Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-06-19, n. 201203557
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N. 03557/2012REG.PROV.COLL.
N. 01057/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1057 del 2012, proposto da D E, rappresentata e difesa dall'avv. D C, con domicilio eletto presso Stefano Brizi in Roma, via Alberto Guglielmotti 2;
contro
Comune di Lauro;
F F S, A B, F S, A R, A R;S M, M S, F S, G B, G D, R S B, F N L, A F, rappresentati e difesi dall'avv. D P, con domicilio eletto presso Nicola Petracca in Roma, via Ennio Quirino Visconti 20;
Commissione Elettorale Circondariale di Avellino e Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO, SEZIONE I, n. 1830/2011, resa tra le parti, concernente proclamazione candidato eletto alla carica di sindaco e consigliere comunale di Lauro 15-16/5/2011;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di S M, M S, F S, G B, G D, R S B, F N L e A F, nonché della Commissione Elettorale Circondariale di Avellino e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2012 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Cicenia e Pennetta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso originariamente depositato il 16-6-2011, notificato l’8-7-2011 e indi definitivamente depositato il successivo giorno 21, la signora Eutilia D, nella qualità di cittadina elettrice del Comune di Lauro (Avellino), impugnava dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione di Salerno - gli atti relativi alla consultazione elettorale del 15-16/5/2011 per il rinnovo del Consiglio comunale di Lauro e l’elezione diretta del relativo Sindaco.
Venivano investiti dal suo gravame l’atto di proclamazione del candidato eletto alla carica di Sindaco e degli eletti al Consiglio comunale di Lauro, nonché tutti gli atti del procedimento elettorale, provvedimenti dei quali si chiedeva l’annullamento instando per la conseguente rinnovazione delle operazioni di voto.
A fondamento dell’impugnativa venivano articolati sei motivi di censura.
Si costituivano in giudizio in resistenza al ricorso la Commissione Elettorale Circondariale di Avellino, patrocinata dalla difesa erariale, ed il Comune di Lauro, chiedendone il rigetto.
Il Tribunale adìto, con la sentenza n. 1830/2011 in epigrafe, dichiarata l’inammissibilità di alcuni profili del primo mezzo d’impugnativa, respingeva per il resto il ricorso, reputandolo infondato.
Da qui l’appello della sig.ra D avverso tale sentenza dinanzi a questo Consiglio, con la riproposizione delle censure svolte in prime cure nonché la critica alla pronuncia del primo Giudice, sotto più aspetti ed anche in rito, per averle disattese.
Resistevano all’appello la Commissione Elettorale circondariale ed i controinteressati consiglieri comunali eletti. La prima eccepiva la tardività dell’appello ed il proprio difetto di legittimazione passiva;tutti gli appellati costituiti, inoltre, l’infondatezza nel merito dell’impugnativa, della quale veniva pertanto chiesta la reiezione.
Alla pubblica udienza del 15 maggio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
1a. L’Avvocatura Generale dello Stato ha preliminarmente eccepito la tardività dell’appello. L’eccezione è però infondata. La sentenza in epigrafe è stata pubblicata il 14 novembre del 2011, e non risulta essere stata notificata. Da qui l’applicabilità, ai fini della proposizione del gravame, del termine c.d. lungo, sia pure dimezzato ai sensi dell’art. 131 comma 2 CPA : termine che risulta rispettato, dal momento che l’appello è stato affidato alla notifica a mezzo del servizio postale il 13 febbraio del corrente anno.
1b. La difesa erariale è tornata inoltre ad eccepire il difetto di legittimazione passiva della Commissione Elettorale Circondariale di Avellino.
Questa eccezione merita accoglimento.
L’art. 130 comma 3 CPA stabilisce che il ricorso relativo alle operazioni elettorali riguardanti le consultazioni amministrative debba essere notificato “ all’ente della cui elezione si tratta ”, oltre che alle altre parti che vi abbiano interesse. Con questa disposizione, individuando quale unica parte pubblica necessaria l’ente locale interessato dalle elezioni, cui vanno imputati i risultati elettorali, si è quindi recepita la consolidata posizione giurisprudenziale che esclude che siano annoverabili tra le parti necessarie del relativo contenzioso anche gli uffici elettorali (i quali esauriscono la loro funzione con la proclamazione degli eletti) e l’Amministrazione statale (C.d.S., V, 12 febbraio 2008 n. 496;3 febbraio 1999, n. 215).
La giurisprudenza, invero, è univoca nel senso che nei giudizi elettorali dinanzi al Giudice amministrativo l'individuazione della P.A. cui compete la qualità di parte vada effettuata non già in base al criterio dell'imputazione formale degli atti contestati, bensì secondo quello dell'imputazione dei risultati della consultazione, con la conseguenza che rispetto alle elezioni comunali parte necessaria è il Comune, e non già l'Amministrazione statale cui appartengono gli organi preposti alle operazioni. La Commissione e la Sottocommissione elettorale circondariale, organi per loro natura neutrali, non sono pertanto parti necessarie del giudizio impugnatorio sul verbale di proclamazione degli eletti. La legittimazione passiva è riconducibile, in tal caso, solo all'ente locale interessato, il quale si appropria del risultato elettorale e vede riverberarsi su di sé gli effetti dell'annullamento o della conferma della proclamazione degli eletti (V, 2 marzo 2009, n. 1159;23 luglio 2010, n. 4851;4 agosto 2010 n. 5183).
La Commissione Elettorale intimata va quindi estromessa dal giudizio.
2. Nel merito, l’appello è infondato.
I primi tre mezzi a base della presente impugnativa possono essere esaminati in maniera sostanzialmente unitaria.
Gli stessi, difatti, sono accomunati dal fatto di vertere tutti su una supposta violazione, da parte del Tribunale, dell’art. 73, ultimo comma, CPA, il quale impone al Giudice che ritenga “ di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio ” il dovere di indicarla alle parti in udienza, dando atto di tanto a verbale.
Ex adverso sono stati espressi dubbi sulla compatibilità di tale norma con il rito speciale proprio del contenzioso elettorale. Ma tali dubbi non hanno ragione d’essere, per lo meno con riferimento alla regola posta dal primo periodo del comma in rilievo, che è quella della cui osservanza qui specificamente si discute. La norma ha un fondamento generale, quello del canone del contraddittorio;né la semplice indicazione alle parti, in udienza, di una questione rilevabile d’ufficio ha di per sé un impatto sui tempi processuali suscettibile di apparire incompatibile con il regime accelerato proprio del rito delineato dagli artt. 130 e 131 CPA.
2a. Nondimeno, i richiami fatti dalla ricorrente a tale dovere di avviso alle parti sono infondati.
Parte ricorrente lamenta che il TAR abbia ritenuto infondati il primo ed il secondo mezzo dell’originario ricorso avvalendosi, all’uopo, di argomentazioni di merito mai sollevate dalle parti costituite in giudizio, senza avere ottemperato alla prescrizione del preventivo avviso ai contendenti ai sensi dell’art. 73 CPA.
Con questa doglianza viene però attribuito a quest’ultima previsione un ambito applicativo eccedente la sua portata.
La norma, che ha la funzione di tutelare l’effettività del contraddittorio dall’eventualità di decisioni c.d. solitarie o a sorpresa, riguarda, invero, unicamente le “ questioni rilevate d’ufficio ”.
L’espressione “questione rilevata d’ufficio” non può essere tuttavia intesa in modo atecnico ed omnicomprensivo, facendovi rientrare ogni valutazione del Giudice che, per il sol fatto di non essere un mero recepimento di argomentazioni di parte, già per questo si presenterebbe come compiuta “ d’ufficio ”.
In realtà, come non ogni affermazione difensiva del convenuto integra un’eccezione in senso proprio, allo stesso modo non ogni considerazione fatta dal Giudice motu proprio integra una “ rilevazione d’ufficio ” di una “ questione ”.
