'atto da impugnare è stato depositato” (Cons. Stato Sez. V, 26.7.16 n. 3374).

2. Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata per aver accolto il motivo di ricorso di primo grado finalizzato a censurare la mancata proroga della dichiarazione di p.u.

In particolare, ad avviso della parte appellante, la sentenza gravata sarebbe erronea in quanto le censure proposte dalle germane C con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado erano state già formulate ed introdotte, sia nel giudizio in primo grado n. 2245/2015 R.G,. sia nel giudizio in appello n. 7443/2019 R.G., seppur irritualmente poiché contenute in atti non notificati nonché in violazione del termine di impugnazione stabilito dall'art. 92.

Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe erronea poiché, come si evincerebbe chiaramente dal testo della deliberazione n. 21/2015, la proroga della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera (con fissazione della nuova scadenza al 21.09.2016) è stata disposta in via sanante.

2.1. Il motivo non è fondato.

È’ in primo luogo infondato il sub-motivo con il quale viene invocata la violazione del c.d. giudicato esterno.

In senso contrario, il Collegio evidenzia che, di regola, le sentenze di rito non spiegano effetti extra-processuali e quindi come tali sono inidonee ad assumere efficacia di giudicato esterno. Solo in casi eccezionali, che non ricorrono nel caso di specie, la giurisprudenza riconosce alle sentenze meramente processuali la capacità di determinare la formazione di un giudicato sostanziale. In particolare, al fine di stabilire se una decisione fondata su ragioni meramente processuali possa assumere efficacia di giudicato esterno, un costante indirizzo giurisprudenziale ritiene che sia necessario procedere alla interpretazione della motivazione della sentenza di rito, soprattutto al fine di stabilire se essa, al di là del dispositivo, implichi il rigetto nel merito della domanda ( ex multis , Cons. St. 4067/2014). Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, appare evidente che il caso in esame non rientra in queste ultime classi di fattispecie, trovando le pronunce di inammissibilità di che trattasi fondamento esclusivamente nel mero errore processuale delle ricorrenti di aver introdotto le domande sia in primo grado che in appello con memorie non notificate, nonché in violazione del termine di impugnazione stabilito dall’art. 92 c.p.a

2.2. La sentenza di primo grado, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, è inoltre immune da rilievi anche nella parte in cui ha correttamente rilevato la violazione dell’art. 13, comma 5, del D.P.R. n. 327 del 2001.

Ciò in quanto, nel caso in esame, la proroga della dichiarazione di p.u. risulta essere stata disposta solo in data 11 febbraio 2015 e, quindi, dopo lo spirare dell’originario termine finale di efficacia previsto per il 21 settembre 2014.

Come correttamente osservato nella sentenza impugnata, costituisce jus receptum la regola, di teoria generale, per la quale la proroga del termine finale di un atto giuridico può essere disposta solo nella vigenza della sua forza giuridica e, quindi, non dopo che questo abbia perso di efficacia (momento dal quale è, al più, possibile, ove ne sussistano i presupposti, l’adozione ex novo di altro atto di identico contenuto – la cd. rinnovazione - con conseguente soluzione di continuità dal punto di vista delle conseguenze giuridiche).

Laddove, infatti, si ammettesse la possibilità, come avvenuto nel caso di specie, di disporre la proroga in via sanante ad atto scaduto, si consentirebbe di eludere il rispetto del termine di legge, così frustrando la ratio di garanzia che sottende alla previsione di un limite temporale per l’adozione del provvedimento finale ablativo.

A nulla rileva, peraltro, il carattere non recettizio del provvedimento di proroga, il quale “può produrre i propri effetti a prescindere dalla conoscenza che possa averne avuto il proprietario” (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sezione II, 18/12/2012, n, 1976). Ciò in quanto, a prescindere dal momento in cui la proroga è destinata a produrre effetti rispetto al soggetto inciso, l’accertata violazione del disposto dell’art. 13 comma 5 del D.P.R. n. 327 del 2001 e ss.mm. è destinata a inficiare in via derivata anche il successivo decreto di esproprio.

3. Con un terzo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla quantificazione del risarcimento del danno riconosciuto in favore delle germane C. In particolare, viene censurata la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto, quale danno per la perdita del soprassuolo, non già il valore di euro 2.910,46, indicato dal Consorzio appellante, bensì quello indicato dal verificatore. La parte appellante censura, inoltre, la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto, a titolo di indennità di occupazione, non già il valore di euro 203,99, indicato dal Consorzio appellante, bensì quello indicato dal verificatore

Anche tale motivo non è fondato.

