Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-01-30, n. 202000771

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-01-30, n. 202000771
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000771
Data del deposito : 30 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/01/2020

N. 00771/2020REG.PROV.COLL.

N. 07002/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 7002 del 2009, proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore e dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

contro

la sig.ra -OMISSIS-, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e concernente mancato riconoscimento di dipendenza d’infermità da causa di servizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Cons. Giancarlo Luttazi e udito l’avvocato dello Stato Generoso Di Leo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello notificato alla sig.ra -OMISSIS- il 30 luglio 2009 e depositato il 18 agosto 2009 le Amministrazioni in epigrafe hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. -OMISSIS-, depositata il 1° agosto 2008, la quale, compensando le spese, ha accolto il ricorso n. -OMISSIS-proposto dall’attuale appellata per l’annullamento, con gli atti connessi, del provvedimento del Ministero delle finanze - Direzione regionale delle entrate per la Regione Campania n. -OMISSIS-con cui, pur riconoscendosi l’infermità “ -OMISSIS- ” dipendente da causa di servizio, si è ritenuta la relativa domanda intempestiva ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686.

La sentenza appellata, assorbendo gli altri motivi del ricorso di primo grado, ne ha accolto la censura di difetto di motivazione, rilevando che sia la Commissione medica ospedaliera presso l’Ospedale militare di Caserta sia il conseguente il decreto ministeriale impugnato si sono limitati ad affermare che la domanda di riconoscimento era stata presentata oltre il termine di sei mesi di cui al citato articolo 36 del d.P.R. n. 686/1957;
e rilevando altresì che anche dopo le modifiche apportate alla legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, non era ammessa l’integrazione postuma della motivazione fornita dall’Amministrazione nel corso del giudizio di primo grado, essendosi l’Amministrazione limitata ad argomentare nel processo - con una non consentita integrazione della motivazione in una nota del 15 dicembre 1999 depositata con memoria del 15 gennaio 2000 - che la ricorrente già in data 21 novembre 1989 e in data 13 luglio 1987 ai fini di giustificare talune assenze dal servizio aveva prodotto certificazione medica dalla quale si evidenziava: “ la patologia suddetta sembrerebbe essere presente da anni ”.

L’appello denuncia:

1) violazione dell'art. 21- octies della legge n. 241/1990 in relazione all’ammissibilità dell’integrazione di motivazione in fase di giudizio;

2) violazione del principio del contraddittorio in relazione alla mancata ammissione di prova contraria sulla decadenza.

L’appellata non si è costituita.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 11 settembre 2014 parte appellante ha depositato, in data 3 novembre 2014, domanda di fissazione di udienza.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 10 dicembre 2019.

DIRITTO

L’appello va respinto.

1.- La sentenza appellata, assorbendo gli altri motivi, ha accolto la censura di difetto di motivazione rilevando che sia la Commissione medica ospedaliera presso l’Ospedale militare di Caserta sia il conseguente il decreto ministeriale impugnato si sono limitati ad affermare che la domanda di riconoscimento era stata presentata oltre il termine di sei mesi di cui al citato articolo 36 del d.P.R. n. 686/1957.

La sentenza ha precisato in proposito che anche dopo le modifiche apportate alla legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, non era ammessa l’integrazione postuma della motivazione fornita dall’Amministrazione nel corso del giudizio di primo grado.

La sentenza, in particolare ha affermato al riguardo :“ […] essendosi l’Amministrazione limitata ad eccepire - con una non consentita integrazione della motivazione in fase di giudizio - ad argomentare, nella nota del 15 dicembre 1999 depositata con la memoria del 15 gennaio 2000, che la ricorrente già in data 21 novembre 1989 e 13 luglio 1987 ai fini di giustificare talune assenze dal servizio aveva prodotto certificazione medica dalla quale si evidenzia che <<la patologia suddetta sembrerebbe essere presente da anni>> ”.

Il Tar ha ritenuto dunque che quella prospettazione di cui alla memoria in data 15 gennaio 2000 costituisse un’inammissibile integrazione postuma della motivazione, preclusa anche dopo le modifiche introdotte alla citata legge n. 241/1990 dalla legge n. 15/2005;
segnatamente, anche dopo l’introduzione, da parte dell’art. 14, comma 1, della citata legge n. 15/2005, dell’articolo 21- octies (art. 21- octies citato, comma 2: “ Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”).

L’Amministrazione appellante ritiene che l’assunto del Tar sia in palese contrasto con quel dettato normativo.

Ad avviso dell’Amministrazione il giudice di prime cure avrebbe dovuto consentire l’integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato;
e ritenere la carenza di motivazione vizio non invalidante e, alla luce della motivazione introdotta in giudizio e dei documenti presentati a sostegno, tale da comprovare la legittimità dell’impugnato diniego di riconoscimento per tardività della domanda.

L’interessata, secondo il Ministero, avrebbe potuto presentare, attraverso motivi aggiunti, eventuali ulteriori censure a sostegno della propria pretesa, sicché il giudizio avrebbe potuto avere ad oggetto non soltanto la legittimità formale dell’atto impugnato ma anche la legittimità sostanziale della pretesa dell’appellata.

Il Collegio condivide invece la giurisprudenza, prevalente, secondo cui il difetto di motivazione non rientra tra le violazioni formali rispetto alle quali può rilevare la causa di non annullabilità di cui all’art. 21- octies , della legge n. 241/1990;
e ritiene che conseguentemente anche dopo la novella normativa sia tuttora non consentita l’integrazione in sede giudiziale della motivazione carente (confr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3194).

Né può ravvisarsi un onere per la ricorrente in primo grado di proporre motivi aggiunti, posto che l’integrata motivazione non si concretava in provvedimenti impugnabili, ma in una memoria che allegava una pregressa nota ministeriale la quale a sua volta riferiva “ che la ricorrente già in data 21.11.1989 e 13.07.1987 ai fini di giustificare talune assenze dal servizio aveva prodotto certificazione medica dalla quale si evidenzia che <<la patologia suddetta sembrerebbe presente da anni>> ”.

Parimenti non può ritenersi, come invece pure affermato nell’appello, che il primo giudice avrebbe violato il contraddittorio per non aver consentito all’Amministrazione, ai sensi dell’articolo 2697, comma 2, del codice civile, prova contraria all’assunto della ricorrente.

La prova contraria sarebbe stata offerta dalla suddetta nota emessa il 15 dicembre 1999, e depositata con memoria in data 15 gennaio 2000, nota secondo cui, si ripete, “ la ricorrente già in data 21.11.1989 e 13.07.1987 ai fini di giustificare talune assenze dal servizio aveva prodotto certificazione medica dalla quale si evidenzia che <<la patologia suddetta sembrerebbe presente da anni >>”. Ma simili allegazioni non hanno natura di prova tale da dimostrare in giudizio, come previsto dal secondo comma, ultimo periodo, del citato articolo 21- octies , che “ il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”: il semplice rilievo, prospettato in una memoria giudiziale, che una nota del Ministero rilevava che la ricorrente, per giustificare assenze dal servizio, aveva prodotto certificati medici ove si affermava << la patologia suddetta sembrerebbe presente da anni >>
non è una prova ma un rilievo non supportato da dati certi.

Inoltre dalla documentazione suddetta risulta soltanto che a quell’epoca la patologia si era manifestata e poteva esser risalente, non già che a quelle date l’istante avesse contezza del loro nesso causale con il servizio prestato, nesso presupposto nell’art. 36 del d.P.R. n. 686/1957 applicato dall’Amministrazione (v. in proposito, per tutte: Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4065).

Conseguentemente quelle allegazioni nel corso del giudizio di primo grado non sono assimilabili a una prova ma disvelano natura di non consentita motivazione postuma.

L’appello offre a raffronto gli oneri probatori sulla tempestività della domanda previsti, per il contenzioso previdenziale dinanzi al giudice ordinario, dagli artt. 442 e seguenti del codice di procedura civile;
cause civili che l’appello definisce “ affatto analoghe, se non identiche ” a quella ora in esame. Ma una simile analogia/identità non appare sostenibile ove si consideri: l’onere di motivare i provvedimenti incidenti sulla sfera giuridica dei destinatari;
lo specifico procedimento amministrativo - di cui al d.P.R. n. 686/1957 da applicare a quella data - di riconoscimento della dipendenza d’infermità da causa di servizio;
il relativo sindacato del giudice amministrativo;
istituti propri di un comparto ordinamentale non assimilabile a quello oggetto del rito speciale dei citati artt. 442 seguenti del codice di procedura civile.

Da ultimo l’appello rileva che se la causa fosse stata promossa dopo il trasferimento al giudice ordinario delle controversie inerenti l’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione quest’ultima avrebbe goduto di un regime probatorio più favorevole, anche per maggiori i poteri istruttori demandati al giudice;
e prospetta che, nell’ottica del giusto processo e del principio di eguaglianza, non appare legittimo discriminare la disciplina della prova in giudizio a seconda del rito ed a fronte di identiche questioni di merito.

In proposito si osserva che il solo mutamento normativo sopravvenuto, con l’introduzione di un più favorevole regime giuridico (nella specie il regime probatorio), non è elemento esegetico tale da giustificare un’interpretazione della normativa vigente sulla scorta di quella sopravvenuta.

2.- L’appello va dunque respinto.

Nulla per le spese, non essendovi costituzione avversaria.

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