Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-13, n. 202000314

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-13, n. 202000314
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000314
Data del deposito : 13 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/01/2020

N. 00314/2020REG.PROV.COLL.

N. 07798/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7798 del 2013, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati D J e O E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio D J Long in Roma, piazza di Pietra, n. 26;

contro

la signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati E R, A R e A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E R in Roma, piazza don Minzoni, n. 9;
il Comune di Santa Maria Capua Vetere, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. -OMISSIS-/2013, resa tra le parti, concernente una concessione edilizia in sanatoria


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS-;

Viste le memorie e le memorie di replica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 26 novembre 2019 il Cons. A M e uditi per le parti l’avvocato D J e l’avvocato Alfredo Zaza D' Aulisio, su delega dell’avvocato E R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante ha impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. per la Campania, in accoglimento del ricorso presentato dall’appellata, quale proprietaria del piano terra, ha annullato la concessione in sanatoria n. -OMISSIS- del 18 aprile 2002, rilasciatagli dal Comune di Santa Maria Capua Vetere per lavori di recupero abitativo del sottotetto di un edificio, condannandolo alle spese di giudizio. In particolare il Tribunale adìto riteneva l’atto viziato, in quanto per una parte dei locali si sarebbe basato su una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi (circostanza questa oggetto anche di un giudizio penale sul quale, era intervenuta sentenza di condanna in primo grado del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. -OMISSIS-del 2 ottobre 2009);
per altra, in quanto comportante un aumento altimetrico di cm. 30, in contrasto con la vigente disciplina regionale sul recupero dei sottotetti (art. 4 della l.r. Campania 28 novembre 2000, n. 15), che lo vieta in assoluto.

2. Con l’atto di appello in esame, l’interessato preliminarmente ripropone le eccezioni di rito respinte dal giudice di prime cure (motivi sub 1 e 2), ritenendo violata:

- la disciplina transitoria sulla perenzione, con conseguente avvenuta estinzione del giudizio, peraltro incardinato tardivamente;
nel merito, chiede l’annullamento della sentenza per asserita violazione degli artt. 3, 4 e 6 della richiamata l.r. per la Campania n. 15/2000, nella parte in cui ha ritenuto ostativo l’incremento in altezza dei locali interessati dall’intervento;

- l’art. 64 c.p.a., laddove ha inteso recepire acriticamente le risultanze probatorie di un procedimento penale, peraltro non ancora definito con giudicato.

In particolare, l’elevazione dell’altezza sarebbe giustificata dall’impossibilità di procedere all’abbassamento dei solai senza pregiudizio per la staticità dell’immobile in adeguamento alla normativa antisismica, così come consentito dall’art. 3, comma 2, della l.r. n. 15/2000;
il preesistente terrazzino sarebbe stato caratterizzato da una copertura parziale e comunque fatiscente e in parte crollata, in perfetta aderenza con quanto asseverato dal tecnico di parte.

3. Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado con memoria in controdeduzione.

In vista dell’udienza di discussione, le parti hanno presentato ulteriore memoria e memoria di replica. In particolare, l’appellante ha controdedotto sulla corretta lettura da attribuire alla sentenza n.-OMISSIS-del 2018 della sez. III penale della Cassazione di annullamento, limitatamente alle sole statuizioni civili, della sentenza della Corte d’appello di Napoli del 18 giugno 2014, che - in riforma della richiamata sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 2 ottobre 2009 - aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’appellante per essere i reati a lui ascritti in concorso con il tecnico comunale estinti per prescrizione.

4. Alla pubblica udienza del 26 novembre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Con il primo motivo di ricorso l’appellante lamenta la nullità della sentenza in quanto il giudice di prime cure non avrebbe dichiarato l’avvenuta estinzione del giudizio per perenzione, con ciò violando l’art. 25 della l. n. 1034/1971 in combinato disposto con gli 82F394E015A039" data-article-version-id="57caaebe-e509-5495-93cf-d1294e9bf17a::LR8F101F82F394E015A039::2010-07-07" href="/norms/codes/itatexti9fkbifolgczza/articles/itaartyz3g4lgl6bomrp?version=57caaebe-e509-5495-93cf-d1294e9bf17a::LR8F101F82F394E015A039::2010-07-07">artt. 80, comma 1, 81, comma 1 e 82, comma 2, c.p.a., nonché con l’art. 1 delle relative norme transitorie.

