Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-07, n. 202301310

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-07, n. 202301310
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301310
Data del deposito : 7 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/02/2023

N. 01310/2023REG.PROV.COLL.

N. 05717/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5717 del 2018, proposto da A D C V e E C a Santa Croce, rappresentate e difese dall’avvocato G M, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;

contro

Comune di Racconigi, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati T B e F T, con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia;

nei confronti

Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale Cuneo, in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (sezione seconda) n. 27/2018


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Racconigi e dell’Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale Cuneo;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria ex art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm. del giorno 13 gennaio 2023 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati G M e Fracesco Tetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Le appellanti sono proprietarie di una porzione di fabbricato facente parte della cascina Tenuta Berroni, sita in Racconigi, località nucleo Berroni (a catasto terreni al foglio 18, mappale 356;
già 347), nella zona delle cascine “ex Savoia e del parco del Castello di Racconigi, composta da un fienile soprastante un ex stalla e di un adiacente porticato a tre lati. Il complesso immobiliare ricade in zona dichiarata di « notevole interesse pubblico », denominata « delle Cascine ex Savoia e del Parco del Castello di Racconigi nei Comuni di Racconigi e Casalgrasso» , ai sensi del decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 1° agosto 1985 (c.d. decreto Galassino);
e dell’art. 157, comma 1, lett. c), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
e dal punto di vista urbanistico in area inedificabile ambientale di salvaguardia, soggetta a vincolo paesagistico-ambientale (zona I1 dello piano regolatore generale e BR.4/s della relativa variante generale;
art. 25 delle norme tecniche di attuazione).

2. Tra il 1995 e il 1999 le appellanti eseguivano sull’immobile di loro proprietà alcuni interventi edilizi in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, consistiti nella trasformazione della preesistente stalla in un locale accessorio alla residenza (magazzino) e nel rifacimento della copertura del soprastante fienile e del porticato. Per le opere in questione nel 2011 presentavano al Comune di Racconigi separate domande di permesso in sanatoria ai sensi degli artt. 36 e 37 del testo unico dell’edilizia di cui al DPR 6 giugno 2001, n. 380 (prot. nn. 16091 e 16093 del 2011);
e di autorizzazione paesaggistica ai sensi degli artt. 167, comma 5, e 181, comma 1- quater , del sopra citato codice dei beni culturali e del paesaggio (prot. nn. 16092 e 16094 del 2011).

3. Ottenuto dalla competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli il parere favorevole di compatibilità paesaggistica, sul presupposto che l’abuso rientrasse in quelli c.d. minori e che gli stessi fosse compatibili con il vincolo, sulla base della perizia di stima dell’Agenzia delle Entrate in relazione del profitto per esso conseguito, il Comune di Racconigi determinava l’indennità ai sensi dell’art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 nella misura di € 60.000,00 per gli interventi relativi al locale magazzino, e di € 9.000,00 per il porticato (note del 5 marzo 2015, nn. 3278 e 3279).

4. Contro i provvedimenti in questione le interessate proponevano ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con il quale contestavano sotto plurimi profili l’ipotesi dell’illecito paesaggistico a fondamento dell’indennità e la relativa misura.

5. Il ricorso era respinto dall’adito Tribunale amministrativo con la sentenza in epigrafe.

6. Questa statuiva che:

- innanzitutto, malgrado l’indirizzo contrario della Regione Piemonte all’epoca di realizzazione degli abusi (circolare n. 16 del 30 luglio 1986), l’autorizzazione paesaggistica era richiesta per gli interventi eseguiti in assenza di titolo come chiarito dall’Adunanza generale di questo Consiglio di Stato nel parere n. 4 dell’11 aprile 2002 in ordine all’efficacia dei c.d. decreti “Galassini” pubblicati, come nel caso di specie, dopo il 6 settembre 1985, data di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (recante Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Integrazioni dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 );

- peraltro, quand’anche si volesse fare derivare la costituzione del vincolo dal parere menzionato, esso sarebbe comunque opponibile alle istanze di accertamento di conformità paesaggistica presentate dalle ricorrenti, in epoca successiva ad esso;

- la buona fede delle ricorrenti era in ogni caso da escludersi, posto che le stesse non si sono nemmeno procurate il titolo edilizio;

- il rilievo paesaggistico degli interventi per i quali è stata chiesta in via postuma la sanatoria è stato espresso nel parere di compatibilità reso dalla competente Soprintendenza ed è ricavabile dagli accertamenti peritali dell’Agenzia delle Entrate in sede di perizia di stima dell’indennità ex art. 167 del testo unico dei beni culturali e del paesaggio;

- l’indennità è stata correttamente quantificata sulla base di una valutazione unitaria degli interventi edilizi, tenuto conto delle caratteristiche delle unità immobiliari da essi interessati, sulla base della differenza tra il valore attuale dell’immobile e i costi diretti e indiretti di costruzione delle opere abusive, senza tener conto del valore di mercato del fabbricato antecedente agli interventi costruttivi;

- non vi è stata alcuna lesione della facoltà delle ricorrenti di pagare l’indennità in misura ridotta, in ragione della genericità della prospettazione e della mancata manifestazione di volontà in questo senso, contraddetta peraltro dal presente ricorso;

- deve inoltre considerarsi conforme all’art. 167, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio l’addebito alle ricorrenti delle spese della perizia di stima dell’Agenzia delle Entrate.

