Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-15, n. 202101300

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-02-15, n. 202101300
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202101300
Data del deposito : 15 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/02/2021

N. 01300/2021REG.PROV.COLL.

N. 00247/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 247 del 2013, proposto dalle
Aziende Agricole “D C e Nicola S.S.”, “B L”, “Bassi Luigi”, “L A”, “Eredi Facchin Giovanni S.S.”, “T R”, “G L”, “O C”, “B M”, “T D”, “F S”, “A M e Sergio S.S.”, “C d R”, “Battilana Carraretto S.S.”, “B C A”, “F R”, “T M”, “M F”, “Gobbato Andrea”, “B S”, “C R”, “E B”, “M N”, “Z M”, “P M”, “Pvesan Vittorio”, “Berno Giuseppe, Bruno e Roberto”, “Torresan Gianni”, “Minato Renato”, “Bertapelle Antonio”, “Zanette Claudio”, “Simonetto Roberto”, “Girotto Mario”, “S. Andrea di Bergamin S.r.l.”, “Scattolin Diego”, “Bortoletto Giuseppe”, “Torresin Giancarlo”, “Busatto Sergio ed Elio”, “Guarnieri Elio e Ernesto S.d.f.”, “Tonon Giuliano”, “Meneghesso Davide”, “Moscarda Lucio e Boffo Anna”, “Baiana Bruno e Giuseppe”, “Taffarello Guido”, “Tieppo Giancarlo”, “Marcolin Pierluigi”, “Le Selve di Michielan Tarcisio e Alessio S.S.”, “Michielan Sergio” (già “Michielan Sergio e Gianantonio”), “Tognon F.lli”, “Gobbo Gino”, “Dussin Girardo”, “Florian Marino”, “Caeran Antonio”, “Billiato Leda”, “Mattiuzzi Evelina”, “Gris Graziano”, “Basso Mario”, “Favotto Daniele”, “Favotto Ilario”, “Rocchetto Silvano”, “Conte Vittorino e Lucio S.S.”, “Marini Giuseppe” (già “Eredi Marini Francesco di Giuseppe e Mario S.S.”), “Lazzaretti Mariano”, “Urban F.lli Società Agricola (già “Urban F.lli S.S.”), “Pascutto Ezio Nello”, “Dal Bianco Dina”, “Stradiotto Umberto” e “Picco Luigi”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , e dai sigg.ri Salvador Riccardo e Salvador Beatrice, in veste di eredi del sig. Salvador Romeo, tutti rappresentati e difesi dall’avv. C S, con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Lampiasi, in Roma, via Crivellucci, n. 21

contro

AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (già AIMA, Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo), e Ministero del Tesoro (ora dell’Economia e delle Finanze), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici di questa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – sede di Roma, Sezione II- ter , n. 4014/2012 del 4 maggio 2012, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. 11233/2000, integrato da motivi aggiunti, proposto avverso le comunicazioni inviate dall’AIMA (ora AGEA) nel mese di giugno 2000 aventi ad oggetto il calcolo derivante dalla compensazione delle cd. quote latte per le annate 1997/1998 e 1998/1999 e le conseguenti intimazioni, pervenute nel luglio del 2000, al pagamento da parte dei produttori ricorrenti del prelievo supplementare per lo splafonamento delle quota latte assegnate per dette annate, nonché la circolare dell’AIMA del 9 ottobre 2000, avente ad oggetto la rettifica dell’imputazione del prelievo supplementare per le annate 1997/1998 e 1998/1999 e le relative comunicazioni del mese di ottobre 2000, riportanti gli importi di prelievo supplementare addebitati ai ricorrenti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA) e del Ministero dell’Economia e delle Finanze,

Viste le memoria della difesa erariale e degli appellanti;

Vista la sentenza non definitiva n. 3010/2019 del 9 maggio 2019, di parziale reiezione dell’appello e contestuale sospensione del giudizio;

Vista la sentenza della Corte di Giustizia UE – VII^ Sezione del 27 giugno 2019, resa nella causa C-348/2018;

Vista l’istanza presentata dagli appellanti ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a.;

Vista la memoria difensiva degli appellanti;

Vista l’istanza della difesa erariale di passaggio della causa in decisione;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con l. 18 dicembre 2020, n. 176;

Visto, altresì, l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;

Relatore nell’udienza del giorno 26 novembre 2020 il Cons. P D B e udito per la parte appellante l’avv. C S, in collegamento da remoto in videoconferenza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO

Gli odierni appellanti – le Aziende Agricole elencate in epigrafe ed i sigg.ri Salvador Riccardo e Salvador Beatrice, in qualità di eredi del sig. Salvador Romeo – (d’ora in poi anche solo “produttori appellanti”) espongono di avere impugnato con ricorso al T.A.R. del Lazio – Roma rubricato al n. 11233/2000 di R.G., integrato da motivi aggiunti, i seguenti provvedimenti ed atti:

- le comunicazioni inviate dall’AIMA (Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo, ora AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) nel mese di giugno 2000, aventi ad oggetto il calcolo derivante dalla compensazione delle quote latte per i periodi di commercializzazione del latte e dei prodotti lattiero-caseari 1997/1998 e 1998/1999;

- le conseguenti intimazioni di pagamento, pervenute ai ricorrenti nel mese di luglio 2000, con cui è stato intimato alle Aziende Agricole di pagare il prelievo supplementare per lo “splafonamento” della quota individuale assegnata ( QRI );

- la circolare dell’AIMA del 9 ottobre 2000, di rettifica dell’imputazione del prelievo supplementare per le annate 1997/1998 e 1998/1999, e le relative comunicazioni del mese di ottobre 2000, riportanti gli importi di prelievo supplementare addebitati ai produttori.

I ricorrenti, dopo aver ricostruito la normativa comunitaria e nazionale in materia di cd. quote latte, formulavano a supporto del gravame le censure di:

- illegittimità dell’assegnazione retroattiva dei QRI per violazione dei principi di certezza del diritto e di affidamento, di derivazione comunitaria;

- illegittimità comunitaria del sistema nazionale delle quote “A” e “B” e carenza di motivazione del taglio della quota “B”;

- violazione della sentenza n. 520/1995 della Corte Costituzionale che, per la determinazione dei QRI da assegnare ai produttori, ha sancito la necessità della preventiva acquisizione del parere degli Enti territoriali;

- mancanza di motivazione e mancato rispetto dei termini di comunicazione dei dati relativi alla compensazione nazionale;

- illegittimità della richiesta di prelievo, in quanto basata su dati presupposti (come le assegnazioni di QRI ) sospesi in via giurisdizionale;

- illegittimità della procedura di compensazione di cui all’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999.

Con sentenza in forma semplificata n. 4014/2012 del 4 maggio 2012, resa ai sensi dell’art. 74 c.p.a. in ragione dell’esistenza di precedenti conformi dai quali non si ravvisavano elementi per discostarsi, nonché dell’infondatezza delle doglianze volte a contestare (sulla base, in particolare, della relazione redatta dai Carabinieri nell’aprile del 2010) l’attendibilità dei dati utilizzati nel tempo dall’AIMA, il T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II- ter respingeva il predetto ricorso.

Avverso tale sentenza gli appellanti hanno presentato l’appello in epigrafe, chiedendone la riforma e deducendo i seguenti motivi:

1) l’erroneità della sentenza di primo grado con riguardo all’irretroattività della comunicazione della riduzione dei quantitativi individuali di riferimento ( QRI ), in quanto l’AIMA non si sarebbe limitata a determinare retroattivamente la quota assegnata a seguito di controlli, come ammesso dalla Corte di Giustizia CE con la sentenza 25 marzo 2004, resa in C-480, bensì avrebbe adottato provvedimenti di assegnazione della quota ex novo per tutti i produttori indistintamente;

2) l’erroneità della sentenza, altresì, con riferimento all’attendibilità dei dati utilizzati dall’AIMA per effettuare la compensazione nazionale, poiché a fronte della procedura prevista dagli artt. 1 del d.l. n. 43/1999 e 3 del d.m. n. 159/1999, l’Amministrazione avrebbe effettuato la compensazione sulla base di dati ‘virtuali’;

3) ancora, l’erroneità della sentenza in ordine alla valutazione della relazione dei Carabinieri del 20 aprile 2010, poiché il giudice di primo grado ha ritenuto che la predetta relazione, che avrebbe messo in dubbio l’attendibilità dei dati utilizzati da AIMA e da AGEA per le compensazioni nazionali, non fosse in grado di scardinare l’intero sistema nazionale di quote latte;

4) la nullità della sentenza per difetto di motivazione sull’ultima parte del terzo motivo di ricorso e sul quinto motivo, con riferimento all’effettuazione della compensazione senza considerazione della sospensione dei tagli di “quota B” effettuati.

Si sono costituiti nel giudizio d’appello l’AGEA ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, depositando memoria difensiva e resistendo al gravame.

Nel frattempo, con ordinanza n. 3074/2018 del 23 maggio 2018, pronunciata in una causa distinta (R.G. n. 6/2015) avente oggetto pressoché analogo, la Sezione ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE della seguente questione di diritto: “ se l’art. 2 par. 1 del regolamento comunitario n. 3950/92, debba essere, alla luce di quanto già motivato dalla Corte CE nella Sentenza 5 maggio 2011 in cause riunite C-230/09 e C-231/09 in relazione all’art. 10 comma 3 del regolamento n. 1788/2003/CE, interpretato nel senso che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne può essere effettuata secondo criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se esso debba essere interpretato nel senso che tale fase perequativa debba essere governata da un esclusivo criterio di proporzionalità ”.

Gli appellanti hanno depositato memoria.

Passata in decisione la presente causa all’udienza del 16 aprile 2019, la Sezione ha pronunciato la sentenza non definitiva n. 3010/2019 del 9 maggio 2019, con la quale:

a) ha respinto i primi tre motivi dell’appello;

b) preliminarmente all’esame del quarto motivo, invece, la Sezione, richiamato il rinvio pregiudiziale di cui alla suindicata ordinanza n. 3074/2018, ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia dei giudici europei: ciò, in virtù della rilevanza diretta della questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE nel presente giudizio.

Il rinvio pregiudiziale, disposto con l’ordinanza n. 3074/2018, ha dato origine al procedimento C-348/2018 avanti la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che è stato definito con sentenza della VII^ Sezione della predetta Corte del 27 giugno 2019.

Di seguito gli appellanti hanno presentato istanza di fissazione d’udienza ex art. 80, comma 1, c.p.a., quindi hanno depositato memoria, insistendo per l’accoglimento dell’appello.

La difesa erariale, dal canto suo, ha depositato istanza di passaggio della causa in decisione.

All’udienza del 26 novembre 2020, tenutasi in collegamento da remoto in videoconferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con l. 18 dicembre 2020, n, 176, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Viene in decisione l’appello presentato dalle Aziende Agricole e dagli altri appellanti elencati in epigrafe avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sezione II- ter , n. 4014/2012 del 4 maggio 2012, nella parte che residua dopo la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 3010/2019 del 9 maggio 2019. Quest’ultima ha respinto i primi tre motivi dell’appello e, preliminarmente all’analisi del quarto motivo, ha disposto la sospensione del giudizio, in ragione della rilevanza diretta nel giudizio della questione sottoposta alla Corte di Giustizia UE dalla Sezione con ordinanza n. 3074/2018 resa nel giudizio R.G. n. 6/2015, chiamato anch’esso in decisione alla presente udienza.

La questione sottoposta alla Corte di Giustizia dalla citata ordinanza n. 3074/2018 aveva ad oggetto l’interpretazione dell’art. 2, parag. 1, del regolamento CEE n. 3950/92 (applicabile, ratione temporis , alle annate per cui è causa). Il Giudice del rinvio, in sintesi, chiedeva se detta norma potesse essere interpretata nel senso della conformità ad essa di una disciplina nazionale (quale l’art. 1, comma 8, del d.l n. 43/1999) che ha previsto che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne sia effettuata sulla base di criteri obiettivi fissati dagli Stati membri, ovvero se la riassegnazione dovesse essere regolata in via esclusiva da un criterio di proporzionalità.

Orbene la Corte di Giustizia si è pronunciata evidenziando che la normativa di cui all’art. 2, parag. 1, secondo comma, del Reg. CEE n. 3590/92 impone agli Stati membri che abbiano deciso di procedere, in favore dei produttori i quali abbiano superato i rispettivi quantitativi di riferimento ( QRI ), alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati (onde ridurre, per i produttori eccedentari, il prelievo supplementare dovuto per le eccedenze), di effettuare tale operazione di “perequazione” o di “compensazione” a livello nazionale esclusivamente secondo un criterio di proporzionalità ai quantitativi di riferimento ( id est : le quote) a disposizione di ciascun produttore. Il predetto art. 2 non consente, invece, agli Stati membri di effettuare la suindicata compensazione tra gli sforamenti e le sotto-produzioni rispetto alle quote individuali assegnate ai produttori secondo un sistema – qual è quello delineato dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 – volto a dare preferenza a talune categorie di produttori eccedentari, che ne beneficiano in via prioritaria.

Ed infatti, l’art. 1, comma 8, del d.l. 1° marzo 1999, n. 43, convertito con l. 27 aprile 1999, n. 118, ha previsto che: “ La compensazione nazionale è effettuata per i periodi 1995-1996, 1996-1997, 1997-1998 e 1998-1999, secondo i seguenti criteri e nell’ordine: a) in favore dei produttori titolari di quota delle zone di montagna, di cui alla direttiva 75/268/CEE del Consiglio, del 28 aprile 1975;
b) in favore dei produttori titolari di quota A e di quota B nei confronti dei quali è stata disposta la riduzione della quota B, nei limiti del quantitativo ridotto;
c) in favore dei produttori titolari di quota ubicati nelle zone svantaggiate, di cui alla direttiva 75/268/CEE del Consiglio del 28 aprile 1975, e nelle zone di cui all’obiettivo 1 ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/93 del Consiglio, del 20 luglio 1993;
d) in favore dei produttori titolari esclusivamente della quota A che hanno superato la propria quota, nei limiti del 5 per cento della quota medesima;
e) in favore di tutti gli altri produttori titolari di quota;
e-
bis ) in favore di tutti gli altri produttori ”.

Alla luce della pronuncia della Corte, pertanto, il meccanismo di compensazione previsto dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, applicato da AIMA (ora AGEA) nelle operazioni di compensazione svolto nei confronti dei produttori appellanti, contrasta con la disciplina comunitaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Esso infatti, ha introdotto un (doppio) ordine di benefici a favore di alcune “categorie prioritarie”, facendo dipendere il computo del prelievo supplementare dall’appartenenza o meno dei produttori a dette categorie e così penalizzando tutti gli altri produttori di latte vaccino non rientranti nelle categorie in discorso, come i produttori appellanti, ma siffatto criterio, come si è visto, è contrario al dettato dell’art. 2 del Reg. CEE n. 3950/92, il quale prescrive, invece, in via esclusiva un criterio di proporzionalità nella riassegnazione.

Deve aggiungersi in argomento, a scanso di equivoci, che la disciplina comunitaria è successivamente mutata per effetto dell’entrata in vigore del Regolamento (CE) 29/09/2003, n. 1788/2003, il cui art. 10, parag. 3, ha previsto che la riassegnazione della parte inutilizzata del quantitativo di riferimento nazionale destinato alle consegne venga compiuta proporzionalmente al quantitativo di riferimento individuale di ciascun produttore che abbia effettuato consegne in eccesso, oppure in base a criteri obiettivi da stabilirsi a cura degli Stati membri (cfr. la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 5 maggio 2011 in C-230/09 e C-231/09, “ K und T E ”). È soltanto a seguito di tale nuova disciplina, dunque, che il diritto comunitario ha accordato agli Stati membri la facoltà di procedere alla riassegnazione delle quote inutilizzate in favore dei produttori eccedentari (onde diminuirne le eccedenze e, con esse, il prelievo supplementare che vi si accompagna) sulla base di criteri oggettivi di priorità, che privilegino alcune categorie di produttori: una facoltà di tal tipo, invece, non era stata accordata agli Stati membri dalla disciplina previgente e, segnatamente, dall’art. 2, parag. 1, del Reg. (CEE) n. 3590/92.

Ha precisato al riguardo la Corte di Giustizia, nella sentenza del 27 giugno 2019 sopra indicata, che “ è (....) pacifico che il regolamento n. 1788/2003, entrato in vigore il 28 ottobre 2003 e applicabile a partire dal 1° aprile 2004, non è applicabile ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale, che concerne il periodo di commercializzazione del latte e dei prodotti lattiero-caseari che va dal 1° aprile 2000 al 31 marzo 2001 ” (parag. 47) e che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia, “ nel caso in cui un testo giuridico subentri al posto di un altro occorre presumere, fino a prova contraria, che qualsiasi differenza di redazione implichi una differenza di portata, qualora il nuovo testo porti ad una diversa interpretazione (….) . Di conseguenza, dall’introduzione, nel regolamento n. 1788/2003, dell’autorizzazione a procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati secondo criteri obiettivi da fissarsi a cura degli Stati membri non può desumersi che una possibilità siffatta esistesse già nel contesto dell’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 3950/92 ” (paragrafi 50 e 51).

La non conformità all’ora vista disciplina eurounitaria del meccanismo di riassegnazione delle quote inutilizzate previsto dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, conv. con l. n. 118/1999, comporta che l’art. 1, comma 8, cit. va disapplicato, perché contrario al diritto comunitario: ne consegue che sono caducati tutti gli atti e provvedimenti adottati sulla base di detta norma interna.

A questo punto, però, si pone il problema dell’omessa formulazione, sia nel giudizio di primo grado, sia in appello, di una censura specifica da parte dei ricorrenti/appellanti avente ad oggetto la succitata violazione, ad opera dell’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 dell’art. 2, parag. 1, del regolamento CEE n. 3950/1992: ciò, avuto riguardo al principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. – applicabile anche nel processo amministrativo in forza del “rinvio esterno” ex art. 39 c.p.a. – ed al principio del contraddittorio, nonché alla regola sancita dall’art. 101, comma 2, c.p.a., che impone che i motivi di appello siano specifici.

Una censura di tal tenore, infatti, non si rinviene nelle doglianze formulate con il ricorso innanzi al T.A.R., ed è estranea al motivo di appello (quarto) che residua dopo la pronuncia della sentenza non definitiva n. 3010/2019: motivo che, peraltro, AGEA confuta nelle sue difese. Essa è estranea, altresì, ai motivi di appello esaminati e respinti da detta sentenza.

Non è, dunque, esatto quanto affermato dagli appellanti nella memoria finale depositata il 19 febbraio 2020, ossia che essi alle pagg. 10 e segg. dell’atto di appello avrebbero censurato la sentenza di primo grado per non avere questa rilevato la nullità degli atti impugnati e l’illegittimità della compensazione per la difformità della normativa nazionale applicata rispetto a quella eurounitaria. Neppure è esatta l’ulteriore affermazione degli appellanti, di avere chiesto in subordine che la questione circa la riferita difformità formasse oggetto di rinvio pregiudiziale ai giudici europei.

Peraltro, anche se le suddette affermazioni fossero esatte, residuerebbe comunque il problema di come armonizzare la necessaria primazia del diritto eurounitario (che non tollera che la compensazione ex art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 possa trovare applicazione) con le regole processuali del termine decadenziale stabilito dalla legge per la proposizione dei motivi di ricorso e del divieto dei nova in appello ex art. 104 c.p.a. (atteso che nel ricorso di primo grado la violazione del diritto comunitario è stata sì evocata, ma per profili del tutto diversi).

Nondimeno, ritiene il Collegio di dover pervenire alla disapplicazione ex officio dell’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 e, mediante essa, all’accoglimento dell’appello, nella parte di esso che residua dopo la sentenza non definitiva n. 3010/2019, stante l’affermazione, da parte di detta sentenza, della diretta rilevanza nel presente giudizio della questione del contrasto dell’art. 1, comma 8, cit., con l’art. 2, parag. 1, del regolamento CEE n. 3950/1992.

Alla conclusione della disapplicazione ex officio della norma interna incompatibile con la disciplina comunitaria, pur in difetto di una specifica censura – in primo grado e in appello – volta a lamentare siffatta incompatibilità, conduce la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 25 giugno 2018.

Con detta pronuncia, infatti, la Plenaria ha enunciato, tra l’altro, il principio di diritto secondo cui “ il Giudice amministrativo provvede in ogni caso a non dare applicazione a un atto normativo nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione Europea ”.

In particolare, la pronuncia in commento ha escluso la predicabilità di alcuna preclusione per il G.A. nel rilevare la non applicabilità della disposizione normativa nazionale (nel caso analizzato si trattava di un regolamento) in contrasto con il diritto dell’UE.

A supporto del principio la Plenaria richiama la giurisprudenza costituzionale, la quale ha ammesso la disapplicazione ex officio della norma interna in contrasto con il diritto dell’UE, conformemente a consolidati orientamenti della Corte di Giustizia: vengono richiamate, in proposito, le sentenze della Corte costituzionale nn. 384 del 10 novembre 1994 e 482 del 7 novembre 1995. Con la prima di esse i giudici costituzionali hanno chiarito che le “ norme contrarie al diritto comunitario (…) dovrebbero comunque essere disapplicate dai Giudici e dalla P.A. ”;
con la seconda, hanno sottolineato come le norme comunitarie operino su un piano diverso da quello proprio delle norme nazionali, di tal ché il rapporto tra le due categorie di fonti “ è di competenza e non di gerarchia o di successione nel tempo ”, con il corollario che “ la norma nazionale diviene non applicabile se e nei limiti in cui contrasti con le disposizioni comunitarie precedenti o sopravvenute ”.

Ma, allora, il problema dei limiti alla disapplicazione officiosa della norma interna illegittima risulta confinato alle ipotesi – estranee sia al caso sottoposto alla Plenaria, sia alla presente fattispecie – in cui l’illegittimità derivi da profili diversi dal contrasto con il diritto dell’UE. Il principio di primazia del diritto eurounitario fa sì che, laddove una norma interna risulti in contrasto con tale diritto e non ne sia possibile un’interpretazione di carattere conformativo, rimanga comunque preclusa al Giudice nazionale la possibilità di applicare la suddetta norma interna.

Nel senso appena indicato – dell’ammissibilità della disapplicazione ex officio della norma interna contrastante con il diritto eurounitario pur in difetto di una specifica censura di parte volta a lamentare il suddetto contrasto – si è espressa, del resto, una recente pronuncia di questo Consiglio di Stato (Sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1105), relativa ad una fattispecie in materia di quote latte in tutto analoga a quella ora in esame e nella quale, come nel presente giudizio, erano state evocate violazioni del diritto comunitario per profili tutt’affatto diversi dal contrasto dell’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 con l’art. 2, parag. 1, del reg. CEE n. 3950/1992 (v. il parag. 18 della sentenza).

