Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-03-06, n. 201901553

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-03-06, n. 201901553
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901553
Data del deposito : 6 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/03/2019

N. 01553/2019REG.PROV.COLL.

N. 07614/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7614 del 2018, proposto dalla -O-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato G E, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

la Prefettura di Napoli e il Ministero dell’interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, n. -O- dell’1 marzo 2018, non notificata, che ha rigettato il ricorso proposto avverso i provvedimenti del Prefetto di Napoli nn. -O- del 24 marzo 2017 e -O- del 7 novembre 2017, emessi in danno della società ricorrente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefettura di Napoli e del Ministero dell’interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella pubblica udienza del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. G F e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La -O- è stata oggetto di interdittiva antimafia, impugnata dinanzi al Tar Napoli, che con sentenza n. -O- del 2013 ha respinto il ricorso. La sentenza è stata confermata in appello (sentenza n. -O- del 2014 della sez. III).

La -O- ha quindi formulato, in data 11 agosto 2015, istanza di aggiornamento dell’informazione ai sensi dell’art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011, respinta in data 24 marzo 2017. Avverso detta reiezione la società ha proposto ricorso al Tar Napoli, che, con ordinanza n. -O- del 5 luglio 2017, ha accolto l’istanza cautelare ai fini del riesame. La Prefettura il 7 novembre 2017 ha inoltrato una nuova interdittiva antimafia, fondata sui medesimi presupposti della precedente, la quale era stata oggetto di accoglimento della domanda cautelare. Con sentenza n. -O- dell’1 marzo 2018 la sez. I del Tar Napoli ha respinto il ricorso.

2. Con appello depositato il 28 settembre 2018 la -O- s.r.l. ha dedotto:

a) Violazione di legge (art. 21 septies, l. n. 241 del 1990 e 91, comma 5, in relazione all’art. 84, d.lgs. n. 159 del 2011) – Elusione del giudicato – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Eccesso di potere – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti – Difetto di motivazione e del presupposto – Illogicità manifesta.

Erroneamente il Tar Napoli ha ritenuto non sussistere alcun vizio di nullità, per elusione del giudicato, del provvedimento prefettizio emesso in data 7 novembre 2018, in quanto il Prefetto avrebbe proceduto al riesame della posizione della società ricorrente ottemperando ad un’ordinanza assunta in fase cautelare e non ad una sentenza.

b) Violazione di legge – Art. 91, comma 5, in relazione all’art. 84, d.lgs. n. 159 del 2011 – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Eccesso di potere – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti – Difetto di motivazione e del presupposto – Illogicità manifesta – Omessa valutazione del quadro indiziario.

Erroneamente il Tar ha ritenuto che l’irrevocabilità della sentenza assolutoria intervenuta nei confronti della sig.ra -O- non fosse un quid novi, in quanto già esistente al momento dell’informativa prefettizia datata 22 gennaio 2013.

c) Violazione di legge – Art. 91, comma 5, in relazione all’art. 84, d.lgs. n. 159 del 2011 – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Eccesso di potere – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti - Difetto di motivazione e del presupposto – Illogicità manifesta – Omessa valutazione del quadro indiziario.

Il provvedimento prefettizio è viziato in quanto fondato su di una situazione di fatto non rispondente alla realtà. Non è infatti vero che -O- s.r.l. ha un capitale sociale pari ad euro -O-, suddiviso tra -O-, amministratore unico (75% delle quote), e -O- (25% delle quote). In realtà il 25% delle quote è posseduto dalla sorella (-O- -O-) e non dalla figlia (-O-) del sig. -O-;
la società, inoltre, non ha mai avuto contatti con ambienti criminali.

d) Violazione di legge – Art. 91, comma 5, in relazione all’art. 84, d.lgs. n. 159 del 2011 – Elusione dell’obbligo di aggiornamento – Eccesso di potere – Difetto di istruttoria - Difetto di motivazione e del presupposto - Illogicità manifesta - Omessa valutazione del quadro indiziario.

L’interdittiva antimafia si fonda su due elementi: a) sul procedimento penale nei confronti della figlia (-O-) del sig. -O- per il delitto di cui all’art. 12 quinqiues, l. n. 356 del 1992;
b) il vincolo filiale tra l’amministratore unico della società ricorrente e la sig.ra -O-, coniuge di un soggetto attinto da procedimenti penali. In effetti però nessun collegamento esiste tra il sig. -O- e la malavita né ci sono intercettazioni in tal senso. Aggiungasi che la figlia dell’amministratore unico non appartiene alla criminalità organizzata, avendo fatto semplicemente una scelta “sentimentale” opinabile, diventando coniuge di un soggetto attinto da procedimento penale, ma che di certo non può e soprattutto non deve incidere sulla vita del padre che opera ininterrottamente nel settore dei lavori pubblici dal lontano 1973, riportando sempre una condotta esemplare ed ottenendo informative liberatorie. Va altresì ricordato che la sig.ra -O-, con sentenza n. -O-, confermata in appello, è stata assolta dall’accusa di riciclaggio del danaro del clan con intestazione fittizia dell’immobile.

Infine, va considerato che il sig. -O- vive da solo e che non ha nessun contatto con la figlia che, tra l’altro, risiede in un paese diverso rispetto a quello del padre.

3. Si sono costituiti in giudizio la Prefettura di Napoli ed il Ministero dell’interno, che hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello.

4. Alla pubblica udienza del 24 maggio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello proposto dalla -O- s.r.l. avverso la sentenza del Tar Campania, sede di Napoli, sez. I, n. -O- dell’1 marzo 2018, che ha rigettato il ricorso volto all’annullamento delle interdittive antimafia del Prefetto di Napoli nn. -O- del 24 marzo 2017 e -O- del 7 novembre 2017, deve essere respinto.

In via preliminare il Collegio chiarisce che la costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti, che hanno depositato memoria per difendere l’operato del Prefetto, sana l’errore commesso dalla società -O-, che ha notificato l’appello presso la sede reale delle Amministrazioni e presso l’Avvocatura distrettuale di Napoli anziché presso l’Avvocatura generale, in violazione del combinato disposto degli artt. 144, comma 1, c.p.c. e degli art. 11, comma 3, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (nel testo introdotto dall’art. 1, l. 25 marzo 1958, n. 260, espressamente richiamato per i giudizi amministrativi dall’art. 10, comma terzo, della l. 3 aprile 1979, n. 103).

In base al combinato disposto di tali disposizioni, infatti, tutti gli atti costitutivi di una fase processuale, proposta nei confronti di amministrazioni statali e di enti pubblici patrocinati dall’Avvocatura dello Stato, vanno notificati, a pena di nullità, presso l’Avvocatura stessa. In particolare, la notifica deve essere eseguita presso l’ufficio dell’Avvocatura nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria adita ovvero, per quanto riguarda il giudizio da instaurare innanzi al Consiglio di Stato, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma. Ne consegue che se la notifica dell’appello proposto avverso la sentenza di un Tribunale amministrativo regionale ha avuto luogo presso l’Avvocatura dello Stato del distretto in cui ha sede il Tribunale, la notifica deve considerarsi nulla, con la conseguente inammissibilità dell’appello stesso, ove la Pubblica amministrazione evocata non abbia sanato tale nullità, come è accaduto nel caso di specie, con la propria costituzione in giudizio. Verificandosi tale ultima evenienza trova applicazione il principio di conservazione degli atti processuali, una volta che sia stato comunque conseguito lo scopo a cui gli stessi erano preordinati ai sensi dell’art. 156 c.p.c. (Cons. St., sez. III, 24 gennaio 2019, n. 619;
id. 14 gennaio 2019, n. 356).

2. Con il primo motivo si afferma che la seconda interdittiva del 7 novembre 2017 sarebbe stata emessa in elusione del giudicato, formatosi sull’ordinanza del Tar Napoli n. -O- del 5 luglio 2017, non appellata, che aveva ordinato alla Prefettura di rivedere il provvedimento interdittivo n. -O- del 24 marzo 2017 perché adottato sulla base di un erroneo presupposto di fatto, id est che la socia titolare del 25% delle quote della società -O- fosse la figlia (sig.ra -O-) dell’amministratore unico sig. -O-, sposata ad un esponente di clan mafioso -O-, anziché la sorella dell’amministratore unico, sig.ra -O- -O-, che non ha mai avuto contatti con ambienti malavitosi.

Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione.

Con la citata ordinanza n. -O- del 2017 il Tar Napoli aveva accolto l’istanza cautelare al solo fine del riesame da parte della Prefettura, che avrebbe dovuto verificare se, emendando l’istruttoria dell’errore commesso, il provvedimento interdittivo avrebbe trovato in ogni caso fondamento. Non era dunque scontato l’esito del riesame, che avrebbe potuto concludersi – come di fatto si è concluso – con la conferma dell’interdittiva. Né rileva, in senso contrario, la circostanza che avverso tale ordinanza n. -O- del 2017 non fosse stato interposto appello, proprio perché l’Amministrazione era stata vincolata dal Tar a rinnovare l’istruttoria ma non ad annullare (o sospendere gli effetti dell’) l’interdittiva.

3. Gli altri motivi di appello possono essere esaminati congiuntamente, perché tutti volti, nella sostanza, a ritenere carenti i presupposti per adottare, nei confronti della società -O-, l’interdittiva antimafia.

I motivi non sono suscettibili di positiva valutazione.

La Sezione (13 aprile 2018, n. 2231;
30 marzo 2018, n. 2031;
7 febbraio 2018, n. 820;
20 dicembre 2017, n. 5978;
12 settembre 2017, n. 4295) ha chiarito che l’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente.

Come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6 aprile 2018, n. 3, si tratta di provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.;
costituisce una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione. Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica amministrazione e si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

L’interdittiva esclude, dunque, che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come “affidabile”) e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero ancora (come ricorre nel caso di specie) essere destinatario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”.

Pur essendo necessario che nell’interdittiva antimafia siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione - non è invece necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.

Il rischio di inquinamento mafioso deve essere, dunque, valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (Cons. St., sez. III, 13 novembre 2017, n. 5214;
9 maggio 2016, n. 1743).

Come chiarito da ultimo dalla Sezione (30 gennaio 2019, n. 759) l’art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, potendo essere anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento.

L’introduzione delle misure di prevenzione, come quella qui in esame, è stata la risposta cardine dell’Ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata.

Una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia.

La sopra richiamata funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).

Giova aggiungere che gli elementi raccolti dalla Prefettura non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

La Sezione (7 febbraio 2018, n. 820) ha ancora chiarito che - quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose - l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;
una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali), che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

4. Applicando i sopradetti principi alla vicenda oggetto di appello emerge evidente come non rilevi la circostanza che la socia della -O- non fosse la figlia dell’amministratore unico, moglie di un esponente del clan mafioso -O- – -O-, ma la sorella, lontana dagli ambienti criminali, né che la predetta figlia fosse stata assolta in sede penale.

Assorbente è infatti la considerazione che l’amministratore unico della società fosse il suocero di -O- -O-, fratello di -O- -O-, capo dell'omonimo clan camorristico, e che -O- -O-, estradato dalla -O-, è stato arrestato, in data -O- 2015, in esito ai seguenti provvedimenti restrittivi: O.C.C. n. -O- RGNR — -O- RG. GIP — -O- OCC, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, in data -O- 2009, per i reati di associazione di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori ed altro;
O.C.C. n. -O- RGNR — -O- RG. GIP --O- OCC emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, in data -O- 2013, per la violazione della disciplina concernente gli stupefacenti;
Ordine di esecuzione di sentenza straniera n. -O- STEP, emessa dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Napoli — Ufficio Esecuzioni Penali, in data -O- 2015, per scontare la condanna ad -O- di reclusione per traffico di stupefacenti;
Ordine di esecuzione per la carcerazione n. -O- emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli, in data -O-O- 2013, per la condanna ad -O- di reclusione per violazione della disciplina concernente gli stupefacenti;
Provvedimento di determinazione di pene concorrenti n. -O- emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli, dovendo scontare la condanna residua ad -O- di reclusione per violazione della disciplina concernente gli stupefacenti.

A tale stretta vicinanza agli ambienti mafiosi si aggiunge, quale elemento indiziario di permeabilità alla criminalità organizzata della società, che il sig. -O- fosse intervenuto nell'acquisto di un appartamento a favore della figlia, provvedendo a pagare il relativo prezzo sei giorni prima della stipula del contratto di compravendita, e dimostrando così di essere permeabile alle richieste del -O-, che ne ha gestito la negoziazione.

Altro elemento indiziario è dato da recenti accertamenti sul territorio dai quali risulterebbero contatti della -O- con componenti della famiglia -O-;
in particolare la stessa è stata controllata, in data -O- 2014, unitamente a -O-, nato a -O- il -O-, con -O- e -O- -O- (i genitori di quest’ultimo sono vicini agli ambienti mafiosi);
lo stesso -O- è stato controllato, in data -O- 2014, presso l’abitazione di -O- -O-, cognata della -O-, la cui madre è detenuta per condanna per violazione degli artt. 416 c.p. e 74, d.P.R. n. 309 del 1990.

Tale coacervo di elementi è stato ritenuto dal Prefetto di Napoli sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia rimane estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).

5. Giova infine ricordare che sulla vicenda la Sezione era già intervenuta, prima che sull’interdittiva fosse chiesto dalla società l’aggiornamento.

Con sentenza 5 maggio 2014, n. -O- la Sezione aveva affermato che “il giudizio prognostico non è basato solo sulla parentela e sull’acquisto fittizio di un immobile, come sostenuto assertivamente con l’appello all’esame che si limita a rappresentare i due detti elementi in modo asettico e atomistico, bensì sul loro intreccio, come emerge anche da intercettazioni telefoniche evidenziate pure dal Tar, con una gestione da parte del sodalizio criminale della complessa attività e di contatti anche finanziari tale da rendere evidente l’intrusione, in potenza e in atto, anche nella gestione della società appellante. Tale valutazione prescinde sì motivatamente pure dall’esito favorevole della vicenda penale della figlia dell’amministratore delegato, che pure ha visto condannare per il 416 bis c.p. il fratello del compagno che veniva arrestato in -O- per delitto di droga, e che ha posto comunque in evidenza contatti e coinvolgimenti di vario genere delle famiglie con esponenti del clan in quello specifico contesto ambientale. Ed è assodato che l’interdittiva non si collega a fatti e attività oggetto di approfondimento d’ordine penale, essendo diversi i parametri di valutazione sul piano amministrativo, bensì alle stesse emergenze giudiziarie, indizi, collegamenti societari e intrecci imprenditoriali ed economici, contatti e frequentazioni e in definitiva a un quadro che, nel complesso di tutti gli elementi e prescindendo dalle singole circostanze, rende plausibile e giustifica l’adozione dell’interdittiva quale specifica misura di tutela anticipata volta a prevenire e/o stroncare ogni possibile “inquinamento” delle aziende, degli appalti pubblici e quindi dell’attività della P.A., posto in essere notoriamente anche attraverso operazioni apparentemente legittime ma fittizie tipiche delle organizzazioni mafiose. Ed è indubbio che nel caso di specie sussiste oggettivamente il quadro indiziario delineato nell’informativa prefettizia e confermato dal Tar”.

E’ dunque evidente che sull’intervenuta assoluzione della sig.ra -O- dalla vicenda penale che l’aveva vista coinvolta si è formato il giudicato nel senso dell’irrilevanza agli effetti della emessa interdittiva.

E’ altresì evidente che fatti nuovi di rilievo non sono intervenuti, tali da smentire la persistente vicinanza degli -O- (e, quindi, della società appellante) a contesti mafiosi, segnando una netta cesura rispetto al passato a giustificazione di un aggiornamento in senso favorevole dell’interdittiva prefettizia.

Va sul punto ricordato che la società appellante non ha addotto elementi nuovi, di segno contrario, che smentirebbero la persistente vicinanza a contesti mafiosi, segnando una netta cesura rispetto al passato. Si tratta di fatto determinante atteso che, per la consolidata giurisprudenza, il superamento del rischio di inquinamento mafioso è da ricondursi non tanto al trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, bensì al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza (Cons. St., sez. III, 7 gennaio 2019, n. 161;
17 febbraio 2017, n. 739).

Sulla stessa linea si situa anche la giurisprudenza della Cassazione (Sez. Un., -O- 2017, n. 111) in materia di misure di prevenzione personali, laddove ricorda che “occorre confrontarsi, al fine della valutazione di persistente pericolosità, con qualsiasi elemento di fatto suscettibile, anche sul piano logico, di mutare la valutazione di partecipazione al gruppo associativo, al di là della dimostrazione di un dato formale di recesso dalla medesima - anche lì dove sia possibile evocare astrattamente un recesso, che si può connettere solo ad attività partecipativa -, quale può ravvisarsi nel decorso di un rilevante periodo temporale o nel mutamento delle condizioni di vita, tali da renderle incompatibili con la persistenza del vincolo”.

La doverosa attualizzazione del pericolo infiltrativo, anche per quanto attiene alle informazioni antimafia, richiede di valutare se siano intervenuti elementi di fatto suscettibili di mutare, anche sul piano logico, la valutazione di contiguità mafiosa, che non può ritenersi elisa o attenuata dal mero trascorrere del tempo, stante la ininterrotta “contiguità” a logiche mafiose.

La vicinanza degli -O- (e, quindi, della società appellante) al clan mafioso -O- – -O- costituisce, insomma, un dato ancora attuale che, stante la struttura incontestabilmente familiare della società appellante, pienamente giustifica la valutazione di permeabilità mafiosa a suo carico da parte della Prefettura di Napoli, con tutto ciò che ne consegue sul piano interdittivo.

6. L’appello deve quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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