Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-01-05, n. 202400184
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Testo completo
Pubblicato il 05/01/2024
N. 00184/2024REG.PROV.COLL.
N. 06055/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6055 del 2023, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e dal Ministero della Salute, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
la Società -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cicerone, n. 44;
nei confronti
il Commissario Straordinario per l’Attuazione e il Coordinamento delle Misure di Contenimento e Contrasto dell’Emergenza Covid-19, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n.-OMISSIS- resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società -OMISSIS-
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2023 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La Società -OMISSIS- con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (inizialmente proposto dinanzi al T.A.R. per la Liguria, dove acquisiva il n. 29/2021 di R.G., e successivamente riproposto in riassunzione, a seguito dell’ordinanza di regolamento di competenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, dinanzi al T.A.R. per il Lazio, dove veniva iscritto al n. -OMISSIS- di R.G.), premetteva in punto di fatto:
- di svolgere l’attività di commercio di tessuti;
- che, benché il commercio di indumenti protettivi esulasse dall’oggetto tipico della sua attività imprenditoriale, aveva effettuato durante l’estate del 2020 l’importazione di Dispositivi di Protezione Individuale di tipo 1 (DPI 1), ovvero a protezione minima, per soddisfare le richieste di clienti;
- che le relative attività di importazione si erano regolarmente svolte e la merce era stata svincolata;
- che in data 15 settembre 2020 era giunto al porto di Genova un ulteriore lotto di DPI 1 (formato da n. 30.400 capi in PLP, ovvero n. 18.782 tute protettive e n. 11.618 camici), per il quale veniva presentata la bolla doganale dichiarazione IM A reg. 4 n. 40798 A, dalla quale emergeva che i diritti di confine ammontavano ad € 17.431,40;
- che le attività di verifica da parte dell’Agenzia delle Dogane si protraevano finché i beni non venivano requisiti con decreto dell’Ufficio Doganale di Genova 1 prot. n. -OMISSIS- del 12 ottobre 2020, in qualità di soggetto attuatore del Commissario Straordinario per l’Emergenza Covid-19 e “ su richiesta del Commissario straordinario prot. n.-OMISSIS- ”, in quanto ritenuti utili per le finalità di contrasto epidemico istituzionalmente perseguite;
- che il provvedimento disponeva anche che l’indennità di requisizione sarebbe stata determinata e liquidata con successivo provvedimento commissariale;
- che in data 22 ottobre 2020 essa riceveva un’offerta, non formale, di indennità di requisizione ex art. 6, comma 4, d.l. n. 18/2020, per l’importo di € 76.677,50;
- che in data 26 ottobre 2020 essa trasmetteva, a mezzo pec , dichiarazione di accettazione dell’offerta di indennità, con indicazione delle coordinate bancarie per ottenere il versamento;
- che in data 30 ottobre 2020 essa inviava la fattura n. A2000145, secondo le indicazioni fornite in data 26 ottobre 2020 dalla Invitalia S.r.l., ente attuatore del Commissario straordinario;
- che in data 10 novembre 2020 essa riceveva la notifica del provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio delle Dogane di Genova 1 prot. n. 34325/RU del 10 novembre 2020, con il quale veniva disposta la revoca del provvedimento di requisizione prot. n. -OMISSIS-/RU del 12 ottobre 2020;
- che il provvedimento di revoca era motivato sulla scorta della valutazione espressa in data 6 novembre 2020 dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS), secondo il quale i beni non possedevano i requisiti minimi per essere impiegati in luoghi ad esposizione Covid-19.
Ciò premesso in punto di fatto, e lamentando la lesività del suddetto provvedimento di autotutela in quanto, pur di tenore apparentemente favorevole, incidente sull’affidamento legittimamente maturato in capo alla stessa in ordine alla definitività della requisizione (non avendo potuto destinare agli acquirenti i beni requisiti, per i quali per di più, essendo ormai privi di valore e quindi suscettibili solo di smaltimento, avrebbe dovuto corrispondere i diritti di confine, sostenere le spese del prolungato deposito ed i costi per le prestazioni dei professionisti – consulenti doganali e spedizionieri - coinvolti), la ricorrente formulava le censure di seguito riassunte:
1) la condotta dell’Amministrazione – la quale, dopo aver ritenuto non utili gli identici prodotti oggetto di due precedenti operazioni di importazione, si era determinata a requisire quelli importati in data 15 settembre 2020 – violava il legittimo affidamento maturato in capo alla ricorrente, la quale, per effetto della requisizione, alla quale aveva prestato acquiescenza accettando l’indennità di requisizione ed emettendo la relativa fattura, aveva immediatamente perso la disponibilità dei beni (e quindi la possibilità di rivenderli);
2) il provvedimento di requisizione del 12 ottobre 2020, adottato dall’Agenzia delle Dogane, Ufficio di Genova 1, quale Ente attuatore sulla base della richiesta del Commissario Straordinario per l’Emergenza Covid-19 prot. n.-OMISSIS- del 2 ottobre 2020, non era stato preceduto da alcuna valutazione del Comitato Tecnico Scientifico (C.T.S.), espressa solo nella successiva seduta del 6 novembre 2020, laddove il parere tecnico dovrebbe intervenire, per assolvere alla sua funzione, prima e non dopo la chiusura della fase istruttoria: l’anomalo ed atipico modus procedendi dell’Amministrazione aveva determinato l’inversione dell’ordinario ordine procedimentale e la commistione tra procedimenti diversi, essendo confluiti in un procedimento unico due atti di segno contrastante, quando il primo (di requisizione) aveva già esaurito i propri effetti con l’annullamento della bolla doganale, la determinazione, l’offerta e l’accettazione dell’indennità di requisizione, l’emissione della relativa fattura;
3) il provvedimento impugnato era palesemente ingiusto, non essendo sorretto da alcuna valutazione circa il mutato interesse della ricorrente, non più rivolto a ritornare nella disponibilità della merce, non più utilizzabile per la rivendita a terzi e per la quale avrebbe dovuto sostenere i costi di sdoganamento, deposito, ritiro e trasporto;
4) il provvedimento di revoca non conteneva alcuna congrua motivazione né in ordine alla prevalenza dell’interesse dell’Amministrazione su quello dell’amministrato, alla luce dell’affidamento maturato in capo allo stesso, né in ordine agli eventuali errori inficianti l’originaria valutazione commissariale sottesa al provvedimento di requisizione;
5) l’atto di revoca era stato emesso in carenza dei relativi presupposti, non essendo stato preceduto da alcun procedimento ad esso preordinato ed essendo intervenuto quando il potere era già stato definitivamente esercitato, esaurendo i relativi effetti, inoltre, non erano sopravvenute circostanze nuove atte a giustificare il riesercizio del potere, né esso si fondava su sopravvenuti motivi di pubblico interesse, sulla rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario o su mutamenti della situazione di fatto, oltre ad essere carente di ogni considerazione dell’interesse del privato; esso inoltre non contemplava alcuna forma di indennizzo a favore del proprietario dei beni requisiti, nonostante l’accordo raggiunto sulla liquidazione dell’indennità di requisizione, con la conseguente applicazione dell’art. 11 l. n. 241/1990;
6) l’atto di revoca, nonostante l’assenza di ragioni di urgenza, non era stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dell’interessato, il quale avrebbe potuto fornire un utile apporto con particolare riguardo alla idoneità dei beni ad essere utilizzati in ambienti ad esposizione Covid-19;
7) la P.A., procedendo alla revoca della requisizione dopo due mesi dall’arrivo della merce nel porto di Genova, voleva inammissibilmente trasferire sul privato le conseguenze economiche di una condotta caratterizzata da contraddittorietà ed irrazionalità;
8) la revoca, ammessa per ipotesi la sua legittimità, incidendo sull’accordo (sostitutivo) raggiunto tra le parti in ordine alla quantificazione dell’indennità di requisizione, doveva essere quantomeno accompagnata dalla previsione di un indennizzo, coincidente con la somma offerta (ed accettata) a titolo di indennità di requisizione ovvero corrispondente a tutti i costi sostenuti e/o da sostenere ed al prezzo dell’acquisto;
9) dalle verifiche esperite dalla ricorrente era emerso che i beni erano dotati di capacità protettiva, laddove la contraria valutazione del C.T.S., non supportata da idonea motivazione, era smentita sia da quella fatta eseguire dalla suddetta, sia dalla originaria valutazione della struttura commissariale;
10) l’illegittimità dell’atto di revoca determinava anche la responsabilità risarcitoria della P.A., dovendo la relativa misura essere determinata in € 76.677,50, ossia nella somma offerta come indennità di requisizione, cui dovevano aggiungersi gli esborsi da sostenersi per i diritti di confine,