Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-02, n. 202001499

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-02, n. 202001499
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001499
Data del deposito : 2 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/03/2020

N. 01499/2020REG.PROV.COLL.

N. 08374/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8374 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2019 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Giuseppe Velotti, su delega dichiarata dell’avvocato S R, e l'avvocato dello Stato Maurizio Greco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Campania (R.G. n. -OMISSIS-), seguito da atto di motivi aggiunti, l’odierno appellante, già vice sovrintendente della Polizia di Stato, impugnava il decreto del Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza n.333-d/0180124 del 13 giugno 2014 notificato il 14 luglio 2014, con il quale al ricorrente veniva comminata la sanzione disciplinare della destituzione.

2. Il T.a.r. Campania, sede di Napoli, Sezione VI, con la sentenza n. -OMISSIS- depositata in data 22 marzo 2018, ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di giudizio tra le parti. Secondo il Tribunale, in particolare:

a) il procedimento disciplinare de quo ha avuto inizio, con la contestazione degli addebiti, prima che scadesse il termine di 40 giorni di cui all’art. 9, comma 6 d.P.R. n. 737/1981, decorrente dalla data in cui la sentenza è formalmente pervenuta all’amministrazione di appartenenza del ricorrente;

b) non è stato violato l’art. 120 d.P.R. n. 3/1957, ravvisandosi nel procedimento disciplinare in esame una serie di atti infraprocedimentali interruttivi della prescrizione;

c) nell’ambito del procedimento disciplinare l’Amministrazione ha correttamente tenuto in debita considerazione le risultanze probatorie emerse nel pregresso giudizio penale, non mancando di valutare autonomamente il materiale acquisito;

d) la motivazione appare coerente ed esaustiva, dando atto il decreto dell' iter logico-giuridico che l'amministrazione ha seguito nell'addivenire alla determinazione finale;

e) fermo restando che la valutazione dell'adeguatezza della sanzione disciplinare rientra nella discrezionalità della p.a., il cui giudizio è insindacabile in sede giurisdizionale, salva la manifesta sproporzione ed eccessività:

e.1) la sanzione destitutoria appare proporzionata e graduata, avendo la condotta addebitata al ricorrente compromesso il rapporto fiduciario con l’Amministrazione e la collettività;

e.2) non sussiste disparità di trattamento rispetto al collega indicato dal ricorrente (sospeso e non destituito), considerata la non comparabilità delle situazioni, rivestendo egli all’epoca dei fatti una qualifica professionale diversa e risultando avere apportato a favore dell'organizzazione illecita un diverso contributo.

3. Il ricorrente originario ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure in tal modo rubricate:

i ) “ error in iudicando - travisamento – violazione dell’art. 9 dpr 737/81, dell’art. 9, co. 2 l. 19/90 e dell’art. 120 dpr n. 3/1957 – decadenza del potere decisionale – vizio del procedimento – motivazione erronea e carente – omesso esame di un punto decisivo della controversia ”;

ii ) “ error in iudicando - eccesso di potere per difetto di motivazione – violazione degli artt. 1, co. 2, 7 e 13 dpr. 737/81 - illogicità e travisamento – difetto d’istruttoria – presupposto erroneo – vizio del procedimento - omesso esame di un punto decisivo della controversia - sproporzione tra fatti e sanzione inflitta ”;

iii ) “ error in iudicando - eccesso di potere per difetto di motivazione – violazione degli artt. 1, co. 2, 7 e 13 dpr. 737/81 - illogicità e travisamento – difetto d’istruttoria – presupposto erroneo – vizio del procedimento - omesso esame di un punto decisivo della controversia - sproporzione tra fatti e sanzione inflitta ”;

iv ) “ error in iudicando - eccesso di potere per disparità di trattamento - violazione dell'art. 3 Cost. - contraddittorietà – perplessità – violazione dei principi di logicità, congruità e graduazione della sanzione – violazione degli artt. 4 e 6 dpr 737/81 – motivazione erronea ”.

3.1. Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia.

4. All’udienza del 7 novembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

5. L'appello è infondato e deve pertanto essere respinto.

6. In via preliminare, il Collegio ritiene di ricostruire sinteticamente i fatti della vicenda nei termini seguenti:

a) il procedimento disciplinare, esitato con l’impugnata destituzione, ha avuto inizio a seguito della pronuncia del Tribunale penale di Napoli, n. 1201/13 del 17 maggio 2013, in seno al procedimento n. 15855/11, con cui si è dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell'odierno appellante per i reati a lui ascritti, essendosi questi estinti per prescrizione;

a.1) il giudizio penale era stato avviato in seguito alle indagini di polizia giudiziaria che avevano messo in luce l'esistenza di un'organizzazione criminale costituita allo scopo di commettere una serie di reati, in specie truffe in danno di compagnie assicurative;

a.2) nell’ambito di tale procedimento, che riguardava una pluralità di soggetti, al vice sovrintendente, in particolare, era imputato, ai sensi degli artt. 110-319-321-479 c.p., il fatto di aver compiuto, dietro corresponsione di una somma di denaro, un atto contrario ai doveri d'ufficio, ossia la formazione di un verbale falso relativo al rinvenimento di un'autovettura, in adesione al programma criminoso dell'associazione d'appartenenza;

b) in via cautelare, il Questore di Napoli sospendeva dal servizio l’appellante, ai sensi dell'art. 9, co. 1, del d.P.R. 737/81, con decorrenza dal 4 ottobre 2006;

c) al termine del periodo massimo di 5 anni, il 4 ottobre 2011, il dipendente era riammesso in servizio, ex art. 9 della l. n. 19 del 1990;

d) con provvedimento del 27 ottobre 2011, il ricorrente, dopo essere stato sottoposto alla verifica circa la permanenza dei requisiti psico-attitudinali, cessava dall'incarico per inidoneità attitudinale con decorrenza dal 15 ottobre 2011;

e) a seguito della sentenza del Tribunale di Napoli, dichiarativa dell'avvenuta estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, veniva avviato nei confronti del vice sovrintendente il procedimento disciplinare con deferimento dello stesso al Consiglio Provinciale di Disciplina;

f) veniva quindi definitivamente irrogata la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio ai sensi dell'art. 7, nn. 1, 2, 3 e 4, del d.P.R. n. 737 del 1981.

8. Con il primo motivo l’appellante lamenta in primo luogo l’erroneità della pronuncia nel non aver considerato che risulterebbe irrimediabilmente superato il termine perentorio di cui all’art. 9, comma 6, d.P.R. n. 737/1981, atteso che, alla data che il giudice in motivazione indica come momento di notificazione all’amministrazione della decisione penale (21 novembre 2013), sarebbero già spirati i 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza (del 7 giugno 2013), da ciò conseguendo l’inutilizzabilità del termine di 40 giorni richiamato dal T.a.r. al fine di evitare la decadenza oramai maturata e di far ricominciare a decorrere il nuovo termine perentorio di cui all’invocato art. 9.

In secondo luogo, il ricorrente censura altresì la sentenza di primo grado ritenendola lacunosa nel motivare in merito alla dedotta violazione dell’art. 120 d.P.R. n. 3/1957, avendo omesso di rilevare il difetto di prova – da parte dell’Amministrazione – in ordine agli assunti atti interruttivi del termine.

8.1. La prima delle due censure risulta infondata.

8.2. Al riguardo, il Collegio osserva che:

a) ai sensi dell’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19: “ Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni ”;

a.1) pertanto, la disposizione, applicabile a tutti i pubblici dipendenti, presenta un ambito di applicazione espressamente circoscritto alla avvenuta adozione di una “ sentenza irrevocabile di condanna ”, circostanza non presente nel caso in esame, atteso che la sentenza del Tribunale di Napoli n. 1201/13 dichiarava il non luogo a procedere a causa dell’avvenuta estinzione dei reati per intervenuta prescrizione;

b) diversamente, ai sensi del comma 6 dell’art. 9 (rubricato “ Sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale ”) del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, “ Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione ”;

b.1) in particolare, tale norma, facendo riferimento ai procedimenti penali comunque definiti, purché conclusi con una sentenza, trova applicazione, per giurisprudenza costante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 3414 del 2011;
Sez. VI, n. 2112 del 2009;
Sez. VI, n. 624 del 2008;
Ad. Pl., n. 10 del 2006), nel caso di assoluzione e, al riguardo, prevede termini di decadenza perentori, con lo scopo di assicurare che l'avvio del procedimento disciplinare della Polizia di Stato avvenga, una volta acquisita la conoscenza qualificata, a ridosso dell'acquisizione della notizia configurabile come illecito;

c) del resto, è principio pacifico, in giurisprudenza, quello per cui il d.P.R. suindicato costituisca corpus normativo "speciale" rispetto all'organica e generale regolamentazione, valevole per tutto il pubblico impiego, di cui alla legge n. 97 del 2001,

d) l'art. 9 del d.P.R. n. 737 del 1981 è ben chiaro nel far decorrere il predetto termine dalla data di " pubblicazione della sentenza ", non subordinando pertanto l'avvio del procedimento penale al passaggio in giudicato della stessa, sicché legittimamente può l'Amministrazione avviare il procedimento penale senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 5713;
Sez. VI, 7 giugno 2011, n. 3414;
sez. VI, 13 luglio 2006, n. 4495);

e) d’altro canto, deve essere escluso che tale termine decorra dalla lettura del solo dispositivo, essendo per converso necessario che venga depositata la motivazione del provvedimento, poiché sarebbe altrimenti precluso all'Amministrazione di valutare le motivazioni che stanno a fondamento della pronuncia resa dal giudice penale e, dopo averle attentamente ponderate, di assumere le conseguenti determinazioni in ordine all'avvio del procedimento disciplinare, laddove ne ravvisi i presupposti (Cons. St., sez. III, 10 luglio 2013, n. 3709);

f) a tal ultimo riguardo, questa Sezione ha di recente avuto modo di precisare (Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 2019, n. 4940) che “ la regola… è quella per cui il termine "pubblicazione" contenuto nella lettera del citato articolo debba farsi coincidere con quello di "conoscenza qualificata": si è affermato infatti in proposito che (Consiglio di Stato, sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1458, Cons. Stato Sez. IV, n. 2942 del 2011) “in riferimento alla decorrenza del termine, tale norma deve necessariamente essere interpretata in modo tale da garantire che l'azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, che suggeriscono di individuare il dies a quo del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l'esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l'Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio ”;

g) del resto, detti approdi appaiono coerenti con le affermazioni contenute nella decisione della Corte Costituzionale n. 186 del 2004, che ha ritenuto " irragionevole e contraria al buon andamento " la disposizione transitoria dell'art. 10, comma 3, l. 27 marzo 2001 n. 97, nella parte in cui fa decorrere il termine per l'instaurazione del procedimento disciplinare dal momento della conclusione del giudizio penale, anziché dalla comunicazione della relativa sentenza all'amministrazione;
pertanto il dies a quo per il computo dei termini che decorrono dalla sentenza penale, da qualunque norma siano previsti, non può che coincidere con la comunicazione della stessa alla amministrazione, essendo una diversa interpretazione del tutto irragionevole e contraria al buon andamento (sentenza 29 dicembre 2017, n. 6171;
e vedi anche, nell’ambito del parallelo ordinamento militare, con riguardo ad appartenenti al Corpo della Guardia di finanza o all’Arma dei carabinieri, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3652;
sez. IV, 7 luglio 2018, n. 4349;
sez. IV, 26 febbraio 2019, n. 1344);

h) deve pertanto ritenersi ormai superato l’opposto orientamento secondo cui il termine di cui all’art. 9, c. 6 citato decorre dalla “ pubblicazione della sentenza ” intesa come deposito della motivazione in cancelleria (Cons. Stato, Sez. III, 12 maggio 2016, n. 1893;
Sez. I, 7 marzo 2014, n. 3278;
Sez. VI, 29 marzo 2011, n. 1894);

i) nella specie, non è contestato che l’Amministrazione sia venuta formalmente a conoscenza della sentenza in data 21 novembre 2013 (come si evince dal timbro di ricezione apposto dalla Questura di Napoli), cosicché risulta tempestivo l’avvio del procedimento disciplinare, avvenuto mediante la formulazione degli addebiti in data 12 dicembre 2013;
invero, “ l'inizio del procedimento disciplinare da attivare, ai sensi dell'art. 9 del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, nei 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza penale si ha con la contestazione degli addebiti, essendo questo il primo atto che viene portato a conoscenza del dipendente, che in tal modo viene messo in condizione di approntare le relative difese ” (Cons. Stato Sez. IV, 14 maggio 2001, n. 2662);

l) in ragione del rispetto del termine dei 120 giorni decorrente dalla “ pubblicazione della sentenza ”, risulta irrilevante ai fini del calcolo la notifica della stessa, avvenuta in data 21 novembre 2013, essendo i due termini previsti in maniera alternativa.

8.3. Risulta parimenti priva di fondamento la seconda censura.

8.4. Al riguardo, ai fini della dimostrazione dell’avvenuta interruzione del termine di 90 giorni di cui all’art. 120 d.P.R. n. 3/1957 rilevano i seguenti atti tipici del procedimento, intervenuti tra la data di avvio del procedimento disciplinare con formulazione degli addebiti (12 dicembre 2013) ed il decreto decisorio (13 giugno 2014):

i) la presentazione delle giustificazioni in data 27 dicembre 2013;

ii) la relazione conclusiva dei funzionario istruttore in data 3 febbraio 2014;

iii) il deferimento al Consiglio Provinciale di Disciplina (C.P.D.) in data 24 febbraio 2014;

iv) la trattazione orale in data 16 aprile 2014;

v) l’adozione del decreto decisorio in data 13 giugno 2014.

9. Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’omessa considerazione da parte del primo giudice dell’assenza di autonome valutazioni da parte dell’Amministrazione in ordine ai fatti oggetto del procedimento penale. Rileva inoltre l’irrilevanza, ai fini della destituzione, della sanzione disciplinare di sospensione dal servizio per tre mesi.

Si censura infine la carenza della motivazione del provvedimento per non aver tenuto conto di tutti i parametri di giudizio cui l’Amministrazione procedente avrebbe dovuto attenersi, come ricavabili dall’art. 13 del d.P.R. n. 737/1981.

Inoltre, con il terzo motivo di appello viene censurato il difetto di proporzionalità del provvedimento sanzionatorio, ritenendosi violato il principio del c.d. gradualismo sanzionatorio.

9.1. Entrambe le censure, che in quanto strettamente connesse meritano trattazione unitaria, risultano destituite di fondamento.

9.2 Il Collegio precisa in primo luogo che per costante giurisprudenza:

a) “ la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858;
conf. id., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791;
sez. VI 16 aprile 2015 n. 1968;
sez. III 20 marzo 2015 n. 1537);

b) in sede disciplinare, l’amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alle luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392);

c) ciò, peraltro, può valere anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato, a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione, atteso che “ uno stesso comportamento del militare mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall'Amministrazione competente come illecito disciplinare ” (Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5367).

9.3. Ciò premesso in termini generali, il Collegio, in relazione alla fattispecie in esame, rileva che, come del resto risulta dall’esposizione dello stesso appellante, l’Amministrazione nel corso del procedimento disciplinare che ha condotto all’irrogazione dell’impugnata sanzione provvedeva a valutare congruamente i fatti addebitabili al vice sovrintendente, non limitandosi a richiamare le motivazioni del procedimento penale.

La contestazione disciplinare, oltre ad interessare l’episodio oggetto d’indagine penale, riguardava infatti anche altre vicende consistenti nella predisposizione di altri falsi verbali di rinvenimento di veicoli rubati necessari ai sodali per ottenere indebiti indennizzi assicurativi, che avrebbero dimostrato il collegamento dell’appellante all’associazione criminale. Così come, per giungere all’adozione del provvedimento di destituzione l’Amministrazione conferiva rilevanza anche alla precedente sanzione disciplinare comminata all’appellante consistente nella sospensione dal servizio per tre mesi.

Del resto, al riguardo, non assume rilevanza la mancata menzione, nell’ambito del decreto sanzionatorio, dell’art. 7, comma 2, n. 6) del d.P.R. n. 737/1981, in quanto la sospensione è stata valutata, unitamente alle ulteriori condotte, ai fini dell’integrazione delle fattispecie di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 del medesimo articolo per l’irrogazione della sanzione della destituzione.

In conclusione, l’Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, valutandone la rilevanza in tale diversa prospettiva, analizzava la complessiva condotta del vice sovrintendente, valorizzando ulteriori episodi non oggetto della vicenda penale ma frutto dei propri autonomi esami istruttori.

9.4. Risulta assente inoltre il lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, in quanto la natura e la oggettiva gravità dei fatti addebitabili al vice sovrintendente rendono non irragionevole la valutazione di mancanza dell'etica professionale, del senso morale e dell’onore, che devono essere dimostrati dal pubblico dipendente nello svolgimento del servizio d'istituto.

Le condotte addebitate all’appellante si prestano, infatti, ad essere valutate quali condotte in totale spregio dei doveri assunti con il giuramento e tali da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’Amministrazione, dovendo al riguardo essere tenuti in considerazione i superiori interessi pubblici, nonché le aspettative riposte dall'Amministrazione e dal consorzio civile in ogni operatore.

La motivazione dell’impugnato provvedimento del resto è chiara nell’affermare che “ il riprovevole comportamento dell'incolpato è stato realizzato in dispregio a quanto sancito dagli artt. 12 punto 1 (che impone agli appartenenti alla Polizia di Stato di non abusare a proprio vantaggio dell'autorità che deriva dalla funzione esercitata) e 13 del D.P.R. 782/85 (che impone al medesimo personale di mantenere in servizio una condotta irreprensibile, operando in senso di responsabilità nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze proprie azioni) ”.

10. Con una quarta censura l’appellante ribadisce le deduzioni previste nell’atto di motivi aggiunti del primo grado in merito alla disparità di trattamento asseritamente ricevuta rispetto ad altro soggetto appartenente alla Polizia di Stato coinvolto nel medesimo giudizio penale.

L’appellante in particolare, ferma l’assoluta identità di situazioni di fatto illecito (predisposizione di verbali di rinvenimento di veicoli), lamenta che:

a) l’apporto dell’appellante non sarebbe stato maggiormente incisivo in favore delle operazioni criminali, atteso che non sussistono elementi probatori al riguardo e risulta invece che il collega, diversamente da egli, è stato ritenuto autore di più illeciti;

b) il collega presentava un maggior numero di precedenti disciplinari rispetto al ricorrente;

c) è irrilevante la diversità del grado ricoperto dai due soggetti nella Polizia di Stato.

10.1. La censura non è fondata.

10.2. Al riguardo va richiamato il consolidato orientamento secondo cui la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell'Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall'interessato, con la precisazione che la legittimità dell'operato della Pubblica amministrazione non può comunque essere inficiata dall'eventuale illegittimità compiuta in altra situazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 2018, n. 6873;
id., sez. IV, 27 luglio 2018, n. 4611;
id., sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5016;
id., sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3894).

10.3. Nel caso di specie, non è ravvisabile una coincidenza di situazioni il ricorrente, atteso che all’epoca dei fatti il ricorrente, a differenza del collega preso a paragone, rivestiva la qualifica di vice sovrintendente e, per tale motivo, aveva attribuite funzioni di coordinamento e controllo sul personale di grado subordinato al suo. Peraltro, non è stato sufficientemente dedotto né dimostrato dal ricorrente il motivo per cui la sua condotta, tenendo in considerazione il ruolo rivestito e le specifiche funzioni di servizio alle quali era stato preposto, avrebbe dovuto giustificare l’adozione di un provvedimento disciplinare più lieve o comunque eguale a quello riservato al collega.

11. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.

12. La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi