Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-02-10, n. 201500680
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Testo completo
N. 00680/2015REG.PROV.COLL.
N. 09726/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9726 del 2004, proposto da:
C L, S I in proprio e quale erede di M F, rappresentate e difese dall'avvocato E I F, con domicilio eletto presso Valentina Rossi in Roma, Via Francesco Saverio Nitti, n. 72; S I quale genitore esercente la potestà su M F Terzo, M F, quale erede di M F (3.11.52);
contro
Comune di Martinsicuro, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P R, con domicilio eletto presso Achille Carone Fabiani in Roma, Via Enrico Accinni, n. 63.
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA, n. 632/2004, resa tra le parti, concernente rilascio autorizzazione commerciale (risarcimento danni).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2014 il Cons. L M T e uditi per le parti gli avvocati Paolo Voltaggio, su delega dell'avvocato Fiore Enrico Ioannoni e Fabiani Achille Carone, su delega dell'avvocato P R;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per l’Abruzzo i Sigg.ri M F e Liliana C invocavano la condanna del Comune di Martinsicuro al risarcimento del danno, che gli istanti assumevano aver subito a seguito dell’illegittimo rilascio in favore del Sig. N Federico di autorizzazione commerciale riferita ad esercizio commerciale (posto a pochi metri di distanza da quello degli istanti medesimi), quantificabile in L. 220.700.000 e dovuto all’illegittimo comportamento della P.A.; delle conseguenze lesive derivate alla persona del Sig. M F nonché dell’ulteriore danno derivante da perdita della clientela e del valore dell’azienda, quantificabile in L. 153.000.000, addebitabili alla anzidetta Amministrazione Comunale; dei danni morali subiti dai Sigg.ri M e C, per la somma da liquidarsi in via equitativa.
2. Il primo giudice disattendeva le suddette istanze giurisdizionali, rilevando, che: a) il Sig. M non era mai stato il titolare della licenza autorizzativa della attività; b) il Sig. M non aveva avanzato impugnativa (quand’anche come solo gestore di fatto) unitamente alla Sig.ra C per tutelare quella attività che assumeva di aver gestito; c) non poteva sostenersi la gravosità della situazione (ritenuta di durata quindicennale secondo parte ricorrente), quando invece la stessa attività, sempre da parte ricorrente riferita al quinquennio dal 1985 (data di illegittima apertura del bar concorrente) al 1990, data di cessazione dell’attività stessa; d) rispetto alla lamentata situazione di danno per l’indicato periodo 1985-1990 l’istanza giurisdizionale proposta con ricorso notificato il 5.10.2001 veniva valutata, da un lato, evidentemente tardiva (posta dopo dieci anni e dunque ben oltre il termine di prescrizione), e dall’altro inammissibile stante che nel 1990 gli interessati avevano provveduto alla cessazione dell’esercizio del quale quindi si erano disfatti; e) l’attività del controinteressato era stata oggetto di interruzioni e si sarebbe svolta entro modesti limiti temporali oggettivamente inidonei a produrre un incisivo e durevole storno della clientela.
3. Con appello notificato il 12 ottobre 2004 la Sig.ra C e nella veste di eredi del Sig. M F, la sig.ra S I, in proprio e quale genitore esercente la potestà sul minore M F Terzo e il Sig. M F, propongono appello, chiedendo la riforma della sentenza indicata in epigrafe.
3.1 In particolare, gli appellanti con il primo motivo d’appello sostengono che contrariamente a quanto dedotto dal primo giudice sarebbe rinvenibile la presenza degli elementi tipici dell’illecito aquiliano: a) evento; b) nesso causale; c) danno ingiusto; d) elemento soggettivo.
3.2. La seconda doglianza esposta nel gravame in esame contesta il difetto di legittimazione rilevato dalla sentenza indicata in epigrafe del Sig. M, sostenendo che il danno da lesione di interesse legittimo non sarebbe configurabile solo nei confronti dei soggetti che siano contemplati nel provvedimento, dovendosi, al contrario, ritenere che chiunque si trovi ad essere inciso, direttamente o anche indirettamente, dalle conseguenze di un provvedimento illegittimo, possa avanzare richiesta di risarcimento, purché venga rispettato il principio di regolarità o adeguatezza relativo all'efficienza causale del provvedimento e riferito ai danni di cui si chiede il ristoro.
3.3. Ulteriore censura aggredisce il capo della sentenza che rileva la prescrizione del diritto al risarcimento del danno. A giudizio degli appellanti, invece, sarebbe un grave errore fissare nel 1990 l'inizio della decorrenza del termine di prescrizione, dovendo il dies a quo essere individuato nel 2000 ossia al tempo del passaggio in giudicato della pronuncia del TAR. Inoltre, nessuna incidenza potrebbe essere riconosciuta alla circostanza che nel 1990 era stata dimessa l'attività commerciale.
3.4. Un quarto motivo reca critica alla sentenza di prime cure quanto al soddisfacimento dell’onere probatorio da parte degli originari ricorrenti, sostenendo