Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-07-08, n. 202004383

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-07-08, n. 202004383
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004383
Data del deposito : 8 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/07/2020

N. 04383/2020REG.PROV.COLL.

N. 02279/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2279 del 2018, proposto dalla Società Agricola Rover s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G F F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma, via di Ripetta 142;

contro

i signori V G, M D S, M R G, G F C, M C, L C, R B, P F, C B, M B, M B, G M, M R e A C, rappresentati e difesi dall'avvocato L G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

nei confronti

del Comune di Credera Rubbiano, non costituito in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

previa sospensione

della sentenza del TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione I, 22 dicembre 2017 n.1478, che ha accolto il ricorso n.1865/2015 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti e comportamenti del Comune di Credera Rubbiano concernenti la procedura abilitativa semplificata – PAS promossa dalla società agricola Rover S.s. con istanza 27 marzo 2013 per realizzare un impianto di generazione elettrica tramite combustione di biogas presso la sede aziendale, in via Piva 9, sul terreno distinto al catasto comunale al foglio 10 mappale 46:

a) del provvedimento 3 luglio 2015, conosciuto il giorno, con il quale il Responsabile del servizio tecnico ha respinto l’istanza di annullamento in autotutela degli atti stessi presentata il giorno 12 giugno 2015 da C B e consorti, costituiti nel Comitato “No biogas per l’ambiente”;

b) del silenzio significativo formatosi sull’istanza della Rover S.s. il giorno 27 marzo 2013;

c) del silenzio significativo formatosi sull’istanza di variante della Rover S.s. il giorno 21 maggio 2015;

e di ogni altro atto collegato, connesso ovvero consequenziale;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati indicati in epigrafe;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2020 il Cons. F G S;

Uditi, per la parte appellante, l’avvocato G F F e, per la parte appellata, l'avvocato L G ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 d.l. 28 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controinteressata appellante gestisce un allevamento in Comune di Credera Rubbiano, e allo scopo di riutilizzare i liquami che esso produce ha deciso di costruire un impianto di generazione di energia elettrica alimentato a biogas, della potenza di 249 kW;
a tale scopo, ha quindi presentato a quel Comune, il giorno 27 marzo 2013 istanza di procedura abilitativa semplificata – PAS con la relativa dichiarazione, ai sensi dell’art. 6 del d lgs. 3 marzo 2011 n.28, che dispone in tema di impianti alimentati a energia rinnovabile (doc. 1 in I grado controinteressata appellante).

2. La norma citata, com’è noto, prevede al comma 4 primo periodo che il Comune, ove in base alla dichiarazione della parte riscontri la mancanza dei presupposti di legge per realizzare l’impianto, intervenga ordinando di non effettuare l’intervento;
aggiunge poi al secondo periodo del comma 4 che “ Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione …, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita ”.

3. Poiché il Comune non si esprimeva, la società decorso il termine previsto incominciava i lavori il giorno 20 giugno 2013 (doc. 5 in I grado controinteressata appellante, dichiarazione).

4. In corso d’opera, la società riteneva di apportare alcune modifiche al progetto originario, e quindi presentava il giorno 21 maggio 2015 una nuova istanza di PAS con la relativa dichiarazione (doc. 9 in I grado controinteressata appellante);
nel silenzio del Comune mantenuto anche in questo caso, dava corso alla variante e ultimava i lavori il successivo 13 luglio 2015 (doc. 10 in I grado controinteressata appellante) e il 24 luglio 2015 metteva l’impianto in esercizio (doc. 13 in I grado controinteressata appellante).

5. Parallelamente, alcuni cittadini del Comune, residenti o proprietari di immobili nelle vicinanze dell’impianto e contrari alla sua realizzazione, indirizzavano sia a titolo individuale, sia a nome di un comitato che li raggruppava un’istanza 11 giugno 2015 al Comune, in cui lo invitavano a sospendere i lavori relativi;
e comunque a intervenire;
a tale istanza, il Comune ha risposto con l’atto 3 luglio 2015 di cui meglio in epigrafe, in cui afferma di non voler dare seguito alla richiesta, non ravvisando illegittimità di sorta sulla base dell’allegata relazione del funzionario che aveva seguito la pratica (doc. 1 in I grado ricorrenti appellati).

6. Contro questo provvedimento e contro i provvedimenti abilitativi taciti a loro avviso formatisi all’esito delle due PAS, i cittadini ed il comitato in questione hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, successivamente trasposto in sede giurisdizionale.

7. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha pronunciato sul ricorso trasposto;
in dettaglio, ha estromesso dal giudizio il comitato ricorrente, ritenendolo privo di legittimazione;
ha viceversa respinto le eccezioni di difetto di legittimazione e di interesse proposte nei confronti dei ricorrenti persone fisiche, ritenendoli legittimati in base al noto criterio della vicinitas . Nel merito, il TAR ha poi accolto la domanda di annullamento per tutti i presunti provvedimenti impugnati, condividendo la qualificazione di provvedimento tacito per gli esiti delle PAS;
in proposito ha anzitutto ritenuto che il progetto si sarebbe dovuto sottoporre a verifica di assoggettabilità a valutazione integrata ambientale – VIA ed ha disapplicato sul punto le disposizioni della Regione Lombardia in base alle quali la verifica non era stata compiuta in forza di un’esenzione stabilita in via generale per gli impianti di tal tipo, giudicando tale esenzione automatica contraria al diritto europeo;
su questa premessa, ha ritenuto anche che fossero state violate le norme europee sugli obblighi di informazione al pubblico circa il progetto

8. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene due complesse censure, riconducibili secondo logica ai seguenti sette motivi:

- con il primo di essi, corrispondente al § 1.1 della prima censura, sostiene il difetto di legittimazione al ricorso dei ricorrenti appellati, e critica la sentenza impugnata per avere ritenuto il contrario. Ad avviso della controinteressata appellante, in sintesi estrema, il criterio della vicinitas condiviso dal Giudice di I grado per fondare la legittimazione sarebbe insufficiente, e invece i ricorrenti appellati avrebbero dovuto dare ognuno la prova di uno specifico pregiudizio loro derivante dall’impianto, pregiudizio che non coinciderebbe con il generico deprezzamento degli immobili in zona cui si riferisce una perizia di parte da loro prodotta (doc. 27 in I grado ricorrenti appellati). Ritiene altresì che la loro vicinanza all’impianto sia sostanzialmente non dimostrata, e che irrilevanti sotto il profilo processuale siano le norme, pure citate dal Giudice di I grado, che attribuiscono ai cittadini un interesse alla partecipazione procedimentale;

- con il secondo motivo, corrispondente al § 1.2 della prima censura, sostiene che, data la mancata prova di uno specifico pregiudizio loro derivante dall’impianto, i ricorrenti appellati mancherebbero anche di interesse alla decisione;

- con il terzo motivo, corrispondente al § 1.3 della prima censura, sostiene ancora che, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di I grado, l’impugnazione sarebbe inammissibile anche perché mancherebbero i presupposti del ricorso collettivo: non sarebbe infatti dimostrata l’assenza di conflitto di interessi fra i ricorrenti;

- con il quarto motivo, corrispondente ai §§ 1.4 e 1.5 della prima censura, deduce ancora l’inammissibilità del ricorso, perché erroneamente proposto con il rito dell’impugnazione, e comunque contro atto non impugnabile. Sostiene infatti che i procedimenti di PAS darebbero luogo non ad un provvedimento tacito impugnabile, come sostenuto dal Giudice di I grado, ma a mere condotte del privato, al pari della DIA. In proposito, si sarebbe se mai dovuto procedere contro il silenzio dell’amministrazione con l’apposito rito. L’inammissibilità del ricorso per tale ragione non sarebbe sanata nemmeno, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di I grado, dall’impugnazione del diniego di autotutela, dato che si tratterebbe di atto meramente confermativo;

- con il quinto motivo, corrispondente al § 1.6 della prima censura, deduce ancora l’inammissibilità del ricorso in quanto originariamente proposto come ricorso straordinario, non esperibile invece in casi in cui, come sopra sostenuto, sarebbe applicabile il rito del silenzio;

- con il sesto motivo, corrispondente al § 2.1 della seconda censura, critica la sentenza di I grado nella parte in cui ha disapplicato la deliberazione della Giunta regionale lombarda 18 aprile 2012 n. IX/3298, che prevedeva i casi in cui la verifica di assoggettabilità a VIA e la VIA non sono richiesti a priori, casi fra i quali rientrava l’impianto per cui è causa, ed ha ritenuto che, sulla base delle norme europee della direttiva 2011/92/UE, la valutazione vada fatta caso per caso. Ad avviso della controinteressata appellata, infatti, le esenzioni automatiche di cui si tratta sarebbero rimesse alla decisione degli Stati membri;

- con il settimo motivo, corrispondente al §2.2 della seconda censura, critica per conseguenza la sentenza impugnata sostenendo che, non essendo richieste né la VIA né la verifica di assoggettabilità, non sarebbero applicabili nemmeno le norme sulla pubblicità del progetto.

9. I ricorrenti appellati hanno resistito, con atto 10 aprile e memoria 13 aprile 2018, e chiesto che l’appello sia respinto, difendendo in sintesi le motivazioni della sentenza impugnata.

10. Alla camera di consiglio del giorno 19 aprile 2018, la domanda cautelare è stata riunita al merito.

11. Con memoria 29 maggio 2020, i ricorrenti appellati hanno in particolare eccepito la cessazione della materia del contendere;
hanno infatti evidenziato che la Provincia di Cremona, con decreto 19 aprile 2019 n.318, prodotto il precedente 22 maggio 2020 dalla controinteressata appellante, ha rilasciato decreto postumo di diniego di assoggettabilità a VIA, secondo loro a riprova della correttezza di quanto affermato dalla sentenza impugnata.

12. Viceversa, la controinteressata appellante, con memoria 1 giugno 2020, ha affermato di avere ancora interesse alla decisione del merito, sia quanto alle spese, sia quanto alla necessità di affermare in modo espresso che i provvedimenti annullati in primo grado devono considerarsi sanati dal decreto provinciale di cui si è detto.

13. Con repliche del giorno 10 giugno 2020, le parti hanno infine insistito sulle reciproche posizioni.

14. All’udienza del 2 luglio 2020, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

15. In via preliminare, va respinta l’eccezione di cessata materia del contendere dedotta dai ricorrenti appellati. In base ad un principio pacifico, che come tale non richiede puntuali citazioni di giurisprudenza, la legittimità dell’atto amministrativo impugnato si giudica in base alle norme di diritto vigenti ed alla situazione di fatto esistente nel momento in cui esso fu emanato, secondo la nota regola “ tempus regit actum ”, e per tal motivo un atto intervenuto successivamente, come il decreto 19 aprile 2019 della Provincia di Cremona di cui si è detto, può valere se mai come sanatoria, e non eliminare dall’origine un’eventuale illegittimità, Nel caso presente però non è possibile stabilire a priori quale sia stato l’effetto del decreto 19 aprile 2019 in questione, se un effetto di sanatoria, come sarebbe se gli atti qui impugnati fossero stati effettivamente illegittimi, ovvero un effetto di mera conferma, perché l’illegittimità all’origine non sussisteva. Per dare una risposta, è necessaria una decisione di merito, e quindi l’appello va deciso.

16. Ciò detto, l’appello è infondato nel merito, per le ragioni di seguito esposte.

17. Il primo ed il secondo motivo dell’appello stesso sono connessi, perché propongono la questione della legittimazione, in senso ampio, dei ricorrenti appellati ad impugnare, vanno affrontati congiuntamente e sono entrambi infondati.

17.1 La controinteressata appellante si richiama ad un orientamento più risalente – espresso per tutte da C.d.S. sez. IV 15 dicembre 2017 n.5908 e sez. V 16 aprile 2013 n.2095- secondo il quale la semplice vicinitas , ovvero l’essere proprietari di immobili nelle vicinanze di un impianto che si ritiene inquinante ovvero l’essere residenti nei pressi, non è sufficiente a fondare la legittimazione ad impugnare i provvedimenti che quell’impianto hanno assentito, dato che occorrerebbe dare la prova positiva di un danno che da esso deriverebbe. Va puntualizzato per chiarezza che la vicinitas come fatto storico non è in discussione, dato che i ricorrenti appellati hanno allegato (doc. 5 in I grado) documentazione in proposito, che non è stata specificamente contestata, salvo quanto oltre si dirà per la posizione di un singolo.

17.2 Tale orientamento è però superato nella giurisprudenza più recente – per tutte C.d.S. sez. VI 23 maggio 2019 n. 3386 e 24 aprile 2019 n.2645- secondo il quale uno stabile collegamento con un terreno vicino all'intervento di cui si tratta è sufficiente a fondare sia la legittimazione che l'interesse a ricorrere, senza dover allegare e provare uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività intrapresa sul suolo limitrofo;
nei casi decisi dalle sentenze citate, si trattava di un’attività edilizia, ma il principio a maggior ragione vale per la costruzione di un impianto termoelettrico, notoriamente fonte di possibile inquinamento acustico e dell’aria per tutta la durata del suo esercizio.

