Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-01-19, n. 201200207

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-01-19, n. 201200207
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200207
Data del deposito : 19 gennaio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05120/2011 REG.RIC.

N. 00207/2012REG.PROV.COLL.

N. 05120/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5120 del 2011, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

R A e R S, rappresentati e difesi dagli avv. C F P e M Carich, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, piazza del Popolo, n. 18;
Comune di Negrar, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sezione Seconda, 19 aprile 2010, n. 1407, resa tra le parti, concernente parere favorevole del comune su istanza di concessione in sanatoria per opera abusiva.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Armando Residori e di Stellina Rossi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 15 novembre 2011 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l'avv.to Clarich e l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Gli odierni appellati Armando Residori e Stellina Rossi sono proprietari di un’abitazione da essi costruita senza titolo negli anni ’70 sul territorio del Comune di Negrar, interamente soggetto a vincolo paesaggistico.

Nel 1986 essi presentarono, ai sensi degli artt. 31 segg. l. 28 febbraio 1985, n. 47, una domanda di condono per l’immobile, descritto, nella relazione che l’accompagnava, come una costruzione su di un unico piano, su di una superficie di circa m² 250, con “intonaco a civile, serramenti in legno con ante d’oscuro a ventola, manto di copertura con tegole laterizie a canale”.

Solo nel 1997 il Sindaco, quale autorità locale delegata dalla Regione, rilasciò, ai sensi dell’art. 32 di quella legge, il parere paesaggistico favorevole 5 febbraio 1997, n. 534/86, che, tuttavia, la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Verona, con decreto 3 aprile 1997, n. 320, annullò, ritenendo la costruzione incoerente con il territorio, invitando il Sindaco ad impartire le disposizioni consequenziali.

Con il successivo provvedimento 16 aprile 1997 il Sindaco negò il condono richiesto, dopo aver richiamato la decisione della Soprintendenza, ed in seguito, con l’ordinanza 6 maggio 1997, n. 1088, dispose la demolizione del fabbricato.

Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto fondata la censura, rivolta contro il provvedimento dell’autorità statale, con la quale si sosteneva che l’annullamento non era intervenuto per vizi di legittimità, ma per ragioni di merito, estranee però al potere conferito: la Soprintendenza, non avrebbe posto la propria attenzione sul provvedimento soggetto a controllo, ma sull’opera abusiva, ed avrebbe sostituito la propria discrezionale valutazione a quella del sindaco, riferendosi, peraltro, ad elementi affatto generici.

Nel preambolo dell’atto d’annullamento si afferma che “il fabbricato residenziale abusivamente realizzato risulta totalmente estraneo ai tipi dell’edilizia rurale tradizionale esistenti nella zona e incide inoltre negativamente sull’ambiente in quanto contribuisce ad intensificare il processo di corruzione ed addensamento edilizio del paesaggio rurale storico della Valpolicella che rischia perciò di venire irrimediabilmente deturpato” .

L’autorizzazione sindacale, pertanto, consente “la permanenza di opere che non sono attualmente compatibili con l’esigenza di tutela delle caratteristiche paesistiche ed ambientali della zona” , ed è affetta da eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione.

Nella sentenza impugnata si sostiene altresì che, in relazione alla rilevata carenza di motivazione, questa si presenta, almeno nella fattispecie, come un mero artificio retorico, mediante il quale si vuole ricondurre alla categoria dei vizi di legittimità la valutazione di merito compiuta dall’amministrazione.

L’annullamento del provvedimento della Soprintendenza comporta, per conseguenza, la caducazione del diniego sindacale di condono e dell’ordine di demolizione, giacché entrambi questi atti si fondano appunto sull’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica.

Il Tribunale amministrativo regionale ha comunque riconosciuto fondata anche una censura riferita specificatamente al diniego di condono, laddove si sostiene che, dopo l’annullamento dell’autorizzazione, il sindaco avrebbe dovuto riprovvedere sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica anziché ritenere senz’altro preclusa la possibilità di condonare il manufatto.

