Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-01-20, n. 202100621

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-01-20, n. 202100621
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100621
Data del deposito : 20 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/01/2021

N. 00621/2021REG.PROV.COLL.

N. 03933/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3933 del 2017, proposto da
Ministero dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Pappagallo Marcello S.r.l. non costituito in giudizio;
Inobyte@ S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere dei Mellini 17;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) n. 04070/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inobyte@ S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2020 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Stigliano e G V, in collegamento da remoto, ai sensi dell'art.25 del D.L. 137 del 28 ottobre 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con provvedimento n. 3226 del 2 dicembre 2016 il Ministero odierno appellante ha revocato l’agevolazione concessa alla società Infobyte@SrL (per brevità, anche Infobyte), per il progetto PON01_00625, a titolo di contributo nella spesa in misura complessivamente pari a € 1.713.150,00 a valere sui fondi PON, FESR e FDR, con contestuale recupero delle somme erogate a titolo di anticipazione per un importo pari a € 748.890,00 oltre interessi dovuti per legge e per contratto.

A fondamento della determinazione l’Amministrazione ha richiamato gli “ esiti istruttori forniti in particolare dall’ETS che hanno evidenziato la carenza del requisito stabilito dall’articolo 3, comma 2, dell’Invito, e la violazione comportando la perdita di ammissibilità al finanziamento a suo tempo concesso ”.

In particolare, il Ministero ha riscontrato la sopravvenuta carenza del requisito previsto dall’art. 3, comma 2, D.D. del 18 gennaio 2010, n. 01/Ric - recante l’” Invito alla presentazione di progetti di ricerca industriale nell’ambito del PON Ricerca e Competitività 2007-2013 – Regioni Convergenza Asse I – Sostegno ai mutamenti strutturali Obiettivo Operativo: Aree scientifico-tecnologiche generatrici di processi di trasformazione del sistema produttivo e creatrici di nuovi settori Azione: Interventi di sostegno della ricerca Industriale ”- concernente la disponibilità “ di una stabile organizzazione localizzata nelle Regioni della Convergenza nel rispetto della normativa di riferimento ”, da mantenere almeno per cinque anni dal termine effettivo di conclusione del progetto.

2. L’operatore economico, odierno appellato, ha impugnato dinnanzi al T Lazio il decreto dirigenziale prot. n. 3226 datato 02.12.2016, oltre che la nota ministeriale di “Notifica provvedimento di revoca finanziamento concesso per il progetto PON01_00625 PON R&C 2007-2013 ” e la relazione datata 14.12.2015 avente ad oggetto “ verbale sopralluogo Infobyte@srl e Quadra scarl PON 0065 ” contenente gli esiti istruttori dell'ETS.

A fondamento dell’impugnazione, la società Infobiye ha dedotto:

- la violazione del principio di partecipazione al procedimento amministrativo, non essendo stato consentito all’operatore economico, ricevuta la comunicazione di avvio del procedimento di revoca fondata sulle risultanze dell’Esperto Tecnico Scientifico, di avere tempestivo accesso a tali risultanze istruttorie;
il che aveva impedito alla società di presentare in tempo utile le proprie osservazioni sugli addebiti contestati con la comunicazione di avvio del procedimento;

- la carenza motivazionale, non essendo state enunciate adeguate ragioni sottese alla determinazione impugnata.

Sotto tale ultimo profilo, la ricorrente ha rilevato che la sussistenza del requisito della stabile sede e organizzazione, da un lato, doveva intendersi volta a garantire il rispetto del vincolo di destinazione territoriale delle risorse concesse a finanziamento, dall’altro, avrebbe dovuto essere accertata sia dall’istituto convenzionato (quanto ai requisiti contrattuali, in specie, la disponibilità delle strutture e del personale fino a cinque anni dal termine effettivo di conclusione del progetto), sia dall’Esperto Tecnico Scientifico (quanto all’adeguatezza e alla funzionalità della sede e del personale rispetto allo svolgimento delle attività relative al progetto, da condurre prima della conclusione del progetto).

Sulla base di tali rilievi, il ricorrente ha dedotto che nel caso di specie le verifiche svolte dall’Istituto convenzionato avevano dato esito positivo, essendo stato accertato il soddisfacimento del requisito previsto dall’art. 3, comma 2, D.D. n. 1/2010 cit.;
parimenti, le verifiche svolte nell’agosto 2015 dall’ETS, prima del termine del progetto, avevano dato esito positivo in relazione alla sede di Caserta.

La determinazione impugnata, invece, non tenendo conto dei risultati positivi di tali accertamenti istruttori, risultava fondata sui sopralluoghi svolti dall’ETS nel novembre 2015 in relazione alle sedi di Crotone e Caserte, conclusisi negativamente sulla base di elementi fattuali di per sé irrilevanti e comunque inidonei a giustificare la perdita del requisito di ammissibilità al finanziamento de quo .

In particolare, secondo quanto contestato in ricorso, l’ETS aveva basato le proprie valutazioni, quanto alla sede di Crotone, esclusivamente sull’intervista e sull’esame dei lavori svolti, anziché dal dipendente della ricorrente presente in loco, da altro lavoratore non riconducibile alla Infobyte;
quanto alla sede di Caserta, esclusivamente sul rilievo che i computer presenti non risultavano di proprietà della società Infobyte, sebbene fossero stati riscontrati la presenza della targa all'ingresso indicante Infobyte@, la presenza dei dipendenti della stessa società, la realizzazione di ricostruzioni 3D operate dagli stessi con “buoni risultati”, nonché la disponibilità di locali adibiti allo svolgimento del progetto.

Per l’effetto, attese le carenze imputabili alle verifiche svolte dall’ETS, il provvedimento di revoca avrebbe dovuto ritenersi inficiato da una carente motivazione.

3. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio al fine di resistere al ricorso.

4. Il T, a definizione del giudizio, ha accolto entrambe le censure svolte dalla parte ricorrente, rilevando:

- la fondatezza del motivo di ricorso relativo alla contraddittorietà e difetto di istruttoria, posto che l’asserita perdita del requisito di ammissibilità al finanziamento concernente la “stabile organizzazione” affermata dall’ETS si poneva in evidente contraddizione con quanto attestato dall’Istituto Convenzionato sui medesimi presupposti (disponibilità dei locali, attrezzature e personale), avuto riguardo alla documentazione esaminata (contratto di comodato d’uso etc.);

- la fondatezza della doglianza procedimentale, non sembrando essere stato assicurato il contraddittorio procedimentale.

Pertanto, secondo quanto statuito dal T, il Ministero avrebbe dovuto svolgere un nuovo esame istruttorio, onde acclarare se in effetti la circostanza che i computer in uso non fossero di proprietà della richiedente costituisse ragione ostativa alla concessione del contributo.

5. Il Ministero ha proposto appello avverso la sentenza di prime cure, censurandone l’erroneità con l’articolazione di due motivi di impugnazione, riguardanti il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a pronunciare in materia di revoca di contributi e l’infondatezza del ricorso in prime cure.

6. La società appellata si è costituita in giudizio, resistendo all’appello e svolgendo le proprie argomentazioni controdeduttive mediante il deposito di memoria difensiva in data 2 marzo 2020.

7. Con note di udienza dell’11 novembre 2020 il Ministero ha chiesto la decisione della controversia sulla base degli atti difensivi.

8. La causa, previa discussione orale in collegamento da remoto, è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 12 novembre 2020.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello l’Amministrazione statale contesta la sussistenza della giurisdizione amministrativa in relazione alla controversia in esame, ritenendo che si faccia questione di posizioni di diritto soggettivo, incise da atti non implicanti la spendita di potestà discrezionale.

2. Il motivo di appello è fondato.

3. Preliminarmente, giova rilevare che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la giurisdizione deve essere determinata sulla base della domanda, dovendosi guardare, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, al " petitum sostanziale ", da identificare, “ non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della "causa petendi", ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, da individuarsi con riguardo ai fatti allegati (Cass., Sez. Un., n. 15323 del 25/06/2010;
Sez. Un., n. 20902 del 11/10/2011;
Sez. Un., n. 2360 del 09/02/2015;
Sez. Un., n. 11229 del 21/05/2014)
” (Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 27 ottobre 2020, n. 23600).

Pertanto, ai fini della soluzione della questione di giurisdizione, devono prendersi in esame i fatti allegati dalle parti, al fine di verificare la natura giuridica della situazione giuridica azionata in prime cure, prescindendo dall’effettiva sussistenza dei fatti dedotti;
profilo afferente al merito della controversia, da scrutinare a cura del giudice effettivamente munito di giurisdizione.

Ciò premesso, nel ripartire il potere giurisdizionale tra giudice amministrativo e autorità giudiziaria ordinaria in materia di concessione di contributi pubblici, deve ritenersi che, qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dell'acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetti al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo.

Viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (cfr. ex multis , Consiglio di Stato, sez. VI, 23 gennaio 2020, n. 547).

In particolare, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha rilevato che “ la controversia promossa per ottenere l'annullamento del provvedimento di revoca di un finanziamento pubblico concerne una posizione di diritto soggettivo (ed è pertanto devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario) tutte le volte in cui l'amministrazione abbia inteso far valere la decadenza del beneficiario dal contributo in ragione della mancata osservanza, da parte sua, di obblighi al cui adempimento la legge o il provvedimento condizionano l'erogazione, mentre riguarda una posizione di interesse legittimo (con conseguente devoluzione al giudice amministrativo) allorchè la mancata erogazione del finanziamento, pur oggetto di specifico provvedimento di attribuzione, sia dipesa dall'esercizio di poteri di autotutela dell'amministrazione, la quale abbia inteso annullare il provvedimento stesso per vizi originari di legittimità o revocarlo per contrasto originario con l'interesse pubblico (Cass. n. 24064 del 2019;
n. 3166 del 2019;
n. 18241 del 2018)
” (Cass. Sez. Unite, Ord., 30 luglio 2020, n. 16457).

4. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, la situazione giuridica soggettiva azionata in primo grado dall’odierna appellata è qualificabile in termini di diritto soggettivo, facendosi questione di atti vincolati con cui l’Amministrazione, riscontrata la sopravvenuta carenza – rispetto al provvedimento di erogazione del contributo - di un requisito di ammissibilità al finanziamento, imputabile alla condotta tenuta dal concessionario, ha “revocato” l’agevolazione concessa, ponendo in essere un atto dal contenuto vincolato, non idoneo ad influire sulla legittimità o sull’opportunità del provvedimento concessorio in origine assunto.

In particolare, come emerge dalla parte motiva dell’atto di revoca impugnato in prime cure, il Ministero ha assunto la propria decisione “ visti gli esiti istruttori forniti in particolare dall’ETS che hanno evidenziato la carenza del requisito stabilito dall’articolo 3, comma 2, dell’Invito, e la violazione comportando la perdita di ammissibilità al finanziamento a suo tempo concesso ”.

Ai sensi dell’art. 3, comma 2, D.D. del 18 gennaio 2010, n. 01/Ric cit., “ i soggetti proponenti sono ammissibili solo ove dispongano di una stabile organizzazione localizzata nelle Regioni della Convergenza nel rispetto della normativa di riferimento, o si impegnino formalmente, in sede di presentazione del progetto, a predisporre in tali aree la suddetta organizzazione ai fini dello svolgimento delle attività progettuali. All'accertamento del mantenimento del predetto impegno sarà subordinata l’operatività del provvedimento di concessione dell'agevolazione. L’organizzazione dovrà essere mantenuta almeno per cinque anni dal termine effettivo di conclusione del progetto ”.

Ne deriva che la disponibilità di una stabile organizzazione localizzata nelle Regioni della Convergenza costituiva sì un presupposto di ammissibilità del contributo economico concesso dal Ministero, che doveva sussistere al momento della presentazione del progetto (anche mediante l’assunzione di un impegno formale a predisporre in tali aree la suddetta organizzazione ai fini dello svolgimento delle attività progettuali), ma configurava, al contempo, un obbligo assunto dal concessionario, che doveva essere adempiuto in costanza del progetto e fino ad almeno cinque anni dal termine effettivo di conclusione del medesimo.

La carenza di tale requisito, pertanto, rileva differentemente sul riparto di giurisdizione a seconda che sia originaria ovvero sopravvenuta in costanza del rapporto.

In particolare, ove si fosse in presenza di una carenza originaria, emergerebbe un’invalidità del provvedimento concessorio -da scrutinare alla stregua dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione-, tenuto conto che il contributo non avrebbe potuto essere concesso in assenza di un suo requisito di ammissibilità;
il che potrebbe giustificare un intervento di autotutela dell’Amministrazione concedente nell’esercizio di un potere pubblicistico, in relazione al quale, in caso di contestazione, sussisterebbe la cognizione del giudice amministrativo (cfr. Cass. Sez. Unite, Ord., 30 luglio 2020, n. 16457, che ha affermato la giurisdizione amministrativa in relazione ad una controversia in cui la carenza del requisito di ammissibilità risultava originaria).

