Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-10-11, n. 201704718

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-10-11, n. 201704718
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704718
Data del deposito : 11 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/10/2017

N. 04718/2017REG.PROV.COLL.

N. 04189/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4189 del 2017, proposto da:
S S, rappresentato e difeso dagli avvocati F T, D G, con domicilio eletto presso lo studio F T in Roma, largo Messico 7;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

P Gi Filippo, Pajno Alessandro, L R Paolo, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II n. 06126/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati D G, F T, Ruggero Di M per l’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Viene in decisione l’appello proposto dal Presidente di Sezione del Consiglio di Stato S S per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, senza definire il giudizio, ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibili o irricevibili alcune delle censure formulate nel ricorso introduttivo e nei successivi motivi aggiunti, volti all’annullamento degli atti del procedimento che ha condotto alla nomina, avvenuta con decreto del Presidente della Repubblica in data 3 marzo 2016, del dott. Filippo P Gi quale Presidente aggiunto del Consiglio di Stato.

2. Per una migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno ricostruire sinteticamente i tratti essenziali della vicenda (procedimentale e processuale) che ha preceduto il presente giudizio di appello.

3. A seguito di interpello pubblicato in data 18 gennaio 2016 per la nomina a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, hanno fatto pervenire il loro assenso i Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato S S e Filippo P Gi.

L’organo di autogoverno della giustizia amministrativa, nella seduta plenaria del 12 febbraio 2016, con 11 voti favorevoli, 0 voti contrari, 2 astenuti e 1 non voto, ha approvato la proposta formulata dalla Quarta Commissione nella seduta del 5 febbraio 2016 di nominare Presidente aggiunto del Consiglio di Stato il Presidente di Sezione del Consiglio di Stato Filippo P Gi.

Il Presidente della Repubblica, con decreto del 3 marzo 2016 – vista la delibera adottata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella seduta del 12 febbraio 2016 e vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 26 febbraio 2016 – ha nominato Presidente aggiunto del Consiglio di Stato il Presidente di Sezione del Consiglio di Stato dott. Filippo P Gi.

4. Con ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il Presidente di Sezione del Consiglio di Stato S S ha impugnato, chiedendone l’annullamento, i seguenti atti:

- il decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2016, registrato alla Corte dei Conti in data 7 marzo 2016 n. 591, con il quale è stato nominato Presidente aggiunto del Consiglio di Stato il dott. Filippo P Gi;

- il “verbale di riunione” della Quarta Commissione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 5 del 5 febbraio 2016;

- la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 16 del 12 febbraio 2016 avente ad oggetto la nomina a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato del dott. Filippo P Gi;

- il “verbale approvato nella seduta del 3 marzo 2016” della seduta del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 12 febbraio 2016, nella parte relativa al “terzo punto della seduta pubblica (nomina del presidente aggiunto del Consiglio di Stato – esito interpello)”;

- nei limiti in cui sono stati richiamati o implicitamente presupposti negli atti sopraelencati, anche:

-- la nota del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 4 dicembre 2015;

-- il “verbale di riunione” della IV Commissione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 41 dell’11 dicembre 2015;

-- il parere espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, con la delibera n. 177 del 18 dicembre 2015;

nonché, per quanto possa occorrere:

-- il decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2010 registrato alla Corte dei Conti il 4 marzo 2010 n. n. 2/214 con il quale “il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio di Squadra Paolo L R è nominato Consigliere di Stato”;

-- ogni altro atto o provvedimento che possa essere comunque rilevante ai fini del decidere, fra i quali, in particolare:

-- la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 26 febbraio 2016;

-- il decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2015, registrato alla Corte dei Conti in data 30 dicembre 2015 al n. 3205, con il quale è stato nominato Presidente del Consiglio di Stato l’avv. A P;

-- la nota del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 4 dicembre 2015;

-- il “verbale di riunione” della IV Commissione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa n. 41 dell’11 dicembre 2015;

-- il parere espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, con la delibera n. 177 del 18 dicembre 2015;

-- la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 23 dicembre 2015 “all’esito di una valutazione diretta alla scelta del magistrato più idoneo all’incarico, tenuto conto anche di quanto espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella formulazione del proprio parere”.

5. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza non definitiva n. 6126 del 2017, ha in parte dichiarato inammissibili o irricevibili e in parte respinto le censure articolate dal ricorrente e, con specifico riferimento alla censura di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione – fatta valere come vizi propri della delibere del Consiglio di Presidenza del 12 febbraio 2016 e come vizio derivato della delibera del Consiglio dei Ministri del 26 febbraio 2016 – ha ritenuto opportuno acquisire agli atti del giudizio copia dei fascicoli personali del ricorrente e del controinteressato, nonché ogni altro eventuale documento che ha costituito specifico elemento di valutazione da parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa al fine di adottare la nomina in contestazione.

6. L’articolato impianto motivazionale della sentenza appellata può essere così riepilogato.

I) Il T.a.r. ha dichiarato irricevibile per tardività l’azione di annullamento, proposta con i motivi aggiunti, della delibera del Consiglio dei Ministri del 26 febbraio 2016, ritenendo che la sua lesività fosse già chiaramente percepibile dal decreto del Presidente della Repubblica del 3 marzo 2016 (che reca espressamente tra gli atti presupposti la delibera del Consiglio dei Ministri adottata nella seduta del 26 febbraio 2016). Ha, tuttavia, ritenuto che nonostante la mancata impugnazione della delibera del Consiglio dei Ministri del 26 febbraio 2016, il ricorso fosse comunque ammissibile: ciò sulla base della considerazione secondo cui l’eventuale annullamento della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 12 febbraio 2016 determinerebbe il travolgimento automatico del decreto del Presidente della Repubblica del 3 marzo 2016, che ha tra i suoi presupposti essenziali la delibera dell’organo di autogoverno.

II) Il T.a.r. ha dichiarato per un verso inammissibile (laddove diretta contro la nomina del Presidente del Consiglio di Stato) e per altro verso infondata (laddove diretta contro la nomina del Presidente aggiunto), la censura diretta a sostenere che il Presidente P Gi non avrebbe potuto essere inserito nella c.d. “cinquina” ai fini della nomina a Presidente del Consiglio di Stato e non avrebbe potuto neppure essere ammesso a partecipare all’interpello a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, non essendo in possesso del requisito del pregresso esercizio di funzioni direttive per almeno cinque anni;

III) Il T.a.r. ha dichiarato infondata nel merito la censura diretta a lamentare che la seduta dell’11 dicembre 2015 della Quarta Commissione del Consiglio di Presidenza (che ha deliberato di rendere il parere per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato indicando al Presidente del Consiglio la “cinquina” di magistrati), inizialmente pubblica, sarebbe stata illegittimamente trasformata in “segretissima”, con ordine di allontanamento “ extra omnes ”, senza verbalizzazione e senza il personale di segreteria a ciò addetto. Secondo il T.a.r., invero, l’assenza del personale di segreteria, che in base al regolamento del Consiglio di Presidenza non ha alcun compito certificativo, non può ridondare in un vizio di legittimità dell’atto della Commissione, atto che, peraltro, non assume alcun rilievo esterno fino all’approvazione da parte del Plenum.

