Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-11-29, n. 202310310
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Testo completo
Pubblicato il 29/11/2023
N. 10310/2023REG.PROV.COLL.
N. 09769/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9769 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Arno n.6;
contro
Ministero dell'Interno, Questura Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura Cosenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2023 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con provvedimento reso il 5 giugno 2019 e notificato il successivo 27 giugno, la Questura della Provincia di Cosenza, previa comunicazione dei motivi ostativi e viste le osservazioni difensive, ha negato all’odierno appellante il rinnovo del porto di fucile per uso caccia, motivando il rifiuto in ragione delle “ripetute frequentazioni” con persone controindicate e del suo deferimento alla locale Procura della Repubblica, in data 10 marzo 2013, per aver ingiuriato e minacciato l’ex coniuge.
2. Dinanzi al Tar Calabria l’interessato è insorto avverso il diniego, chiedendone l’annullamento.
3. Con sentenza n. -OMISSIS-, il Tar Calabria, Sezione Prima, ha respinto il ricorso.
4. Con l’appello all’esame, notificato e depositato il 20 dicembre 2022, è stata impugnata la citata sentenza, riproponendo le doglianze esposte dal ricorso introduttivo e ponendole in chiave critica rispetto alla pronuncia avversata.
Il primo motivo eccepisce il difetto dei presupposti in presenza dei quali l’Amministrazione può negare il rinnovo del porto d’armi ai sensi dell’11, R.D. n. 773 del 1931, nonché l’occasionalità delle frequentazioni contestate, ininfluenti ai fini del giudizio sul requisito della buona condotta
di cui all’art. 43, comma 2, R.D. n. 773 del 1931.
Con il secondo motivo, l’appello deduce il vizio di istruttoria e di motivazione ed il travisamento dei fatti, non avendo la Questura considerato che l’interessato è consigliere comunale nel piccolo paese ove risiede, circostanza che gli impone di intrattenere rapporti con chiunque.
Peraltro, l’Amministrazione avrebbe indebitamente valorizzato, quale indice di segno negativo, il litigio avvenuto nel 2013 con l’ormai ex coniuge, privo di rilevanza penale e risalente nel tempo.
5. In data 10 ottobre 2023, il Ministero dell’Interno e la Questura di Cosenza si sono costituiti in giudizio.
6. All’udienza pubblica del 12 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
La materia del rilascio ovvero del rinnovo del porto d’armi è disciplinata dagli artt. 11 e 43 di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773.
Il legislatore nella materia de qua affida all’Autorità di pubblica sicurezza la formulazione di un giudizio di natura prognostica in ordine alla possibilità di abuso delle armi, da svolgersi con riguardo alla condotta e all’affidamento che il soggetto richiedente può dare.
Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110/1975. La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire.
La Corte Costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440, ha affermato che “il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse”. Il Giudice delle leggi ha osservato, altresì, che “dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti”.
Proprio in ragione dell’inesistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, di un diritto di portare armi, il Giudice delle leggi ha aggiunto, nella sentenza del 20 marzo 2019, n.