Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-12-06, n. 201605131

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-12-06, n. 201605131
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201605131
Data del deposito : 6 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/12/2016

N. 05131/2016REG.PROV.COLL.

N. 09714/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9714 del 2014, proposto dai signori G D F P e M P, rappresentati e difesi dall'avvocato U S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.B. Morgagni, 2/A;

contro

C.I.P.E. - Comitato interministeriale per la programmazione economica, Ministero per lo sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Umbria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Paola Manuali, con domicilio eletto presso Antonino Galletti in Roma, piazzale Don Giovanni Minzoni, 9;

nei confronti di

Giovannini Costruttori s.a.s. di Giovannini Francesco &
C., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. UMBRIA - SEZIONE I n. 371/2014, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del C.I.P.E. - Comitato interministeriale per la programmazione economica, del Ministero per lo sviluppo economico, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della Regione Umbria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2016 il cons. Giuseppe Castiglia;

Uditi gli avvocati U S per la parte appellante, Gianluca Lemmo, su delega dell'avvocato Paola Manuali, per la Regione Umbria e l'avvocato dello Stato Giacomo Aiello per le Amministrazioni appellate;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I signori G D F P e Marco Pongelli sono proprietari di aree nel Comune di Narni, assoggettate prima a occupazione e poi a esproprio per la realizzazione della piattaforma logistica Narni – Terni, il cui progetto preliminare è stato approvato dal C.I.P.E. con delibera n. 15 del 27 maggio 2004, n. 15, e quello definitivo con delibera n. 81 del 1° agosto 2008.

2. Essi hanno impugnato gli atti statali e regionali concernenti l’approvazione delle diverse fasi del progetto dell’opera pubblica e i successivi provvedimenti ablatori, proponendo un ricorso seguito da primi e secondi motivi aggiunti.

3. Con sentenza 8 luglio 2014, n. 371, il T.A.R. per l’Umbria, sez. I, ha dichiarato il ricorso introduttivo in parte irricevibile, in parte inammissibile e in parte infondato, e i motivi aggiunti in parte inammissibili e in parte infondati.

4. I ricorrenti hanno interposto appello contro la sentenza, sviluppando un’articolata serie di censure.

4.1. Il primo giudice ha dichiarato irricevibile l’impugnazione delle delibere del C.I.P.E. n. 15/2004 e n. 81/2008 e di conseguenza inammissibili i motivi di illegittimità derivata mossi avverso le successive determinazioni regionali n. 2303 del 13 marzo 2009 e n. 9701 del 21 settembre 2011, concernenti rispettivamente l’approvazione del progetto definitivo della gara d’appalto e l’approvazione del piano per le espropriazioni e imposizione di servitù e occupazioni.

4.1.1. Presupposto di tale declaratoria è che il termine per impugnare decorresse dalla data della pubblicazione degli atti sulla Gazzetta Ufficiale, trattandosi di una forma di pubblicità legale prevista dalla legge (art. 3, comma 7, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, per la delibera n. 15/2004) o dal regolamento del C.I.P.E. (art. 11, per la delibera n. 81/2008). Questa sarebbe destinata a prevalere sulla comunicazione individuale per trattarsi di una disciplina speciale giustificata dal carattere particolare dell’opera (un’infrastruttura strategica), dal ruolo marginale del progetto definitivo (l’interesse pubblico sarebbe già fissato dal D.P.E.F. e la localizzazione prevista dal progetto preliminare sarebbe immodificabile) ed escluderebbe perciò l’applicabilità dell’art. 17, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (c.d. testo unico dell’espropriazione;
d’ora in poi: t.u.).

4.1.2. Questa argomentazione sarebbe in contrasto con la giurisprudenza del Consiglio di Stato e degli altri Tribunali regionali, secondo la quale la notifica o almeno la piena conoscenza dell’atto di approvazione del progetto di un’opera pubblica, avente valore di dichiarazione di pubblica utilità, quando sia rivolto a soggetti determinati, risponderebbe a un’esigenza di carattere generale, sicché la disposizione del citato art. 17, comma 2, t.u., posta a garanzia del diritto di proprietà, non sarebbe recessiva rispetto alla disciplina regolante le opere strategiche.

4.1.3. La tesi della necessità della comunicazione individuale sarebbe confortata dalla ricostruzione del quadro normativo. L’obbligo di pubblicazione sulla G.U. sarebbe stato introdotto, per il progetto preliminare, solo con la modifica apportata al decreto legislativo n. 190/2002 dall’art. 2 del decreto legislativo 17 agosto 2005, n. 189;
per il progetto definitivo, solo con l’introduzione - ad opera dell'art. 4, comma 2, lettera s), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 - del comma 5 bis nell’art. 166 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice dei contratti pubblici;
d’ora in poi: codice), dunque in entrambi i casi successivamente all’adozione delle delibere impugnate.

4.1.4. Queste peraltro, prive dell’indicazione nominativa dei diretti destinatari e degli estremi catastali delle superfici interessate, sarebbero inidonee a produrre presunzione di conoscenza ai fini del decorso del termine di impugnazione, come dimostrerebbe anche l’omessa indicazione dell’avviso circa i termini e le modalità dei ricorso.

4.1.5. Infine, la ricordata disposizione dell’art. 11 del regolamento del C.I.P.E. avrebbe un’efficacia meramente interna e sarebbe insuscettibile di istituire un regime di pubblicità legale.

4.2. Gli appellanti ripropongono dunque le censure non esaminate dal T.A.R. a seguito della declaratoria di irricevibilità o inammissibilità.

4.2.1. La delibera del C.I.P.E. relativa al progetto preliminare, con localizzazione dell’opera e istituzione del vincolo preordinato all’esproprio, non sarebbe stata preceduta dalla comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, in violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. La norma dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 190/2002 - che esclude l’obbligo di comunicazione ai singoli proprietari interessati dalle attività espropriative previsto dall’art. 11 t.u. e qualunque altra comunicazione salvo quella concernente la procedura di V.I.A. - sarebbe costituzionalmente illegittima per eccesso di delega e contrasto con l’art. 97 Cost.

4.2.2. Le determinazioni dirigenziali n. 2303/2009 e n. 9701/2011 sarebbero viziate di invalidità derivata, avendo i loro presupposti nelle ricordate delibere del C.I.P.E.

4.2.3. Erroneamente il T.A.R. avrebbe dichiarato irricevibile il quarto motivo del ricorso introduttivo, oggetto invece di espressa rinunzia.

4.2.4. Sarebbero del pari viziati da invalidità derivata la delibera di Giunta regionale n. 319 del 3 luglio 2012, recante l’approvazione del progetto esecutivo, e i successivi decreti di occupazione d’urgenza ed espropriazione.

4.3.1. Le delibere del C.I.P.E. impugnate non sarebbero state precedute da V.I.A. Se il T.A.R. ha ritenuto che questa non fosse necessaria per il progetto preliminare, secondo la normativa dell’epoca, diversamente sarebbe del progetto definitivo, approvato quando il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell’ambiente) aveva assoggettato a V.I.A. gli interporti integrati da scalo ferroviario, sicché il relativo subprocedimento non avrebbe potuto essere omesso.

4.3.2. Sarebbe mancata la comunicazione diretta e personale dell’avvio del procedimento di approvazione del progetto definitivo. Non basterebbe l’osservanza delle forme previste dall’art. 166, comma 2, del codice, perché la norma sarebbe illegittima per eccesso di delega e contrasto con l’art. 97 Cost.

4.3.3. L’incremento delle superfici ablate rispetto a quanto previsto nel piano di esproprio individuato nella progettazione definitiva sarebbe stato disposto con la determinazione dirigenziale n. 9701/2011, producendo così l’invasione della competenza del C.I.P.E. e la violazione dell’art. 169, comma 3, del codice. La valutazione del primo giudice, fondata sull’assunto del carattere marginale della variazione, sarebbe viziata da travisamento dei fatti e violazione di legge.

4.3.4. Il decreto di espropriazione sarebbe illegittimo per mancata indicazione dell’indennità determinata in via provvisoria [ex art. 23, comma 1, lett. c) t.u.].

5. Si sono costituite in giudizio per resistere all’appello le Amministrazioni dello Stato (Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, C.I.P.E.) e la Regione Umbria.

6. Gli appellanti hanno depositato memorie.

7. All’udienza pubblica del 1° dicembre 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

8. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

9. Il primo motivo dell’appello, che contesta la declaratoria di parziale irricevibilità del ricorso introduttivo, è fondato.

9.1. Il Collegio è consapevole che, sul punto specifico del termine a quo per impugnare gli atti di approvazione dei progetti concernenti la “realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale” , esistono indirizzi difformi nella stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato.

9.2. Secondo sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 86 (che il T.A.R. conosce e cita, discostandosene consapevolmente), per i proprietari dell'area interessata tale termine decorre dalla notificazione o comunicazione individuale dello stesso atto approvativo e non anche dall'eseguita pubblicazione dell'atto stesso nell'albo pretorio dell'ente (era gravata in quel caso la delibera di ratifica della Conferenza di servizi da parte di un Consiglio comunale).

9.3. Diversamente, a detta di sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2953, tale termine coincide con la pubblicazione in G.U. delle delibere del C.I.P.E., che allora venivano in questione.

9.4. Sebbene il secondo precedente abbia più spiccata analogia con la vicenda ora controversa, il Collegio ritiene preferibile la tesi opposta in quanto:

a) è fuori discussione l’intento del legislatore di favorire la realizzazione delle opere strategiche con procedure particolarmente snelle e se si vuole eccezionali, spesso in deroga alla generale disciplina di settore (per una riprova anche sul piano processuale si veda l’art. 125 c.p.a.);

b) tuttavia, pure ad ammettere che il sistema di pubblicità legale elaborato a tal fine incida anche sul decorso nel termine per impugnare, è indubbio che - come hanno dimostrato gli appellanti - la formulazione dell’art. 3, comma 7, del decreto legislativo n. 190/2002, su cui il T.A.R. ha basato la propria argomentazione, fosse inapplicabile ratione temporis alla delibera del 2004 (approvazione del progetto definitivo), per essere stata introdotta solo con una novella del 2005;

c) quanto alla delibera del 2008 (approvazione del progetto definitivo), l’obbligo di pubblicazione non era all’epoca previsto dalla legge (essendo stato introdotto solo nel 2011 con una modifica all’art. 166 del codice) e scaturiva solo da un atto interno (il regolamento del CIPE), da ritenersi inopponibile ai privati controinteressati;

d) di conseguenza, deve ritenersi che non sussistesse un onere di immediata impugnazione delle delibere del C.I.P.E. in discorso, cosicché - a prendere come giorno iniziale quello del ricevimento della comunicazione della nota n. 68448 del 3 maggio 2012 (concernente l’avvenuta approvazione del progetto definitivo dell’opera, dell’approvazione del progetto definitivo della gara d’appalto e dell’assoggettamento a esproprio delle aree degli appellanti), inviata con raccomandata a.r. il giorno successivo - il ricorso, spedito per la notifica il 3 luglio 2012 e depositato il successivo 11 luglio, è da ritenersi tempestivo, nessuna delle controparti deducendone la tardività sotto il profilo in questione;

e) la sentenza di primo grado va dunque riformata in questa parte, come pure in quella che ha dichiarato inammissibili le censure proposte contro atti asseritamente viziati da invalidità derivata dal vizio delle delibere del C.I.P.E. impugnate.