IV) Il T.a.r. ha respinto nel merito le censure dirette a sostenere che in nessun atto presupposto di carattere generale risulterebbero indicati i criteri sulla cui base procedere alle valutazioni che si intendevano effettuare e cioè il merito professionale e l’attitudine all’esercizio della specifica funzione e che nel procedimento di nomina in questione è stato utilizzato un ulteriore elemento rispetto all’anzianità in ruolo, cioè il merito, per cui non si sarebbe potuto prescindere dal contraddittorio con le parti interessate.

V) Il T.a.r. ha, altresì, respinto le censure dirette a sostenere la contraddittorietà, sotto diversi profili, della delibera contenente la proposta di nomina del Presidente P Gi a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato;

VI) Il T.a.r. ha dichiarato irricevibile l’azione di annullamento del provvedimento di nomina governativa del dottor L R a Consigliere di Stato, ritenendo che la lesività di tale atto dovesse farsi risalire, seguendo la stessa prospettazione del ricorrente, alla designazione e all’attività svolta quale relatore dal Consigliere L R nel procedimento che ha portato alla proposta di nomina (di cui al verbale della IV Commissione n. 41 dell’11 dicembre 2015) ed alla conseguente deliberazione del 17 dicembre 2015, con cui il Plenum del Consiglio di Presidenza ha nominato Presidente del Consiglio di Stato l’avv. A P.

VII) Con specifico riferimento alla censura con cui il Presidente S ha sostenuto, con diverse sfumature, che la scelta dell’organo di autogoverno, sia nel procedimento di nomina del Presidente del Consiglio di Stato sia nel procedimento di nomina del Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, non sarebbe stata supportata da idonea motivazione e adeguata istruttoria, il T.a.r., pur premettendo che “ in ragione di tutto quanto contenuto nel verbale della riunione della IV Commissione permanente del 5 febbraio 2016 e nel verbale della riunione plenaria del Consiglio di Presidenza del 12 febbraio 2016, la motivazione della nomina del Pres. P Gi a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato risiede compiutamente ed esaustivamente nelle analitiche descrizioni delle qualità del detto magistrato che hanno determinato l’individuazione dello stesso, in ragione della congiunta valutazione dei criteri della posizione in ruolo, del merito e delle attitudini, quale candidato maggiormente idoneo al conseguimento della qualifica in discorso ” – ha, comunque, ritenuto opportuno acquisire copia dei fascicoli personali del ricorrente, del controinteressato e ogni atro documento che ha costituito specifico oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Presidente al fine di adottare la nomina in contestazione.

7. Per ottenere la riforma di detta sentenza ha proposto appello, corredato da istanza cautelare, il Presidente S, il quale, oltre a riproporre tutti i motivi proposti nel ricorso introduttivo e nei successivi motivi aggiunti (unitamente agli specifici motivi riguardanti la motivazione della sentenza), ha proposto un’ulteriore censura diretta a sostenere la radicale nullità della sentenza stessa per l’illegittima composizione del collegio giudicante.

8. Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’appello, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

9. Alla camera di consiglio del 13 luglio 2017, fissata per la decisione sull’istanza cautelare, la causa, con l’accordo delle parti, è stata rinviata per la discussione del merito all’udienza pubblica del 21 settembre 2017, all’esito della quale è stata trattenuta in decisione.

10. L’appello non merita accoglimento.

11. In via preliminare, è opportuno delimitare il thema decidendum oggetto del presente giudizio di appello.

Tale delimitazione è resa necessaria dal fatto che la sentenza di primo grado è una sentenza non definitiva, in quanto, come si è già evidenziato, ha esaminato (in parte respingendole, in parte dichiarandole inammissibili o irricevibili) solo alcune delle censure formulate dal ricorrente, riservandosi di definire il giudizio all’esito dell’acquisizione documentale posta a carico del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

Dalla lettura della sentenza appellata (e delle censure formulate nel ricorso di primo grado e nei successivi motivi aggiunti) emerge che il T.a.r. ha riservato all’esito dell’istruttoria documentale la decisione sulle doglianze volte a lamentare, rispetto alle valutazioni espresse dal Consiglio di Presidenza, la sussistenza di profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza della motivazione.

Il ricorrente, in particolare, nel giudizio di primo grado ha lamentato, per quello che più rileva nel presente giudizio, che il Consiglio di Presidenza, nel posporlo, nonostante la maggiore anzianità in ruolo, al Presidente P Gi, abbia operato senza alcuna predeterminazione dei criteri e “ senza alcuna reale istruttoria sul merito e sull’attitudine allo svolgimento della specifica funzione e dunque immotivatamente ” (cfr. pag. 11 del ricorso introduttivo). Secondo la tesi del ricorrente, in particolare, il lamentato difetto di motivazione sarebbe “ frutto di una vistosa lacuna istruttoria, non essendo stati acquisiti i fascicoli personali o altra notizia o documentazione, sia d’ufficio che su richiesta ai (o dai) presidenti di sezione interessati ” (ancora cfr. pag.11 del ricorso introduttivo).

Nel motivo di ricorso svolto in primo grado, quindi, il lamentato vizio di eccesso di potere è stato articolato deducendo in maniera inscindibile il profilo del difetto di istruttoria e quello della carenza motivazionale. In particolare, sebbene nella “rubrica” che sintetizza il contenuto della censura la carenza motivazionale venga (parenteticamente) qualificata come “diverso e autonomo profilo” di eccesso di potere, l’espressa formulazione del motivo collega i due vizi, prospettandoli in maniera unitaria e intimamente correlata. Il difetto di motivazione è letteralmente dedotto come “frutto della lacunosa istruttoria”, secondo un rapporto di inscindibile correlazione tra causa (lacunosa istruttoria) ed effetto (difetto di motivazione del parere).

La sentenza appellata, pertanto, laddove, nella parte finale della motivazione (pagina 29), si riserva espressamente di decidere sulla censura di difetto di istruttoria all’esito dell’acquisizione documentale dei fascicoli personali (e di ogni altro documento che ha costituito oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Presidenza al fine di adottare la nomina contestata), non può che essere interpretata nel senso che essa abbia riservato all’esito dell’istruttoria processuale la decisione sulla censura come articolata nel ricorso introduttivo nella sua inscindibile unitarietà, inclusiva, quindi, (non solo del difetto di istruttoria, ma) anche del vizio di carenza motivazionale.

La considerazione nel passaggio motivazionale in esame – in cui il T.a.r. premette che “ in ragione di tutto quanto contenuto nel verbale della riunione della IV Commissione permanente del 5 febbraio 2016 e nel verbale della riunione plenaria del Consiglio di Presidenza del 12 febbraio 2016, la motivazione della nomina del Pres. P Gi a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato risiede compiutamente ed esaustivamente nelle analitiche descrizioni delle qualità del detto magistrato che hanno determinato l’individuazione dello stesso, in ragione della congiunta valutazione dei criteri della posizione in ruolo, del merito e delle attitudini, quale candidato maggiormente idoneo al conseguimento della qualifica in discorso ” – non consente, pertanto, di ritenere ancora compiutamente “definita” la censura relativa al vizio di difetto motivazionale, in quanto tale doglianza è prospettata dal ricorrente come conseguenza inscindibile della carenza di istruttoria, che, secondo la tesi sostenuta nel ricorso, avrebbe inficiato la validità della graduazione dei nominativi ai fini della nomina del Presidente del Consiglio di Stato (la c.d. cinquina) e, di riflesso, della valutazione comparativa che ha portato alla nomina del Presidente aggiunto del Consiglio di Stato.

Una diversa interpretazione della sentenza appellata farebbe, del resto, emergere, profili di contraddittorietà della motivazione: non avrebbe molto senso, infatti, ritenere, da un lato, la delibera del Consiglio di Presidenza sufficientemente motivata per relationem (mediante il rinvio alla valutazione dei criteri della posizione in ruolo, del merito e delle attitudini) e, dall’altro lato e al tempo stesso, disporre istruttoria al fine di verificare (se e) quali elementi abbiano effettivamente costituito oggetto di valutazione al fine di rendere il suddetto parere.

I due profili di eccesso di potere dedotti dal ricorrente (carenza di istruttoria e difetto motivazionale) rimangono, al contrario, nella stessa prospettazione contenuta nel ricorso, strettamente collegati: motivazione e completezza dell’istruttoria stanno e cadono insieme ( simul stabunt, simul cadent ), nel senso che la motivazione, se c’è, si ricava dagli elementi che sono stato oggetto di valutazione, il che implica che non sia possibile, in sede di giudizio, scindere la decisione sul dedotto difetto di istruttoria (che il T.a.r. si è riservato espressamente di rendere all’esito dell’acquisizione documentale) da quella sulla sussistenza del difetto motivazionale.

Alla luce delle considerazioni che precedono, devono, pertanto, ritenersi estranee al thema decidendum del presente giudizio le censure concernenti la sussistenza di profili di eccesso di potere (dedotti in relazione agli inscindibili aspetti della carenza istruttoria e del conseguente difetto di motivazione). Su tali censure, questo Collegio ritiene che il giudice di primo grado, nonostante l’apparente ambiguità del passaggio motivazionale sopra trascritto, non si sia ancora pronunciato, riservandosi di farlo all’esito dell’acquisizione documentale ordinata al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

12. Così delimitato il thema decidendum , può ora passarsi all’esame dei singoli motivi di appello.

13. Con il primo motivo di gravame, il ricorrente deduce la nullità della sentenza di primo grado per l’illegittima composizione del collegio giudicante che l’ha pronunciata.

L’appellante lamenta che del collegio giudicante di primo grado facevano parte due magistrati (il dottor R C e la dottoressa S M) che, prima ancora dell’udienza di discussione e della camera di consiglio che ne è seguita, erano già stati nominati consiglieri di Stato con distinti decreti del Presidente della Repubblica in data 7 febbraio 2017.

L’appellante sostiene che poiché l’effettiva presa di servizio era stata fissata, dallo stesso d.P.R. di nomina al 31 marzo 2017, a far data dal 1° aprile 2017, i consiglieri C e M non avevano più titolo a far parte dei collegi giudicanti presso il T.a.r. Lazio. La presenza dei suddetti consiglieri avrebbe, pertanto, viziato la composizione del collegio giudicante, per violazione degli articoli 14, 15 e 19 n. 1 della legge 27 aprile 1982, n. 186, nelle parti in cui dispongono che le qualifiche di consigliere di Stato e di consigliere di Tribunale amministrativo regionale operino su piani distinti con separata dotazioni organiche numericamente differenziate e stabiliscono che le due categorie non siano fungibili anche per quanto riguarda le rispettive funzioni.

14. Il motivo è infondato.

15. Al riguardo va premesso, in punto di fatto, che, con distinte delibere del Consiglio di Presidenza adottate in data 7 ottobre 2016, il dottor R C e la dottoressa S M, unitamente ad altri sette consiglieri di Tribunale amministrativo regionale, sono stati nominati consiglieri di Stato, con decorrenza giuridica della nomina dal 7 ottobre 2016 e con effettiva presa di servizio dal 31 marzo 2017, salvo necessità di proroghe in dipendenza della data di ultimazione della procedura per l’immissione in ruolo di 45 referendari di T.a.r.

Con distinti decreti del Presidente della Repubblica del 7 febbraio 2017, i predetti magistrati sono stati nominati consiglieri di Stato, sulla base della suddetta delibera, il cui contenuto è integralmente riportato nelle premesse di ciascun decreto.

Nella seduta del 10 marzo 2017, il Consiglio di Presidenza ha disposto il posticipo della effettiva presa di servizio dei predetti consiglieri al 10 settembre 2017, salvo necessità di ulteriori proroghe in dipendenza della data di ultimazione della procedura concorsuale per l’assunzione di 45 referendari di T.a.r.

Successivamente, con delibere del 20 aprile 2017, a parziale modifica di quanto precedentemente statuito, il Consiglio di Presidenza ha confermato la data di immissione in servizio al 10 settembre 2017, stralciando la clausola di salvaguardia relativa alla proroga in dipendenza della conclusione del concorso per 45 referendari T.a.r.

16. L’appellante deduce, in sintesi, che, poiché la data di effettiva presa di servizio al 31 marzo 2017 era fissata dallo stesso d.P.R. di nomina, un eventuale differimento avrebbe potuto essere disposto solo attraverso un ulteriore d.P.R., che non risulta, invece, essere mai stato emanato.

17. La censura non ha pregio.

18. Va, infatti, evidenziato che i decreti del Presidente della Repubblica del 7 febbraio 2017, con i quali i consiglieri C e M sono stati nominati consiglieri di Stato fissano solo la decorrenza giuridica dei relativi effetti (fatti retroagire al 7 ottobre 2016), senza disporre alcunché in ordine alla data di effettiva presa in servizio. Sotto tale profilo, invero, i dd.PP.RR. di nomina si limitano a richiamare, in premessa, la delibera del Consiglio di Presidenza del 7 ottobre 2016, la quale, nel fissare la data di immissione in servizio al 31 marzo 2017, faceva espressamente salva la necessità di disporre proroghe in dipendenza della conclusione del concorso per referendario T.a.r.

Tale proroga è stata disposta dal Consiglio di Presidenza con delibera del 10 marzo 2017, che ha posticipato l’effettiva presa di servizio al 10 settembre 2017, facendo ancora salva la necessità di ulteriori proroghe in dipendenza della conclusione del concorso per referendario T.a.r.

L’immissione in servizio alla data del 10 settembre 2017 è stata, infine, confermata, questa volta senza la “clausola di salvaguardia” relativa alla ultimazione del concorso per referendario T.a.r., dalla successiva delibera del Consiglio di Presidenza adottata nella seduta del 20 aprile 2017.

Non vi è dubbio, quindi, che fino alla data di effettiva immissione in servizio, avvenuta il 10 settembre 2017, i consiglieri C e M, sebbene già nominati consiglieri di Stato con d.P.R. 7 febbraio 2017, hanno svolto legittimamente e pleno jure le loro precedenti funzioni presso il Tribunale amministrativo regionale.

Corrisponde, infatti, a un principio generale attinente all’organizzazione dei pubblici uffici, quello secondo cui la nomina ad un pubblico ufficio ha effetto, per ciò che concerne l’acquisto della titolarità delle relative funzioni e della legittimazione ad esercitarle, solo quando avviene l’effettiva presa di servizio, a prescindere, quindi, dalla decorrenza giuridica (o economica) della nomina che può eventualmente retroagire ad un momento antecedente alla presa di servizio.

Si tratta di un principio che deriva dalla considerazione secondo cui la funzione appartiene all’ufficio, di talché ai fini della legittimazione all’esercizio della funzione non è sufficiente il formale provvedimento di nomina, ma occorre che il soggetto nominato assuma concretamente il “possesso” dell’ufficio (e, dunque, delle funzioni ad esso correlate), il che avviene appunto con l’immissione in servizio.

Il regime temporale degli effetti della nomina ad un pubblico ufficio va, quindi, ricostruito tenendo distinti rispettivamente i profili: a ) della decorrenza giuridica (che può retroagire – e normalmente retroagisce – rispetto alla data assunzione in servizio e anche rispetto alla data del provvedimento di nomina); b ) della decorrenza economica (normalmente, anche se non necessariamente, coincidente con l’inizio del servizio in forza di un generale principio di corrispettività); c ) dell’investitura all’esercizio delle funzioni, che non può mai precedere l’effettiva assunzione del servizio presso l’ufficio cui si è nominati.

Da ciò consegue che, in caso di passaggio da un pubblico ufficio a un altro, è solo il quid facti della presa di servizio presso il nuovo ufficio a determinare l’investitura all’esercizio delle nuove funzioni e, di riflesso, la perdita della titolarità delle precedenti funzioni.

La legittimazione all’esercizio della funzione segue, quindi, per ragioni correlate all’esigenza di continuità funzionale, un principio di effettività: pur presupponendo l’esistenza di un valido provvedimento di nomina, tale legittimazione si acquista (e si perde) con la presa in servizio (e la conseguente cessazione del servizio nel precedente ufficio), senza che rilevi la data del provvedimento, né, tanto meno, la decorrenza giuridica dei relativi effetti.

Se così non fosse, del resto, nel caso di passaggio di un dipendente pubblico da un ufficio ad un altro, si verrebbero a creare inammissibili soluzioni di continuità (ingiustificate e dannose) nell’esercizio della pubblica funzione, atteso che nel periodo intercorrente tra la data del provvedimento di nomina e quella della presa in servizio, egli non potrebbe esercitare né le funzioni precedenti (in quanto già nominato nel nuovo ufficio) né quelle nuove, il cui esercizio risulta materialmente e giuridicamente impossibile prima della presa di servizio. Si tratterebbe di una frattura contraria ai principi costituzionali scolpiti dall’articolo 97 della Grundnorm, e priva di giustificazione logica e di copertura normativa

19. Tanto chiarito sul piano delle categorie generali, si pone l’ulteriore questione di stabilire se, nel caso di specie, il differimento della data di assunzione in servizio (originariamente prevista per il 31 marzo 2017) al 10 settembre 2017 sia stata legittimamente disposta.

L’appellante lo contesta, assumendo che poiché la data di immissione in servizio entro il 31 marzo 2017 era già indicata nel d.P.R. di nomina, un eventuale differimento avrebbe richiesto, per il principio del contrarius actus , un altro d.P.R.

20. L’assunto non è condivisibile.

Come si è già evidenziato, il d.P.R. di nomina non conteneva una specifica clausola sulla data di presa di servizio, limitandosi sul punto a rinviare alla delibera del Consiglio di Presidenza del 7 ottobre 2016.

La proroga della presa in servizio, pertanto, non ha determinato una modifica del contenuto del d.P.R. di nomina e non necessitava, allora, sul piano formale, dell’adozione di un ulteriore d.P.R. secondo il principio di simmetria procedurale e formale che governa l’esplicazione della potestà autotutela in sede di revisio prioris istantiae.

Al contrario, la data di presa in servizio era stata stabilita dal Consiglio di Presidenza nella prima delibera del 7 ottobre 2016 e, dunque, ai fini del differimento era sufficiente, secondo il ben noto principio di divieto dell’ aggravio ingiustificato delle procedure e delle forme, l’adozione di un’ulteriore delibera da parte dello stesso Consiglio di Presidenza.

L’eventualità della proroga, del resto, era già “preannunciata” dalla clausola di salvaguardia contenuta nella delibera del 7 ottobre 2016, in cui, nel fissare la data del 31 marzo 2017, si faceva espresso riferimento alla necessità di proroghe in relazione alla data di ultimazione del concorso per referendario T.a.r., proroga poi effettivamente disposta nella successiva delibera del 10 marzo 2017 (adottata anteriormente alla scadenza del termine prorogato) e confermata (con lo stralcio della clausola di salvaguardia) nella delibera del 20 aprile 2017.

21. Tali conclusioni trovano supporto nell’articolo 13, commi 2 e 3, della legge n. 186 del 1982, il quale, nell’individuare gli atti che possono essere adottati nella forma della delibera del Consiglio di Presidenza e quelli che richiedono la forma del d.P.R., riserva alla prima, per quello che qui interessa, i provvedimenti “ sulle assunzioni, trasferimenti di sede e di funzioni ” (art. 13, comma 2, n. 1) e al secondo i provvedimenti riguardanti lo stato giuridico dei magistrati (comma 3).

A tale riguardo, va evidenziato che la mera individuazione della data di assunzione in servizio non è riconducibile, sul piano letterale e logico-telelogico, al novero degli atti che richiedono la forma del d.P.R., atteso che dalla fissazione di tale termine non discendono conseguenze sullo stato giuridico del magistrato già destinatario del d.P.R. di nomina a Consigliere di Stato.

22. Nel caso di specie, peraltro, il differimento dell’assunzione in servizio dalla data (inizialmente prevista del 31 marzo 2017) a quella del 10 settembre 2017 non è avvenuta de facto , ma sulla base di un provvedimento amministrativo (la delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 10 marzo 2017), successivamente confermato da un secondo provvedimento amministrativo (la delibera del medesimo Consiglio di Presidenza del 20 aprile 2017). Avverso tali determinazioni non è stata proposta alcuna impugnazione, dal che discende che essi sono ormai divenuti inoppugnabili, con la conseguenza che, per evidenti ragioni di certezza dei rapporti giuridici, l’eventuale vizio che dovesse inficiarli non potrebbe essere oggetto di cognizione incidenter tantum al fine di desumerne il vizio (che in questo giudizio si fa valere) di nullità della sentenza per illegittima composizione del collegio giudicante.

Appartiene, infatti, al generale regime di stabilità degli atti amministrativi e degli assetti effettuali dagli stessi plasmati il principio secondo cui, laddove l’asserito vizio di illegittima composizione del collegio giudicante sia il frutto di un atto amministrativo invalido (tranne che si tratti di inesistenza o di radica nullità del medesimo), la mancata impugnazione dell’atto amministrativo implica la consolidazione dei relativi effetti legittimanti e, per l’effetto, impedisce di farne valere incidentalmente i vizi direttamente in sede di appello quale causa di nullità della sentenza di primo grado per l’illegittima composizione del collegio giudicante.

23. Con il secondo motivo di appello, l’appellante contesta il capo della sentenza di primo grado che ha ritenuto irricevibile per tardività l’azione di annullamento della delibera del Consiglio dei Ministri del 26 febbraio 2016 proposta con i motivi aggiunti notificati il 19 novembre 2016.

24. La censura è (ancor prima che infondata) inammissibile per carenza di interesse.

Non residua, invero, un interesse dell’appellante ad ottenere l’annullamento della delibera del Consiglio dei Ministri del 26 febbraio 2016: ciò in ragione del fatto che il T.a.r. ha, comunque, riconosciuto l’efficacia automaticamente caducante che deriverebbe sul d.P.R. di nomina del Presidente aggiunto (e, quindi, anche sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri che ne rappresenta il presupposto) dall’annullamento della delibera del Consiglio di Presidenza adottata in data 12 febbraio 2016 (recante appunto la nomina del Presidente P Gi).

Nell’atto di motivi aggiunti proposto in primo grado, la deliberazione del Consiglio dei Ministri veniva impugnata, invero, in via dichiaratamente tuziorisitica, al fine di dedurne l’illegittimità derivata dall’invalidità della deliberazione del Consiglio dei Ministri.

25. L’unico motivo autonomo proposto nei motivi aggiunti avverso la deliberazione del Consiglio dei Ministri (rispetto al quale potrebbe sopravvivere un autonomo profilo di interesse alla decisione del motivo di appello in esame) attiene alla circostanza che nel relativo verbale non si darebbe atto (in violazione degli articoli 7 e 10 del regolamento interno del Consiglio dei Ministri approvato con d.P.C.M. 10.11.1993) se essa sia stata adottata o meno all’unanimità.

Sotto tale profilo, tuttavia, la censura è infondata, dovendosi ragionevolmente presumere che, in assenza della verbalizzazione di opinioni dissenzienti, la deliberazione sia stata adottata all’unanimità.

26. Con il terzo motivo di appello, l’appellante contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato per un verso inammissibile (laddove diretta alla nomina del Presidente del Consiglio di Stato) e per altro verso infondata (laddove diretta alla nomina del Presidente aggiunto), la censura diretta a sostenere che il Presidente P Gi non avrebbe potuto essere inserito nella c.d. “cinquina” ai fini della nomina a Presidente del Consiglio di Stato e non avrebbe potuto neppure essere ammesso a partecipare all’interpello a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato non essendo in possesso del requisito del pregresso esercizio di funzioni direttive per almeno cinque anni.

In particolare, secondo la prospettazione patrocinata dal ricorrente, il controinteressato P Gi non avrebbe dovuto essere inserito nella cinquina formata dall’organo di autogoverno ai fini della nomina a Presidente del Consiglio di Stato e, conseguentemente, non avrebbe dovuto essere scrutinato per la nomina a Presidente aggiunto, in quanto non avrebbe effettivamente esercitato per almeno cinque anni funzioni direttive, come richiesto dal combinato disposto degli artt. 21, comma 7, e 22, comma 1, della legge 27 aprile 1982, n. 186, essendo stato nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato il 22 luglio 2009 ed avendo interrotto il decorso del quinquennio dal 28 novembre 2011 sino al 22 febbraio 2014 per svolgere incarichi di governo (Ministro della Funzione Pubblica sino al 28 aprile 2013;
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014).

27. La censura è infondata.

Va, in primo luogo, evidenziato che l’art. 9, comma 5- bis , del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303 ( Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59 ), rubricato “ Personale della Presidenza ”, prevede, tra l’altro, che: “ Il servizio prestato in posizione di comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, prevista dagli ordinamenti di appartenenza, presso la Presidenza dal personale di ogni ordine, grado e qualifica di cui agli articoli 1, comma 2, 2 e 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e all’articolo 7, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801, è equiparato a tutti gli effetti, anche giuridici e di carriera, al servizio prestato presso le amministrazioni di appartenenza. Le predette posizioni in ogni caso non possono determinare alcun pregiudizio, anche per l’avanzamento e il relativo posizionamento nei ruoli di appartenenza. ”.

È, quindi, considerato effettivo a tutti gli effetti il servizio prestato nell’espletamento di incarichi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. A favore del presidente P Gi è stato, pertanto, legittimamente conteggiato il periodo trascorso ricoprendo le cariche di Ministro senza portafoglio della pubblica amministrazione (delegato dal Presidente del Consiglio) e di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, trattandosi di incarichi svolti “ presso la Presidenza del Consiglio ”.

28. In ogni caso, come correttamente rilevato dal T.a.r., anche a prescindere dalla computabilità quale esercizio di funzioni direttive dei periodi in cui il Presidente P Gi ha svolto le cariche di Ministro della Pubblica Amministrazione, delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, e di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è dirimente la considerazione secondo cui l’art. 6- bis , comma 2, del d.l. n. 354 del 2003, introdotto dalla legge di conversione n. 45 del 2004, nell’istituire il posto di Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato, non richiede come condizione per l’accesso alla funzione che il magistrato abbia effettivamente esercitato per almeno cinque anni funzioni direttive.

Al riguardo, deve osservarsi che la nomina a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato avviene sulla base di un procedimento autonomo e differente rispetto a quello per la nomina a Presidente del Consiglio di Stato, sicché non è possibile postulare l’automatica e incondizionata applicazione analogica al primo procedimento di ogni norma che disciplina il secondo. La possibilità dell’applicazione analogica va valutata caso per caso, tenendo ogni volta conto del contenuto e della ratio della norma rispetto alla quale si pone la questione dell’applicabilità analogica.

Nel caso di specie, la norma (contenuta nell’articolo 22 della legge n. 186 del 1982) di cui si invoca l’applicazione analogica prevede un requisito specifico di legittimazione all’esercizio della funzione di Presidente del Consiglio di Stato. Si tratta, quindi, di una norma che, prevedendo un requisito “escludente”, risulta connotata da evidenti profili di specialità e, dunque, stante la diversità di funzioni esistente tra la carica di Presidente del Consiglio di Stato e quella Presidente aggiunto, non risulta applicabile analogicamente: non ricorre, infatti, né il presupposto dell’identità di ratio , né, prima ancora, la natura non intenzionale della lacuna normativa (anch’essa presupposto dell’applicazione analogica), dovendosi, al contrario, interpretare il silenzio del legislatore sul punto nel senso di non volere subordinare la nomina del Presidente aggiunto al requisito dell’esercizio almeno quinquennale delle funzioni direttive, specificamente ed espressamente previsto solo per la nomina del Presidente del Consiglio di Stato. Trattasi, in definitiva, di norma singolare, caratterizzata da un ratio specifica calibrata sulle peculiarità della funzione apicale, come tale non estensibile analogicamente in omaggio alla regula iuris di cui all’art. 14 delle preleggi.

29. Con il quarto motivo di appello, il ricorrente contesta il punto 6 della sentenza appellata, che ha dichiarato infondato il motivo concernente la trasformazione della seduta pubblica in segretissima, con ordine di allontanamento extra omnes , senza verbalizzazione e senza il personale di segreteria, della riunione della Commissione dell’11 dicembre 2015.

L’appellante evidenzia, in particolare, che il primo punto dell’ordine del giorno recava testualmente il riferimento alla “seduta pubblica” e sostiene che, di fronte a tale univoca indicazione, la Commissione non aveva il potere di decidere di riunirsi in seduta segreta (o segretissima).

30. Il motivo non ha pregio.

Occorre, anzitutto, evidenziare che, a differenza di quanto previsto per le sedute plenarie del Consiglio di Presidenza, che sono differenziate tra pubbliche e non pubbliche (cfr artt. 16 e 17 del regolamento interno funzionamento del CPGA), le norme che regolano il funzionamento delle commissioni permanenti (cfr artt. 22-28 del regolamento) non distinguono tra sedute pubbliche e riservate, tanto che le riunioni non si svolgono mai alla presenza del pubblico, che non può essere ammesso.

Il regime “riservato” delle sedute, a prescindere dagli argomenti trattati, oltre ad essere giustificato dalla natura dei compiti meramente istruttori ad esse attribuiti, trova conferma nella normativa che ne disciplina il funzionamento, laddove prevede che alle riunioni delle commissioni possono partecipare, con diritto di voto, solo i loro componenti, nonché (art. 23, comma 6, del regolamento) tutti i componenti del Consiglio, con diritto di parola ma senza diritto di voto;
allo stesso modo, la medesima norma prevede che possano partecipare anche i componenti dell’ufficio del Consiglio di presidenza, che fungono da ausilio per lo svolgimento dei compiti di spettanza delle commissioni stesse (art. 23 comma 3).

Il regolamento non prevede, quindi, ai fini della validità della seduta, l’obbligatoria presenza del personale amministrativo o della segreteria del Consiglio di Presidenza, e ciò a differenza delle sedute del Plenum, laddove il comma 6 dell’art. 18 del regolamento impone che il verbale sia materialmente redatto dal segretario del Consiglio di presidenza che, una volta approvato, lo sottoscrive unitamente al Presidente.

L’art. 23 comma 3, del regolamento si limita ad autorizzare la partecipazione alle riunioni delle commissioni di personale di supporto e ne disciplina le rispettive competenze e il ruolo, ma non prevede che l’assenza di tale personale possa inficiare le validità delle deliberazioni commissariali, né attribuisce al personale in questione un ruolo certificativo dell’attività svolta.

A conferma di ciò, l’art. 28 del regolamento prevede invero che delle riunioni delle Commissioni è redatto sintetico verbale in cui si dà conto dello svolgimento della seduta (componenti presenti, proposta, risultato della votazione), e che di questo verbale è data lettura alla Commissione che lo approva a maggioranza, previa delibera sulle correzioni che vengono eventualmente proposte, ed è sottoscritto dai componenti.

In sostanza, il verbale di commissione non necessita, per la sua validità, di alcuna validazione esterna da parte di soggetti diversi dai componenti e non ha comunque natura di atto ufficiale e definitivo, posto che esso è trasfuso nella eventuale decisione del Plenum, restando, altrimenti, privo di alcuna rilevanza;
di ciò è prova il fatto che il verbale delle commissioni è sottoscritto, ai sensi dell’art. 28 del citato regolamento interno, dai soli componenti della commissione, a differenza di quello del Plenum del Consiglio di Presidenza, che è redatto e sottoscritto dal segretario del Consiglio di Presidenza.

Il riferimento alla pubblicità della seduta, cui è fatto riferimento nell’ordine del giorno, va, quindi, correlato esclusivamente alla futura pubblicità, o non pubblicità, della seduta del Plenum del

Consiglio di Presidenza, come chiarito all’art. 25 del regolamento interno, secondo il quale “ il Presidente della Commissione la convoca formandone l’ordine del giorno distinguendo tra argomenti da trattare in seduta pubblica e argomenti da trattare in seduta non pubblica. ”.

L’indicazione “seduta pubblica” di cui al punto dell’ordine del giorno cui è fatto riferimento nell’appello va, pertanto, riferita non alla pubblicità della seduta della Commissione, bensì al regime che sarà riservato a quell’argomento nella seduta del Plenum del Consiglio di Presidenza, in quanto, come detto, le riunioni istruttorie delle commissioni non sono mai aperte al pubblico, a differenza di quanto avviene nelle riunioni del Consiglio di Presidenza la cui disciplina della pubblicità delle sedute è regolata dal citato art. 17, comma 1, del regolamento interno di funzionamento.

31. Con il quinto motivo di appello, l’appellante censura il punto 7 della sentenza di primo grado, laddove ha disatteso la censura relativa all’omessa predeterminazione dei criteri e alla mancata motivazione della scelta che ha portato il Consiglio di Presidenza alla nomina del Presidente P Gi come Presidente aggiunto del Consiglio di Stato.

32. Anche tale doglianza è infondata.

In relazione all’asserito difetto di motivazione delle deliberazioni adottate dal Consiglio di Presidenza (sia quella che, nel rendere il parere per la nomina a Presidente del Consiglio di Stato, ha formulato la c.d. cinquina, graduando i nominativi dei magistrati secondo criteri ulteriori rispetto alla mera anzianità in ruolo, sia quella che ha adottato la nomina del Presidente aggiunto) sotto lo specifico profilo della mancata predeterminazione dei criteri di valutazione, occorre, anzitutto, richiamare le considerazioni precedentemente svolte per delimitare il thema decidendum del presente giudizio, al fine di ribadire che la censura di difetto di motivazione (sotto il profilo della carenza di istruttoria) non risulta ancora definita dalla sentenza appellata.

Il motivo di appello in esame deve, pertanto, essere inteso come diretto a contestare il difetto di motivazione della deliberazione del Consiglio di Presidenza sotto un profilo diverso, ancorché strettamente correlato anch’esso al difetto di istruttoria (che è oggetto dell’acquisizione documentale disposta in primo grado): la mancata predeterminazione dei criteri di valutazione sulla cui base è avvenuta la scelta del Consiglio di Presidenza del magistrato da designare per la nomina a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato.

In relazione a tale specifico profilo, il Collegio ritiene che la mancata predeterminazione dei criteri di valutazione “a monte” trovi giustificazione nella peculiarità dell’incarico da attribuire (tenuto conto dell’indiscutibile rilievo che tale incarico riveste sotto il profilo non solo giurisdizionale ma anche istituzionale) e nella conseguente natura ampiamente discrezionale del potere esercitato dal Consiglio di Presidenza.

La valutazione del Consiglio di Presidenza, comportando una scelta discrezionale nell’ambito di una cerchia ristretta di soggetti in possesso di titoli specifici e tutti dotati di elevatissima professionalità e capacità, sfugge alla logica propria delle procedure di stampo schiettamente concorsuale (alle quali, invece, l’appellante fa implicito ed improprio riferimento quanto lamenta la mancata predeterminazione dei criteri “a monte”) e non richiede, di conseguenza, un giudizio strettamente comparativo svolto in applicazione di criteri di valutazione predeterminati, limitativi e orientativi del potere discrezionale..

33. Né può ritenersi di per sé rilevante, rispetto alla censura di mancata predeterminazione dei criteri, la circostanza che il Consiglio di Presidenza nel designare il magistrato per la nomina a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato non abbia seguito il criterio c.d. dell’anzianità senza demerito, compiendo una valutazione estesa anche all’attitudine e al merito.

Tali circostanze, invero, diversamente da quanto deduce l’appellante, non incidono, sulla natura ampiamente discrezionale del potere esercitato dal Consiglio di Presidenza e non valgono a trasformare il procedimento di nomina del Presidente aggiunto del Consiglio di Stato in una valutazione di stampo concorsuale, come tale sottoposta all’obbligo della rigida predeterminazione dei criteri di valutazione.

34. Non può nemmeno ritenersi, sotto altro profilo, che sia di per sé illegittima la deroga al criterio della c.d. anzianità senza demerito e che, pertanto, nella designazione del Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, sia preclusa al Consiglio di Presidenza ogni valutazione di profili diversi ed ulteriori rispetto a quello della maggiore anzianità.

La possibilità di non accordare rilievo assoluto all’anzianità di ruolo discende dalla considerazione della natura e della delicatezza dei compiti (non solo giurisdizionali ma anche istituzionali) dei quali è investito il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato. Difatti, proprio la particolare difficoltà connessa all’assolvimento delle funzioni istituzionali del Presidente aggiunto porta a ritenere che il criterio di scelta incentrato sul mero computo dell’anzianità non possa prevalere sempre e in modo incondizionato.

Il criterio dell’anzianità ben si attaglia, unitamente a quello dell’attitudine (declinata in termini sostanzialmente riconducibili al non demerito), alle nomine a posti direttivi e semidirettivi, potendo la maggiore anzianità di servizio lasciare ragionevolmente presumere che il candidato in possesso di tale requisito sia anche quello con la maggiore esperienza nello svolgimento dei compiti propri di un Presidente di Sezione. Ma per la nomina a Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, considerando la complessità organizzativa e la rilevanza istituzionale dell’incarico ricoperto, deve ritenersi consentito al Consiglio di Presidenza un margine di valutazione sulla specifica idoneità a ricoprire la carica più ampio ed articolato rispetto quello fondato esclusivamente sulla maggiore anzianità di servizio.

Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di evidenziare nella sentenza della Sezione Quarta n. 2594 del 2009, il legislatore, con l’introduzione della nuova figura del Presidente aggiunto, ha inteso “ non semplicemente istituzionalizzare le funziono vicarie già esercitate, nell’assetto precedente, dal più anziano dei Presidenti di Sezione, bensì prevedere una nuova figura apicale o subapicale, di livello superiore a quella dei Presidenti di Sezione, con compiti specifici di collaborazione nella gestione dell’ufficio;
ciò appare confermato […] anche dalla scelta, contestuale alla previsione “de qua”, di aumentare di un posto l’organico della magistratura amministrativa
”.

Proprio la diversità del ruolo svolto dal Presidente aggiunto del Consiglio di Stato rispetto a quello del Presidente di Sezione, consente, quindi, di ritenere non applicabile alla nomina del primo l’articolo 21 della legge n. 182 del 1986 (che disciplina la nomina alla qualifica immediatamente inferiore di Presidente di Sezione del Consiglio di Stato), secondo cui, per quanto qui rileva, “ i consiglieri di Stato e i consiglieri T.a.r. […] conseguono la nomina alle qualifiche [di presidente di sezione del Consiglio di Stato e di presidente di tribunale amministrativo regionale], nei limiti dei posti disponibili, previo giudizio di idoneità espresso dal Consiglio di Presidenza sulla base di criteri predeterminati che tengano conto in ogni caso dell’attitudine all’ufficio direttivo e dell’anzianità di servizio ”.

35. Il sesto motivo di appello, volto a lamentare che il confronto tra i due aspiranti alla nomina di Presidente aggiunto sarebbe avvenuto senza adeguata istruttoria, in particolare senza acquisire i necessari elementi di valutazione, è inammissibile in questa sede. La relativa censura, infatti, è estranea al thema decidendum del presente giudizio, atteso che, come evidenziato in precedenza, il motivo di difetto di istruttoria non risulta ancora definito dal giudice di primo grado che sul punto ha ordinato un’acquisizione documentale. L’impossibilità di scindere i diversi profili rispetto ai quali il difetto di istruttoria è prospettato non consente una valutazione atomistica degli stessi, che non possono essere esaminati l’uno a prescindere dagli altri, essendo tutti intimamente correlati e connessi.

36. Il settimo motivo di appello, volto a lamentare che nella nomina a Presidente aggiunto del Presidente P Gi non sarebbe stato dato adeguato peso, in sede di motivazione, alla circostanza che egli non aveva precedentemente svolto il ruolo di Presidente titolare di una Sezione (a differenza del ricorrente divenuto Presidente titolare di Sezione nel 2010) è, parimenti, inammissibile in questa sede. Il motivo in esame, invero, essendo diretto a contestare l’apparato motivazionale della scelta del Consiglio di Presidenza attiene ad un profilo che, come si è precedentemente evidenziato, deve ritenersi, per le stesse ragioni appena richiamate, anch’esso estraneo al thema decidendum del presente giudizio di appello.

37. Con l’ottavo motivo di appello, l’appellante contesta la sentenza di primo grado nel capo che ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto contro la nomina governativa del dottor L R a Consigliere di Stato.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.

A prescindere, infatti, dalla questione della irricevibilità (ritenuta assorbente dal T.a.r.), l’appellante non ha interesse a contestare la validità della nomina a Consigliere di Stato del dottor L R, perché l’annullamento di quella nomina non determinerebbe (per il principio di continuità e di certezza dell’azione amministrativa e per la tutela dell’affidamento comunque ingenerato dall’apparenza dell’investitura) l’invalidità derivata o tanto meno la caducazione automatica (per ciò solo) di ogni successivo atto viziato alla cui adozione il dottor L R abbia poi partecipato come componente del Consiglio di Presidenza.