Detta pronuncia, richiamando i principi enunciati dall’Adunanza Plenaria n. 9/2018, ha affermato che nel caso in esame non solo il Giudice nazionale deve astenersi dal dare applicazione nell’ordinamento interno ad una disposizione (l’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999) in contrasto con il diritto UE, ma può e deve riconoscere diretta applicazione ad una disposizione i cui contenuti sono stati chiariti dalla Corte di Giustizia nel senso del non ammettere, qualora lo Stato membro opti per il meccanismo di compensazione nazionale, la preferenza di taluni imprenditori rispetto ad altri.

Per tal via, dunque, si superano i dubbi di ordine processuale sopra avanzati, senza trascurare che la parte pubblica ha comunque avuto modo di far valere le proprie ragioni nel giudizio innanzi alla Corte di Giustizia e che, dopo l’istanza di riassunzione della presente causa da parte degli appellanti, questi ultimi hanno svolto ulteriore attività difensiva (v. la già ricordata memoria depositata il 19 febbraio 2020), mentre la P.A. si è limitata a presentare istanza di passaggio della causa in decisione sulla base degli scritti difensivi.

In aggiunta, il Collegio richiama l’indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3072, 8 settembre 2008, n. 4263 e 10 gennaio 2003, n. 35;
Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579), secondo il quale, mentre la violazione del diritto comunitario implica un vizio di illegittimità – annullabilità dell’atto amministrativo con esso contrastante (da far valere nell’ordinario termine di decadenza, a pena dell’inoppugnabilità di tale atto), si ha nullità (o inesistenza) nelle ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il diritto comunitario e quindi disapplicabile. Quest’ultima ipotesi ricorre nel caso di specie, poichè i provvedimenti dell’AIMA oggetto del presente giudizio sono stati adottati sulla base dell’art. 1, comma 8, della l. n. 118/1999, di conversione del d.l. n. 43/1999 (v. le comunicazioni allegate al ricorso di primo grado, che richiamano la l. n. 118/1999).

Con il ché, si perviene anche per questa via al superamento del problema dell’assenza di una censura specifica, nel ricorso di primo grado e nell’atto di appello, relativa all’incompatibilità comunitaria dell’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999 sotto il profilo richiamato: ciò, stante la rilevabilità ex officio della nullità e considerato che con la sospensione del giudizio – disposta dalla sentenza non definitiva n. 3010/2019 cit. proprio in ragione della rilevanza diretta, nel presente giudizio, della suindicata questione di incompatibilità comunitaria – si può ritenere assolto nei confronti delle parti l’onere di avviso ex art. 73, comma 3, c.p.a..

In conclusione, l’inapplicabilità del meccanismo di compensazione nazionale disciplinato dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 43/1999, conv. con l. n. 118/1999, per avere con esso il Legislatore italiano scelto di effettuare le riassegnazioni ai produttori eccedentari dei quantitativi di riferimento individuali ( QRI ) inutilizzati per categorie secondo l’ordine indicato, e non già proporzionalmente ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore, in contrasto con la normativa eurounitaria ratione temporis applicabile, determina l’accoglimento dell’appello, senza che occorra procedere all’esame delle ulteriori censure dedotte con il quarto motivo.

Infatti, la caducazione dei provvedimenti impugnati in prime cure ‒ derivante dalla disapplicazione della disposizione interna posta a fondamento dei calcoli sottostanti all’operazione di compensazione che ha portato all’adozione dei provvedimenti stessi – comporta la necessità per la P.A. di procedere ad una complessiva attività di rideterminazione (C.d.S., Sez. II, n. 1105/2020, cit.).

Le difficoltà interpretative della disciplina di settore e le oscillazioni giurisprudenziali giustificano la compensazione integrale delle spese del doppio grado di giudizio.

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