17.3 Quanto si è detto vale anche per il caso particolare dedotto a p. 3 penultimo paragrafo dell’atto di appello, ovvero per l’ipotesi in cui un dato soggetto, come la ricorrente appellata indicata in quella sede, sia proprietario di un immobile nelle vicinanze, nella specie di un terreno, ma non lo usi per abitarci: è del tutto evidente che un impianto potenzialmente inquinante situato in prossimità di un terreno ne diminuisce il valore di mercato.

18. È infondato anche il terzo motivo di appello, centrato sulla presunta assenza dei presupposti per proporre il ricorso collettivo. La controinteressata appellante richiama la giurisprudenza – per tutte, C.d.S. sez. III 16 agosto 2019 n.5728- secondo la quale il ricorso collettivo è ammissibile se fra i ricorrenti non sussiste conflitto di interessi e se le relative posizioni dei suddetti soggetti sono omogenee sia quanto al petitum sia quanto ai motivi dedotti perché solo a tal condizioni la pluralità dei ricorrenti si può considerare un'unica parte processuale, seppure soggettivamente complessa. Nel caso presente però tali presupposti non mancano, dato che non è chiaro – e la ricorrente appellante nulla di specifico deduce sul punto- quale sia o quale potrebbe essere il conflitto di interessi fra i ricorrenti appellati, i quali hanno impugnato gli stessi atti con gli stessi motivi, e si dichiarano tutti in identica misura pregiudicati dall’impianto.

19. È a sua volta infondato anche il quarto motivo di appello, secondo il quale, in buona sostanza, il ricorso di I grado sarebbe stato proposto contro atti non impugnabili.

19.1 La controinteressata appellante ha sostenuto quanto sopra in primo luogo quanto agli atti delle due PAS di cui in epigrafe, la principale e quella in variante, richiamandosi all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la PAS in questione sarebbe un atto privato, assimilabile alla denuncia di inizio attività ovvero alla segnalazione certificata che l’ha sostituita: in tal senso, C.d.S. sez. IV 19 giugno 2014 n.3112 e 1 settembre 2016 n.3783.

19.2 Tale orientamento però è stato superato, in quanto non condivisibile, nei termini esposti, per tutte, dalla sentenza della Sezione 18 aprile 2019 n.2526, che qui si condivide. In termini generali, per tutte già sez. IV 25 novembre 2008 n.5811, la differenza fra un provvedimento amministrativo tacito formatosi con il silenzio assenso, come tale impugnabile, e un atto privato come la denuncia di inizio attività, che non è impugnabile, è data dalla norma di legge che disciplina la fattispecie. Si è in presenza di un provvedimento tacito se il privato che formula la relativa istanza non può iniziare l’attività di cui si tratta se non dopo il decorso di un termine, entro il quale l’amministrazione può negare quanto richiesto. Si è invece in presenza di un atto privato se l’interessato può immediatamente iniziare l’attività, salvo che un atto di controllo in senso ampio dell’amministrazione intervenga a inibirglielo.

19.3 Ciò posto, come correttamente nota la sentenza 2526/2019 citata, la norma di legge in materia, ovvero l’art. 6 del d. lgs. 28/2011, prevede entrambi gli istituti. Infatti, al già citato comma 4, dispone che l’attività “ deve ritenersi assentita ” se il Comune non interviene a vietarla entro il termine prefissato dalla presentazione dell’istanza;
al successivo comma 11 prevede invece che per interventi minori, tra i quali non rientra quello per cui è causa, valga il regime della “ comunicazione relativa alle attività in edilizia libera ”. Nel primo caso, quindi, si è in presenza di un silenzio assenso;
nel secondo di un atto privato.

19.4 Nel caso di specie, l’intervento era disciplinato dalle norme regionali, ovvero dal § 3.4 della citata deliberazione della Giunta regionale lombarda n. IX/3298 del 2012, che sul punto prevede: “ Presentata la dichiarazione di Procedura abilitativa semplificata se il responsabile del competente ufficio comunale, entro il termine 30 giorni, riscontra l’assenza di una o più delle condizioni dichiarate, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento (comma 9)” e: “ Se il Comune non procede decorso il termine di trenta giorni di cui sopra, l’attività di costruzione dell’impianto e delle opere connesse può essere avviata (comma 11)”. Si è di fronte quindi ad una fattispecie di silenzio assenso, che come tale dà luogo ad un provvedimento tacito impugnabile.

19.5 A fronte di ciò, va ritenuto impugnabile anche l’atto comunale 3 luglio 2015, che si qualifica, contrariamente a quanto ritenuto dalla controinteressata appellante, come diniego di autotutela a carattere di conferma, e non come atto meramente confermativo, distinguendosi da quest’ultimo per il fatto di essere stato adottato all’esito di una nuova istruttoria, affidata come si è visto al funzionario che aveva seguito la pratica: per la distinzione fra conferma ed atto meramente confermativo non impugnabile, si veda per tutte da ultimo C.d.S. sez. V 14 aprile 2020 n.2385.

20. Quanto sopra comporta la reiezione anche del quinto motivo di appello, perché evidentemente contro un provvedimento tacito il ricorso straordinario è validamente proposto, e quindi validamente si può trasporre in sede giurisdizionale.

21. È infondato anche il sesto motivo, centrato sulla presunta legittimità del regime della PAS come fissato dalla citata deliberazione regionale IX/3298 del 2012, al § 3.3 n.14 secondo la quale tale procedura si applica agli impianti “ non operanti in assetto cogenerativo e aventi una capacità di generazione inferiore a 250 kWh ”, e quindi non vale il regime della VIA, neanche nella forma della previa verifica di assoggettabilità.

21.1 Così come ricordato anche dal Giudice di I grado, la legittimità costituzionale di norme nazionali le quali hanno esentato dalla VIA determinate opere sulla base di semplici limiti dimensionali è stata esclusa anzitutto dalla Corte costituzionale con la sentenza 22 maggio 2013 n.93, relativa ad una legge della Regione Marche, ma fondata su considerazioni di carattere del tutto generale e quindi riferibili anche a casi come il presente, in cui si tratta di norme di regolamento. La Corte ha affermato, in termini che questo Collegio condivide, che l’art. 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92/UE per individuare i progetti da assoggettare alla procedura di VIA, prende in considerazione più criteri, oltre a quello della dimensione, e in particolare vuole che si tenga conto in sintesi anche del cumulo con altri progetti, della localizzazione, comprensiva dell’area geografica e della densità della popolazione interessata dell’utilizzo di risorse naturali, della produzione di rifiuti, dell’inquinamento e dei disturbi ambientali.

21.2 La normativa contrastante con tale principio ha inoltre originato a carico della Repubblica Italiana l’apertura di una procedura di infrazione – n.2009/2086- da parte della Commissione europea. La procedura stessa, come la Commissione ha reso noto con un comunicato ufficiale si è ritenuta conclusa con l’approvazione del d.l. 24 giugno 2014 n. 91, che ha operato un intervento complessivo volto a sanare tutti i rilievi mossi in proposito. Il decreto ha in particolare previsto linee guida nazionali finalizzate a fornire alle Regioni indirizzi e criteri per la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA sulla base di tutti i criteri di cui alla direttiva, e quindi non solo sulla base della localizzazione o, come nel caso di specie delle caratteristiche dimensionali (cd. soglie).

21.3 Va pertanto condiviso quanto affermato dal Giudice di I grado, circa l’illegittimità della normativa regionale in questione rispetto alle norme europee e alla necessità di disapplicarla.

22. Quanto appena esposto comporta infine la reiezione del settimo ed ultimo motivo di ricorso, dato che l’illegittimità dell’esenzione dalla assoggettabilità a VIA comporta l’illegittimità dei provvedimenti impugnati anche nella parte in cui hanno omesso la pubblicità del progetto.

23. In conclusione, l’appello va respinto e rimane fermo l’annullamento dei provvedimenti impugnati disposto in I grado. Va aggiunto per chiarezza che l’illegittimità dei provvedimenti di PAS e del diniego di autotutela sugli stessi vale per il passato: rispetto a tale epoca, è ora possibile dire che il decreto 19 aprile 2019 vale come sanatoria, sì che l’attività dell’impianto, a parità di altre condizioni, può proseguire. In altre parole, intervenuta la verifica a sanatoria, il Comune non potrebbe ora adottare alcun provvedimento repressivo fondato sulla sua originaria assenza.

24. La complessità e novità del caso deciso è giusto motivo per compensare le spese.

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