Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-12, n. 201702218

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-12, n. 201702218
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702218
Data del deposito : 12 maggio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/05/2017

N. 02218/2017REG.PROV.COLL.

N. 08373/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8373 del 2016, proposto da:
C.M.O. – Centro Medico Oplonti s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

Azienda Sanitaria Locale – A.S.L. Napoli 3 Sud, in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato R A P, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale della Regione Campania in Roma, via Poli, n. 29;
Comune di Torre Annunziata (NA), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocato Orazio Abbamonte, con domicilio eletto presso lo Studio Traisci-Titomanlio in Roma, via Nicolò Porpora, n. 12;

nei confronti di

Casa di Cura Maria Rosaria s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, sez. I, n. 3526/2016, resa tra le parti, concernente la rideterminazione della capacità operativa massima per le prestazioni di medicina nucleare


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio dell’A.S.L. Napoli 3 Sud, del Comune di Torre Annunziata e della Casa di Cura Maria Rosaria s.p.a.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’appellante C.M.O. – Centro Medico Oplonti s.r.l. l’Avvocato A C, per l’Azienda Sanitaria Locale – A.S.L. Napoli 3 Sud l’Avvocato Paolo Caruso su delega dell’Avvocato R A P, per la controinteressata Casa di Cura Maria Rosaria s.p.a. l’Avvocato Gianluigi Pellegrino e per il Comune di Torre Annunziata (NA) l’Avvocato Maria Filosa su delega dell’Avvocato Orazio Abbamonte;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso ha la propria remota origine nel provvedimento di regressione tariffaria unica (c.d. RTU), di cui alla delibera n. 402 del 23 luglio 2013 dall’Azienda Sanitaria Locale Napoli – A.S.L. 3 Sud (di qui in avanti, per brevità, l’Azienda o l’A.S.L.), adottato nei confronti di C.M.O. – Centro Medico Oplonti s.r.l. (di qui in avanti, per brevità, C.M.O.), odierna appellante, con il quale detta Azienda ha inizialmente riconosciuto, tra l’altro, le prestazioni effettuate da C.M.O. dal febbraio al dicembre 2009 con i macchinari acquistati ed installati, nel corso del 2008, per l’esecuzione di tali innovative indagini con il tomografo “PET”.

1.1. La controinteressata Casa di Cura Maria Rosaria s.p.a. (di qui in avanti, per brevità, Casa di Cura), ritenendosi penalizzata da tale provvedimento nei confronti a C.M.O., lo ha impugnato avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, che con sentenza n. 2342 del 28 aprile 2014 ha respinto il suo ricorso.

1.2. Detta sentenza è stata impugnata dalla Casa di Cura avanti a questo Consiglio di Stato, con richiesta di sospensiva, sulla quale la Sezione si è pronunciata, con l’ordinanza n. 4336 del 25 settembre 2014, accogliendo la domanda cautelare sul rilievo che sussistessero ancora incertezze circa l’avvenuta verifica di implementazione della c.o.m. (capacità operativa massima) di C.M.O., anche alla luce di quanto era emerso nella discussione svoltasi in camera di consiglio, per essere ancora pendente il relativo procedimento.

1.3. Il contenzioso in appello è stato poi definito, come meglio si dirà oltre, con la sentenza n. 207 del 22 gennaio 2016 di questo Consiglio, che ha dichiarato improcedibile l’appello proprio per il sopraggiungere della delibera n. 46 del 12 febbraio 2015, impugnata nel presente giudizio con il ricorso originario avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli.

1.4. La Commissione per il calcolo delle capacità operative massime ha provveduto nel frattempo a riesaminare la posizione di C.M.O., anche su impulso della citata ordinanza cautelare di questo Consiglio, ed ha negato a C.M.O. la riconoscibilità delle prestazioni PET per il 2009, sostanzialmente affermando che per il riconoscimento della c.o.m. la società avrebbe dovuto essere già stata autorizzata dal Comune all’utilizzo del tomografo al 31 dicembre dell’anno precedente (2008) e, quindi, che non fosse sufficiente, ai fini dell’implementazione, la presentazione dell’istanza da parte di C.M.O. entro il 31 dicembre 2008, oltre al possesso dei requisiti necessari per attivare le relative prestazioni.

1.5. Il Commissario straordinario dell’Azienda, con delibera n. 46 del 12 febbraio 2015, ha comunicato a C.M.O. la nuova contabilizzazione della c.m.o. per l’anno 2009, riducendo gli importi che la stessa Azienda, peraltro, aveva già erogato a Detto Factor s.p.a., quale cessionaria dei crediti di C.M.O.

2. Tale delibera è stata impugnata avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, da C.M.O, la quale ha dedotto la violazione della d.G.R.C. n. 491 del 2006, e ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento.

2.1. Si sono costituite per resistere al ricorso l’Azienda e la controinteressata Casa di Cura che, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale, sostenendo che C.M.O. non avesse presentato nemmeno l’istanza di implementazione della c.o.m. il 30 dicembre 2008, contrariamente a quanto aveva affermato la stessa C.M.O. nel ricorso introduttivo del giudizio.

2.2. Nel corso del giudizio l’Azienda ha dapprima emesso la delibera n. 462 del 4 agosto 2015, impugnata da C.M.O. con primi motivi aggiunti, e infine la delibera n. 625 del 3 novembre 2015, impugnata sempre da C.M.O. con i secondi motivi aggiunti.

2.3. Infine il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, con la sentenza n. 3526 dell’8 luglio 2016, ha in parte dichiarato inammissibili e in parte respinto i motivi di censura, articolati in primo grado da C.M.O., e ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale proposto dalla Casa di Cura.

2.4. Avverso detta sentenza ha proposto appello C.M.O., articolato in due distinti motivi che di seguito saranno esaminati, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con conseguente annullamento degli atti impugnati in primo grado con il ricorso e i due motivi aggiunti.

2.5. Si sono costituiti l’Azienda e il Comune di Torre Annunziata per resistere alle domande formulate dall’appellante C.M.O., anche con riferimento all’azione risarcitoria riproposta con il secondo motivo dell’appello.

2.6. Si è costituita, altresì, l’appellata Casa di Cura, che il 19 dicembre 2016 ha altresì proposto appello incidentale.

2.7. Nella camera di consiglio del 20 dicembre 2016, fissata per l’esame della domanda sospensiva formulata dall’appellante principale C.M.O., il Collegio, ritenuto di dover decidere la causa con sollecitudine nel merito, l’ha rinviata per la discussione all’udienza pubblica del 27 aprile 2017.

2.8. In tale udienza il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello principale di C.M.O. è infondato e deve essere respinto.

4. La questione centrale del presente giudizio concerne la rimborsabilità delle prestazioni PET erogate da C.M.O. nel periodo dal febbraio al dicembre 2009 da parte dell’A.S.L., avendo il T.A.R. per la Campania affermato che per il riconoscimento della capacità operativa massima (c.d. c.o.m.) la società avrebbe dovuto ricevere l’autorizzazione dal Comune all’utilizzo del tomografo nell’anno precedente a quello in cui ha effettuato le prestazioni – 2009 – e, quindi, che non fosse sufficiente, per riconoscere l’implementazione, oltre alla presentazione dell’istanza da parte del Centro Medico Oplonti entro il 31 dicembre 2008, il solo possesso dei requisiti necessari per attivare le relative prestazioni a tale data.

5. Giova muovere dall’analisi del primo motivo dell’appello (pp.

8-22 del ricorso) che, per l’articolata densità di argomentazioni e, soprattutto, per un più ordinato esame delle censure, può essere suddiviso in tre fondamentali ordini di censure.

6. Con un primo ordine di censure (pp. 8- 12 del ricorso) C.M.O. contesta, anzitutto, la decisione del T.A.R. nella parte in cui, dopo aver preso atto della revoca della delibera n. 46 del 12 febbraio 2015, impugnata con il ricorso originario, da parte del Commissario Straordinario con la delibera n. 625 del 3 novembre 2015, impugnata con i secondi motivi aggiunti, ha ritenuto inammissibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse e, nel contempo, si è pronunciato sulla stessa in riferimento ai vizi della delibera n. 625 del 3 novembre 2015 per illegittimità derivata dai vizi della delibera n. 46 del 2015.