Come la giurisprudenza amministrativa, richiamando la teoria del c.d. funzionario di fatto, ha in più occasioni rilevato (cfr. Cons. Stato, sez. IV., 20 maggio 1999, n. 853 e 27 giugno 2012, n. 3812;
Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2003, n. 821;
Cons. Stato, sez. VI., 8 agosto 2008, n. 3915 e 26 gennaio 2010, n. 277;
Cons. Stato, sez. VI, 24 aprile 2015, n. 2116), in caso di investitura formale poi caducata retroattivamente, poiché affetta da vizi di legittimità, non si verifica l’invalidità derivata degli atti a valle posti in essere dal soggetto illegittimamente nominato, essendo proprio questa la situazione classica in cui – per assicurare la certezza e la continuità dell'azione amministrativa e per tutelare l’affidamento del terzo destinatario di provvedimenti favorevoli – si riconosce la validità dei provvedimenti, emessi prima dell'annullamento del presupposto atto di nomina (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. Stato, Ad.. Plenaria, n. 4 del 29 febbraio 1992).

38. A ciò va aggiunta la considerazione che nel caso di specie, il Consigliere L R ha partecipato solo al compimento di atti endoprocedimentali, con funzione meramente istruttoria, poi assorbiti dalla deliberazione adottata, ad ampia maggioranza (e tale da vincere, quindi, la c.d. prova di resistenza) dal Plenum del Consiglio di Presidenza.

39. Per quanto riguarda i motivi del ricorso (e dei motivi aggiunti) di primo grado, che l’appellante ripropone sull’assunto che siano stati assorbiti o non esaminati, va, anzitutto, rilevato che la mera riproposizione è, in quanto tale, inammissibile, in quanto non accompagnata da alcuna specifica critica alla sentenza appellata. L’appellante, in particolare, limitandosi a citare l’effetto devolutivo dell’appello, ripropone alcune censure formulate in primo grado contro i provvedimenti amministrativi impugnati, senza, però, formulare un apposito e specifico motivo di appello per lamentare in che senso e sotto quale profilo tali motivi non sarebbero stati esaminati (o sarebbero stati erroneamente assorbiti) dal primo giudice.

Va a tal proposito richiamato il consolidato orientamento secondo cui innanzi al Consiglio di Stato la pura e semplice riproposizione dei motivi di ricorso di primo grado (in assenza di una specifica indicazione dei motivi in concreto assorbiti e delle ragioni per cui ciascuno di essi viene riproposto in relazione alle diverse statuizioni della sentenza gravata) si pone in contrasto: con il generale principio della specificità dei motivi di appello;
con il principio secondo cui è inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado, senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice;
con il principio secondo cui l'effetto devolutivo dell’appello non esclude l'obbligo dell'appellante di indicare nell'atto di appello le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni cui il primo giudice è pervenuto non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (in tal senso, ex multis : Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2017, n. 2233;
Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2016, n. 1268;
Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2016, n. 1223;
Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 158).

40. Ai limitati fini che qui rilevano si osserva, comunque, che i motivi di ricorso qui riproposti risultano in massima parte in attesa si definizione all’esito dell’istruttoria processuale di cui si è dato atto.

In particolare:

i motivi da 9.1. a 9.9., nonché i motivi 9.11. e 9.12. fanno valere, sotto diversi profili, il vizio di difetto di motivazione e difetto di istruttoria e risultano, in quanto tali, o estranei al thema decidendum del presente giudizio oppure (nella misura, in particolare, in cui lamentano la violazione del criterio della c.d. anzianità senza demerito o la mancata predeterminazione dei criteri di valutazione) risultano esaminati e respinti dalla a sentenza di primo grado, sul punto confermata dall’odierna decisione;

il motivo sub 9.10, diretto a contestare l’invalidità della nomina del Consigliere L R risulta inammissibile per difetto di interesse alla luce delle considerazioni già svolte nell’esaminare il motivo di appello contro il capo della sentenza di primo grado che ha dichiarato irricevibile la relativa domanda di annullamento.

41. Va ancora dato atto che nella memoria depositata in data 7 luglio 2017, l’appellante ha presentato istanza di rimessione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’articolo 267, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, formulando le seguenti questioni pregiudiziali:

A) «se l’art.41, primo e secondo paragrafo lett. c) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, là dove garantisce il diritto ad una buona amministrazione da parte delle istituzioni dell’Unione prescrivendo “l’obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni”, e se i principi di effettività della tutela giurisdizionale, di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto, come garantiti dal diritto dell’Unione Europea, ostino ad una legislazione nazionale che – come anche riconosciuto in questo giudizio dalla stessa Amministrazione autrice degli atti impugnati – ha mancato di predeterminare ogni criterio ai fini della nomina ad un incarico direttivo apicale di un organo giurisdizionale nazionale e, per ciò stesso, ha consentito alla medesima Amministrazione, nella specie, di omettere ogni motivazione al riguardo »;

B) « se il principio del legittimo affidamento, quale parte dell'ordinamento giuridico comunitario, osti ad una normativa nazionale che, in ordine ad una determinata procedura rivolta al conferimento di un incarico direttivo apicale di un organo giurisdizionale nazionale, ometta di stabilire in anticipo le regole ed i criteri da comunicare preventivamente ai magistrati legittimati, prima che questi ultimi pongano le rispettive candidature »;

C) « se all’art.47, secondo paragrafo della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea

- ove stabilisce che “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata … da un giudice indipendente e imparziale” - osti l’art. 22 primo comma della L. 27 aprile 1982, n. 186, che affida al Governo il potere di scegliere e nominare il presidente del Consiglio di Stato ».

42. L’istanza di rinvio pregiudiziale non può avere seguito, in quanto la fattispecie oggetto del presente giudizio è estranea al campo di applicazione del diritto dell’Unione Europea ed è regolata solo da norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto.

Al tal proposito, è sufficiente ricordare che gli atti impugnati riguardano la nomina del Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, e, quindi, attengono direttamente all’esercizio di funzioni pubbliche sovrane dello Stato, che incidono in maniera immediata e diretta sulla tutela dell’interesse nazionale.

Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, sia nazionale che comunitaria, nelle materie regolate esclusivamente dal diritto interno non trovano applicazione né i principi fondamentali del diritto dell’Unione (l’appellante invoca, ad esempio, il principio di affidamento), né le disposizioni della c.d. Carta di Nizza.

L’art. 6, paragrafo 1, primo alinea, del Trattato stabilisce, infatti, che “ le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati ”. A tale previsione fa eco la Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato di Lisbona, ove si ribadisce che “ la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi dell’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati ”.

I medesimi principi risultano, peraltro, già espressamente accolti dalla stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la quale, all’art. 51, stabilisce, al paragrafo 1, che “ le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione ”;
recando, altresì, al paragrafo 2, una statuizione identica a quella della ricordata Dichiarazione n. 1.

Ciò esclude, con ogni evidenza – come, del resto, hanno reiteratamente affermato sia la Corte di giustizia (cfr. ordinanza 17 marzo 2009, C-217/08, Mariano;
sentenza 5 ottobre 2010, C-400/10 PPU, McB;
ordinanza 12 novembre 2010, C-399/10, Krasimir e altri), sia la Corte costituzionale (cfr. sentenza 11 marzo 2011, n. 80) – che la Carta costituisca uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea.

43. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto.

44. La complessità delle questioni esaminate e la peculiarità della vicenda giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

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