Nel caso di specie, infatti, essendo il ricorso di primo grado pendente da oltre cinque anni alla data di entrata in vigore del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, avrebbe dovuto trovare applicazione il comma 1 dell’art. 1 della richiamata norma transitoria contenuta nell’Allegato 3 al c.p.a., che imponeva alla parte la presentazione di una nuova istanza di fissazione dell’udienza nel termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del Codice stesso.

Per contro, erroneamente il giudice di prime cure avrebbe ritenuto applicabile l’art. 82, comma 2, c.p.a., non essendo stato comunicato l’avviso di fissazione dell’udienza nel medesimo termine di 180 giorni, siccome previsto come postulato di operatività della relativa disposizione, dal comma 3 del medesimo art. 1 delle norme transitorie.

Nessuna valenza sospensiva, infine, si sarebbe potuta riconoscere all’avvenuta presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza in data 30 marzo 2003, quindi entro il termine biennale fissato dall’art. 25 della l. n. 1034 del 1971, in quanto sostanzialmente “superata” dall’entrata in vigore della nuova disciplina della perenzione e del regime transitorio dettato per la stessa dall’apposito Allegato al Codice.

5.1. Il Collegio ritiene l’assunto non condivisibile, e per contro da confermare la ricostruzione fornita dal giudice di prime cure.

Nel caso di specie, il giudizio di primo grado è stato instaurato innanzi al T.A.R. per la Campania mediante ricorso depositato in data 11 dicembre 2002;
l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione, a sua volta, è stata presentata in data 30 marzo 2003, ovvero entro il termine biennale allora contenuto nell’art. 25 della l. n. 1034/1971.

L’art. 9, comma 2, della l. 21 giugno 2000, n. 205, ha inciso sull’istituto della perenzione, stabilendo che, « a cura della segreteria, è notificato alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dal deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso medesimo. I ricorsi per i quali non sia presentata nuova domanda di fissazione della udienza, vengono dichiarati perenti con le modalità di cui all'ultimo comma dell'articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 ».

Nel contempo il comma 1 della medesima norma, inserendo un ulteriore comma nel richiamato art. 26, ha demandato ad un decreto del Presidente della Sezione o ad un magistrato da lui delegato la declaratoria (tra l’altro) della perenzione, disciplinando altresì il rimedio concesso alla parte avverso tale atto, ovvero l’opposizione al collegio, che a sua volta decide con ordinanza in camera di consiglio, ricorribile in appello con termini dimidiati.

La perenzione relativa ai ricorsi cd. ultraquinquennali è stata introdotta invece dall’art. 54, comma 1, del d.l. n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 133 del 6 agosto 2008, che ha modificato in tal senso il termine decennale di cui all’art. 9 della l. n. 205/2000.

Con il d.lgs. 104/2010, infine, l’istituto è stato nuovamente regolamentato, disciplinando anche il regime transitorio: da un lato, quindi, l’art. 1 dell’Allegato 3 consente -o impone- alle parti di presentare una "nuova" istanza di fissazione di udienza, nel termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del codice, purché si tratti di « ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di discussione » (comma 1), con un chiaro intento deflattivo dell’arretrato;
dall’altro, l’art. 2 ha previsto l’ultrattività della disciplina previgente « per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice ».

Ora, nel caso in esame è dubbio che il termine potesse considerarsi "in corso", in quanto la riduzione dello stesso da decennale a quinquennale è intervenuta, come chiarito sopra, nelle more del procedimento, ferma restando comunque la possibilità di dichiarare il proprio interesse al ricorso anche in udienza, a mezzo del difensore, in quanto parte regolarmente costituita;
esso, tuttavia, non può non essere considerato "pendente", proprio in ragione della mancata declaratoria di perenzione, alla data di entrata in vigore del Codice.

Tale mancata declaratoria, infatti, comunque non addebitale alla parte, in quanto non destinataria dell’avviso della segreteria, colloca necessariamente in tale stadio la relativa situazione processuale, non prevedendo la norma alcun automatismo, ma imponendo comunque, e a prescindere dall’entrata in vigore della nuova disciplina, l’adozione dell’apposito decreto presidenziale e la facoltà di opposizione allo stesso. Il sistema, cioè, come correttamente affermato dal T.A.R. per la Campania, è da sempre stato connotato dall’esigenza di salvaguardare la parte da tali automatismi, attraverso una complessa rete di rimedi, ovvero di coinvolgimenti, che le garantiscano per quanto possibile non un’anomala rimessione in termini, ma la possibilità di far valere le proprio ragioni per accedere al giudizio cui ancora abbia interesse.

A tale finalità risponde anche la disciplina transitoria declinata nel ridetto Allegato 3. A corredo, infatti, della previsione per cui nel termine di 180 giorni la parte si può attivare spontaneamente, con la “nuova” istanza di fissazione dell’udienza (comma 1), ovvero a seguito della ricezione del relativo avviso (comma 3), figura pur sempre la facoltà di interloquire con l’ufficio giudiziario, impedendo l’estinzione del giudizio. Il comma 2 dell’art. 1, infatti, consente di “recuperare” la perenzione già dichiarata con decreto del presidente, depositando, nell’ulteriore termine di 180 giorni, un atto in cui si dichiara di avere ancora interesse alla definizione della causa.

La mancata adozione di tale decreto, quale che sia l’opzione ermeneutica sottesa alla scelta, unitamente alla mancata comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, impediscono necessariamente l’estinzione del giudizio, che diversamente avverrebbe inaudita altera parte .

5.2. Correttamente, pertanto, il giudice di prime cure ha attribuito rilievo, ai fini dell’interruzione della decorrenza del termine di perenzione, alla tempestiva (sulla base della disciplina all’epoca vigente) presentazione dell’istanza di discussione della causa, ritenendone persistente l’efficacia fino ai provvedimenti di cui, nel caso di specie, all’art. 1 delle norme transitorie.

Ma vi è di più: essendo stata l’udienza di discussione fissata proprio in assenza degli avvisi di segreteria e del decreto presidenziale di perenzione, la parte, depositando istanza di prosecuzione del giudizio a seguito del decesso del difensore originariamente nominato in data 21 novembre 2012, ha sostanzialmente formalizzato, con atto sottoscritto « dalla parte personalmente e notificata alle controparti », il proprio interesse alla definizione del giudizio, anticipandolo rispetto al momento dell’udienza stessa.

6. Con un secondo motivo di gravame, l’appellante ha riproposto l’eccezione di irricevibilità del ricorso, in quanto presentato a distanza di circa 7 mesi dall’avvenuto rilascio della concessione in sanatoria.

Se è vero, infatti, che per tale tipologia di provvedimenti, aventi per oggetto un’opera già realizzata, occorre avere riguardo per il computo del termine di impugnazione alla acquisita conoscenza dei contenuti dell’atto, lo è altrettanto che la stessa non deve necessariamente essere “piena”, purché essa sia “effettiva”, cioè tale da far percepire al ricorrente la lesività della propria sfera giuridica da parte del provvedimento impugnato.

Nel caso di specie, dunque, la conoscenza di tale potenziale lesività e del contenuto dell’atto, erano già noti alla controinteressata almeno dal 4 febbraio 2002, a seguito dell’avvenuta visione del progetto di cui all’istanza di concessione edilizia originariamente richiesta;
d’altro canto, proprio la preesistenza di un precedente procedimento conseguito alla presentazione dell’istanza di concessione edilizia in qualche modo prodromica a quella in sanatoria, successivamente richiesta, documenterebbe per tabulas la notorietà dell’intento edificatorio dell’appellante anche all’appellata.

6.1. Ritiene il Collegio che tali deduzioni non possano essere condivise.

6.2. Costituisce ius receptum il principio per il quale il termine d'impugnazione di un titolo in sanatoria decorra dal momento in cui si conosce la circostanza del rilascio del medesimo atto per una determinata opera già esistente.

A ciò consegue, tuttavia, che tale conoscenza deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell'impugnazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5307;
sez. V, 21 dicembre 2004, n. 8147;
sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1699).

Nel caso di specie, invece, la parte appellante non ha fornito alcun elemento specifico da cui si possa desumere tale piena conoscenza del provvedimento impugnato in una data rispetto alla quale il ricorso originario risulterebbe tardivo (sul punto cfr. ancora, ex multis , Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7258).

L’anticipazione di tale conoscenza ad una data addirittura antecedente il rilascio del titolo impugnato, ovvero il 18 aprile 2002, finisce per far coincidere la conoscibilità delle astratte intenzioni edificatorie della parte, peraltro monitorate dalla controinteressata, con il concreto contenuto del provvedimento.

La visualizzazione di una progettualità evidentemente accessoria all’istanza del 22 giugno 2001 non poteva certo equivalere a conoscenza del contenuto della concessione in sanatoria per la medesima tipologia di intervento, peraltro essa stessa neppure ancora richiesta alla data del presunto accesso agli atti (4 febbraio 2002, come sopra esposto, laddove l’istanza di rilascio della concessione in sanatoria impugnata è stata presentata il successivo 1° marzo 2002).

7. Resta da esaminare l’ultimo motivo di ricorso, con il quale la parte contesta la sentenza di prime cure per asserita erronea valutazione della fattispecie nel merito.

7.1. Il T.A.R. per la Campania ha ritenuto illegittima l’impugnata concessione in sanatoria n. -OMISSIS- del 18 aprile 2002, scindendone sostanzialmente il contenuto in due parti, ciascuna “fisicamente” riferita ad una porzione di sottotetto: per la parte orientata a sud ovest, ha ravvisato la falsa rappresentazione dei luoghi, tale da impedire il rilascio del titolo;
per la rimanente, ha evidenziato il contrasto dell’intervento con l’art. 4 della l.r. n. 15/2000, che non consente la tipologia di interventi de quibus laddove implichino, come avvenuto nella fattispecie, aumenti di altezza.

Il Collegio, pur non condividendo l’ipotizzata frammentazione del provvedimento in ragione della sua “fisica” riferibilità a porzioni distinte del fabbricato, per comodità espositiva intende seguire la medesima sistematica, con ciò affrontando separatamente lo scrutinio dei distinti motivi di doglianza, pur palesandosi ciascuno dei vizi evidenziati, ove sussistenti, di per sé autonomamente sufficiente ad inficiare il contenuto dell’atto.

8. Sotto il primo profilo, dunque, l’appellante ritiene errata la ricostruzione del giudice di prime cure, in quanto basata esclusivamente sulle risultanze, peraltro necessariamente provvisorie, del giudizio penale di primo grado, in violazione pertanto delle regole in materia di valutazione delle prove di cui all’art. 64 c.p.a.

Nel merito, così facendo il T.A.R. avrebbe anche perpetrato l’errore di fatto ascritto al Tribunale ordinario, addebitando al tecnico di parte una declaratoria falsa riferita a parti di immobile su cui non aveva l’accesso, in quanto non ancora di proprietà del committente ovvero basandosi su un elaborato grafico allegato alla richiesta di concessione edilizia del 22 giugno 2001, che « non si presta ad agevole lettura e non offre una esatta consistenza dello stato dei luoghi di causa ».

Con memoria depositata in data 25 ottobre 2019, infine, avuto riguardo alla sentenza della Corte di Cassazione n. 7278/2018, versata in atti dalla controparte, ritiene di doverne desumere la sola mancata dimostrazione dell’esistenza di un terrazzo coperto nell’angolo sud ovest del piano sottotetto dell’edificio, riveniente peraltro da accertamenti effettuati esclusivamente nel primo grado di giudizio, essendo le successive pronunce di improcedibilità per intervenuta prescrizione dei reati.

8.1. L’assunto non è condivisibile.

Rileva preliminarmente la Sezione come, diversamente da quanto affermato dall’appellante, il T.A.R. per la Campania non abbia affatto limitato la propria analisi dei fatti ad un acritico recepimento delle risultanze probatorie del giudizio penale conseguito agli stessi, per quanto esse si palesassero chiare e complete nella motivazione della evocata sentenza del giudice penale.

Esso, infatti, ne ha corroborato le conclusioni attraverso l’autonoma e riferita analisi di altre evidenze documentali, quali quelle, anche fotografiche, allegate alla comunicazione di fine lavori effettuati in ottemperanza all’ordinanza contingibile ed urgente n. -OMISSIS-/1998 del Sindaco del Comune di Santa Maria Capua Vetere, da cui si evince chiaramente l’esistenza di un terrazzino scoperto, ovvero la disamina comparata dell’istanza di concessione edilizia del 22 giugno 2001 per sostituzione delle coperture e di quella per la sanatoria del relativo intervento, effettuato senza attendere la definizione del procedimento originario.

