Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-16, n. 202007103
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Pubblicato il 16/11/2020
N. 07103/2020REG.PROV.COLL.
N. 04854/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4854 del 2011, proposto dal Comune di Cinisello Balsamo, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avvocati G B ed A M ed elettivamente domiciliato eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via F. Confalonieri, n. 5
contro
G M e G A, rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dagli avvocati G G e G D P ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Liegi, n. 35/B
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) del 23 novembre 2011, n. 7323
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei sigg. Marco Genghini ed Alessandra Genghini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. F G nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2020, svoltasi con modalità telematica ai sensi del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, i signori Marco e Alessandra Genghini impugnavano l’ordinanza dirigenziale del Comune di Cinisello Balsamo, n. 58 del 29 gennaio 2010, con la quale era stata ingiunta la demolizione degli immobili realizzati senza titolo nell’area del loro compendio industriale in via dei Partigiani n. 13/15, limitatamente ai capannoni ivi identificati con i nn. 3-4 e parte del n. 2, costruiti in zona di rispetto cimiteriale.
Con sentenza n. 7323 del 23 novembre 2011, il T.A.R. adito (Sezione Seconda) accoglieva il ricorso e annullava in parte qua il provvedimento impugnato.
Avverso la decisione di primo grado il Comune di Cinisello Balsamo ha interposto appello, cui hanno resistito gli appellati.
In vista dell’udienza di trattazione questi ultimi hanno prodotto memoria difensiva, alla quale ha replicato il Comune, nonché note di discussione ex art. 84, comma 4 del d.l. n. 18/2020, convertito con legge n. 27/2020.
Alla pubblica udienza del 14 luglio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il T.A.R. ha accolto il ricorso dei signori Genghini essendo pervenuto alla conclusione che i manufatti sanzionati non fossero sprovvisti di titolo edilizio, che sarebbe stato da identificare nell’atto sindacale del 25 febbraio 1956, prot. 12180, recante nulla-osta per l’edificazione di capannoni sul mappale 193, condizionato alla realizzazione degli stessi sul lato sud-est al confine con l’area di rispetto cimiteriale, “ sebbene in corso di realizzazione vi possono essere state delle modifiche rispetto al progetto originario ”.
Inoltre il giudice di primo grado, pur escludendo, all’esito degli approfondimenti istruttori disposti nel corso del giudizio, che il procedimento di deroga della zona di rispetto cimiteriale - avviato ai sensi dell’art 2 della legge 17 ottobre 1957, n. 983, con delibera del Consiglio Comunale n. 9 dell’11 gennaio 1962 - fosse pervenuto a conclusione in assenza di un pronunciamento espresso da parte della Prefettura, ha giudicato che “ l’ordine [di demolizione] de quo risulta illegittimo laddove dispone la demolizione delle opere realizzate all’interno dell’area di rispetto cimiteriale, in assenza di una pronuncia da parte del Prefetto sulla istanza di sanatoria delle distanze ”.
Con un primo motivo di appello il Comune sostiene che sia il nulla osta del 25 febbraio 1956, n. 12180, sia i provvedimenti relativi alla successiva variante progettuale non legittimassero i manufatti, riguardando immobili diversi (quelli della pratica edilizia n. 516/1955, fabbricati differenti, per dimensione ed ubicazione, rispetto a quelli contestati;lo stesso per la variante progettuale presentata nel luglio 1956, pratica edilizia n. 256/1956, riferita ai fabbricati di cui al nulla osta del 25 febbraio).
Con un secondo motivo, il Comune censura il capo di sentenza sull’illegittimità dell’ordine di demolizione in assenza di pronuncia del Prefetto sull’istanza di sanatoria delle distanze cimiteriali, anzitutto perché il T.A.R. sarebbe incorso in ultrapetizione, dato che il motivo di censura proposto in primo grado si sarebbe basato sulla deduzione dell’avvenuta sanatoria dei manufatti posti all’interno della fascia di rispetto cimiteriale pur in difetto del pronunciamento finale del Prefetto (sicché il T.A.R. avrebbe spostato, indebitamente, l’attenzione dal profilo sostanziale al profilo formale);ed in secondo luogo perché, in mancanza del necessario atto del Prefetto, la procedura di sanatoria non poteva dirsi conclusa e la fascia di rispetto cimiteriale, dunque, andava comunque rispettata.
Con un terzo motivo di appello, infine, il Comune critica la decisione del T.A.R. sul punto del ritenuto difetto d’istruttoria che avrebbe inficiato la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado.
L’appello è fondato.
L’erroneità dell’assunto per cui i capannoni formanti oggetto dell’ordinanza di demolizione sarebbero stati assentiti con il nulla-osta condizionato del 1956 trova conferma nella documentazione versata agli atti del giudizio di primo grado.
Invero, con quella nota del 25 febbraio 1956, prot. 12180, il Sindaco di Cinisello Balsamo aveva fatto presente al sig. Bergamini, che aveva chiesto l’autorizzazione alla costruzione in viale Partigiani, sul mappale 193, di un muro di cinta con capannoni, “ che nulla osta per parte di questo Comune alla costruzione del muro di cinta, mentre invece quella dei capannoni è subordinata alla condizione che venga posta lungo il lato sud-est anziché nord-est ”.
L’area di sedime del progetto originario dei nuovi capannoni, a forma di “L” lungo i lati nord-ovest del mappale 193, è raffigurata nella planimetria generale posta sul frontespizio della tavola di progetto prodotta in allegato (“A”) alla relazione depositata agli atti di causa dal Servizio Edilizia Privata in ottemperanza all’ordinanza istruttoria del T.A.R.;la planimetria vi figura sbarrata con un crocesegno e reca a margine il rimando ad una variante progettuale (“ vedi variante ”): si tratta del progetto di variante presentato dai fratelli A e G G nel luglio 1956 (pratica n. 256/56), in cui il capannone, ridotto nelle dimensioni e divenuto a pianta rettangolare, veniva ad essere posizionato sul lato sud-est (v. la planimetria generale in scala 1:200, allegato E alla relazione suddetta).
Con successiva nota del 22 agosto 1956, però, il Sindaco aveva comunicato che “ il progetto è stato passato alla Commissione Edilizia Comunale e dalla stessa rinviato alla Amministrazione Comunale in quanto non regolare per la distanza dal Cimitero ”, avvertendo i richiedenti che, di conseguenza, nessuna costruzione poteva essere iniziata senza la prescritta autorizzazione comunale (all. D1).
La scheda della pratica edilizia (n. 256/56), copia della quale è stata prodotta con la relazione predetta (All. F), contiene il parere negativo, datato e firmato, reso in data 2 ottobre 1956 dall’Ufficio sanitario e così motivato: “ non si concede il nulla osta di questo Ufficio sanitario giacché non a distanza legale dal Cimitero di Balsamo. Si rimanda per competenza alla superiore autorità sanitaria prefettizia ”.
Si tratta di circostanze di fatto che non sono sfuggite al giudice di primo grado, che sinteticamente le ha riportate al punto 2 della sua decisione senza trarne, però, tutte le conseguenze.
I capannoni sanzionati con l’ordinanza di demolizione, che hanno un’area di sedime e una volumetria ancora diverse da quelle delle opere progettate nel 1956 (cfr. lo stralcio catastale allegato alla stessa ordinanza), non possono dirsi assentiti né col nulla osta condizionato del 25 febbraio 1956, né con gli atti successivi: non col primo, perché la condizione non è stata soddisfatta (l’opera realizzata non è una mera traslazione sul lato sud-est di quella progettata nell’originaria pratica edilizia;inoltre, per soddisfare la condizione, il progetto originario era stato abbandonato in favore di quello presentato in variante), e neppure in occasione del procedimento di variante, che, come visto, era finito anch’esso per incagliarsi nella questione della fascia di rispetto cimiteriale e riguardava, comunque, costruzione sostanzialmente difforme dagli edifici oggetto dell’ordine di demolizione.
La conseguente affermazione del Comune, basata sul predetto supporto documentale, secondo cui gli elaborati della variante non facevano riferimento ai diversi capannoni ubicati nella parte occidentale del lotto più vicina al confine del cimitero di Balsamo non ha trovato prova contraria da parte degli appellati, sui quali incombeva l’onere di dimostrare, in primo grado, il loro assunto. Essi, su questo specifico punto, si sono limitati essenzialmente a soffermarsi sulla delibera del Consiglio comunale n. 9 del 1962 (pag. 9 ss. della memoria difensiva) nonostante da questa non potesse desumersi alcun argomento di prova, né diretto né indiretto, sull’oggetto della variante, che peraltro, come detto, non risulta perfezionata.
L’irrilevanza dei summenzionati atti ai fini della dimostrazione della legittimità edilizia dei manufatti vale anche ad escludere che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, potesse addebitarsi all’amministrazione comunale un difetto di istruttoria.
Infine va aggiunto, a prescindere dal denunciato profilo di extrapetizione della sentenza appellata, che l’art 2 della legge 17 ottobre 1957, n. 983, nel modificare il quarto comma dell’art. 338 T.U. delle leggi sanitarie (nel senso che “ Può altresì il Prefetto, su motivata richiesta del Consiglio comunale, deliberata a maggioranza assoluta dei consiglieri in carica, e previo conforme parere del Consiglio provinciale di sanità, quando non vi si oppongano ragioni igieniche e sussistano gravi e giustificati motivi, ridurre l’ampiezza della zona di rispetto di un cimitero, delimitandone il perimetro in relazione alla situazione dei luoghi, purché nei centri abitati con popolazione superiore ai 20.000 abitanti il raggio della zona non risulti inferiore ai 100 metri ad almeno a 50 metri per gli altri Comuni ”), non consentiva di derivare dalla semplice pendenza del procedimento di riduzione della fascia di rispetto l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione di opere del tipo di quelle per cui è causa. Ed infatti, fintantoché il procedimento non si fosse concluso positivamente col provvedimento prefettizio, tali opere restavano in contrasto col vincolo d’inedificabilità.
Ed invero, per concorde giurisprudenza di ultima istanza, amministrativa e civile, la riduzione della fascia di rispetto poteva essere disposta, a quell’epoca, unicamente con provvedimento del prefetto, esclusa ogni possibilità di modifica da parte della sola amministrazione comunale (C.d.S., sez. II, 2 marzo 2020, n. 1471, ed ivi ulteriori richiami).
Per il resto, l’appello prosegue contestando anticipatamente, per evidente scrupolo difensivo, la fondatezza dei motivi del ricorso di primo grado assorbiti dalla sentenza appellata, ancor prima della loro riproposizione.
Tuttavia, in seguito quei motivi non sono stati espressamente riproposti nei termini e con le forme previste dalla legge processuale (cioè con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio), cosicché, ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.a., essi devono intendersi rinunciati.
In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello dev’essere accolto e, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere respinto.
Le spese del doppio grado del giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.