Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-14, n. 202001834
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Pubblicato il 14/03/2020
N. 01834/2020REG.PROV.COLL.
N. 00114/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 114 del 2010, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C B, con domicilio eletto presso lo studio “s.r.l. Placidi” in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;
contro
il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- resa tra le parti, concernente un diniego di condono edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2020 il Cons. A M. Nessuno comparso per le parti.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con determinazione n. 3426 del 13 febbraio 2007 il Comune di -OMISSIS- ha respinto l’istanza di condono presentata, ai sensi della l. 23 dicembre 1994, n. 724, dall’odierno appellante in relazione ad opere edilizie abusive effettuate su un fabbricato di sua proprietà, in quanto non rientranti nei requisiti temporali imposti dalla normativa (realizzazione entro il 31 dicembre 1993).
2. Il T.A.R.-OMISSIS-innanzi al quale l’interessato ha proposto ricorso per l’annullamento di ridetto diniego, lo ha respinto con sentenza n. -OMISSIS-, sulla base di quanto accertato dalla Polizia municipale in data 1°febbraio 2007.
3. Avverso la sentenza ha presentato appello il ricorrente in primo grado, sostanzialmente riproponendo le doglianze originarie, ovvero la violazione degli artt. 39, punto 1, della l. n. 724/1994 e 31 della l. n. 47/1985, nonché eccesso di potere, sia per errata interpretazione della circolare ministeriale n. 3357 del 30 luglio 1985, sulla nozione di “ultimazione” dei lavori, sia per disparità di trattamento con fattispecie analoghe verificatesi nella medesima zona e tuttavia assentite dal Comune.
4. Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2020, alla quale nessuno è comparso, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
5. In via preliminare il Collegio ritiene di poter prescindere da un maggior scrutinio dei profili di inammissibilità dell’appello, apparentemente reiterativo del ricorso di primo grado, stante la sua infondatezza nel merito.
6. Le censure avanzate possono essere esaminate congiuntamente, così come fatto dal giudice di prime cure, attesa la loro sostanziale omogeneità. Nella sostanza, infatti, l’appellante contesta l’accertamento della data di effettuazione dei lavori, rivendicandone l’avvenuta ultimazione, per lo stato di avanzamento in concreto rilevato, in data utile alla fruizione del richiesto condono.
Il Comune ha posto a base del diniego di condono gli esiti, facenti prova fino a querela di falso, del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale in data 1° febbraio 2007, per il tramite del richiamo alla nota prot. 1256 del 3 febbraio 2007, con la quale il Comando di appartenenza ha sollecitato la definizione del procedimento. Un eventuale errore empirico in suddette rilevazioni, non risulta neppure semplicemente affermato, insistendo l’appellante solo sulla circostanza -irrilevante ai fini del giudizio complessivo- che l’opera era già certa nella sagoma e volumetria e dunque doveva essere considerata ultimata in tempo utile.
A fronte di ciò, l’interessato si è limitato a ricostruire -peraltro in maniera piuttosto caotica e tutt’affatto chiara-la stratificazione della vicenda a far data dall’acquisto originario del manufatto, avvenuto nel 1986 (parrebbe, peraltro, con volumetria diversa -mq.180- da quella risultante dalla scheda catastale -mq.94,50), fino al duplice sequestro cui è stato sottoposto nell’ambito di un procedimento penale per i lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione edilizia per ristrutturazione n. 17689 del 6 settembre 1988, sfociato nella condanna con sentenza n. 18919 del 1994 del -OMISSIS-. L’invocato richiamo proprio ai contenuti del sequestro del 9 novembre 1993 (dunque a ridosso della scadenza del termine di legge per la fruizione del condono), infatti, si palesa del tutto insufficiente a scalfire le risultanze del richiamato verbale dei vigili urbani.
Ammesso e non concesso, infatti, che la consistenza delle opere per come ivi cristallizzata fosse sufficiente a considerare il fabbricato “ultimato”, non appare neppure dimostrata la perfetta sovrapponibilità dello stato di fatto risultante dalla verbalizzazione di tale atto di polizia giudiziaria, con quello riscontrato in occasione del sopralluogo del 1° febbraio 2007.
