Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-04-16, n. 201401871

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-04-16, n. 201401871
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401871
Data del deposito : 16 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00249/2009 REG.RIC.

N. 01871/2014REG.PROV.COLL.

N. 00249/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 249 del 2009, proposto da:
D F, R V, rappresentati e difesi dagli avv. M C, C T, con domicilio eletto presso M C in Roma, via Antonio Gramsci, 36;

contro

Comune di Trento, rappresentato e difeso dall'avv. P S R, con domicilio eletto presso P S R in Roma, viale Mazzini, 11;

nei confronti di

Provincia Autonoma di Trento, Montel Albino, non costituiti;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 00242/2008, resa tra le parti, concernente variante al P.R.G. relativa alla destinazione di zona soggetta a piano urbanistico attuativo


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli Avvocati Calò e Stella Richter;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I signori Franco D e Valentina Rossi D sono, rispettivamente, proprietario e usufruttuaria di un terreno nella circoscrizione di M, località Maset, nel territorio del Comune di Trento.

Secondo l’originario P.R.G., il terreno era destinato, per la maggior parte, a verde privato – H2 e, per la residua parte, a zona edificata di integrazione e di completamento – B3.

Una successiva variante - adottata dal Consiglio comunale con deliberazione n. 130 del 24 novembre 2006 e approvata dalla Giunta provinciale con deliberazione n. 200 del 1° febbraio 2008 - ha destinato a zona di espansione residenziale, soggetta a piano attuativo di iniziativa privata – C3, un’area verde, nella quale era ricompreso anche il terreno dei signori D, in precedenza classificato come H2.

I signori D - che nel corso del procedimento avevano presentato osservazioni, chiedendo la trasformazione in B3 di una fascia del proprio terreno, al momento in H2 e, per il resto, il mantenimento della destinazione a verde - hanno impugnato le delibere ricordate.

Con sentenza 6 ottobre 2008, n. 242, il T.R.G.A. del Trentino Alto Adige, risolte alcune questioni procedurali, ha respinto il ricorso condannando i ricorrenti alle spese di giudizio. In sostanza, il Tribunale territoriale ha ritenuto infondata la censura di carenza di motivazione degli atti impugnati.

I signori D hanno interposto appello contro la sentenza e ne hanno anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva, formulando una domanda cautelare che la Sezione ha poi accolto - limitatamente alla condanna alle spese di giudizio - con ordinanza 3 febbraio 2009, n. 627.

Nel merito, l’appello denuncia l’error in iudicando della sentenza, che non avrebbe motivato in ordine a un duplice profilo:

1. violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e segg. della legge provinciale 5 settembre 5 settembre 1991, n. 22, e dell’art. 39 delle N.T.A. al P.R.G. Secondo la normativa locale, il piano attuativo sarebbe lo strumento per addivenire ad una pianificazione urbanistica di dettaglio di determinate parti del territorio comunale a fini di recupero, di lottizzazione e per comparti edificatori: sarebbe cioè uno strumento preordinato all’efficiente utilizzo o recupero di aree dismesse, trascurate o di minimo valore o di esigua estensione. Tale presupposto mancherebbe nel caso di specie, là dove – per ammissione dello stesso Comune – non si tratterebbe di riqualificare un’area o di perseguire interessi collettivi, ma di sacrificare aree pregevolmente utilizzate per privilegiare una destinazione a scapito della proprietà privata.

Del pari, sarebbe inconferente l’applicazione dell’art. 39 delle N.T.A., che richiederebbe un piano attuativo solo per le aree pressoché inedificate, prive di reti infrastrutturali o dotate di reti inidonee a consentire nuova edificazione o bisognose di un significativo intervento su tali reti. L’area controversa, invece, sarebbe tutt’altro che inedificata e priva di reti infrastrutturali.

La pista ciclabile prevista dalla variante, che corre lungo il perimetro sud dell’area C3 degli appellanti, in parallelo ad altra pista già esistente e utilizzata, sarebbe in realtà un’opera di viabilità del P.R.G. posta al servizio della collettività e richiederebbe semmai non un piano attuativo, ma una procedura di espropriazione. Sul punto, il Comune avrebbe risposto in modo contraddittorio alle raccomandazioni della C.U.P., che avrebbe richiesto, per l’accesso alla nuova area C3, il ricorso alla viabilità comunale, evitando la creazione di nuovi accessi sulla strada statale;

2. mancata considerazione del rischio idrogeologico. Come apparirebbe dalla documentazione in atti, il terreno si troverebbe sul confine di un’ampia area di rispetto idrogeologico. Contraddittoriamente, il Comune avrebbe accolto le osservazioni di un altro proprietario, riconoscendo che la delicatezza della situazione idrogeologica avrebbe richiesto un approccio di grande prudenza riguardo a ipotesi di ulteriori urbanizzazione dell’area.