Il Collegio preliminarmente rileva che la verificazione è stata eseguita nel rispetto delle regole del contraddittorio, avendo correttamente il verificatore ritenuto di non dovere prendere in esame le controdeduzioni del Consorzio appellante.

La relazione del Verificatore è inoltre corretta, a giudizio del Collegio, nella misura in cui adotta, ai fini della quantificazione delle somme di che trattasi, il metodo comparativo, ritenuto congruo da un costante indirizzo della giurisprudenza amministrativa.

Essa, inoltre, fornisce un’adeguata motivazione, da cui il Collegio non intende discostarsi, in ordine al mancato recepimento delle contestazioni sul quantum sollevate dalla difesa del Consorzio appellante.

Corrette in particolari si rilevano le valutazioni che:

- hanno valutato, sulla base dell’andamento generale dei prezzi e del confronto con le ditte espropiande nel triennio 208/2010 (approvati in aggiornamento nel 2017), il fabbricato in questione non come fabbricato residenziale bensì come manufatto costituente un soprassuolo rispetto alla superficie occupata, venendo nella specie in rilievo un locale ad uso accessorio (deposito attrezzi per esempio), funzionale all’attività agricola dei terreni, al rustico;

- hanno, pertanto, accertato la superficie da prendere in considerazione ai fini del risarcimento mq 11.561;

- hanno stabilito i valori dell’indennità (danni al soprassuolo, deprezzamento e per occupazione illegittima) sulla base del valore venale iniziale del bene (e non su quello attuale) cui, nondimeno, è seguita l’operazione rivalutazione all’attualità della lsomma cosi calcolata.

Alla luce di quanto rilevato, il Collegio ritiene pienamente condivisibili le ragioni indicate dal verificatore a sostegno della quantificazione del danno patrimoniale (valore venale del soprassuolo, mancato godimento per l’occupazione illegittima delle aree, diminuzione del valore della parte residua del fondo agricolo) nella somma complessiva di € 16.761,08 con rivalutazione delle predette somme a partire dal 21 settembre 2014 al 31 luglio 2022 pari a € 2.061,61 e interessi legali calcolati per lo stesso periodo pari ad € 516,59. Ciò per un totale complessivo di € 19.339,28.

4.Va, infine, respinto il ricorso incidentale con cui si fa valere il difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia del Demanio.

In senso contrario occorre osservare, conformemente a quanto rilevato dalla sentenza di primo grado, che l’espropriazione, nel presente giudizio, risulta disposta in favore del “Demanio dello Stato” (e non del Consorzio di Bonifica dell’Arneo), sicché non può assumere rilievo la circostanza per cui gli artt. 61 e 65 del D. Lgs. n. 300 del 1999 e ss.mm. hanno attribuito all'Agenzia del Demanio, ente pubblico, le funzioni di gestione ed amministrazione già assolte dal Ministero delle Finanze - Dipartimento del Territorio con successione della prima nella titolarità dei beni immobili patrimoniali dello Stato disponibili e indisponibili e di demanio storico - artistico non gestiti dal Mibact.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha, infatti, chiarito che in caso di illecito consistente nell’occupazione di immobile sine titulo sussiste la responsabilità solidale per il risarcimento del danno tra l’amministrazione pubblica committente dell’opera ed il soggetto (pubblico o privato) al quale, unitamente alla realizzazione dell’opera, sia stata affidata, in virtù di delega anche il potere di gestire, in nome e per conto del delegante, il procedimento espropriativo e di emanare il decreto di espropriazione. Anche in presenza di un rapporto concessorio (pur se previsto per legge), resta sempre fermo il potere-dovere di vigilanza dell’amministrazione concedente sull’attività del concessionario, con particolare riguardo all’esercizio di poteri pubblici – e dunque anche del potere espropriativo - da parte di questi (Cons. Stato, sez. IV, n. 9483 del 2022).

5. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.

6. In ragione della parziale novità delle questioni sottese al gravame in esame, il Collegio ravvisa eccezionali ragioni, ex artt. 26 comma 1, c.p.a, e 92, c.p.c, per compensare integralmente le spese di giudizio.

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