10. E’ dunque possibile passare al vaglio nel merito le singole censure riproposte con l’appello, con riguardo alle quali il Collegio osserva:

a) non è fondata la censura di omessa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento per l’istituzione del vincolo preordinato all’esproprio (approvazione del progetto preliminare) perché l’Amministrazione si è mossa nel solco del disposto dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 190/2002, che esclude tale onere di comunicazione preventiva ( ex art. 11 t.u. o art. 7 della legge n. 241/1990). Gli appellanti non contestano questa circostanza e piuttosto insistono su pretesi vizi di illegittimità costituzionale della norma in oggetto. In questa prospettiva, essi argomentano però in termini del tutto apodittici e generici circa un eccesso di delega (il legislatore delegato non sarebbe stato autorizzato a discostarsi dai principi della legge n. 241/1990, quando invece regole derogatorie della normativa generale erano intrinseche agli obiettivi perseguiti dalla legge delega 21 dicembre 2001, n. 443) o un contrasto con l’art. 97 Cost. (laddove la legge perseguiva semmai una finalità di maggiore speditezza ed efficienza delle procedure, essendo i decreti delegati “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti” ), cosicché la questione di legittimità costituzionale sollevata appare manifestatamente priva di fondamento;

b) in quanto non sussiste il vizio ora rilevato, cade la censura di illegittimità derivata mossa alle determinazioni dirigenziali n. 2303/2009 e n. 9701/2011 e ai successivi atti della procedura;

c) come chiesto dagli appellanti, va dato atto dell’avvenuta rinunzia al quarto motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;

d) non ha pregio il motivo concernente la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di approvazione del progetto definitivo, perché l’Amministrazione ha soddisfatto gli oneri di pubblicità imposti al riguardo dal combinato disposto dell’art. 166, comma 2, del codice e dell'art. 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377 (pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale e su uno a diffusione regionale di un avviso contenente l’indicazione dell’opera, la sua localizzazione e una sommaria descrizione del progetto). I dubbi di legittimità costituzionale formulati dagli appellanti al riguardo vanno respinti per le medesime considerazioni svolte sopra sub a);

e) la mancanza di V.I.A. sul progetto definitivo non è viziante perché - anche in disparte l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura Generale e contrastata dagli appellanti nonché, in punto di fatto, le dettagliate valutazioni che la Regione ha svolto al riguardo e sono riferite nella memoria regionale depositata il 28 ottobre scorso - non possono essere invocate le disposizioni del sopravvenuto codice dell’ambiente per un adempimento (l’accertamento della compatibilità ambientale dell’opera) che si colloca nella fase della progettazione preliminare;

f) quanto all’incremento delle superfici espropriate, correttamente il T.A.R. ha ritenuto che il carattere marginale, le concrete caratteristiche della variante e l’assenza della necessità di nuovi finanziamenti consentissero - in applicazione dell’art. 169, comma 3, del codice - di escludere la necessità di una nuova delibera del C.I.P.E.;

g) non sussiste il vizio di omessa indicazione dell’indennità provvisoria di esproprio nel relativo decreto (n. 6 del 29 agosto 2013, notificato agli appellanti il 28 ottobre successivo) in quanto

- già in precedenza la Commissione espropri aveva provveduto a calcolare l’indennità (non provvisoria, ma anzi) definitiva dell’esproprio (relazione del 9 luglio 2013, comunicata agli espropriati con nota regionale del 29 luglio 2013 e poi notificata assieme al decreto);

- quanto all’ulteriore particella espropriata, il decreto determina l’indennità per relationem , cioè facendo rinvio all’art. 15 della legge della Regione Umbria 22 luglio 2011, n. 7, valutando l’area come non edificabile ai sensi degli artt. 20 e 21 della medesima legge;

- la censura sarebbe comunque irrilevante per carenza di un interesse degli appellanti, effettivo e meritevole di tutela, a dolersi di una lacuna meramente formale e priva di conseguenze, a fronte di un’indennità indiscutibilmente determinata e offerta (le parti dibattono sul quando e sul quomodo , non sull’ an ).

11. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è fondato nelle sue censure processuali (quelle cioè relative alla declaratoria di irricevibilità e inammissibilità) e va accolto in questa parte;
è infondato nel merito e va perciò respinto in parte qua . Ne segue la declaratoria della ricevibilità e dell’ammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti e la reiezione degli stessi nel merito, con conferma dei provvedimenti impugnati in primo grado.

12. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

13. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

14. La sostanziale novità del nucleo principale della controversia e la sua evidente complessità, assieme all’esito sopra esposto, giustificano la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

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