6.1. Con il deliberato di novembre, infatti, da un lato il Commissario avrebbe revocato espressamente il precedente deliberato sulla quantificazione della c.o.m. per l’anno 2009 riconosciuta al C.M.O nel febbraio 2015 con la delibera n. 46 e lo avrebbe rideterminato in riduzione, ma dall’altro nulla avrebbe affermato sul mancato riconoscimento della c.om. per l’utilizzo del tomografo per le prestazioni PET che non le delibere n. 46 del febbraio 2015 e n. 462 del 4 agosto 2015 era stato espressamente escluso.

6.2. Quindi, revocando in toto la precedente delibera senza esprimere alcun’altra statuizione in merito alle prestazioni PET, il Commissario straordinario avrebbe inteso lasciare operativa la delibera n. 462 del 4 agosto 2015, impugnata con i primi motivi aggiunti, sull’esplicito mancato riconoscimento delle prestazioni PET erogate nel 2009 dalla C.M.O.

6.3. Il T.A.R. per la Campania, conseguentemente, avrebbe dovuto valutare la legittimità sia della delibera n. 462 del 4 agosto 2015 che della delibera n. 625 del 3 novembre 2015, mentre ha ritenuto, con motivazione erronea ed illogica, che la delibera n. 625 del 3 novembre 2015 costituisca attuale ed esclusiva fonte regolativa del rapporto, « anche quale atto presupposto della deliberazione 462 del 4 agosto 2015, impugnata con i primi motivi aggiunti ».

6.4. L’appellante contesta, anzitutto, che una delibera adottata nel novembre 2015 possa costituire atto presupposto di una delibera adottata tre mesi addietro, ma rileva la contraddittorietà della sentenza impugnata che, dopo avere ritenuto revocata la delibera n. 462 del 4 agosto 2015 e quindi improcedibili i motivi di ricorso proposti contro di essa, ha respinti i vizi di illegittimità derivata dalla delibera n. 462 del 4 agosto 2015, impugnata con i primi motivi aggiunti.

6.5. Il primo giudice, in altri termini, si sarebbe pronunciato su una delibera non solo revocata dall’Amministrazione, ma anche oggetto di un ricorso dichiarato improcedibile.

6.6. Tale censura, deduce C.M.O., non ha valenza formale, ma « sostanziale » (p. 10 del ricorso) in quanto il giudice di prime cure ha fondato il suo convincimento sull’esame di una delibera che – seppure di contenuto analogo – è tuttavia diversa da quella oggetto del contendere con conseguenti statuizioni errate, che non possono che condurre alla riforma della sentenza.

6.7. Infatti, a fronte delle censure della ricorrente dirette a sostenere che, con la delibera n. 462 del 4 agosto 2015, l’Azienda aveva proceduto ad un annullamento dei precedenti atti con i quali era stato riconosciuto al C.M.O. la c.o.m. per l’anno 2009 comprensiva delle prestazioni PET erogate, il T.A.R. ha affermato che la funzione esercitata con i provvedimenti oggetto di impugnativa non potrebbe essere qualificata come di autotutela decisoria in quanto sarebbero mancati a monte « atti, anche di natura implicita, regolativi della c.o.m. della CMO per l’anno 2009 fondanti una fattispecie di riesame di una funzione di primo grado » (p. 7 della sentenza impugnata).

6.8. Senonché, eccepisce l’appellante principale, il T.A.R. non avrebbe considerato che con la delibera n. 462 del 4 agosto 2015 il Commissario, per non riconoscere al C.M.O. le prestazioni PET per l’anno 2009, ha espressamente deliberato di « modificare e integrare in parte qua la Deliberazione n. 402/2013 » con la quale, in riferimento alla c.o.m. per la branca di Medicina Nucleare e Diagnostica per Immagini, l’Azienda aveva preso atto dell’avvenuta erogazione delle prestazioni PET da parte di CMO a partire dal febbraio 2009, riconoscendo la legittimità di quanto già pagato, a tale titolo, a Detto Factor s.p.a.