L’annullamento, da parte della Soprintendenza, aveva fatto mancare un provvedimento, ma non aveva comportato un provvedimento di un determinato tenore: ove, nel corso del procedimento di condono di un abuso edilizio e nell'esercizio del potere previsto dall'art. 82 d.lgs. 24 luglio 1977, n. 616 (trasfuso nel t.u. 29 ottobre 1999, n. 490, e poi nell'art. 146, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42), la soprintendenza annulli per difetto di motivazione l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal comune, quest'ultimo è titolare di un potere discrezionale, per il quale o ritiene che possa essere rilasciata un’ulteriore autorizzazione paesaggistica, con una motivazione diversa da quella che ha condotto all'annullamento statale ovvero, anche sulla base delle valutazioni formulate da quest'ultimo, ritiene che non sussistano i presupposti per il rilascio di autorizzazione, ma in tal caso deve esporre le relative ragioni con adeguata motivazione, secondo i principi generali riguardanti l'esercizio delle pubbliche funzioni, e non può invece ingiungere senz'altro la demolizione del manufatto per il quale è stata proposta la domanda di condono, ma è tenuto a valutare se l'istanza (che da esso era già stata positivamente valutata sotto il profilo paesaggistico, con l'atto annullato per difetto di motivazione) è meritevole di essere accolta (così Cons. Stato, IV, 28 aprile 2008, n. 1865).

Propone appello il Ministero per i beni e le attività culturali, sostenendo che il provvedimento comunale, annullato con il decreto soprintendentizio 4 aprile 1997, a sua volta annullato con la sentenza impugnata, “è, all’evidenza un atto privo di motivazione sia sul contenuto del vincolo che sul rapporto tra abuso edilizio e il vincolo stesso” . Così il Ministero ha chiesto l’annullamento integrale della sentenza e, di conseguenza, la conferma di tutti i provvedimenti.

Nell’appello si afferma, tra l’altro, che la decisione del giudice di primo grado è erronea anche nel capo in cui ha accolto il motivo di ricorso con il quale era stato dedotto che, dopo l’annullamento dell’autorizzazione, il sindaco avrebbe dovuto riprovvedere sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica, anziché ritenere senz’altro preclusa la possibilità di condonare il manufatto. Sul punto l’Amministrazione statale ha rilevato che quanto ritenuto in sentenza non era un motivo di censura del decreto di annullamento della Soprintendenza, e quindi il motivo doveva essere dichiarato inammissibile.

Si sono costituiti in giudizio gli appellati che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza del 15 novembre 2001 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

La sentenza appellata ha annullato i seguenti provvedimenti:

a) decreto 4 aprile 1997 della Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Verona, con cui è stato annullato il parere favorevole a condono 5 febbraio 1997, rilasciato dal sindaco di Negrar, per un fabbricato di proprietà dei ricorrenti;

b) ordinanza sindacale 16 aprile 1997, n. 1079, con cui viene conseguentemente negato il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per il fabbricato;

c) ordinanza sindacale 6 maggio 1997, n. 1088, recante ordine di demolizione del fabbricato medesimo.

La Sezione rileva preliminarmente che, in primo grado, sono stati impugnati tre distinti provvedimenti: uno proveniente da un’autorità statale e due provenienti dal Comune di Negrar, che non si è costituito in giudizio né in primo, né in secondo grado.

Il ricorso in appello è fondato.

Il vaglio qui espresso dall’annullamento soprintendentizio non realizza un’ingerenza nel merito della valutazione di competenza locale, bensì una verifica di legittimità, finalizzata all’estrema difesa del vincolo. Il riferimento alla estraneità ai tipi dell’edilizia rurale tradizionale manifesta invero una evidente censura in punto di motivazione della compatibilità paesaggistica manifestata dall’atto di base. L’autorizzazione paesaggistica, invero, deve porre in relazione i valori accertati e tutelati dal vincolo con il singolo manufatto, e spiegare adeguatamente perché questa relazione non è di incompatibilità: il che, nella specie, congruamente avrebbe dovuto essere esplicato con riferimento alle tipologie edilizie connotanti la zona in questione: è noto infatti che il vincolo paesaggistico non concerne soltanto la bellezza naturale dei luoghi, ma anche l’espressione dell’insediamento storico umano e dunque le tipologie edilizie caratterizzanti nel tempo il sito.

Nel caso in esame, l’autorizzazione rilasciata dal Comune di Negrar motiva: “ritenuto l’abuso commesso non lesivo del valore estetico tutelato del vincolo paesaggistico posto sulla zona interessata dalle opere abusive”. Una tale motivazione non dà conto concreto di quella relazione né del giudizio di compatibilità che la riguarda, e solo apoditticamente giungeva alla conclusione favorevole. Pertanto era illegittima e correttamente è stata annullata in sede di cogestione del vincolo.

Siffatte conclusioni non precludono un riesame della vicenda da parte dell’Amministrazione locale, intatto restando l’ulteriore vaglio da parte della Soprintendenza.

Risulta qui invero senza fondamento il motivo con il quale il Ministero chiede di dichiarare inammissibile la censura con la quale era stato dedotto che, dopo l’annullamento dell’autorizzazione, il sindaco avrebbe dovuto riprovvedere sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica, anziché ritenere senz’altro preclusa la possibilità di condonare il manufatto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi