Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-08-03, n. 201204440

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-08-03, n. 201204440
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201204440
Data del deposito : 3 agosto 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09415/2009 REG.RIC.

N. 04440/2012REG.PROV.COLL.

N. 09415/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9415 del 2009, proposto da:
Eil Lavoro S.a.s., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. S A V e A P, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Domenico Piper Gaudiello in Roma, via dei Due Macelli, n. 66;

contro

Comune di Grottammare, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. M O, con domicilio eletto presso l’avv. Livia Ranuzzi in Roma, via del Vignola, n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA, SEZIONE I, n. 00510/2009, resa tra le parti, concernente affidamento realizzazione nuove opere e adeguamenti cimitero - Ris. Danni;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Grottammare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati A P, S A V e M O;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, sez. I, con la sentenza n. 510 del 6 giugno 2009, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento della determinazione del 29 giugno 2006 con cui erano stati annullati in autotutela gli atti della gara per i lavori relativi alla “realizzazione nuove opere e adeguamenti cimitero. Lotto A. Realizzazione 3° blocco di loculi” e per la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.

Il TAR ha fondato la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’errore che ha determinato l’annullamento della gara è consistito nella fissazione in numero di 70 del quantitativo di una voce del computo metrico, che invece sulla base del progetto doveva essere pari a 990 (o 970, secondo il provvedimento impugnato);
l’offerta della ricorrente in primo grado, per la voce in questione, prevedeva un aumento considerevole (da € 46,00/cad. di prezzo base rispetto ad un’offerta di € 135,00/cad), poiché la variante richiesta dalla ricorrente sarebbe consistita nell’estensione della sua offerta unitaria al quantitativo realmente occorrente, vale a dire 990.

Secondo il TAR, dal provvedimento impugnato si evinceva chiaramente che proprio tale estensione, dato l’anomalo prezzo unitario offerto dalla ricorrente, avrebbe procurato un’ingiustificata lievitazione dei costi e che una nuova gara avrebbe invece evitato tale situazione, dovendo fondatamente presumersi la presentazione di ribassi analoghi a quelli proposti dalla quasi totalità delle imprese nel procedimento annullato e quindi il notevole ridimensionamento del costo della voce in questione rispetto a quanto invece deriverebbe dall’approvazione della variante.

L’appellante ha contestato la sentenza del TAR chiedendo l’accoglimento dell’appello.

Si è costituito il Comune intimato, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 3 luglio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che la sentenza del TAR impugnata debba trovare conferma esclusivamente sotto il profilo della legittimità dell’intervento in autotutela dell’Amministrazione, mentre deve essere riformata per quanto riguarda il risarcimento dei danni per responsabilità ex art. 1337 c.c.

Occorre premettere in sintesi, sotto il profilo fattuale che, nella presente controversia, l’impresa appellante, già prima dell’aggiudicazione provvisoria di cui al verbale del 28 febbraio 2006, aveva fatto rilevare, presentando una dichiarazione integrativa dell’offerta prodotta, che il progetto presentava anomalie tali da incidere sulla stessa possibilità di corretta esecuzione e cantierabilità dei lavori, ma che, nonostante tali rilievi, il procedimento di gara era proseguito e l’appellante stessa era risultata aggiudicataria della gara.

Con un atto di diffida e messa in mora l’appellante indicava nel dettaglio gli errori che rendevano non possibile l’esecuzione del progetto posto a base di gara, invitando la stazione appaltante ad adottare la strada della variante per la rapida esecuzione dei lavori.

In particolare, osserva il Collegio, l’errore che inficiava gravemente il progetto consisteva nel fatto che la voce n. 69 del computo metrico utilizzava come unità di misura il termine “cadauno”, per cui si rendeva necessario considerare un’unità della suddetta voce per il numero dei loculi, da eseguire;
nel computo metrico tale voce veniva quantificata in numero di 70, mentre i loculi da realizzare erano in numero di 990.

In risposta, l’Amministrazione, riscontrando la sussistenza del vizio segnalato, comunicava l’avvio del procedimento diretto all’annullamento in autotutela degli atti di gara e procedeva, quindi, all’annullamento degli atti di gara, precisando nell’atto che non sussistevano i presupposti per apportare varianti in corso d’opera al progetto, anche considerato che, applicando il prezzo unitario offerto relativo alla voce in questione (noleggio casseformi) al quantitativo imposto dalla variante, si sarebbe verificato un aggravio notevole dei costi.

Ciò posto, il Collegio concorda con la deduzione dell’appellante secondo cui l’atto di autotutela impugnato è direttamente correlato alla non cantierabilità del progetto per fatto imputabile alla stessa stazione appaltante che, infatti, ha errato gravemente nella redazione degli atti di gara.

Tuttavia, non per questo all’Amministrazione è inibito di utilizzare i poteri di autotutela che le sono riconosciuti dall’ordinamento, non soltanto ex art. 21-nonies l. 241-90, bensì, più in generale, nei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, cui deve essere improntata l'attività della P.A., ai sensi dell'art. 97 Cost., in attuazione dei quali l'Amministrazione deve adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032).

Pertanto, l’interesse pubblico all’annullamento degli atti (nella specie, di una gara d’appalto pubblico) non coincide soltanto con l’interesse dell’Amministrazione, ma consiste nella protezione dell’interesse della collettività, laddove venga meglio garantito dall’esercizio dei poteri di autotutela, a prescindere dal carattere doloso, colposo o semplicemente incolpevole dell’illegittimità degli atti che vengano in tal modo ritirati e a prescindere dal fatto che, agendo tempestivamente, come nella specie, l’Amministrazione avrebbe potuto evitare di incidere su un provvedimento come l’aggiudicazione definitiva, che è già idonea a radicare una posizione soggettiva stabile in capo al privato.

In quest’ultimo caso, tuttavia, l’interesse generale che costituisce il fondamento del potere di autotutela deve, naturalmente, essere controbilanciato dall’affidamento ingenerato nell’impresa aggiudicataria, il cui interesse deve essere tenuto in considerazione.

In particolare, deve rimanere fermo l'obbligo, nell'esercizio di tale delicato potere, proprio in considerazione del legittimo affidamento eventualmente ingeneratosi nel privato, di rendere effettive le garanzie procedimentali, di fornire un'adeguata motivazione in ordine alle ragioni che giustificano la differente determinazione e di una ponderata valutazione degli interessi, pubblici e privati, in gioco.

Ovviamente, deve trattarsi di un affidamento tutelabile, di cui devono essere evidenziati tre elementi costitutivi: quello oggettivo, quello soggettivo e, infine, quello cronologico.

Principiando dall’elemento oggettivo, che rende l’affidamento ragionevole, esso impone che il vantaggio che il privato difende sia chiaro, certo e univoco e che trovi la sua fonte in un comportamento attivo, in un atto cioè efficace e vincolante, non essendo all’uopo idoneo, ad esempio, un mero atto endoprocedimentale ed impotente;
nel caso di specie, come detto, l’aggiudicazione definitiva è capace di radicare una posizione soggettiva stabile in capo al privato.

Venendo all’elemento soggettivo, che rende l’affidamento legittimo, è necessario che il privato difenda un’utilità ottenuta nella plausibile convinzione di averne titolo, essendo tutelabile solo l’affidamento ottenuto in buona fede, non meritando per converso protezione l’aspirazione all’intangibilità di un bene che il privato abbia strappato con dolo (ad esempio inducendo in errore con false informazioni la P.A. o, comunque, versando in una condizione di colpa apprezzabile, collegata al carattere palese (e quindi riconoscibile) del vizio che inficia l’atto, come in qualche modo ricorda l’accento che l’art. 21-quinquies pone sulla decifrabilità dell’errore come fattore che refluisce sulla misura dell’indennizzo da revoca.

Nel caso di specie, il vizio pur riconoscibile e, anzi, riconosciuto è stato, tuttavia, segnalato tempestivamente dall’appellante;
dunque, il comportamento della P.A. che, scientemente, ha proseguito nella gara e ha emanato il provvedimento di aggiudicazione, può radicare un affidamento legittimo anche sotto il profilo soggettivo.

Infine, l’ultimo tratto distintivo dell’affidamento, quello cronologico, che rende l’affidamento stabile;
il passaggio del tempo, infatti, è un fattore che rafforza ed ispessisce la convinzione della spettanza del bene della vita e, per l’effetto, limita e/o condiziona il potere pubblico di mettere nel nulla l’attribuzione iniziale.

In altre parole, l’affidamento diventa sempre più consistente ed intenso a mano a mano che trascorre il tempo dal momento della sua attribuzione iniziale;
in questo senso, più che essere elemento costitutivo in senso stretto il tempo è fattore di potenziamento dell’ expectation , distinguendosi così l’affidamento dal principio di certezza del diritto, che si raggiunge nel momento in cui il trascorrere del tempo ha raggiunto il suo massimo fattore di potenziamento dell’affidamento.

Nel caso di specie, l’immediatezza dell’annullamento, molto prossima al provvedimento di aggiudicazione, ha reso l’affidamento dell’appellante nella stabilità e nella conservazione dell’aggiudicazione della gara, pur sussistente, molto debole e, chiaramente, recessivo rispetto agli interessi pubblici azionati, da ritenersi ictu oculi prevalenti.

Da un lato, infatti, il provvedimento adottato in autotutela è giustificato sotto il profilo dell'interesse pubblico, di rilevante importanza nell’attuale momento storico, di evitare la lievitazione dei costi dei lavori pubblici;
dall’altro, il provvedimento adottato in autotutela trova giustificazione nell'interesse delle imprese alla più ampia partecipazione secondo regole pro-competitive (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2011, n. 4793);
è ovvio che una gara che si è basata su un così rilevante errore di fatto, idoneo ad inficiare così gravemente i valori economici posti a fondamento della stessa, è una gara che, in primo luogo, contrasta con l’interesse alla realizzazione di condizioni di concorrenza piena e leale, interesse di rilievo comunitario di per sé superiore all’interesse particolare dell’impresa a conservare l’aggiudicazione di una gara di tal genere, che non ha assicurato, all’evidenza, corrette condizioni di concorrenza, maggior ragione, come detto, quando il fattore tempo non ha ancora inciso nel rafforzare la stabilità dell’affidamento.

Peraltro, la Sezione ha già stabilito che il carattere discrezionale del provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione definitiva di un appalto pubblico e l'esigenza di ponderare comparativamente gli interessi pubblici in rilievo in relazione alla posizione di vantaggio conseguita dal ricorrente a seguito della partecipazione con esito vittorioso alla procedura, impediscono di applicare la regola conservativa sancita dall'art. 21-octies, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241 in merito alla natura non invalidante delle violazioni formali e procedurali non influenti sull'esito finale del procedimento (Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2011, n. 2456).

Analogamente, l’adozione di una perizia di variante, come aspirerebbe l’appellante, che avrebbe il medesimo effetto conservativo, non può supplire, nella specie, all’illegittimità compiuta dall’Amministrazione, anche in considerazione del fatto che, come detto, finirebbe per conservare un’aggiudicazione di una gara in cui non sono state garantire corrette condizioni di concorrenza e che, per di più, comportano una spesa più ingente per l’Amministrazione, secondo una stima che il Collegio ritiene del tutto ragionevole.

Peraltro, la legittimità dell'annullamento degli atti di gara a causa di una obiettiva incertezza del progetto che del bando, non può considerarsi elemento di per sé escludente la colpa dell'Amministrazione per la lesione dell’affidamento comunque suscitato, colpa che va ricondotta al comportamento precedente all'esercizio dello ius poenitendi , consistente nella negligente predisposizione di atti di gara.

Infatti, in base a consolidati principi, nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, l'esercizio di poteri di autotutela da parte dell'amministrazione appaltante, benché legittimo, può determinare la lesione dell'affidamento dei concorrenti negli atti revocati o annullati, facendo insorgere obblighi risarcitori (Consiglio di Stato, Ad Pl., 5 settembre 2005, n. 6;
Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3989).

Detto comportamento contrasta con le regole di correttezza e buona fede di cui all'art. 1337 c.c. e determina l'obbligo di risarcire il danno a titolo di responsabilità precontrattuale, che deve essere limitato all'interesse negativo, rappresentato dalle spese inutilmente sopportate per la partecipazione alla gara e dalla perdita di chance relativamente ad altre occasioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 30 dicembre 2011, n. 7000)

Nel caso di specie si ritiene raggiunta la prova da parte dell'appellante in ordine ai costi sopportati per la redazione dell'offerta, per la partecipazione alla gara e per l’individuazione dell’errore, in quanto costi oggettivi che sono direttamente e facilmente documentabili.

Non è, al contrario, secondo il Collegio, dimostrato (per mancanza di dati concreti forniti al giudicante) il danno subito a titolo di perdita di chance a causa della rinuncia ad ulteriori occasioni per la stipula di altri contratti, non essendo sufficiente l’indicazione di altri bandi coevi ai quali l’appellante poteva partecipare avendone in astratto i requisiti.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere in parte accolto, con condanna del Comune appellato al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., sulla base dei parametri sopra indicati;
per il resto, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.

Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza per la metà, dovendo invece essere compensate per la restante parte, sussistendo giusti motivi.

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