Giova allora osservare, introduttivamente, che il Giudice, per adempiere alla domanda di giustizia della parte che lo ha adìto, è onerato, per ciò stesso, della verifica circa la fondatezza sostanziale dei singoli motivi di ricorso, mediante confronto della fattispecie concreta a quella astratta di volta in volta invocata. La valutazione del relativo thema decidendum esige quindi immancabilmente la disamina giudiziale circa la sussistenza o meno degli elementi costitutivi delle singole figure di illegittimità denunziate dalla parte ricorrente.
In questo contesto, l’indicazione alle parti prescritta dall’art. 73 CPA non deve precedere qualsivoglia valutazione che il Giudice ritenga di compiere in autonomia dagli argomenti di parte, ma solo la rilevazione d’ufficio di “fatti” (sostanziali o processuali) ulteriori rispetto a quelli comunemente detti “costitutivi” della pretesa che è stata azionata attraverso ciascun motivo di ricorso.
Ne discende, per un verso, che ai fini della problematica in esame non viene in rilievo quanto attiene all’interpretazione normativa. Tutto quanto concerne la ricostruzione della portata delle norme invocate dalla ricorrente e la verifica circa il loro rispetto nel caso concreto esorbita dalla sfera di operatività dell’obbligo di avviso alle parti previsto dall’art. 73 CPA. Il Giudice, nell’espletare il relativo compito, non rileva alcuna “ questione ”, né d’ufficio né su eccezione, ma si limita alla pura e semplice verifica della fondatezza della costruzione giuridica che connota il singolo motivo d’impugnazione.
Di conseguenza, l’accertamento dell’esistenza della norma invocata, e soprattutto la sua interpretazione, anche in coordinamento con le altre ad essa eventualmente connesse, nonché la verifica della sua applicabilità alla specie, esulano dall’ambito della regola codicistica in discussione. Sicché il fatto che il Giudice dia alla singola norma una interpretazione diversa da quella patrocinata, oppure ritenga prevalente sulla prima una norma diversa, non forma materia di obbligatoria indicazione preventiva.
Su altro piano, parimenti esula dalla portata dell’art. 73 cit. la rilevazione della mancata prova dei fatti costitutivi alla base della singola censura di legittimità.
In tale area non sussiste per le parti alcun reale pericolo di “sorpresa”, né si pone il problema di una rilevabilità, alternativamente, d’ufficio o su eccezione di parte, di qualsivoglia “ questione ”, giacché una simile alternativa può porsi solo per la eventuale valorizzazione di fatti ulteriori rispetto ai fatti costitutivi connotanti il singolo motivo, al cui esame il Giudice procede in forza della domanda introduttiva che gli è stata rivolta.
“ Questioni rilevate d’ufficio ” propriamente dette sono, dunque, solo quelle che riguardano “fatti” (sostanziali o processuali) ulteriori rispetto a quelli costitutivi della pretesa che è stata azionata mediante ciascun motivo di ricorso (e quindi rispetto al thema decidendum di diritto sostanziale ad essi rispettivamente inerente).
Per quanto precede, la previsione dell’art. 73 si applica solo, quando ne emergano e siano rilevabili d’ufficio, ai fatti sostanziali c.d. modificativi, impeditivi o estintivi, idonei ad incidere ab extrinseco sulla fattispecie costitutiva della pretesa dedotta dal ricorrente, vanificandola. E si applica, inoltre, alle “ questioni ” di rito, vale a dire ai fatti cui la disciplina processuale attribuisca conseguenze incidenti –appunto- sul processo (ad esempio, la permanenza dell’interesse alla decisione: cfr. C.d.S., Ad. Pl., n. 3 del 2010).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione sviluppatasi a margine della previsione, dalla simile ispirazione, dell’art. 183, comma 4, c.p.c., con effetti pratici sostanzialmente non diversi ritiene che la violazione della norma possa dare adito a nullità della sentenza per lesione del diritto di difesa delle parti (art. 24 Cost.) solo allorché l’omesso avviso alle medesime riguardi questioni che aprivano nuovi sviluppi della lite non presi in considerazioni dai contendenti, “ modificando il quadro fattuale ” (Cass. civ., III, 31 ottobre 2005, n. 21108;27 aprile 2010, n. 10062).
Le Sezioni Unite Civili (30 settembre 2009, n. 20935) hanno inoltre osservato quanto segue.
“ E' convincimento di queste sezioni unite … che … la nullità processuale non possa essere, ipso facto, sempre e comunque predicata, quale conseguenza indefettibile di tale omissione. Per effetto del solo mancato rilievo officioso (e della conseguente, mancata segnalazione tempestiva alle parti) di questioni di puro diritto non sembra seriamente ipotizzabile, pur a fronte della violazione di un dovere "funzionale" del giudicante, la consumazione di altro vizio "processuale" diverso dall'error iuris in iudicando (ovvero ancora in iudicando de iure procedendo), la cui denuncia in sede di legittimità consentirebbe la cassazione della sentenza se (e solo se) tale error iuris risulti in concreto predicabile perchè in concreto consumatosi. Di conseguenza, saranno le sole questioni di fatto ovvero miste, di fatto e di diritto, a legittimare la parte soccombente (a prescindere dalla censura di erroneità della soluzione) a dolersi del decisum sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove (o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini).”
Nella presente vicenda nessun avviso alle parti era quindi dovuto.
L’attenzione del primo Giudice si è appuntata su ragioni ostative all’accoglimento delle censure attoree che discendevano linearmente dalla semplice interpretazione delle norme pertinenti alla fattispecie. Tali ragioni facevano dunque parte già ab origine del thema decidendum di diritto sostanziale introdotto dalla parte ricorrente attraverso i propri motivi di gravame, senza che vi sia stato “ rilievo d’ufficio ” di alcuna “ questione ”.
Per avvedersene occorre esaminare più da vicino il contenuto dei rilievi del primo Giudice.
2b. Con il secondo mezzo di prime cure la ricorrente lamentava che la Commissione Elettorale Circondariale aveva omesso di cancellare dalle liste elettorali 25 cittadini asseritamente ormai sprovvisti del requisito della dimora abituale nel Comune di Lauro.
Il TAR ha fatto però notare che la Commissione elettorale non avrebbe potuto procedere direttamente alla cancellazione dalle liste elettorali di soggetti per i quali poteva apparire carente il requisito della residenza, in quanto per la bisogna il Comune avrebbe dovuto preventivamente procedere alla relativa cancellazione anagrafica. In altre parole, le Commissioni elettorali avrebbero potuto procedere alla cancellazione dalle liste elettorali dei predetti 25 cittadini solo ove ne fosse previamente intervenuta la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente. Poiché, però, tale adempimento preliminare spettava al Comune, e questo non risultava avervi provveduto, l’organo elettorale non avrebbe potuto procedere alla cancellazione dei suddetti soggetti, per i quali ancora sussisteva il requisito della residenza.
Con queste notazioni il T.A.R. ha posto dunque in evidenza l’inconsistenza - per difetto di presupposto - dell’addebito di legittimità mosso dalla ricorrente alla Commissione elettorale, limitandosi a dare la corretta interpretazione delle norme evocate in giudizio dalla ricorrente, e a constatare la mancata prova dei fatti costitutivi necessari a supportare il relativo motivo di gravame, senza quindi rilevare d’ufficio alcuna “ questione ”.
2c. A questo punto la Sezione, per semplicità espositiva, ai fini dell’immediato superamento, con il terzo motivo di appello, anche del quarto, che ha riproposto l’originaria censura testé ricordata, a riprova dell’insussistenza del vizio sostanziale già dedotto deve fare altresì notare che nessuna reale obiezione è stata mossa in questa sede avverso l’ulteriore e decisivo rilievo del Giudice locale che il procedimento di verifica alla data della consultazione non risultava ancora essersi concluso. D’altra parte, la circolare dell’