8.2. L’oggettività storica degli eventi, peraltro, risulta ormai definitivamente acclarata nel dispositivo della sentenza della Cassazione del 2018, che non si è limitata a confermare l’estinzione dei reati per prescrizione affermata dal giudice di appello, ma, allo scopo di escludere la possibilità da parte dello stesso di una pronuncia di merito, ha sostanzialmente condiviso la ricostruzione degli accadimenti operata proprio dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

In sintesi, nel caso di specie non avrebbe potuto trovare applicazione l’invocato art. 129, comma 2, c.p.p., non essendo emerse nel corso del giudizio incontestabili circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale. Al contrario, il Tribunale « ha ribadito la responsabilità del ricorrente con argomento oltremodo congruo, fondato su concreti elementi dibattimentali e privo di qualsivoglia illogicità manifesta ». In particolare, risulta pertanto accertato che « la richiesta di concessione edilizia presentata [….] il 22 giugno 2001 –che conteneva espresso richiamo alla l.r. n. 15 del 2000 in tema di recupero abitativo dei sottotetti, della quale si voleva evidentemente beneficiare- attestava falsamente la presenza di un terrazzo coperto nell’angolo sud-ovest dell’immobile di cui era prossimo all’acquisto, con indicazione di relative altezze di gronda e di colmo ». E ancora: « il compendio probatorio aveva dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’inesistenza del sottotetto in esame in epoca anteriore al giugno 2001 e, del pari, la sicura falsità dei grafici prodotti a corredo dell’istanza di concessione ».

La contraria tesi difensiva, riproposta anche in questa sede, basata sulla preesistenza di un vano coperto fatiscente e poi crollato, non ha dunque trovato in tale sede alcun riscontro probatorio;
né a tale onere di allegazione la parte ha sopperito nell’odierno giudizio, essendosi limitata a ribadire l’impossibilità originaria da parte del tecnico di accedere a locali la cui proprietà è stata acquisita successivamente (con ciò rendendo ancor più ambigua l’avvenuta asseverazione delle relative misure), nonché la mancanza di chiarezza degli elaborati grafici, che pertanto si pretenderebbe venissero integrati dal giudice aderendo alla prospettata tesi della preesistenza di un tetto parziale, fatiscente e in parte crollato, del quale non esiste in atti alcun riscontro probatorio.

9. Quanto infine alla asserita compatibilità dell’intervento con le disposizioni di cui alla l.r. n. 15/2000, malgrado l’incontestato incremento altimetrico di cm. 30, essa è contraddetta dal tenore letterale delle norme invocate.

La pur « modesta variazione di altezza » di cui dà atto anche l’ufficio comunale, infatti, si pone in insanabile contrasto con il divieto di cui all’art. 4 della ridetta normativa regionale, come correttamente affermato dal giudice di prime cure. Né essa appare assentibile in forza del richiamato art. 3, comma 2, della disciplina de qua, laddove, nel consentire l’abbassamento dell’ultimo solaio ai fini del raggiungimento dell’altezza media interna richiesta per ragioni di abitabilità, lo condiziona alla sua mancata incidenza « sulla statica e sul prospetto dell’edificio ».

Si tratta, cioè, di una chiara perimetrazione delle possibilità tecniche dell’intervento di abbassamento dei solai, non della possibilità di innalzare l’altezza di colmo e di gronda, realizzati con modalità alternativa a ridetto abbassamento dei solai sull’assunto, peraltro solo affermato, che lo stesso avrebbe comportato problematiche di staticità.

19. Per tutto quanto sopra, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per la Campania n. -OMISSIS-/2013, con conseguente conferma dell’annullamento della concessione edilizia in sanatoria n. -OMISSIS- del 18 aprile 2002 rilasciata dal Comune di Santa Maria Capua Vetere, impugnata con ricorso n.r. -OMISSIS-/2002.

Le spese seguono del secondo grado la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo in favore della sola parte costituita.

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