Una carenza del requisito sopravvenuta, invece, configurerebbe una violazione di un obbligo da ottemperare per la conservazione dell’agevolazione economica, come tale idonea a provocare lo scioglimento del rapporto concessorio, suscettibile di accertamento da parte dell’Amministrazione procedente mediante l’adozione di un atto vincolato, incidente su posizioni giuridiche di diritto soggettivo, da ritenere, dunque, devolute alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha constatato il difetto originario di una condizione di ammissibilità del progetto, idonea a manifestare l’illegittimità del provvedimento di erogazione, assunto in assenza dei relativi presupposti giustificativi e, come tale, suscettibile di annullamento d’ufficio;
né ha svolto valutazioni discrezionali circa la sopravvenienza di motivi di pubblico interesse tali da imporre una riconsiderazione dell’opportunità e della convenienza del contributo;
bensì ha rilevato che, concessa l’agevolazione in favore dell’odierna appellata, risultava sopravvenuta la carenza di un requisito di ammissibilità, non avendo l’operatore economico mantenuto l’organizzazione fino ad almeno cinque anni successivi alla conclusione del progetto, come invece imposto dall’art. 3, comma 2, D.D. del 18 gennaio 2010, n. 01/Ric.

Si fa, dunque, questione di un fatto sopravvenuto, incidente sul rapporto concessorio, estrinsecatosi nell’asserita violazione di apposito obbligo giuridico prescritto dall’Avviso pubblico regolatore del contributo per cui è causa, suscettibile di configurare un inadempimento imputabile al concessionario, ostativo alla conservazione dell’agevolazione economica: significativamente l’Amministrazione richiedeva che “ l’organizzazione dovrà essere mantenuta …”, dettando, dunque, una prescrizione da ottemperare a pena di decadenza dal contributo.

L’Amministrazione, pertanto, una volta rilevata una pretesa sopravvenuta carenza del requisito de quo , dipendente dalla violazione di un obbligo imposto a carico del concessionario, era tenuta ad esercitare un’attività vincolata, priva di margini di discrezionalità, pervenendo allo scioglimento del rapporto concessorio, con atto incidente su una situazione giuridica di diritto soggettivo della controparte privata.

Peraltro, non potrebbe giungersi a conclusioni differenti, facendo leva sulla denominazione dell’atto impugnato in prime cure, di revoca dell’agevolazione economica.

Il nomen iuris non risulta, infatti, idoneo a vincolare l’interprete nella qualificazione giuridica degli istituti concretamente rilevanti, dovendosi avere riguardo allo specifico contenuto dell’atto impugnato, al fine di ricostruire la natura giuridica del potere esercitato dall'amministrazione (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV, 5 giugno 2020, n. 3552).

Nel caso esaminato, come osservato, l’Amministrazione ha rimosso gli effetti giuridici riconducibili al provvedimento concessorio svolgendo un’attività vincolata - di mero riscontro della sopravvenuta carenza di un requisito di ammissibilità del contributo- per propria natura incompatibile con l’esercizio sia di un potere di annullamento d’ufficio del precedente provvedimento amministrativo, non facendosi questione di illegittimità della concessione dell’agevolazione economica, sussistendo, al momento della sua decisione, il requisito in esame;
sia di un potere di revoca provvedimentale, non avendo svolto il Ministero considerazioni di opportunità e convenienza sulla stabilità del rapporto concessorio, all’esito di apprezzamenti discrezionali.

L’atto di “revoca”, dunque, si traduce in un atto vincolato, non riguardante un vizio originario afferente al provvedimento di erogazione o la riconsiderazione dell’opportunità del contributo, bensì l’asserito difetto, sopravvenuto in costanza di rapporto, di una condizione statuita in sede di concessione del contributo, essenziale per la conservazione dell’agevolazione concessa, con conseguente emersione di una situazione giuridica di diritto soggettivo, incisa dagli atti impugnati in prime cure, da ritenersi devoluta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

5. L’accoglimento del primo motivo di appello, conducendo ad una pronuncia declinatoria della giurisdizione amministrativa, osta all’esame del secondo motivo di appello, afferente al merito della controversia;
dovendo essere l’autorità giudiziaria ordinaria a verificare se effettivamente sussistessero le contestazioni sollevate dal Ministero e poste a fondamento dell’atto censurato in primo grado.

6. La particolarità della questione esaminata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

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