7. Per la riforma della sentenza i cui contenuti sono così sintetizzabili le originarie ricorrenti hanno proposto il presente appello, in resistenza del quale si sono costituiti il Comune di Racconigi e la Direzione provinciale di Cuneo dell’Agenzia delle Entrate.

DIRITTO

1. L’appello ripropone un primo ordine di censure inteso a contestare l’ipotesi dell’illecito paesaggistico posto a fondamento dell’indennità sanzionatoria oggetto di impugnazione.

Viene innanzitutto ribadita la tesi della « carenza originaria del vincolo » e della conseguente necessità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica. La tesi si fonda sull’inidoneità della pretesa fonte, ovvero i decreti ministeriali c.d. galassini, dichiarativi a fini di tutela culturale e paesaggistica del notevole interesse pubblico di estese zone del territorio nazionale, ed in particolare . come nel caso di specie - per quelli pubblicati dopo l’entrata in vigore della sopra citata legge 8 agosto 1985, n. 431, per l’effetto da essa derivato (con l’aggiunta dell’art. 1- ter al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312), del trasferimento alle regioni del potere di imporre vincoli di inedificabilità in aree di interesse pubblico, come statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 giugno 1986, n. 153. Si sottolinea al medesimo riguardo che alle regioni erano già state delegate in precedenza le funzioni amministrative in materia di individuazione e tutela delle bellezze naturali, anche mediante rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria, dall’art. 82 del DPR 24 luglio 1977, n. 616 ( Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382 ). Si conclude quindi sul punto che, per un verso, è sulla base dei presupposti ora menzionati che la Regione Piemonte si era determinata nel senso che all’epoca non fosse necessaria l’autorizzazione paesaggistica in zone dichiarate di notevole interesse pubblico dai decreti galassini, con la sopra citata circolare n. 16 del 30 luglio 1986;
e che per altro verso la motivazione della sentenza di primo grado sarebbe errata, per avere fatto riferimento ad un preteso atto della Regione Piemonte di riconoscimento dell’efficacia dei decreti attraverso la nota del 30 ottobre 1998, prot. n. 19945, che tuttavia non è stata prodotta in giudizio.

2. Con un’ulteriore censura si contesta la tesi espressa in sentenza, secondo cui all’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del testo unico dell’edilizia sarebbero opponibili i vincoli paesaggistici successivi agli abusi, ma antecedenti alla presentazione dell’istanza medesima. In contrario si deduce che in base alla giurisprudenza amministrativa in materia, la rilevanza dei vincoli sopravvenuti è circoscritta al condono edilizio, sotto forma di parere di compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità preposta al vincolo, condizionante il rilascio del titolo in sanatoria, a differenza dell’accertamento di conformità ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, rispetto al quale il procedimento di compatibilità paesaggistica ex art. 167, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio è richiesto nel solo caso in cui le opere sono state realizzate in « violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal titolo I della parte terza », e cioè in violazione dell’obbligo di previa autorizzazione paesaggistica, da richiedersi « cioè quando il vincolo era già vigente prima della realizzazione delle opere ».

3. Viene poi ribadita la buona fede delle ricorrenti sulla non necessità dell’autorizzazione paesaggistica all’epoca in cui esse hanno realizzato gli interventi, in ragione della prassi formatasi in forza degli indirizzi espressi dalla Regione Piemonte.

4. Del pari l’appello reitera l’assunto della non percettibilità degli interventi abusivi e sull’assenza di modificazioni al complesso immobiliare idonee a recare pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati nell’area. A questo riguardo si sottolinea che per la copertura del porticato si sono utilizzati coppi vecchi recuperati dal tetto precedente e per la trasformazione della stalla in magazzino si sarebbero eseguite soltanto opere interne, mentre sarebbe paesaggisticamente irrilevante sarebbe la sostituzione degli infissi. Si tratterebbe nel loro complesso di interventi edilizi sarebbero esclusi dal campo di operatività dell’autorizzazione paesaggistica, perché compresi nelle tipologie A.1 ed A.2 dell’allegato A al DPR 13 febbraio 2017, n. 31 ( Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata ).

5. Con gli ulteriori motivi d’appello sono riproposte le censure concernenti la quantificazione dell’indennità ex art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione alle quali, oltre all’utilizzo di una perizia di stima delle Entrate, si contesta la valutazione unitaria degli interventi, benché oggetto di due separate istanze di accertamento della compatibilità paesaggistica, e la contraddittorietà della stima seguita per determinare il profitto conseguito, nella quale si sarebbe alternativamente utilizzato il valore di mercato del fabbricato e quello delle opere eseguite, rispetto ai relativi costi di costruzione.

6. Al medesimo riguardo si ripropongono le censure concernenti la mancata indicazione della possibilità di pagamento in misura ridotta, ai sensi dell’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689 ( Modifiche al sistema penale ), e l’addebito delle spese di perizia.

7. Le censure così sintetizzate sono infondate.

8. La sentenza deve innanzitutto essere confermata nella parte in cui ha statuito che il vincolo paesaggistico sull’area in cui ricade il complesso edilizio oggetto di controversia « risale al 1985 », e cioè al sopra richiamato decreto ministeriale in data 1° settembre 1985, dichiarativo del notevole interesse pubblico della zona. Con il sopra citato parere dell’Adunanza generale di questo Consiglio di Stato n. 4 dell’11 aprile 2002, si è infatti chiarito che i decreti in questione hanno comportato l’estensione nei confronti dei proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni ricadenti nelle zone individuate dai provvedimenti ministeriali dell’obbligo di sottoporre alla Regione i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenerne la preventiva autorizzazione paesaggistica, secondo la legislazione di tutela dei beni artistici e paesaggistici all’epoca vigente. Il fondamento normativo della potestà statale di imprimere vincoli di destinazione di carattere culturale, in ambito materiale nel frattempo divenuto di competenza delle regioni, è stato ricondotto dal parere al potere sostitutivo riservato allo Stato previsti dal richiamato art. 82 del DPR 24 luglio 1977, n. 616. Come poi ha statuito la sentenza, il parere ha carattere ricognitivo di effetti giuridici già prodottisi, per cui ne va esclusa la pretesa innovatività rispetto alla parimenti sopra menzionata circolare regionale del 30 luglio 1986, n. 16, che aveva invece escluso la necessità dell’autorizzazione paesaggistica.

9. Il medesimo parere dell’Adunanza generale ha inoltre affermato che in relazione agli interventi su immobili inclusi nelle zone vincolate in base ai decreti ministeriali, per i quali non sia stata richiesta in via preventiva l’autorizzazione paesaggistica, è consentito in funzione sanante il rilascio di quella postuma, oggi disciplinata dal più volte richiamato art. 167 del testo unico di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che le ricorrenti hanno poi domandato e quindi ottenuto. Nel caso specifico, la Regione Piemonte ha infine recepito i principi affermati in sede consultiva da questo Consiglio di Stato, con la delibera di giunta regionale 7 ottobre 2002, n. 38.

10. Accertati dunque i presupposti di ordine oggettivo dell’illecito paesaggistico, sul piano soggettivo va esclusa l’ipotesi della buona fede prospettata dalle ricorrenti sulla base della previgente circolare del 30 luglio 1986, n. 16. Sul punto va ancora una volta confermata la sentenza di primo grado, laddove ha attribuito rilievo decisivo al fatto che le ricorrenti non hanno nemmeno richiesto il rilascio dei permessi di carattere edilizio.

11. Quanto all’asserita non percettibilità degli interventi abusivi e all’assenza di modificazioni al complesso immobiliare idonee a recare pregiudizio ai valori paesaggistici tutelati nell’area, l’appello si rivela carente di censure specifiche nei confronti della sentenza di primo grado. Con diffusa motivazione, priva di errori di carattere logico, questa ha innanzitutto accertato che la valutazione sull’impatto degli interventi è stata svolta nel parere positivo di compatibilità paesaggistica espresso dalla competente Soprintendenza nei procedimenti avviati ad iniziativa delle ricorrenti, per concludere nel senso dell’esistenza di abusi c.d. minori, non comportanti la creazione di volumi o superfici in zona vincolata, e dunque sanabili ai sensi dell’art. 167, comma 5, lett. a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La sentenza ha inoltre ritenuto che la valutazione della Soprintendenza, poi recepita dal Comune di Racconigi, fosse riscontrata dagli accertamenti svolti dalla Direzione provinciale di Cuneo dell’Agenzia delle Entrate in sede di perizia di stima dell’indennità ai sensi della disposizione da ultimo richiamata. Sulla base del documento peritale, la pronuncia di primo grado ha dato atto che « le opere eseguite sono consistite, tra le altre, nella trasformazione/recupero di una stalla in disuso in un locale ad uso ricettivo con realizzazione anche di opere esterne (quali aperture, posa di serramenti in alluminio, sfiati e camini, tutte opere percepibili da diverse prospettive) e nel rifacimento della copertura della tettoia, con realizzazione di nuova struttura portante in legno e lastre ondulate in cemento a vista, oltre ad altre opere esterne di più modeste dimensioni (una centrale termica, un angolo barbecue un piano cottura e un lavello) »;
ed ha concluso nel senso della « rilevanza paesaggistica degli interventi (per l’uso di materiali incongrui, per la modifica di destinazione d’uso, per la realizzazione di modifiche percepibili all’esterno) », riconosciuta peraltro « dalle stesse ricorrenti che hanno formulato istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ». Come sopra accennato, in relazione alla ricostruzione dei fatti da parte della pronuncia di primo grado l’appello non formula censure specifiche, invece necessarie ai sensi dell’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. per devolvere in secondo grado il punto controverso.

