Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2011-02-14, n. 201100960
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N. 00960/2011REG.PROV.COLL.
N. 06176/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6176 del 2006, proposto da:
V F;S E Q. erede di Previtera Salvatore, C U, V L, B A, D M M in P. e Q. Procuratrice Gen.Le di R C, G E, A G, I R, D M R, C R, P C, E A, B M, D'Arco Elisabetta, A M, B V Q. erede di B A, I M, P L, A L, M M, A B, S G, B A Q. erede di B A, T A Q. erede di B A, D M A L, S P, M R, P A, S V, E Tmasina, Scarica Mario, Auriemma Maria, Langellotti Anna, Galasso Gina, Mele Candida, Ferraioli Natale Vitolo, Marini Maria Laura, Gallotti Umberto, Conte Gioacchino, De Martino Vincenzo, Cali' Fulvio Riccardo, Cecere Raffaele, Abate di Martino Antonio, Zincone Raffaele, Iovine Natale, Ilardi Francesco, Buonocore Catello, Cosenza Antonella, Messina Michele, Calo' Eduardo, Longobardi Francesco, Gargiulo Vincenza, Viglietti Salvatore, Manvati Carolina, Di Martino Ciro, Gallinari Pietro, Rocco Carmela Q. erede di Girgenti Gaetano, Gallinari Giuseppina Q. erede di Esposito Ciro, Tremante Gennaro, Della Monica Pasquale, Santaniello Ubaldo, Tuppo Vincenzo, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Aldo Starace, con domicilio eletto presso l’avv.Claudia De Curtis in Roma, via Marianna Dionigi, 57;
contro
Comune di Castellammare di Stabia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Erik Furno, con domicilio eletto presso l’avv.Ugo Guerriero in Roma, viale dei Colli Portuensi 187;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 08739/2005, resa tra le parti, concernente RETRIBUZIONI DOVUTE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2010 il Cons. Francesca Quadri e udito per gli appellanti l’avvocato Starace;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sono stati assunti a tempo determinato dal Comune di Castellammare di Stabia ai sensi della legge n. 285 del 1977 che, all’art. 26 bis, prevedeva , ai fini della stabilizzazione, lo svolgimento di attività di formazione non retribuita.
Dall’aprile 1980 all’aprile 1981 ai ricorrenti veniva applicata la decurtazione prevista dall’art. 26 bis pur essendo essi utilizzati interamente in attività lavorativa.
Nel 1998, gli stessi hanno impugnato dinanzi al Tar Campania il diniego opposto dall’ente (note del 15.7.1998) alla loro richiesta di estensione del giudicato formatosi in relazione alla sentenza del Tar Campania n. 463/98 – pronunciata su ricorso di altri dipendenti- con cui veniva dichiarata l’illegittimità della decurtazione del 30% del trattamento economico applicata, a loro dire, in casi analoghi
Il Tar ha respinto il ricorso sulla base della corretta applicazione da parte dell’amministrazione del divieto di estensione del giudicato nella materia del pubblico impiego stabilito dall’art.1, comma 45 della legge n. 549 del 1995 per il triennio 1996-1998 , poi esteso dall’art. 24 della legge n. 144/1999 anche al triennio 1999-2001, e dell’intervenuta prescrizione quinquennale del diritto.
Gli interessati propongono appello assumendo la sussistenza di un potere discrezionale della p.a. di valutare la richiesta , l’inapplicabilità del divieto di estensione del giudicato, dato l’intervallo di cinque mesi (tra il 1° gennaio 1999 e l’entrata in vigore della legge n. 144/1999)in cui l’amministrazione avrebbe potuto provvedere, l’esecutività della sentenza n. 463/98 anche prima del passaggio in giudicato nonché l’applicazione alla fattispecie, da qualificarsi come di indebito arricchimento della p.a., della prescrizione decennale.
Il Comune si è costituito resistendo ai motivi di appello mediante memoria.
All’udienza del 30 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, vanno giudicate manifestamente infondate le prospettate censure di illegittimità costituzionale della disciplina che ha introdotto il divieto di estensione del giudicato nella materia del pubblico impiego.
Invero, come già posto in rilievo dalla giurisprudenza della Sezione (Cons. St. Sez. V, 25.1.2005, n. 139;02-04-2002, n. 1802), in tema di divieto di estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato nel pubblico impiego, la posizione giuridica di coloro che abbiano presentato un tempestivo ricorso si differenzia sotto il profilo soggettivo da quella degli altri dipendenti che avevano prestato acquiescenza rimanendo inattivi e le esigenze di risanamento della finanza pubblica – che necessariamente ricomprendono tutte le pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali - sono idonee a sorreggere disposizioni che introducono differenze di trattamento o temporanee misure limitative volte a conseguire economie di spesa.
Ciò premesso, sono infondati i primi due motivi di appello con cui si contesta l’applicabilità del divieto di estensione del giudicato sancito dall’art. 1 comma 45 L. n. 549/95 (“Per il triennio 1996-1998 è fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 , e successive modificazioni ed integrazioni, di adottare provvedimenti per l'estensione di decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive, nella materia del pubblico impiego”).
Al riguardo si osserva che la richiamata previsione normativa non lascia alcun margine di apprezzamento discrezionale in capo alle Amministrazioni, vietando in modo tassativo qualunque forma di estensione soggettiva del giudicato in tema di impiego pubblico. Pertanto, correttamente l’amministrazione non ha fatto uso di potere discrezionale circa l’apprezzamento della sussistenza delle posizioni analoghe a quelle positivamente scrutinate dal giudice amministrativo, ostandovi il preciso divieto stabilito per legge.
Irrilevante appare quindi la circostanza che la sentenza di cui veniva chiesta l’estensione fosse esecutiva al momento della richiesta, ostando comunque alla sua efficacia nei confronti di soggetti diversi dalle parti del giudizio il chiaro divieto recato nella legge finanziaria per il 1996.
Né poteva la p.a. procedere ad una sospensione del procedimento in attesa della scadenza del divieto, come adombrato dall’appellante, integrando un simile comportamento una violazione dell’obbligo di provvedere.
Va peraltro negato ogni rilievo all’intervallo temporale intercorrente tra il termine di vigenza del divieto recato dalla legge n.549/95 e l’estensione intervenuta per effetto della legge n.144/99, collocandosi temporalmente le note di diniego impugnate sotto la stretta vigenza della prima disposizione.
Parimenti infondato è il motivo d’appello con cui si intenderebbe far risalire la domanda direttamente al principio enunciato dalla sentenza n.463/98 concernente l’applicazione della legge n.285 del 1977, che prevedeva la decurtazione del 30% dello stipendio solo in caso di mancato svolgimento della attività lavorativa (art. 26 bis).
Il Tar, a riguardo, ha correttamente considerato prescritta la domanda essendo trascorsi oltre cinque anni dalla maturazione del diritto.
Sotto questo profilo, è da respingersi il motivo con cui gli appellanti sostengono la durata decennale del termine di prescrizione qualificando la fattispecie come ripetizione di indebito .
In base ad una lineare ricostruzione della fattispecie, infatti, il rapporto controverso riguarda la pretesa dei ricorrenti alla corresponsione di somme quali corrispettivo dell’ esercizio di attività lavorativa non remunerata. La relativa obbligazione va pertanto configurata come credito da lavoro per il quale si applica la prescrizione di cinque anni di cui all’art. 2948, n. 4 cod. civ.
La decorrenza va fissata al momento in cui gli interessati hanno potuto far valere il loro diritto, ossia dal pagamento parziale delle prestazioni lavorative avvenuto negli anni 1980 - 1981.
Come correttamente osservato dal primo giudice, nessun diverso termine di decorrenza è stato indicato dai ricorrenti , né è stata data prova circa la natura precaria del rapporto di lavoro, sicchè al momento della presentazione della richiesta di estensione del giudicato- pur a voler considerare tale atto come diffida ad adempiere in applicazione diretta della legge n. 285 del 1977- il termine di prescrizione era già abbondantemente trascorso.
L’appello deve essere pertanto respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio.