Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-12, n. 201500030

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-12, n. 201500030
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500030
Data del deposito : 12 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07189/2008 REG.RIC.

N. 00030/2015REG.PROV.COLL.

N. 07189/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7189 del 2008, proposto da:
Provincia di Massa Carrara (Mc), in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. L G, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’avv. Gianluca Barneschi, via Panama 77;

contro

Impresa C Mauro S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. D A, dall’avv. P S e dall’avv. G C D Gioia, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma , piazza Giuseppe Mazzini, 27;
Regione Toscana;
Comune di Aulla (Mc);
Comunità Montana della Lunigiana, Cermec S.p.a.;
Papale Manuela;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Toscana, Sez. II, n. 1026 dd. 11 aprile 2008, resa tra le parti e concernente annullamento in parte qua del Piano provinciale di gestione rifiuti urbani


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 luglio 2014 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Provincia di Massa Carrara l’avv. L G e per l’appellata C Mauro S.r.l. l’avv. D A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. La vicenda dedotta nel presente giudizio necessita, per la sua definizione, di una compiuta esposizione dei fatti di causa così come risultanti dall’esposizione fattane nella sentenza impugnata.

Con deliberazione consiliare 29 settembre 2004 n. 36 la Provincia di Massa Carrara ha approvato a’ sensi dell’art. 12 della L.R. 18 maggio 1998 n. 25 il Piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani - Aggiornamento, recependo le prescrizioni dettate al riguardo dalla Giunta Regionale con propria deliberazione n. 261 dd. 15 marzo 1999.

Successivamente con deliberazione n. 1211 la Giunta Regionale ha dichiarato il Piano provinciale anzidetto conforme alle prescrizioni di legge e, quindi, ne ha disposto la pubblicazione integrale (all. A) sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana , parte II suppl., n. 227 del 22 dicembre 2004.

Avverso tali provvedimenti l’impresa C Mauro S.r.l. ha proposto innanzi al T.A.R. per la Toscana ricorso sub R.G. 352 del 2005, chiedendo l’annullamento in parte qua del Piano provinciale di cui trattasi limitatamente alla mancata indicazione nel Piano medesimo dell’impianto di CDR (combustibile derivante da rifiuti) autorizzato con delibera dirigenziale n. 8550 del 2003 e già in fase di avanzata realizzazione alla data di pubblicazione del Piano provinciale rifiuti;
mancata indicazione - questa - da tenere in considerazione per le conseguenze in ordine alla corretta pianificazione dei flussi dei rifiuti solidi urbani.

In dipendenza di ciò, pertanto, il Piano provinciale di Massa Carrara è stato censurato da C per i seguenti motivi:

I e II) Violazione degli artt. 23 e 21 del D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 e dell’art. 11 della L.R. 25 del 1998, nonché del principio “tempus regit actum” e di irretroattività dei provvedimenti amministrativi della Costituzione, artt. 3 e 97;
difetto di presupposti legittimanti, travisamento di fatti decisivi e manifesta illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione.

Secondo C il Piano, pur non facendo menzione della determinazione dirigenziale n. 8550 dd. 24 marzo 2003 con la quale essa era stata autorizzata a realizzare due linee d’impianto per la produzione di CDR., non poteva - comunque - avere l’effetto di non riconoscere in via retroattiva la validità dell’autorizzazione già rilasciata in suo favore in forza del principio “tempus regit actum” , mentre, sotto altro profilo, a partire dal 2002 l’inserimento nei piani regionali e provinciali della localizzazione di impianti di produzione di CDR non costituiva più presupposto necessario e vincolante per il rilascio delle relative autorizzazioni a seguito della liberalizzazione introdotta al riguardo dall’art. 23 della L. 31 luglio 2002 n. 179 a modifica dell’art. 21 del D.L.vo 22 del 1997 e che ha consentito ai Comuni di conferire i propri rifiuti urbani, ai fini del loro recupero, anche presso impianti ubicati fuori A.T.O. o Provincia.

In subordine, inoltre, C ha comunque dedotto la carente ricognizione degli impianti per il CDR già autorizzati, in violazione della finalità stessa della pianificazione per la gestione dei rifiuti;
con l’ulteriore conseguenza che l’individuazione dei flussi di rifiuti solidi urbani (RSU) e la relativa provenienza - come riportate nel Piano - risulterebbero comunque carenti ed inattendibili e, quindi, a maggior ragione non risulterebbero vincolanti.

III) Violazione degli artt. 9 e 10 della L. 7 agosto 1990 n. 241, nonché difetto d’istruttoria e di motivazione, in quanto illegittimamente la provincia di Massa Carrara non avrebbe dato riscontro alla nota 23 febbraio 2004 con la quale C, avuta conoscenza della bozza del Piano datata 9 febbraio 2004 e comunicata dalla Provincia medesima, aveva puntualmente segnalato la rilevata omissione del proprio complesso produttivo autorizzato con determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003 e già in corso di realizzazione e chiedendo, quindi, la tempestiva integrazione del Piano provinciale.

1.2. In questo primo procedimento si è costituita in giudizio la Provincia di Massa Carrara, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.3. Nelle more di tale giudizio, peraltro, C con ulteriore ricorso proposto sub R.G. 575 del 2006 sempre innanzi al T.A.R. per la Toscana ha impugnato - altresì - la successiva determinazione dirigenziale 27 gennaio 2006 n. 8545, comunicata con nota Prot. n. 388 Sett. Amb. dd. 3 febbraio 2006, con la quale il dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Massa Carrara ha disposto delle integrazioni all’autorizzazione già rilasciata alla medesima C con determinazione Prot. n. 8766 dd. 28 ottobre 2005 per l’esercizio di un impianto avente due linee per la selezione rifiuti e due linee per la produzione di CDR, località Albiano Magra-Comune di Aulla.

Mediante tale ulteriore provvedimento il Settore Ambiente della Provincia precisava – tra l’altro – che i rifiuti oggetto dell’autorizzazione n. 8766 del 2005 devono prevenire esclusivamente da operazioni di raccolta differenziata con un quantitativo massimo da trattare per anno pari a tonnellate 90.000, per una capacità massima di stoccaggio pari a 1.500 tonnellate complessive, e che il CER 200301 andava inteso come rifiuto secco residuo non riciclabile proveniente da raccolta differenziata.

Contestualmente lo stesso Settore ha chiesto la prestazione di una garanzia fideiussoria, pari all’importo di € 697.215,00.- a garanzia degli adempimenti prescritti nell’autorizzazione n. 8766 del 2005 a carico del gestore dell’impianto.

C ha dedotto al riguardo le seguenti censure.

I) Violazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990 per mancato avviso di avvio del procedimento, difetto d’istruttoria e di motivazione.

Secondo C illegittimamente era stato omesso l’avviso nei suoi confronti dell’imminente adozione delle prescrizioni, le quali, anziché costituire mere precisazioni del contenuto della precedente autorizzazione, assumevano natura restrittiva della medesima e parzialmente di revoca senza alcuna motivazione.

II, III e IV) Violazione dell’art. 28 del D.L.vo 22 del 1997, nonché della portata del codice CER 200301 e della decisione 2000/532/CE, difetto di istruttoria e motivazione e dei presupposti, travisamento dei fatti, violazione del principio del contrarius actus , eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza;
violazione degli artt. 41 e 97 Cost..

Secondo C, l’adozione di tali asserite “precisazioni” risultava in generale incompatibile con il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi in generale, nonché con l’art. 28 del D.L.vo 22 del 1997, il quale ultimo di per sé contempla soltanto il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto trattamento rifiuti, e non l’emanazione di successive precisazioni;
in secondo luogo, l’incompatibilità anzidetta era data dalla circostanza che il rifiuto CER 200301 si riferisce, secondo la codificazione comunitaria, ai rifiuti urbani non differenziati, nel mentre erroneamente nelle precisazioni impugnate tale tipologia era definita come “rifiuto secco residuo proveniente da raccolta differenziata” ;
inoltre, altrettanto erroneamente la “precisazione” predetta, con l’ulteriore limite che la frazione umida dei rifiuti non dovrebbe superare la quota del 22%, era stata ricollegata a quanto esposto dalla medesima C nella relazione allegata al progetto dell’impianto approvato fin dal 2003;
e la Provincia, sempre immotivatamente, avrebbe eliminato dall’elenco delle attività ammesse nell’impianto l’attività di recupero R4, la quale – per contro – era in precedenza consentita, mentre, specificando che i rifiuti di cui l’autorizzazione n. 8766 del 2005 aveva consentito il trattamento “devono provenire esclusivamente da operazioni di raccolta differenziata” , la Provincia medesima era incorsa in una palese contraddittorietà con i pregressi provvedimenti che autorizzavano la realizzazione degli impianti per la produzione di CDR.;
nonché in una contraddittorietà con le tipologie di rifiuti indicate nell’allegato B della stessa determinazione impugnata con riguardo alla quantità massima di tipo di rifiuti in cui era consentito lo stoccaggio nell’impianto in questione.

V) Illegittimità derivata da quella dei predetti provvedimenti provinciali e regionali - ossia l’approvazione del piano provinciale di rifiuti di Massa Carrara e corrispondente dichiarazione di conformità ai principi dettati nel piano regionale rifiuti - già impugnati in parte qua con il precedente ricorso proposto sub R.G. 352/2005.

Per l’ipotesi che la clausola limitativa dell’autorizzazione n. 8766 del 2005 alla lavorazione di rifiuti provenienti esclusivamente da operazioni di raccolta differenziata trovasse il presupposto nella circostanza che gli impianti gestiti dalla ricorrente erano inseriti nel piano provinciale rifiuti di Massa Carrara come piattaforma a supporto della raccolta differenziata, ad avviso di C la prescrizione medesima risultava comunque illegittima anche in via derivata con riguardo ai vizi dedotti in parte qua avverso lo stesso Piano provinciale rifiuti nella misura in cui non erano state inserite le due nuove linee per la produzione di CDR, la cui realizzazione era stata autorizzata fin dal 2003.

1.4. Anche in questo procedimento si è costituita in giudizio la Provincia di Massa Carrara, concludendo per il rigetto del ricorso.

1.5. Con motivi aggiunti proposti sempre sub R.G. 575 del 2006 C ha, altresì, chiesto l’annullamento della relazione del 12 luglio 2007 trasmessa al T.A.R. dal dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Massa a seguito di incombente istruttorio disposto dallo stesso giudice di primo grado mediante ordinanza collegiale n. 937 dd. 16 maggio 2007, deducendone l’illegittimità in via derivata rispetto a quella dei provvedimenti già impugnati con l’atto introduttivo del medesimo procedimento proposto sub R.G. 575 del 2006, nonché con i ricorsi proposti sub R.G. 352 del 2005 e sub R.G. 631 del 2006;
al riguardo C ha peraltro pure dedotto in via autonoma l’avvenuta violazione dell’art. 28 del D.L.vo 22 del 1997, del D.M. 5 febbraio 1998 e della definizione del codice CER 200301 unitamente alla decisione CE 2000/532, nonché difetto di presupposto legittimante, violazione dei principi in materia di contrarius actus , difetto d’istruttoria e di motivazione e - ancora - travisamento di fatti decisivi.

1.6. Mentre pendevano i ricorsi sopra illustrati C ha altresì impugnato sub R.G. 631 del 2006, sempre innanzi al T.A.R. per la Toscana e con trasposizione a’ sensi dell’art. 10 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 di un precedente ricorso straordinario proposto nel marzo 2006 a seguito di atto di opposizione della controinteressata Papale Manuela, la determina dirigenziale della Provincia di Massa Carrara n. 8766 dd. 28 ottobre 2005, chiedendone l’annullamento in parte qua limitatamente alla prescrizione che la quantità annua massima di rifiuti trattabili era fissata in 90.000 tonnellate mentre lo stoccaggio era fissato nella quantità massima di 1.500 tonnellate.

A tale ulteriore riguardo C ha proposto le seguenti censure.

I) Violazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990, nonché difetto di motivazione e di istruttoria.

II) Violazione dell’art. 28 del D.L.vo 22 del 1997 e degli artt. 41 e 97 Cost., nonché eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, difetto di istruttoria e di motivazione, manifesta illogicità, violazione del principio del contrarius actus ;
in particolare, secondo C la Provincia aveva disposto la revoca parziale delle quantità trattabili già assegnate alla ricorrente con la precedente autorizzazione di cui alla determina dirigenziale n. 8502 del 2001: quantità cui, invece, si sarebbero dovute aggiungere le ulteriori 90.000 tonnellate. annue corrispondenti ai nuovi impianti autorizzati con determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003.

1.7. Anche in questo procedimento si è costituita in giudizio la Provincia di Massa Carrara, la quale ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione del Piano provinciale rifiuti nella parte in cui venivano descritte le quantità di rifiuti trattate negli impianti di C;
nel merito la Provincia ha comunque concluso per la reiezione del ricorso, precisando in tal senso che i quantitativi autorizzati corrispondevano alle istanze dell’impresa, posto che il progetto di ampliamento dell’impianto sarebbe stato finalizzato soltanto ad una riqualificazione del complesso con l’acquisizione di maggiori aree per la movimentazione.

1.8. Con motivi aggiunti C ha - altresì - impugnato, come detto innanzi, l’anzidetta relazione Prot. n. 2652 dd. 12 luglio 2007 predisposta a fini istruttori dal dirigente del Settore provinciale ambiente, deducendone l’illegittimità propria e derivata da quella dei provvedimenti già impugnati con l’atto introduttivo medesimo, nonché con i ricorsi R.G. 352 del 2005 e R.G. 575 del 2006, e anche per vizi analoghi a quelli già dedotti nel corrispondente mezzo formulato con riguardo al precedente ricorso R.G. 575 del 2006.

1.9. Da ultimo, con ricorso proposto sempre innanzi al T.A.R. per la Toscana sub R.G. 1745 del

2006, C ha chiesto l’annullamento anche delle note Prot. n. 3251 dd. 3 agosto 2006 e Prot. n. 3271 dd. 4 agosto 2006, entrambe a firma del dirigente provinciale del Settore Ambiente, la prima delle quali è stata inviata all’ATO 2 di Lucca e la seconda alla Comunità Montana della Lunigiana per precisare che gli impianti della medesima C erano autorizzati a ricevere soltanto rifiuti provenienti da raccolta differenziata.

C ha censurato tali note per vizi propri, quali la violazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990, il difetto di motivazione e di istruttoria e l’incompetenza a’ sensi del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152 e - segnatamente per la nota 4 agosto 2006 - per violazione dell’art. 107 del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267 ed eccesso di potere sotto più profili, nonché per illegittimità derivata da quella dei provvedimenti già impugnati con i ricorsi precedentemente proposti sub R.G. 352 del 2005 e sub R.G. 575 del 2006.

1.10 Anche in quest’ultimo procedimento si è costituita la Provincia di Massa Carrara chiedendo il rigetto del ricorso e sostenendo a tal fine che gli atti impugnati si configuravano come semplici note informative tra amministrazioni e non come veri e propri provvedimenti amministrativi lesivi degli interessi della ricorrente.

1.11. Con motivi aggiunti proposti sempre sub R.G. 1745 del 2006 C ha chiesto- altresì - l’annullamento della successiva nota del Settore provinciale ambiente Prot. n. 2431 dd. 3 luglio 2007, recante la riconferma delle limitazioni e precisazioni già inserite nelle predette e già impugnate note.

Tale ulteriore nota è stata censurata per illegittimità propria e derivata..

1.12. Con ordinanza collegiale n. 937 dd. 16 maggio 2007 la Sez. II dell’adito T.A.R., previa riunione di tutti e quattro i ricorsi, ha disposto in via istruttoria l’acquisizione di ulteriore documentazione da parte della Provincia di Massa Carrara.

1.13. Con sentenza n. 1026 dd. 11 aprile 2008 la Sez. II dell’adito T.A.R. ha accolto tutti e quattro i sopradescritti ricorsi, tranne i motivi aggiunti proposti sub R.G. 575 del 2006 e sub R.G. 631 del 2006.

Il giudice di primo ha affermato in tal senso che la Provincia, nell’approvare il proprio Piano dei rifiuti, ha errato non tenendo conto dell’impianto per la produzione di CDR assentito nei confronti di C con determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003.

Va anche rilevato in proposito che tutte le ulteriori considerazioni in diritto contenute in tale sentenza e che hanno determinato l’accoglimento delle censure complessivamente dedotte da C parimenti muovono dal presupposto del mancato rispetto da parte dell’amministrazione provinciale dell’autorizzazione anzidetta.

Il giudice di primo grado ha condannato la Provincia di Massa Carrara al pagamento delle spese di tale primo grado di giudizio, complessivamente liquidandole nella misura di € 8.000,00.- (ottomila/00).

2.1. Con l’appello in epigrafe la Provincia di Massa Carrara chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 7, del D.L.vo 22 del 1997 come modificato dall’art. 23 della L. 31 luglio 2002 n. 179, l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della L.R. 18 maggio 1998 n. 25, nonché eccesso di potere per errore sui presupposti e contraddittorietà.

2.2. Si è costituita nel presente grado di giudizio l’Impresa C Mauro S.r.l., eccependo preliminarmente la perenzione dell’appello per mancata presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza e concludendo comunque per la reiezione dell’appello medesimo.

2.2. La Provincia, a sua volta, ha puntualmente replicato all’eccezione di perenzione e alle controdeduzioni nel merito proposte dalla parte appellata.

3. Alla pubblica udienza del 29luglio 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso il Collegio prescinde dall’esame dell’anzidetta eccezione di perenzione dell’appello, in quanto lo stesso risulta – comunque – infondato nel merito.

4.2. Con una prima prospettazione la Provincia di Massa Carrara lamenta l’erroneità della sentenza appellata laddove il giudice di primo grado ha ritenuto che la delibera n. 6 del 2004 di aggiornamento ed approvazione del piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani sia illegittima nella parte in cui non ha menzionato le due linee dell’impianto C destinate alla produzione di CDR (in oggi CSS) sulla base dell’autorizzazione n. 8550 del 2003.

Ad avviso dell’amministrazione provinciale l’autorizzazione del 2003 si collocherebbe in una fase temporale successiva all’adozione del piano provinciale, risalente all’anno 199) e, quindi, in una

fase in cui la Provincia non avrebbe potuto “operare in completa autonomia” la scelta di localizzare presso l’impianto C le due linee di produzione di CDR.

Tale tesi dell’appellante non persuade il Collegio.

Innanzitutto, non va sottaciuto che la descrizione -erroneamente restrittiva- contenuta nella pianificazione provinciale risulta comunque finalizzata ad individuare a priori ed in via esclusiva i soggetti legittimati ad intraprendere l’attività di produzione di CDR.

Risulta inoltre indubbio che tale individuazione contenuta nella pianificazione risulta oggettivamente retroattiva e tale pertanto da inficiare senza motivazione alcuna le autorizzazioni già rilasciate, con ben evidente illegittimità del Piano stesso per la violazione del principio di irretroattività delle prescrizioni normative e la conseguente e del tutto immotivata lesione delle esistenti posizioni giuridiche qualificate.

Il principio di irretroattività con ciò violato vige non solo per le disposizioni normative di rango legislativo (cfr. art. 11 disp. prel. cod. civ.), ma anche per le fonti costituite dai regolamenti e dagli atti a contenuto generale, ed è notoriamente espresso al riguardo dal principio del “ tempus regit actum” , la cui violazione è stata puntualmente dedotta da C nel giudizio di primo grado e altrettanto puntualmente condivisa dal T.A.R.

Va soggiunto che la finalità della funzione pianificatoria degli enti locali in materia di gestione dei rifiuti è quella di individuare i siti e gli impianti già autorizzati per poter correttamente prevedere e

pianificare le future esigenze del territorio, e che una ricognizione sommaria e parziale degli impianti in essere e delle esigenze che gli stessi devono soddisfare frustra – all’evidenza - le finalità della pianificazione: il che è, per l’appunto, avvenuto nel caso di specie.

Né va sottaciuto che C ha tentato di intervenire durante il procedimento di approvazione del Piano in questione inviando all’amministrazione provinciale un atto di significazione e diffida del 23 febbraio 2004, peraltro illegittimamente del tutto ignorato dalla Provincia medesima;
e che, a tale riguardo, puntualmente il giudice di primo grado ha rilevato che, “pur considerando che la delibera di adozione del piano provinciale di Massa Carrara risale all’ottobre 1998 (e che l’aggiornamento del Piano era stato disposto fino al 31 dicembre 2002), non si può ritenere giustificato il mancato inserimento nel documento di approvazione - aggiornamento del piano in questione (con la deliberazione del Consiglio provinciale n. 36 del 29 settembre 2004) delle nuove linee di selezione e produzione di CDRsul cui progetto la Conferenza dei Servizi si era comunque già pronunciata nella riunione del 27 novembre 2002, sia pure in via interlocutoria (chiedendo chiarimenti circa le caratteristiche degli impianti da autorizzare). Nè tanto meno la mancata indicazione degli impianti in questione potrebbe essere intesa dalla Provincia di Massa Carrara quale presupposto restrittivo degli effetti delle autorizzazioni che, (come quella del ricorrente) sono state rilasciate per la produzione di CDR. dopo il dicembre 2002 ma prima delle approvazioni provinciali e regionali;
restrizioni che, tra l’altro, potrebbero essere opposte (come è avvenuto nel caso della ricorrente) anche in materia di pianificazione dei flussi dei RSU (rifiuti solidi urbani): infatti, da un lato, tali restrizioni verrebbero ad incidere retroattivamente, e senza specifica preliminare previsione, sulla portata ampliativa di autorizzazioni già rilasciate ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.L.vo 22 del 1997 senza alcuna clausola o condizione, mentre, dall’altro, la modifica legislativa all’art. 21, comma 7, del D.L.vo 22 del 1997 introdotta dall’art. 23 della L. 31 luglio 2002 n. 179, eliminando la pregressa situazione di privativa dei Comuni, consente a qualunque soggetto (anche diverso dal Consorzio Comunale) di essere autorizzato al recupero dei rifiuti urbani nonché ai Comuni stessi di conferire i propri rifiuti urbani anche presso impianti ubicati fuori della Provincia”
(cfr. pag. 16 e ss. della sentenza impugnata).

Il Collegio, a sua volta, non può che concordare con tale puntualmente articolata considerazione espressa dal giudice di primo grado, la quale all’evidenza resiste alla tesi qui dedotta dalla Provincia.

4.3. Con una seconda prospettazione la Provincia deduce l’erroneità della sentenza appellata laddove ha accolto il ricorso RG n. 575/2006 e ha annullato in parte qua la determinazione n. 8545 del 2006 impugnata in primo grado da C.

Secondo l’amministrazione provinciale, essa mediante tale determinazione si sarebbe limitata a riepilogare le caratteristiche dell’impianto di C, non imponendo prescrizioni di sorta.

Anche tale assunto dell’appellante non può essere condiviso.

Come a ragione rileva C, è sufficiente la lettura di tale provvedimento per comprendere che l’espressione “precisazione” reca in realtà, in modo del tutto improprio, prescrizioni che innovano e allo stesso tempo restringono il contenuto dell’autorizzazione già rilasciata;
e, in tal senso, va rilevato che nel corso del primo grado di giudizio la stessa C ha fondatamente censurato la prescrizione – per l’appunto, indubitabilmente innovativa e restrittiva – in forza della quale il CER 200301 doveva intendersi quale rifiuto secco residuo non riciclabile proveniente da raccolta differenziata, ammettendosi una percentuale in frazione umida nella misura massima del 22% così come risulterebbe dalla relazione tecnica allegata al progetto approvato con l’anzidetta determina dirigenziale n. 8550 dd. 24 marzo 2003.

L’irragionevolezza, nonché l’intrinseca erroneità di tali prescrizioni risulta per tabulas .

Innanzitutto, il rifiuto di cui al codice CER 200301 nell’Allegato A della decisione 20/532/CE è chiamato 200301 “rifiuti urbani non differenziati” e non corrisponde quindi alla definizione data dalla Provincia.

Sul punto, esaustivamente il giudice di primo grado afferma che “la tipologia di rifiuto identificata dal codice comunitario rifiuti con la sigla 200301 corrisponde ai rifiuti urbani non differenziati ed è stata riprodotta nell’ordinamento nazionale senza alcuna modifica;
pertanto illegittimamente la determinazione dirigenziale n. 8545/2006 pretende in via innovativa di determinare (in sede amministrativa) una nozione di rifiuto CER 200301 diversa da quella stabilita in sede comunitaria, mentre il
“rifiuto secco residuo” cui si riferisce la Provincia non potrebbe, comunque, corrispondere al suddetto numero di codice poiché, secondo la normativa comunitaria, viene identificato con il diverso codice 1912 (rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti);
quindi risulta affetta da contraddittorietà intrinseca e da violazione della classifica europea del rifiuto CER 200301 la precisazione che l’impianto di produzione di CDR autorizzato con D.D. n.8766 del 2005 possa ricevere rifiuti CER 200301 che, pur avendo subito un primo trattamento meccanico di selezione da parte di terzi, non abbiano acquisito il nuovo codice 1912 caratteristico del rifiuto già sottoposto ad un primo trattamento”
(cfr. pag. 21 della sentenza impugnata).

Inoltre, la stessa circostanza per cui, in via del tutto apodittica e senza motivazioni di sorta, viene imposta l’anzidetta misura massima del 22% in frazione umida senza indicazione alcuna dei presupposti normativi e/o fattuali per tale prescrizione risulta ex se probante del difetto di istruttoria e di motivazione, a’ sensi dell’art. 3 della L. 241 del 1990.

Il dirigente che ha sottoscritto la “precisazione” anzidetta, ha invero affermato che la stessa “risulta dalla relazione tecnica allegata al progetto approvato con DD n. 8550 del 24 marzo 2003” .

Ma, come esattamente rilevato da C che se davvero fosse cosi, il limite del 22% avrebbe dovuto essere posto già nell’autorizzazione contenuta nella medesima determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003 : il che, per contro, non è avvenuto.

Né comunque consta che l’attuale appellata abbia dichiarato di voler ricevere rifiuti con tale limitazione percentuale, essendo viceversa del tutto plausibile il suo assunto di aver soltanto indicato, in un proprio disegno inserito nella relazione tecnico-illustrativa presentata ai fini del rilascio dell’autorizzazione n. 8550 del 2003, un’ipotesi di scomposizione del rifiuto lavorato nelle sue componenti principali nella quale, casualmente, gli elementi “umidi” , sommati tra di loro, ammontano al 22% (cfr. al riguardo il doc. 14 prodotto in primo grado da C), non rinvenendosi nelle altre parti della relazione predetta contenuti tali per ipotizzare che la medesima C intendesse – per l’appunto – limitare in tal senso la propria attività.

Risulta – altresì – indubbia la riconduzione non già a una “precisazione” ma ad una modificazione vera e propria dell’autorizzazione in essere l’avvenuta eliminazione, tra le operazioni ammesse dell’attività di recupero R4, per l’innanzi sempre consentita.

A tale proposito il giudice di primo grado ha evidenziato “ appare irragionevole la clausola che i rifiuti da trattare negli impianti oggetto della determinazione dirigenziale n. 8766 del 2005 dovrebbero provenire esclusivamente da raccolta differenziata : infatti tale “precisazione” è in evidente contrasto con il contenuto dell’All. B (annesso alla medesima determinazione) che nell’indicare i quantitativi massimi di stoccaggio consentiti per ogni tipologia di rifiuti prevede per i rifiuti urbani non differenziati 200301 una quota parte di 450 metri cubi” (cfr. pag. 20 della sentenza impugnata).

Né risulta corretto l’ulteriore assunto della Provincia secondo il quale il giudice di primo grado, a nell’annullare la determina dirigenziale n. 8545 del 2006 non avrebbe considerato che l’impianto di C è stato autorizzato dalla Provincia come piattaforma ecologica a sostegno della raccolta differenziata: e ciò in quanto la medesima C è stata successivamente autorizzata a ricevere, trattare e a lavorare i rifiuti elencati negli allegati A, B e C della determinazione dirigenziale n. 8502 del 2001, tra i quali gli anzidetti rifiuti 200301.

4.4. Con una terza prospettazione la Provincia ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata laddove, con riferimento al ricorso proposto in primo grado sub R.G. 631 del 2006 avverso la determina dirigenziale n. 8766 del 2005 nella parte in cui reca la prescrizione relativa alla quantità massima di rifiuti trattabili negli impianti siti in località Albiano Magra del Comune di Aulla, ha respinto l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Provincia medesima, accogliendo nel merito tale impugnativa.

In proposito la Provincia muove dal presupposto per cui C avrebbe dovuto impugnare il Piano provinciale nel suo complesso, anziché in parte qua, essendo tale atto presupposto rispetto alla predetta determina dirigenziale n. 8766 del 2005.

Il Collegio dissente da tale assunto, evidenziando che il giudice di primo grado ha rimarcato al riguardo che il Piano anzidetto è stato impugnato mediante il ricorso proposto sub R.G. 352 del 2005 con espresso riguardo all’omessa menzione in esso delle nuove linee per la selezione rifiuti e delle due linee per la produzione di CDR: omissione che, come correttamente dedotto da C, ha comportato la mancata valutazione degli impianti sotto il profilo non solo della dislocazione e della loro tipologia, ma anche con riguardo alla ripartizione dei flussi di rifiuti destinati al trattamento ed allo stoccaggio, indubitabilmente lesiva per la medesima C.

La Provincia invero sostiene che le determinazioni dirigenziali precedentemente rilasciate a C non avrebbero potuto far ritenere che i quantitativi autorizzati fossero superiori a 90.000 tonnellate annue, e che proprio in dipendenza di ciò la determinazione dirigenziale n.. 8766 del 2005 avrebbe autorizzato il conferimento e la lavorazione di 90.000 tonnellate annue di rifiuti.

A ragione, peraltro, C afferma che tutto ciò va ascritto ad un ben evidente travisamento da parte della stessa Provincia.

In effetti, C era stata ab origine autorizzata a trattare nei propri impianti all’epoca in funzione 90.000 tonnellate annue di rifiuti, indicati negli allegati A B e C, nonché a stoccare 1.500 tonnellate, così come nella determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003, segnatamente recante l’autorizzazione per realizzare due nuove linee per selezione rifiuti e due linee per la produzione di CDR, la quantità di rifiuti da trattare “presso l’impianto” era stata quantificata in 90.000 tonnellate annue, peraltro “rivalutabili sulla base della relazione annuale dell’attività svolta” .

Come evidenziato anche dal T.A.R., l’indicazione nella medesima determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003 del quantitativo di 90.000 tonnellate si riferisce quindi ai nuovi impianti di C, per la cui realizzazione la medesima C aveva appena ottenuto il relativo titolo abilitativo: e ciò, quindi, senza automatiche implicazioni di assorbimento dell’assetto imprenditoriale e dell’attività autorizzata al preesistente impianto assentito nel 2001.

Dal che discende che la limitazione della quantità massima “complessiva annua” di rifiuti da trattare a 90.000 tonnellate stabilita con la determina dirigenziale n. 8766 del 2005 quale autorizzazione all’esercizio degli impianti realizzati a seguito della precedente determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003 risulta del tutto priva di motivazione e in evidente contrasto con il contenuto della pregressa autorizzazione.

La limitazione medesima risulta – altresì – viziata di eccesso di potere per illogicità, posto che, a fronte dei rilevanti ampliamenti dell’attività dell’impresa determinati dalla realizzazione di nuove linee di trattamento dei rifiuti, la complessiva quantità massima di materiale da trattare risulterebbe nondimeno immutata senza la previsione di un qualsivoglia incremento di attività produttiva.

Inoltre, fondatamente C rimarca, ad ulteriore conferma che il nuovo impianto, ossia le due linee per la produzione di CDR assentite con la determinazione dirigenziale n. 8550 del 2003, configura una distinta linea produttiva, che nel luglio 2005 essa aveva chiesto il rinnovo dell’autorizzazione già rilasciata per il primo nucleo dell’impianto con determinazione dirigenziale n. 8502 del 15 gennaio 2001 e che tale rinnovo è stato autorizzato inserendolo nell’ambito della medesima determina dirigenziale n. 8766 del 2005,relativa anche all’esercizio delle nuove linee per il CDR: e ciò in quanto, come si rileva nella nota 1 agosto 2005 della Provincia, quest’ultima riteneva opportuno rilasciare comunque un “unico atto autorizzatorio” , ossia la predetta determinazione dirigenziale n. 8766 del 2005;
e che, tra l’altro, mentre con tale provvedimento la medesima Provincia ha richiesto l’apposita fideiussione per un importo di € 697.215, 00.- in corrispondenza alle 90.000 tonnellate annue assentite per il nuovo impianto, con la susseguente determinazione dirigenziale n. 8545 del 2006 recante le predette “precisazioni” , la stessa Provincia ha imposto ancora una fideiussione per un identico importo,il quale peraltro può ragionevolmente riferirsi alle sole due precedenti linee per le quali la precedente garanzia era nel frattempo pervenuta alla sua naturale scadenza al 16 gennaio 2006, correlativamente alle precedente autorizzazione del 2001.

C – altrettanto fondatamente – rileva che seguendo la prospettazione della Provincia, non sarebbe invero dato di comprendere per quale motivo con la predetta determinazione dirigenziale n. 8545 del 2006 è stata richiesta una nuova fideiussione di importo pari a quella già in precedenza indicata nella determinazione dirigenziale n. 8766 del 2005 e segnatamente relativa alle due linee per il CDR, posto che non vi sarebbe stato incremento di quantità trattabile rispetto a quella già in precedenza presa in considerazione ai fini del computo della garanzia fideiussoria: e infatti, se con il provvedimento si avesse voluto dimezzare il quantitativo di rifiuti trattabili, esso risulterebbe allora del tutto privo di motivazione e di istruttoria, costituendo una parziale revoca di una precedente autorizzazione in forza della quale C ha realizzato appositi impianti, con rilevanti investimenti economici e di personale.

4.5. Con una quarta e ultima prospettazione la Provincia censura la sentenza impugnata nella parte in cui è accolto il ricorso proposto sub R.G. n.1745 del 2006 e con il quale C aveva impugnato le note del Dirigente del settore ambiente recanti la comunicazione all’ATO 2 e alla Comunità Montana della Lunigiana che l’impresa non era autorizzata a ricevere rifiuti solidi urbani se non a determinate e specifiche condizioni contenute nelle determinazioni dirigenziali n. 8766 del 2005 e n. 8545 del 2006, nonché la nota del Dirigente del settore ambiente Prot. n. 3271 del 4 agosto 2006 recante conferma delle note predette, deducendo vizi per illegittimità in via derivata rispetto ai precedenti gravami.

Il Collegio evidenzia al riguardo che, avendo il giudice di primo grado annullato gli atti presupposti a tali note, anche le stesse debbono reputarsi caducate per effetto della sentenza qui impugnata, e che tale notazione risulta del tutto assorbente.

4.6. Il Collegio, da ultimo, evidenzia che con ulteriore sua memoria dd. 3 luglio 2014 la Provincia ha inammissibilmente ampliato l’oggetto del decidere, introducendo - anche con riferimento ad atti susseguentemente intervenuti – questioni del tutto nuove ed estranee al contenuto della sentenza impugnata, quali ad esempio il procedimento di VIA per gli impianti in questione e la loro distanza dai pozzi di captazione d’acqua ad uso idropotabile.

Sull’insieme di tali problematiche il Collegio, pertanto, non può che limitarsi ad affermare la loro irrilevanza per l’economia della presente causa.

5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.

Va – altresì – dichiarata irripetibile la somma corrisposta per il presente grado di giudizio a titolo di contributo unificato, a’ sensi dell’art. 9 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.

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