7. Ma vi è di più.
Anche a ritenere provato tale livello di avanzamento dei lavori (getto dei pilastri e del solaio di copertura), ne è evidente l’insufficienza ai fini del soddisfacimento del richiesto requisito di ultimazione degli stessi, giusta la inequivocabile lettura che di tale dizione ha da tempo fornito la giurisprudenza, anche di questo Consiglio di Stato.
L’art. 31, comma 2, della richiamata l. n. 47/1985 prevede due criteri alternativi per la verifica di ridetto requisito, rilevante ai fini del rilascio del condono: si tratta del criterio «strutturale», che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio «funzionale», che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale. Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici «ultimati», ci si riferisce a quelli completi almeno al «rustico», appunto, espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130);la nozione di completamento funzionale, implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini, in tale seconda ipotesi l’organismo edilizio non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso.
Nel caso di specie, l’appellante nel corso del giudizio di primo grado non ha fornito elementi idonei a comprovare la preesistenza del manufatto “ultimato” in nessuna delle due accezioni alla data del 31 dicembre 1993.
8. Per consolidata giurisprudenza, l’onere di provare l’ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all’interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne ( ex multis , Cons. Stato, sez. II, 11 novembre 2019, n. 7678). Qualora peraltro emergano rilevanti dubbi sull’effettiva avvenuta realizzazione dell’abuso, l’Amministrazione può negare il condono, non gravando sulla stessa nessun onere di fornire, a propria volta, un’autonoma prospettazione in ordine al momento in cui gli interventi rappresentati siano stati posti in essere (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 maggio 2019, n. 2858);di talché priva di rilievo appare anche la lamentata mancanza di valutazione dei margini di divergenza tra la consistenza del manufatto per come concretamente accertata, e quella originaria desumibile negli stralci aerofotogrammetrici, tanto più che nel caso di specie si assume che il fabbricato rurale oggetto dell’acquisto originario sia stato del tutto demolito, per essere sostituito da quello di cui è causa.
9. Il diniego, infine, trova fondamento anche sul parere negativo della Commissione edilizia integrata cui l’istanza è stata sottoposta giusta l’insistenza dell’immobile in area sottoposta a vincolo ex D.M. 15 dicembre 1995, riguardante l’intera estensione comunale, nonché in contrasto con le previsioni del Piano regolatore generale, per il quale il fabbricato si pone in area “verde standard sottozona c” (sport, gioco e tempo libero) e del -OMISSIS-che lo colloca in zona “a protezione integrale” .
Tenuto conto di quanto sopra esposto circa la data di ultimazione delle opere, appare comunque priva di rilievo la doglianza in forza della quale si sarebbe tenuto conto di vincoli sopravvenuti alla stessa.
10. Del tutto inconsistente, infine, si palesa la lamentata “solerzia” nella definizione del procedimento: a prescindere dalla condivisa opportunità di intervenire tempestivamente su un cantiere sostanzialmente protrattosi per anni, siccome evidenziato dalla stessa parte nel richiamare l’esito dei precedenti accertamenti di polizia giudiziaria, è evidente che l’eventuale alterazione nell’ordine di priorità della disamina delle domande non può certo inficiare la validità del provvedimento finale, il cui contenuto, alla luce di quanto sopra detto, appariva comunque sostanzialmente necessitato.
11. Quanto infine alla asserita disparità di trattamento rispetto a richiamati -e neppure documentati-diversi esiti di analoghe domande, il Collegio non può che ricordare come finanche una situazione di indiscriminato abusivismo nel medesimo contesto, sicuramente stigmatizzabile sotto altri profili, non potrebbe comunque legittimare l’avallo di ulteriori violazioni di normative poste a tutela del corretto sviluppo del territorio.
12. In conclusione, pertanto, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza n. -OMISSIS- del T.A.R. -OMISSIS-
Nulla sulle spese, non essendosi costituito il Comune di -OMISSIS-.