6.9. Poiché la modifica operata nel 2015 della precedente determina consiste nel mancato riconoscimento di quanto in precedenza non solo deliberato, ma addirittura già pagato dall’Azienda alla società cessionaria dei crediti per i titoli di cui sopra, sarebbe evidente che la delibera n. 465 del 4 agosto 2015 altro non sia che un annullamento parziale e/o un riesame di atti precedenti e, quindi, l’espressione di una funzione di “secondo grado” e non di “primo grado”, come erroneamente ha affermato il T.A.R. per la Campania.

6.10. Anche volendo ritenere, comunque, che l’espressa modifica della precedente delibera n. 402 del 2013, operata con la delibera n. 465 del 4 agosto 2015, non costituisca sostanzialmente un annullamento della precedente nel punto in cui riconosceva a C.M.O. le prestazioni PET nel 2009, rimarrebbe il dato che il Commissario straordinario, con la delibera impugnata, ha annullato gli atti impliciti recanti il riconoscimento dei crediti vantati da CMO a tale titolo, diversamente da quanto ha ritenuto al riguardo il primo giudice.

6.11. La violazione dell’art. 21- nonies da parte dell’Azienda, sia in riferimento al superamento del termine massimo di diciotto mesi entro il quale esercitare il potere di autotutela sia in relazione alla mancata ponderazione dell’interesse pubblico con l’affidamento ingenerato nel privato, censura erroneamente non esaminata dal T.A.R. per non aver configurato il contenuto della delibera n. 462 del 2015 quale espressione del potere di autotutela, è stata riproposta dall’appellante a carico della stessa delibera n. 462 del 2015.

6.12. Il motivo, nei termini sin qui esposti e riassunti, non merita accoglimento.

6.13. Il T.A.R. per la Campania ha anzitutto osservato che la delibera n. 46 del 12 febbraio 2015 è stata espressamente revocata dalla delibera n. 625 del 3 novembre 2015, impugnata con i secondi motivi aggiunti, che – oltre a mantenere fermo l’effetto negatorio del riconoscimento della c.o.m. per le prestazioni di PET – ha operato una riduzione della c.o.m. oraria per la medicina nucleare, ed ha ritenuto che il nuovo provvedimento costituisca attuale ed esclusiva fonte regolativa del rapporto, anche quale atto presupposto della delibera n. 462 del 4 agosto 2015, impugnata con i primi motivi aggiunti, con cui è stata applicata la regressione tariffaria unica per il 2009, senza tenere conto delle prestazioni PET erogate dalla società ricorrente (p. 7 della sentenza impugnata).

6.14. La valutazione del primo giudice è corretta perché la delibera n. 625 del 3 novembre 2015 costituisce, in effetti, fonte attuale ed esclusiva del rapporto, anche con riguardo alla erogazione delle prestazioni PET nel 2009, in quanto essa non solo ha revocato, espressamente, la delibera n. 46 del 12 febbraio 2015, ma ha anche rilevato, nel recepire le osservazioni della Commissione contenute nell’allegato verbale del 22 ottobre 2015, che « alla luce degli atti in possesso della Commissione emerge che alla data del 31.12.2008 il C.M.O. srl era in possesso di autorizzazione esclusivamente per l’attività di medicina nucleare in vivo (scintigrafia) » (p. 3 del verbale del 22 ottobre 2015).

6.15. Nel far ciò, peraltro, la Commissione ha confermato quanto aveva già rilevato nel precedente verbale del 29 gennaio 2015.

6.16. L’appellante principale sostiene che il primo giudice che la delibera n. 625 del 3 novembre 2015 non avrebbe revocato la precedente delibera n. 462 del 4 agosto 2015, sulla quale il primo giudice si sarebbe dovuto dunque pronunciare esaminando i vizi dedotti contro tale delibera, che costituiva atto di annullamento parziale della delibera n. 402 del 2013 o, quantomeno, degli atti impliciti di riconoscimento del credito vantato da C.M.O.

6.17. La censura non merita condivisione perché, nonostante il silenzio della delibera n. 625 del 3 novembre 2015 sulla precedente delibera n. 462 del 4 agosto 2015, pare al Collegio evidente che la delibera n. 625 costituisca, come ha ritenuto il primo giudice, definitiva e ultima determinazione del rapporto da parte dell’Amministrazione straniera, con efficacia sostitutiva di qualsivoglia precedente determinazione, anche in essa non menzionata, ma con essa incompatibile, recando essa una ulteriore decurtazione delle prestazioni riconoscibili, soprattutto all’esito degli ulteriori approfondimenti istruttori condotti, nello sviluppo del complesso procedimento, dalla competente Commissione e definitivamente cristallizzati nel verbale del 22 ottobre 2015, allegato alla determina n. 625 del 3 novembre 2015 e costituente parte integrante di esso.

6.18. Ma anche se si volesse ritenere, per mera ipotesi, che la delibera n. 462 del 4 agosto 2015 abbia mantenuto una qualche efficacia, quanto alla regolazione del rapporto, in “concorso” con la delibera n. 625 del 3 novembre 2015 e che il primo giudice dovesse, quindi, pronunciarsi sulle censure proposte contro la delibera dell’agosto 2015 e anche se, più in generale, si accedesse alla tesi dell’appellante principale, secondo cui tutti gli atti impugnati con il ricorso originario e i due successivi motivi aggiunti, siano espressione di autotutela e, come tali, riconducibili al paradigma dell’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990, siccome riformato dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1, della l. n. 124 del 7 agosto 2015, non per questo ne seguirebbe la fondatezza del ricorso in ordine alle censure sollevate con peculiare riferimento a tale parametro normativo.

6.19. Al riguardo si deve tenere presente quanto ha statuito questo Consiglio di Stato, con efficacia di giudicato tra le parti (e, quindi, anche nei confronti di C.M.O.), nella sentenza n. 207 del 22 gennaio 2016, la quale ha dichiarato improcedibile il ricorso della Casa di Cura, odierna appellata, proprio avverso la delibera n. 402 del 2013, per la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, proprio sulla scorta della delibera n. 46 del 2015.

6.20. In tale pronuncia questo Consiglio ha rilevato che « l’adozione di tale delibera, che risulta oggetto di impugnazione pendente dinanzi al TAR Campania, sede di Napoli, (R.G. 1789/2015), incide sull’interesse attuale alla decisione del ricorso in esame, essendo la verifica dell’avvenuta implementazione della capacità massima produttiva del Centro interessato condizione espressamente apposta dal Tavolo tecnico all’autorizzazione alla produzione in overselling di C.M.O. S.r.l. ed al riconoscimento del maggior fatturato a remunerazione per il 2009 (cfr. seduta del 25.10.2012 e verbale n. 38 del 31.10.2012) » e che « come è evidente, all’epoca in cui il Tavolo tecnico ha autorizzato lo sforamento del budget il Centro Medico Oplonti, pur avendo richiesto una riqualificazione della propria capacità operativa massima (in data 30.12.2008), non l’aveva però conseguita » (p. 8 della sentenza n. 207 del 22 gennaio 2016).

6.21. Altrettanto significativa, ai fini del presente giudizio, è la conclusione, raggiunta da detta pronuncia, che « sopravvenuta la determinazione del Commissario Straordinario n. 46/2015, essendo la questione circa la legittimità della nuova c.o.m. per il 2009 sub iudice , questo Collegio rileva la pregiudizialità di quel giudizio rispetto ad ogni ulteriore determinazione concernente la correttezza dell’esercizio del potere di regressione tariffaria, apparendo evidente, pur tuttavia, che la condizione apposta dal Tavolo tecnico non si era, a suo tempo, avverata e che il provvedimento impugnato (la deliberazione dell’Asl Napoli 3 Sud n. 402 del 23.7.2013) aveva come suo presupposto un atto non efficace ».