In concreto, gli appellanti sarebbero titolari di un’aspettativa qualificata, derivante anche dall’adozione di un nuovo piano urbanistico provinciale - P.U.P., che, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, comporterebbe un obbligo di motivazione anche per le scelte generali di pianificazione urbanistica, quale quella impugnata.

Il Comune avrebbe dovuto rispondere adeguatamente anche alle osservazioni dei signori D e si sarebbe espresso in termini contraddittori circa lo stato dei luoghi, considerando l’area ora zona di pregio, ora zona interstiziale.

Il Comune di Trento, costituitosi in giudizio per resistere all’appello, sostiene che la relazione di accompagnamento alla variante illustrerebbe ampiamente le ragioni sottese alle singole scelte e così assolverebbe l’onere di motivazione. In particolare, per quanto riguarda la zona C3, la variante avrebbe previsto il piano attuativo, in luogo dell’edificazione diretta (come richiesto anche dagli appellanti), proprio in considerazione del particolare pregio della zona medesima, al fine di evitare le conseguenze di interventi frammentari e non coordinati e soddisfare esigenze di coerenza e unicità nell’utilizzo del suolo.

Non vi sarebbe dunque alcuna violazione della normativa provinciale, poiché il pianificatore avrebbe correttamente valutato la natura scarsamente edificata dell’area, l’interposizione tra zona residenziale e produttiva, le esigenze di tutela del rio, così come l’esigenza di prevenire edificazioni episodiche e la conseguente necessità di una pianificazione attuativa, nonché la necessità di un particolare accesso in termini di viabilità, di una pista pedociclabile e di un’area di sosta alberata, realizzabili, appunto, solo mediante la pianificazione attuativa.

Peraltro, diversamente da quanto afferma l’appello, la funzione del piano attuativo non sarebbe affatto quella di consentire il recupero di aree dismesse o degradate, quanto piuttosto quella di garantire un intervento coerente su fondi che sarebbero penalizzati dalla frammentazione delle iniziative.

Quanto alla pista ciclabile, il piano attuativo richiederebbe per sua natura la cessione di spazi da destinare a servizi pubblici.

Sarebbe infine irrilevante il mancato accoglimento dei rilievi espressi dalla C.U.P., posta la funzione consultiva, e non vincolante, della Commissione.

Sul punto della censurata mancata considerazione del rischio idrogeologico, il Comune afferma che non vi sarebbe stata alcuna disparità di trattamento nello stralcio deciso per altre aree della medesima circoscrizione di M (in particolare: la località Ronchi), escluse dalla previsione della zona C3 perché considerate a rischio elevato. Rischio che invece non sussisterebbe per la superficie degli appellanti in base alla mappatura del rischio idrogeologico, aggiornata al 2002 dall’ufficio geologico comunale, peraltro non impugnata.

Nell’imminenza dell’udienza di discussione, le parti hanno depositato memorie.

Gli appellanti osservano che il Comune non avrebbe avviato alcuna attività di esproprio né compiuto lavori, dimostrando così una carenza di interesse a realizzare finalità ormai superate.

Il Comune replica considerando la questione estranea al thema decidendum.

Gli appellanti replicano, a loro volta, con un’ulteriore memoria.

All’udienza pubblica dell’11 marzo 2014, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Gli appellanti si dolgono della variante al P.R.G. del Comune di Trento, definitivamente adottata nel 2008.

A questo riguardo, per costante orientamento della giurisprudenza, le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate (cfr. ad es., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323;
Id., sez. IV, 25 novembre 2013, n. 5589).

In conformità all’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, gli strumenti urbanistici, in quanto atti a contenuto generale, non richiedono motivazione. Di tenore analogo è l’art. 4, comma 2, della legge provinciale 23 novembre 1992, n. 23.

E quando, in relazione alle particolarità della concreta fattispecie, si giudica tuttavia necessaria una motivazione, il relativo onere è soddisfatto attraverso una motivazione espressa in termini generali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2013, n. 4925). Questa, nella specie, non manca, ed è costituita dalla relazione di accompagnamento al progetto di variante, secondo la lettura che di essa dà la sentenza impugnata (lettura che il Collegio condivide e che ritiene di poter fare propria) e nelle controdeduzioni del Comune all’osservazione n. 455, che a tale relazione si rifanno in buona misura.

2. Per la verità, gli appellanti assumono di essere titolari un’aspettativa qualificata alla trasformazione dell’area a destinazione agricola di pregio, quale deriverebbe dal progetto del nuovo P.U.P., peraltro modificato in parte qua in sede di approvazione del progetto definitivo.

Senonché - come ha osservato il T.R.G.A. di Trento con la sentenza 9 settembre 2008, n. 27 - quella dei signori D era solo “una generica aspettativa ad una potenziale reformatio in melius”, incapace sotto alcun profilo di costituire un diverso affidamento.

Mancava dunque quella situazione qualificata dalla quale soltanto sarebbe sorto un onere di motivazione specifica a proposito della posizione degli odierni appellanti e agli interessi da questi fatti valere.

3. Tanto premesso in termini generali, l’appello è infondato.

In primo luogo, è indimostrata la tesi che, secondo la normativa locale, il piano attuativo sia uno strumento preordinato all’efficiente utilizzo o recupero di aree dismesse, trascurate o di minimo valore o di esigua estensione.

L’art. 43, comma 1, della legge provinciale n. 22 del 1991 si limita a stabilire che tale piano è “lo strumento per addivenire ad una pianificazione urbanistica di dettaglio di determinate parti del territorio comunale”.

Il piano attuativo è obbligatorio per le aree delimitate dal piano regolatore generale in funzione di una specifica disciplina (art. 18, comma 4, della legge provinciale citata).

La sua adozione altrimenti è libera e rimessa alla valutazione discrezionale dell’Ente, in relazione all’esigenza di assicurare uno sviluppo ordinato e orientato dell’area considerata, senza essere per nulla legata a ulteriori, specifici presupposti.

Difatti l’Amministrazione, facendo uso non irragionevole dei propri poteri, ha ritenuto opportuno porre rimedio ai rischi di una edificazione episodica nell’area (accanto alla proprietà degli appellanti sorgono anche un edificio residenziale e ville con piscina, come informa la memoria degli appellanti del 14 febbraio scorso), predisponendo “un progetto unitario di impostazione dell’area” (v. le controdeduzioni di reiezione all’osservazione n. 455).

4. Non si giunge a conclusioni diverse sulla base dell’art. 39 delle N.T.A.

Il comma 1 dell’articolo stabilisce che “le aree destinate a nuovi complessi insediativi e ad interventi di riqualificazione urbana sono quelle, pressoché inedificate, nelle quali le reti infrastrutturali sono mancanti o comunque inidonee a consentire nuova edificazione, ovvero quelle dove la necessità di un ridisegno complessivo comporta significativi interventi sulle reti infrastrutturali. Pertanto, l'utilizzo di queste aree è subordinato all'esistenza di un piano attuativo”.

L’area in questione, prima della modifica del P.R.G., era destinata a verde privato. Sebbene l’appello sostenga il contrario, è naturale che, nel suo insieme, fosse scarsamente edificata e dotata di infrastrutture modeste. Proprio in corretta applicazione della norma, il Comune ha previsto il ricorso al piano attuativo per disciplinarne l’utilizzo.

5. Le altre considerazioni dell’appello non hanno maggiore pregio.

Sono infondate, e comunque di dettaglio, sia quelle relative alla pista ciclabile (che avrebbe dovuto essere oggetto di esproprio e non di piano attuativo), poiché quest’ultimo bene può prevedere l’obbligo di cessione di aree per finalità pubbliche, sia quelle concernenti il mancato recepimento delle osservazioni della C.U.P., la cui funzione è consultiva e non vincolante.

5. L’appello si impegna molto sulla questione del rischio idrogeologico (considerato “il punto centrale del ricorso”), che graverebbe sull’area controversa, come avrebbe ammesso il medesimo Comune nell’accogliere invece le osservazioni formulate sul punto da un altro proprietario.

Benché tali prospettazioni possano suonare anche suggestive, esse non sono concludenti.

Come ha osservato la difesa dell’Amministrazione, secondo i dati in possesso del Comune i terreni in questione apparivano invece oggetto di valutazioni differenti (superficie a rischio elevato, l’una;
superficie con penalità leggere, quella degli appellanti). Questa difformità non può essere contraddetta dai risultati di uno studio privato (la perizia geologica citata dagli appellanti, riferita a un terreno prossimo a quello dei signori D), il quale anzi conferma come - secondo gli atti dell’Amministrazione (la carta di sintesi geologica P.U.P. 2003 e il P.R.G. comunale, variante del 2003) - il sito ricadesse in un’area di controllo geologico con penalità leggere. E’ dunque questo obiettivo elemento di fatto che giustifica la diversa risposta data dall’Ente alle osservazioni proposte dai diversi interessati.

6. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata anche nella parte concernente la condanna alle spese per quel grado di giudizio, con riguardo alla quale l’appello stesso muove contestazioni generiche.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso. In particolare, il mancato avvio dei lavori, allegato dagli appellanti, non può di per sé rappresentare l’indice di una sopravvenuta carenza di interesse del Comune all’attuazione del piano. Ciò di cui si discute, infatti, è la legittimità della variante al P.R.G. al momento della sua adozione, prima, e della sua approvazione, poi.

Peraltro, apprezzate le circostanze, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

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