12. Devono inoltre essere respinte le censure concernenti la quantificazione dell’indennità, con le quali in primo luogo si contesta la scelta di fare svolgere la stima all’Agenzia delle Entrate, ed inoltre il criterio unitario da questa seguito per gli interventi sulla stalla e sul portico, che la sentenza di primo grado ha giudicato legittimo. Per quanto riguarda l’affidamento dell’incarico peritale ex art. 167, comma 5, del testo unico dei beni culturali e paesaggistici, in assenza di divieti ai sensi della disposizione da ultimo richiamata sono da escludere profili di illegittimità, nei confronti di un apporto di tipo consultivo facoltativamente richiesto dall’amministrazione procedente. Con riguardo all’unitaria considerazione delle opere realizzate sulla stalla e il porticato non viene nemmeno prospettato che essa si risolverebbe per l’autore dell’abuso in un metodo di stima sfavorevole.

13. Nella determinazione del profitto conseguito ai sensi dell’art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, non sono inoltre ravvisabili gli errori e contraddizioni dedotti nell’appello. Sul punto, deve premettersi che l’Agenzia delle Entrate ha utilizzato il procedimento del « costo di riproduzione deprezzato », dato secondo le circolari ministeriali in materia dalla sommatoria di tutti i costi dei fattori produttivi necessari a realizzare le opere, diminuita per la vetustà e l’obsolescenza. Le contestazioni formulate nell’appello all’analitica stima seguita per la determinazione del profitto si limitano in primo luogo ad evidenziare una pretesa contraddizione nell’utilizzo dei fattori di calcolo, desunta dall’alternativo impiego delle espressioni « più probabile valore di mercato del fabbricato oggetti di interventi non autorizzati » e « valore di mercato delle opere eseguite », da cui sono stati dedotti i costi di realizzazione delle opere abusive;
ed in secondo luogo a supporre che non si sarebbe tenuto conto del « valore venale ante abuso » degli immobili interessati dalle opere abusivamente realizzati. Sennonché, entrambi i profili di legittimità dedotti vanno esclusi sulla base dell’analitica stima dell’Agenzia delle Entrate, in cui il profitto conseguito è stato ricavato considerando tutti i costi di produzione delle opere, tra cui il valore di mercato degli immobili prima degli interventi e i costi inerenti a questi ultimi.

14. Infine, tanto la mancata indicazione della facoltà di pagamento dell’indennità in misura ridotta, ai sensi del sopra citato art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, quanto l’addebito alle ricorrenti delle spese di perizia, non attengono alla manifestazione di volontà provvedimentale in cui si sostanzia la determinazione dell’indennità ai sensi del più volte citato art. 167, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, ma concernono questioni di carattere patrimoniale ad essa estranee. Nello specifico, il mancato avviso della possibilità di pagamento in misura ridotta non ha attitudine invalidante del provvedimento sanzionatorio, ma consente al destinatario di avvalersene comunque, ed eventualmente di essere rimesso in termini in caso di ambigue indicazioni dell’autorità amministrativa. Nel caso di specie, peraltro, come statuito dalla sentenza la volontà di pagamento in misura ridotta deve escludersi sulla base del fatto che è stato proposto ricorso nella presente sede giurisdizionale. Con riguardo alle spese di perizia, ribadita la loro irrilevanza rispetto alla manifestazione di potere autoritativo, in linea con quanto statuito dalla sentenza va in ogni caso sottolineato che in base al medesimo art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si desume che quali « spese del procedimento » esse sono legittimamente addebitate al soggetto sanzionato.

15. L’appello deve quindi essere respinto, per cui va confermata la sentenza di primo grado, ma per la complessità delle questioni controverse le spese di causa possono essere compensate.

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