6.22. Proprio sulla scorta di tali considerazioni, coperte dall’intangibilità del giudicato, risulta chiaro come, nel presente giudizio, non sia ravvisabile alcuna violazione dell’art. 21- nonies , comma 1, della l. n. 241 del 1990 perché, come era ben noto a C.M.O., il riconoscimento dell’ overselling – conseguente al notevole sforamento del budget – ad opera della delibera n. 402 del 2013, era stato espressamente subordinato all’incremento della c.o.m., il cui procedimento era, tuttavia, ben lungi dal dirsi concluso nel 2013, ma all’epoca ancora aperto, essendosi definito solo con la determinazione n. 46 del 2015 e le due successive, impugnate in primo grado nel presente giudizio.

6.23. E già l’ordinanza n. 4336 del 25 settembre 2014 questo Consiglio, accogliendo la domanda cautelare della Casa di Cura e sospendendo la delibera n. 402 del 2013 nel giudizio poi concluso con la sentenza n. 207 del 22 gennaio 2016, aveva rilevato, a suo tempo, come sussistessero ancora incertezze circa l’avvenuta verifica di implementazione della c.o.m. (capacità operativa massima) di C.M.O., anche alla luce di quanto era emerso nella discussione svoltasi in camera di consiglio, per essere ancora pendente il relativo procedimento.

6.24. Non a caso, infatti, la delibera n. 462 del 4 agosto 2015 – anche a ritenerne per ipotesi, come detto, la perdurante vigenza anche oltre la successiva delibera n. 625 del 3 novembre 2015 – aveva riconosciuto il solo sforamento del 10%, rispetto alla produzione dell’anno 2008, « visto che per l’anno 2009 al Centro C.M.O. per la branca di Medicina Nucleare non è stata riconosciuta la possibilità di effettuare PET e atteso che il verbale contenente le giustificazioni dell’ overselling è stato ugualmente sospeso in attesa della sentenza conclusiva del giudizio innanzi al Consiglio di Stato ».

6.25. Insomma i provvedimenti qui impugnati – e, in particolare, la delibera n. 462 del 2015, da valutarsi, come detto, superata in via definitiva dalla delibera n. 625 – non possono ritenersi, nella loro sostanza, espressione di autotutela – e, cioè, di un rinnovato esercizio del medesimo potere – né quanto alla determinazione della c.o.m. né quanto alla regressione unica tariffaria, in quanto essi costituiscono, invece e propriamente, gli atti conclusivi di una stessa sequenza procedimentale, avviata con la delibera n. 402 del 2013, mediante il provvisorio riconoscimento dell’ overselling espressamente sottoposto dal Tavolo tecnico alla condizione dell’avvenuta implementazione della c.o.m., e conclusisi con le determinazioni impugnate nel presente giudizio.

6.26. Ma, se anche essi si dovessero qualificare – come assume l’appellante – come atti di autotutela ai sensi dell’art. 21- nonies , comma 1, della l. n. 241 del 1990, siccome riformato dalla l. n. 124 del 2015, non per questo si potrebbero ritenere violate le relative disposizioni quando era ben noto all’appellante che fin dal principio il provvisorio riconoscimento dell’ overselling nell’originario provvedimento di regressione tariffaria era espressamente subordinato, sub condicione , all’implementazione della c.o.m., come questo Consiglio di Stato ha ben chiarito con efficacia di giudicato nella sentenza n. 207 del 2016, e che nessun legittimo affidamento C.M.O. poteva riporre né ora né allora – nemmeno cedendo pro soluto i relativi crediti a Detto Factor s.p.a., come si dirà in seguito – nel loro definitivo riconoscimento senza che prima detta condizione si avverasse, all’esito del procedimento al tempo ancora pendente e oggi concluso.

6.27. Nemmeno può porsi, quindi, alcuna questione inerente al rispetto del termine dei 18 mesi di cui alla novella della l. n. 124 del 2015 – peraltro, a ben vedere, non applicabile, se non in via irretroattiva, in quanto introdotto il 28 agosto 2015 successivamente all’atto – la determina del 2013 – in ipotesi oggetto di annullamento in autotutela – non essendosi la condizione alla quale era espressamente subordinato l’iniziale riconoscimento delle prestazioni PET – e, cioè, l’implementazione della c.o.m. – ancora verificatasi al tempo in cui fu emessa la delibera n. 402 del 2013 e il relativo procedimento ancora aperto e poi concluso con le determinazioni qui impugnate e, in particolare, con quella definitiva – e, si ripete, sostitutiva delle altre due precedentemente adottate nel 2015 – n. 625 del 3 novembre 2015.

6.28. Di qui, anche per le complesse ragioni sin qui vedute, l’infondatezza del motivo.

7. Con un secondo e – invero centrale – ordine di questioni (pp. 12-17 del ricorso), che per il loro analogo contenuto argomentativo possono essere unitariamente considerate, l’appellante principale lamenta l’errore nel quale sarebbe incorso il T.A.R. per la Campania nell’aver ritenuto che, per ottenere l’implementazione della c.o.m., C.M.O. avrebbe dovuto ottenere entro il 31 dicembre 2008 l’autorizzazione all’utilizzo del nuovo macchinario.

7.1. C.M.O. denuncia la violazione della d.G.R.C. n. 491 del 19 aprile 2006 che, per la implementazione della c.o.m., richiede solo che i Centri accreditati, « al 31 dicembre dell’anno precedente a quello per il quale si richiede la riclassificazione, siano in possesso della strumentazione e dei requisiti necessari per erogare le relative prestazioni » poiché, diversamente, avrebbe richiesto che le prestazioni, a quella data, dovessero essere già autorizzate dall’Amministrazione competente.

7.2. Sarebbe ovvio, ad avviso dell’appellante principale, che per essere concretamente erogate nell’anno successivo dette prestazioni debbano essere preventivamente autorizzate, ma ciò è fuori discussione, nel caso di specie, perché – ottenuta l’autorizzazione il 3 febbraio 2009 – C.M.O. ha richiesto la liquidazione delle prestazioni contabilizzate dal febbraio al dicembre 2009.

7.3. Il ragionamento del T.A.R. per la Campania, secondo il quale, per l’implementazione della c.o.m., alla data del 31 dicembre dell’anno precedente alla richiesta la struttura accreditata deve essere dotata di autorizzazione sanitaria per le nuove prestazioni, non troverebbe riscontro in alcun passo della d.G.R.C. Campania n. 491 del 2006, richiedendo quest’ultima solo il possesso dei requisiti per poter richiedere l’implemento per l’anno successivo e la concreta presentazione della domanda in tal senso.

7.4. Le supposizioni del primo giudice, insomma, non troverebbero alcun riscontro né nella normativa regionale applicabile all’implementazione della c.o.m. né, soprattutto, nella istanza di riesame proposta dalla Casa di Cura, controinteressata, la quale aveva solo lamentato che C.M.O. non avesse presentato le domande di aggiornamento e di implemento della c.o.m. entro il 31 dicembre 2008, senza fare alcun cenno alla mancanza di autorizzazione entro tale data.

7.6. Anche tale ordine di argomentazioni non merita condivisione.

7.7. La tesi dell’appellante va anzitutto respinta, in punto in fatto, perché sin dal verbale del 29 gennaio 2015 e, poi, in quello del 22 ottobre 2015, « alla luce degli atti in possesso della Commissione emerge che alla data del 31.12.2008 il C.M.O. srl era in possesso di autorizzazione esclusivamente per l’attività di medicina nucleare in vivo (scintigrafia) », non già dell’autorizzazione per la PET, come afferma a chiare lettere, e correttamente, la delibera n. 625 del 3 novembre 2015, impugnata in primo grado con i secondi motivi aggiunti.

7.8. La Commissione, anche indipendentemente dalle osservazioni formulate dalla Casa di Cura controinteressata, è dunque pervenuta alla constatazione che detta autorizzazione, per le prestazioni PET, mancasse alla data del 31 dicembre 2008, ciò che, sul piano fattuale, nemmeno C.M.O. contesta e può contestare.

