Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-11-19, n. 201806497
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Pubblicato il 19/11/2018
N. 06497/2018REG.PROV.COLL.
N. 07496/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7496 del 2012, proposto dal signor:
L M, rappresentato e difeso dagli avvocati M C ed Emanuele D'Alterio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G T in Roma, piazza S. Bernardo, 101;
contro
il Comune di Sant'Antimo, non costituito in giudizio;
per l’annullamento parziale
della sentenza del TAR Campania, Sede di Napoli, sezione II, 17 febbraio 2012 n.839, resa fra le parti, con la quale si è pronunciato sui ricorsi riuniti nn. 2740/2000 e 9932/2000 R.G. proposti per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di Sant’Antimo:
(ricorso n. 2740/2000)
a) del provvedimento 24 gennaio 2000 prot. n.1544, notificato il 26 gennaio 2000, con il quale il Funzionario del VII settore ha dichiarato la acquisizione gratuita al patrimonio comunale in quanto abusive di opere realizzate dai ricorrenti in via Toscanini numero 26, sul terreno distinto al catasto al foglio 2 mappale 401, consistenti in locali al piano terreno e sopraelevazione al piano primo
di ogni atto inerente, conseguente, procedimentale o finale;
(ricorso n.9932/2000)
b) dell’ordinanza 7 giugno 2000 n.38 e prot. n.12606, notificata in data imprecisata, con la quale il medesimo Funzionario ha ordinato la demolizione delle opere suddette, in quanto abusive;
di ogni atto preordinato, connesso, collegato e conseguente;
In particolare, la sentenza ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso n.2740/2000 e accolto il ricorso n.9932/2000 nei termini e nei limiti di cui in motivazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte appellante l’avvocato Emanuele D'Alterio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente appellante è comproprietario, con alcuni congiunti rimasti estranei a questo grado di giudizio, di un immobile abusivo che si trova a Sant’Antimo, in via Toscanini al numero 26, è stato realizzato sul terreno distinto al catasto al foglio 2 mappale 401 e consiste in un piano terra, realizzato per primo, e in un piano ulteriore realizzato in sopraelevazione del precedente (doc. 4 in I grado Comune intimato appellato nel ricorso n.2740/2000, provvedimento di acquisizione gratuita, ove la descrizione dell’immobile;la realizzazione in due momenti successivi consta dalla sentenza di I grado, pp. 2 e 3, ed è incontestata in fatto).
Per ciascuna delle opere abusive, ovvero per il piano terra da una parte, e per la sopraelevazione dall’altra, il ricorrente appellante ha presentato una distinta domanda di sanatoria;in dettaglio, per il piano terra ha presentato domanda di cd condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994 n.724, e per la sopraelevazione domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’allora vigente art. 13 della l. 28 febbraio 1985 n.47.
A fronte di ciò, egli ha ricevuto un’ordinanza 2 maggio 1996, che gli ha ingiunto la demolizione dell’intero immobile, un verbale 27 ottobre 1997, di accertamento dell’inottemperanza a tale provvedimento, e un diniego 2 aprile 1998 sulla domanda di accertamento di conformità, e contro tutti questi provvedimenti a lui pregiudizievoli ha presentato impugnazione;in dettaglio, ha impugnato l’ordinanza 2 maggio 1996 con ricorso straordinario, il verbale 27 ottobre 1997 con ricorso giurisdizionale e il diniego 2 aprile 1998 ancora con ricorso straordinario (per tutto ciò, sentenza di I grado p. 3;si tratta sempre di fatti non contestati).
In pendenza di tali procedimenti, ha poi ricevuto il provvedimento 24 gennaio 2000 di cui meglio in epigrafe (doc. 4 in I grado Comune intimato appellato in procedimento 2740/2000, cit.), che ha impugnato in I grado con il ricorso n.2740/2000 di cui pure meglio in epigrafe.
Nel corso del giudizio 2740/2000, il Comune intimato appellato, con l’ordinanza 7 giugno 2000 di cui sempre in epigrafe, ha annullato d’ufficio sia il verbale di accertamento dell’inottemperanza di cui si è detto, sia il provvedimento di acquisizione gratuita impugnato, ed ha contestualmente emesso un nuovo ordine di demolizione, che il ricorrente appellante ha impugnato in I grado con il ricorso 9932/2000 di cui ancora in epigrafe.
Con la sentenza ivi indicata, il TAR ha riunito i ricorsi;ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso n.2740/2000, dando atto in modo esplicito che il Comune aveva proceduto al ritiro degli atti precedenti e all’emissione della nuova ordinanza in via del tutto autonoma;ha poi accolto in parte il ricorso n.9932/2000;in motivazione, quanto il piano terreno della costruzione ha ritenuto che comunque l’amministrazione comunale non ne avrebbe potuto ordinare la demolizione prima di essersi pronunciata sulla domanda di condono, ed ha dato poi atto che in pendenza di giudizio essa era stata accolta con provvedimento 26 gennaio 2012 (motivazione, p. 9);ha invece respinto i motivi dedotti per opporsi all’ordine di demolizione nella parte relativa al piano sopraelevato.
Contro tale sentenza, il ricorrente ha presentato impugnazione, con appello che contiene un unico motivo, di riproposizione di quello respinto in I grado, con cui deduce eccesso di potere, e propriamente violazione dell’art. 12 seconda parte dell’allora vigente l. 47/1985, ora riprodotto dall’art. 34 comma 2 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, perché il provvedimento non avrebbe verificato il possibile pregiudizio che la parte conforme dell’immobile potrebbe ricevere dalla demolizione della parte abusiva.
Il Comune non si è costituito in questo grado.
All’udienza del giorno 15 novembre 2018, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L’appello, nell’unico motivo di cui consta, è infondato e va respinto, per le ragioni che seguono.
2. L’art. 12 comma 2 della l. 47/1985, riprodotto quasi alla lettera dall’art. 34 comma 2 del T.U. 380/2001, prevede che “ Le opere eseguite in parziale difformità dalla concessione sono demolite a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo, e comunque non oltre centoventi giorni, fissato dalla relativa ordinanza del sindaco. Dopo tale termine sono demolite a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il sindaco applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dalla concessione, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura dell'ufficio tecnico erariale, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale .”
3. Per costante giurisprudenza di questo Giudice, la norma in questione ha valore eccezionale e derogatorio, e di conseguenza non è l’amministrazione a dover valutare, prima di emettere l’ordine di demolizione dell’abuso, se essa possa essere applicata, ma è il privato interessato a dover dimostrare, in modo rigoroso, l’obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme: così C.d.S. sez. V 5 settembre 2011 n.4982, in fattispecie regolata dall’art. 12 l. 47/1985, e sez. VI 9 aprile 2013 n.1972, in fattispecie disciplinata dal T.U. sopravvenuto.
4. Poiché nella specie, così come correttamente osservato dal Giudice di I grado (§3.5 in motivazione), tale dimostrazione non è stata data, il motivo, e con esso l’appello, va respinto.
5. Nulla per spese, perché l’amministrazione intimata appellata non si è costituita.