7.9. La tesi dell’appellante principale, la quale sostiene come ai sensi della normativa regionale basti che alla data del 31 dicembre 2008 vi siano solamente i requisiti e la domanda di incremento della c.o.m. (potendo invece, a suo dire, la autorizzazione intervenire successivamente), non ha fondamento, in punto di diritto, perché il possesso dei soli requisiti a tale data è richiesto per l’espletamento di attività già autorizzate ed accreditate (ancorché provvisoriamente), di cui si richieda l’incremento, e non già per quelle non ancora autorizzate.

7.10. Ragionando diversamente, come ritiene l’appellante, si perverrebbe all’inaccettabile conclusione che una struttura accreditata possa incrementare la propria attività, con l’utilizzo di macchinari innovativi al quale non sia stata ancora autorizzata al 31 dicembre dell’anno precedente al suo utilizzo, per poi richiedere il riconoscimento dell’ overselling che ne deriva mediante l’implemento della c.o.m., una volta intervenuta l’autorizzazione nel corso dell’anno di utilizzo.

7.11. È implicita e consustanziale, invece, alla stessa nozione di c.o.m. – capacità operativa massima – l’esigenza che le prestazioni oggetto di implemento debbano essere autorizzate al 31 dicembre dell’anno precedente all’incremento.

7.12. Costituisce infatti requisito essenziale e prodromico all’incremento della c.m.o. che la struttura richiedente sia in possesso dell’autorizzazione sanitaria ad erogare il tipo di prestazioni in ragione delle quali chiede un incremento, sotto il profilo quantitativo o qualitativo, delle prestazioni da porre a carico del S.S.R.

7.13. Il ragionamento di C.M.O., oltre a vanificare il regime autorizzatorio che vige in tema di prestazioni sanitarie, frustrerebbe la stessa ragion d’essere dalla c.o.m., quale valore sintetico che esprime le potenzialità funzionali e strutturali di un centro erogatore di prestazioni sanitarie per conto del S.S.R. (Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2014, n. 283, Cons. St., sez. III, 16 giugno 2015, n. 3021), potenzialità nelle quali, per definizione, non possono rientrare prestazioni sanitarie non autorizzate, sicché non può implementarsi ciò che, al 31 dicembre, nemmeno risulta autorizzato.

7.14. Infatti – come ricorda la stessa appellante (p. 2 del ricorso) – il 1° luglio 2008 la società aveva richiesto il rilascio dell’autorizzazione all’uso dei nuovi radioisotopi necessari per l’esecuzione delle indagini PET, autorizzazione poi ottenuta, come si è accennato, il successivo 3 febbraio 2009.

7.15. Né va sottaciuto al riguardo che, come questo Consiglio di Stato ha chiarito nella pronuncia già richiamata (v., in particolare, p. 18), « l’incremento della c.o.m., richiesto anteriormente all’anno 2009, ove fosse stato già accertato e autorizzato, si poneva come presupposto essenziale a monte per l’eventuale riconoscimento motivato da parte del Tavolo tecnico dell’eccezionale sforamento dei budget assegnati, comportando una verifica, in primis , della quantità di prestazioni che possono potenzialmente essere erogate dal Centro in relazione alla sua organizzazione tecnologica, alla dotazione strutturale ed ai coefficienti di personale, superficie dei locali, attrezzature posseduti e aggiornati » (Cons. St., sez. III, 22 gennaio 2016, n. 207).

7.16. Non può che discenderne la reiezione delle censure qui in esame, stante la correttezza della sentenza impugnata laddove, in modo preciso e puntuale, ha rilevato che solo un Centro che sia stato previamente autorizzato può erogare prestazioni e, a fortiori , per conto del S.S.R. in regime di accreditamento e che, in coerenza con tale assetto, la disciplina regionale inerente all’implementazione della c.o.m., nel prevedere un termine entro il quale devono essere posseduti i requisiti che danno titolo a richiedere l’aggiornamento della c.o.m. per l’anno successivo, « non può che includervi anche il rilascio tempestivo del necessario presupposto autorizzatorio: essendo questo, nel caso di specie, stato rilasciato solo nel 2009, non avrebbe potuto essere considerato ai fini dell’aggiornamento della c.o.m. della ricorrente per tale anno » (pp.

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