Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-10-09, n. 201205256
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N. 05256/2012REG.PROV.COLL.
N. 00276/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 276 del 2008, proposto da:
C R, rappresentato e difeso dagli avv. M S, E I, M F, con domicilio eletto presso Fabio Pontesilli in Roma, via Francesco Orestano, 21;
contro
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. E B, G T, A P, Giuseppe Dardo, F M F, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 10676/2007, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2012 il Cons. U R e uditi per le parti gli avvocati Riccardo Arbib in sostituzione di M S e Giuseppe Dardo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente appello il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza con cui il TAR Campania-Napoli ha respinto il suo ricorso diretto avverso il provvedimento con cui il Comune di Napoli aveva negato l’accertamento di conformità di opere abusive ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/01 ed aveva rinnovato l’ordine di demolizione, ai sensi dell’art. 27, co. 2, d.p.r. n. 380/01, realizzate alla via Vicinale Soffritto nr.53/55, consistenti in tre fabbricati adibiti a civile abitazione, con annesso locale interrato, sul presupposto della mancata dimostrazione da parte del richiedente dei requisiti richiesti dall’art.40 della variante generale al PRG, ovvero della qualità di coltivatore diretto, come previsto dal comma 13 della norma predetta, nonché per essere l’area inferiore al lotto minimo previsto dalla norma.
L’appello è affidato alla denuncia di sette rubriche di gravame relative alla violazione dell’articolo 36 del d.p.r. n. 380/2001 e della legge regionale 19 2001, nonché dell’articolo tre della legge n. 241/1990 in relazione all’articolo 10 bis ed eccesso di potere sotto diversi profili.
Si è costituito in giudizio il comune di Napoli, allegando tutti gli atti del procedimento e le difese prodotte in primo grado.
Con memoria per la discussione l’appellante ha sottolineato le proprie argomentazioni, concludendo per l’accoglimento dell’appello.
Con memoria conclusiva il Comune ha sottolineato le argomentazioni a sostegno della legittimità del provvedimento e, di conseguenza, l’esattezza della decisione del primo Giudice.
Con note d’udienza l’appellante ha ribadito l’assentibilità del condono in relazione alla natura di coltivatrice diretta dell’affittuaria dell’appellante.
Chiamata all'udienza pubblica,uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
L’appello è infondato.
___ 1.§. Con un profilo di doglianza si lamenta che il TAR, pur debitamente informato, non ha tenuto conto del fatto che una nuova istanza di accertamento di conformità per le medesime opere oggetto del ricorso di primo grado era stata successivamente presentata, sempre ai sensi dell’articolo 36 del d.p.r. n. 380/2001, a nome dell’affittuaria degli immobili, C P, che avrebbe avuto l’effetto di rendere inefficace il provvedimento impugnato e, quindi, improcedibile anche l’impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse.
L’assunto non ha pregio.
Il rigetto dell’accertamento di conformità impugnato in primo grado scaturiva proprio da un’istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 del proprietario che aveva realizzato l’abuso, e che in conseguenza aveva già consumato la possibilità offerta dalla legge per gli immobili de quibus .
In verità, sotto una prima angolazione, la facoltà di presentare istanza di conformità, di cui all’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, è infatti temporalmente circoscritta dalla legge ad un arco temporale ben preciso, limitato dalla predetta norma nel “ termine dei novanta giorni di cui all’articoli 31, comma 3,.. e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative… ”.
Nel caso in esame, dopo la prima istanza del 14.8.2006, il termine era stato comunque superato, dato che la seconda domanda (dell’affittuaria) era stata presentata quasi dieci mesi dopo (il 29.5.2007).
Sotto una seconda prospettiva, l’art. 36, d.P.R. n. 380/2001 prevede che i responsabili degli abusi “…possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda ”.
Il chiaro riferimento al singolare dell’istanza dimostra all’evidenza, a giudizio del collegio, che vi è una sola possibilità di istanza di conformità.
Pertanto una volta notificato il precedente diniego di conformità, la presentazione di una nuova identica istanza per i medesimi immobili abusivi non può di per sé determinare, sul piano procedimentale alcun dovere della P.A. di pronunciarsi e, di conseguenza, non ha neppure alcun effetto processuale nel giudizio di impugnativa delle sanzioni. L’indirizzo giurisprudenziale concernente i rapporti tra ordine di demolizione e richiesta di accertamento di conformità invocato dall’appellante non può, cioè, applicarsi in tutti i casi in cui il privato abbia già presentato una prima istanza e questa sia stata respinta.
Come esattamente rilevato dalla difesa dell’Amministrazione, se così non fosse, al costruttore abusivo basterebbe presentare una successiva indefinita serie di domande senza soluzione di continuità per paralizzare indefinitamente l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione.
Dato che il provvedimento impugnato in primo grado scaturiva proprio dalla precedente istanza del proprietario odierno appellante, l’interessato aveva già consumato la possibilità offerta dalla legge per gli immobili de quo .
In terzo luogo si deve ancora rilevare che, ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 380/2001, soggetto autorizzato dalla norma a richiedere l’accertamento di conformità deve necessariamente essere il “ responsabile dell'abuso ” o “ l'attuale proprietario dell'immobile ”.
La presentazione dell’istanza da parte di un soggetto terzo, quale l’asserita affittuaria, era, in ogni caso, assolutamente inconferente in questo giudizio, perché non risulta che la semplice affittuaria sia stata -- prima dell’abuso -- contrattualmente autorizzata dal proprietario a modificare lo stato dei terreni ed a formulare una nuova istanza.
Nel caso, in definitiva, l’affittuaria non era tra i soggetti legittimati ai quali fa riferimento l’art. 36 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380;ed in certo senso avalla indirettamente tale interpretazione il fatto che detta affittuaria non ha comunque provveduto ad opporsi autonomamente alla sentenza impugnata.
E’ evidente dunque che la seconda domanda è solo l’artato tentativo dell’appellante di salvare postumamente una situazione comunque insanabile.
___ 2.§. Con il secondo motivo si assume l’erroneità della pronuncia del primo giudice -- per il quale non è necessaria l’acquisizione del parere della commissione edilizia in sede di procedimento di sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.p.r. n. 380/2001 – che violerebbe l’articolo 1 della legge regionale Campania n. 19/2001 e l’art.16 delle regolamento edilizio comunale, ai cui sensi:
-- “ … in ordine ai progetti presentati, il responsabile procedimento richiede, entro il termine di cui al comma due, il parere della commissione edilizia se prescritto dove tale collegio sia costituito e quella della commissione edilizia integrata ove sia prescritto rilascio di pareri ambientali… ”(primo comma).
In sostanza il rilascio di permesso di costruire è preceduto, nei casi indicati al comma 3°, dal parere obbligatorio, ma non vincolate, della commissione edilizia.
Sarebbe dunque evidente l’errore in cui sarebbe incorso il Tar nell’interpretazione dell’inciso dell’articolo 1 della legge regionale n. 19/2001 citata (“ove tale collegio sia costituito”), che doveva essere inteso nel senso “ove tale collegio sia istituito”.
L’assunto è infondato.
L’art. 1 della L.R. Campania 28-11-2001 n. 19 disciplina esclusivamente le procedure per il rilascio dei permessi di costruire e per l'esercizio di interventi sostitutivi.
In tale ottica deve dunque essere interpretato l’assunto per cui il parere va richiesto solo “... se prescritto…”.
La predetta norma, nel ridisegnare la materia, non fa alcun cenno all’accertamento di conformità.
Pertanto, come negli altri procedimenti di sanatoria, in assenza di un espresso richiamo normativo della disposizione regionale, non è necessaria l'acquisizione del parere della Commissione edilizia nel procedimento di diniego sull’istanza di accertamento di conformità di cui all'art. 36, T.U. dell'edilizia, essendo tale determinazione una mera applicazione di norme edilizie.
Di qui l’inconferenza nel caso di esame di tutte le altre considerazioni circa la costituzione della Commissione edilizia.
_____ 3.§. Con il terzo motivo si contesta l’erroneità nel merito della sentenza, dove ha ritenuto il ricorrente non in possesso dei requisiti di carattere oggettivo e soggettivo per poter richiedere la sanatoria, previsti dalla disciplina urbanistica variante come da vigenti NTA allegate alla variante generale al PRG approvata con D.P.C.R. n. 223 dell’11 giugno 2004 e in particolare:
-- dall’articolo 46, che avrebbe riconosciuto la possibilità di realizzare sull’area nuovi volumi solo se connessi alla conduzione diretta del fondo;
-- dall’articolo 13 e dall’articolo 40, comma 13, della variante, per cui la suddetta disciplina può essere attuata solo da parte dei soggetti proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, in enfiteusi o titolari di altro diritto reale, affittuari o mezzadri.
Il ricorrente, per il TAR, non avrebbe dimostrato nessuno dei due requisiti di cui sopra;e su tale affermazione la sentenza ha fondato il rigetto del ricorso.
Ma in questo modo sarebbe stato trascurato il fatto che l’appellante aveva depositato il contratto di affitto agricolo in cui si concedeva in locazione l’appezzamento del suo terreno.
Il Tar non avrebbe considerato che gli interventi di costruzione di nuovi edifici a scopo residenziale sarebbero stati legittimi ai sensi degli articoli 45 e 46 del NTA della variante generale, perché sarebbero stati relativi alla conduzione del fondo agricol;, il richiedente sarebbe stato compreso tra i soggetti a ciò autorizzati, nel cui elenco sono inclusi pure gli affittuari.
L’articolo 10, comma IV° del piano paesistico territoriale Agnano/Camaldoli -- soggiunge l’appellante -- non vieterebbe in modo assoluto nuove edificazioni e non prevederebbe vincoli di inedificabilità assoluta, ma inedificabilità relativa, il che sarebbe dimostrato dal fatto che in terreni limitrofi sono state rilasciate concessioni edilizie in sanatoria in tempi relativamente recenti e comunque successivi al 1995.
Tutti i profili vanno integralmente respinti.
Si deve in primo luogo rilevare che l’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n.269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326), al 27° co, prevede che: “ Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora :…
d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ”.
Il terreno in questione:
-- rientra in “ Zona F, sottozona Fa – componenti strutturanti la conformazione naturale dei territori destinate a parco naturale -“ della variante generale al PRG;
-- era soggetto a vincolo archeologico fin dal Dm 25 gennaio 1958, di cui all’art.157 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n.42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”;
-- e faceva parte del piano territoriale paesistico Agnano- Camaldoli, come zona di protezione integrale, e rimaneva nel perimetro Zona B del “ Parco Regionale Metropolitano delle colline di Napoli ” approvato con delibera G.R. Campania n.855 del 10 giugno 2004.
L’art. 46 delle NTA allegate alla variante generale approvata con DPCR n.323 dell’11.6.2004 identifica le parti del territorio in questione come quelle che sono “.. connotate nell’insieme da sussistente prevalenza dello stato di natura o dell’utilizzazione a scopi culturali rispetto all’edificazione ed all’urbanizzazione… ” che sono consentite nei limiti di cui all’art. 40 per costruzioni realmente connesse con l’attività agricola.
In tale ottica, le foto versate in primo grado dal Comune dimostrano che, per la tipologia costruttiva e la consistente mole residenziale, appare non immaginabile la funzionalizzazione ad attività agricole di tre edifici in cemento armato (due su 2 livelli di 200 mq., uno su unico livello di 170 mq), comprensivi di piano seminterrato di mq.1400, garage e palestra.
Inoltre, non è stata fornita alcuna prova dell’esistenza di un atto di vincolo, debitamente trascritto nei registri della proprietà edilizia da parte dell’appellante, diretto a comprovare:
-- la sufficienza in assoluto del lotto (perché superiore ai 10.000 mt necessari), a fronte dell’estensione calcolata dall’Amministrazione per soli 6500 mq;
-- l’idoneità della proprietà complessiva dell’appellante a supportare le opere realizzate, computando un indice di cubatura di 0,03 mc/mq, previsto dal comma 2° dell’art. 40 delle NTA annesse alla variante generale.
Per giunta, sotto altra angolazione, anche a voler seguire l’appellante nella sua impostazione, non vi sono elementi per poter accertare che la firmataria della nuova istanza fosse affittuaria di tutti i terreni da asservire agli immobili, perché neanche in questa sede l’appellante ha comunque ritenuto di fornire ulteriori dati in grado di attribuire logico fondamento alle proprie tesi.
Esattamente il TAR ha ritenuto insufficienti sia un atto di affitto che non recava nessuna data, sia un certificato di iscrizione al collocamento dell’asserita affittuaria risalente a quasi vent’anni prima depositati in primo grado in luogo del contratto di affitto, debitamente registrato, con l’autorizzazione all’edificazione, e di un certificato storico dell’INPS relativo alla posizione previdenziale della richiedente come coltivatore diretto.
Si deve poi concordare completamente con il TAR quando ricorda che l’area è comunque inserita nel piano territoriale paesistico di Agnano Camaldoli come “ Zona PI – protezione integrale ” e che pertanto la suddetta qualificazione esclude la possibilità di interventi edilizi che (come quello in esame) costituiscono di per sé un fattore di degrado ambientale, in quanto alterano l’originaria morfologia del tradizionale contesto paesaggistico e sono in palese contrasto con le imprescindibili esigenze di tutela e conservazione di valori che rappresentano la ragione costitutiva del vincolo stesso.
Nel caso di specie poi, nonostante le ferite cagionate dall'edilizia, spontanea e non, la zona costituisce una porzione di territorio ancora conservante qualche traccia dei tratti tipici del paesaggio collinare agrario, caratterizzato dall'ampiezza dei quadri panoramici, dalla presenza di beni archeologici e di gruppi arborei, condizioni atte a formare la sua tipica, antica, immagine paesaggistica.
In definitiva legittimamente il Comune di Napoli ha concluso che l’intervento non era sanabile a norma dell’art.46 della variante, in quanto concerneva la realizzazione di volumi tipologicamente non ammissibili, perché:
-- non erano connessi alla conduzione diretta del fondo;
-- erano stati realizzati da un soggetto comunque non in grado di comprovare l’appartenenza alle categorie previste dal comma 13 dell’art.40 delle norme di attuazione della variante generale al PRG.
____4.§. Dovendosi giudicare esatte le ragioni fondanti vuoi il provvedimento, vuoi la sentenza impugnata, deve essere disatteso anche il quarto motivo.
Si deve, insomma, aderire alle tesi del primo giudice secondo le quali nel caso non sussisteva alcun difetto di motivazione.
Il provvedimento impugnato in primo grado non è per nulla affidato al generico richiamo delle norme presuntivamente violate, ma si preoccupa di definire (cfr. in specie pag. 1 dello stesso) tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a base della determinazione, elementi, questi, tutti da condividere,come visto in precedenza,..
____5.§. Parimenti inconsistente è il quinto motivo, con cui si lamenta il difetto di istruttoria del diniego nel quale non si sarebbe dato sufficiente conto motivazionale delle osservazioni formulate dal ricorrente, con la memoria ai sensi dell’articolo 10 bis della legge n. 241/1990.
Al contrario, come dimostra la connotazione meramente formalistica della censura, il provvedimento rilevava esattamente come le stesse osservazioni non introducessero in realtà elementi nuovi, ma si limitavano ad affermare la conformità urbanistica delle opere abusivamente realizzate.
Di qui l’inconferenza sul piano sostanziale dell’argomentazione.
___6. Deve poi essere respinto il sesto motivo, con cui si lamenta l’illegittimità del provvedimento di diniego di condono per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti interessati, in violazione degli articoli 7, 8 e 10 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i. .
Si tratta di questione esclusivamente formale. In base alla de quotazione dei motivi formali dwttata dalal vigente legislazione di fronte, per giunta, ad una soluzione vincolata, il motivo non presenta elementi di fondamento In ogni caso l'interessato non ignorava l'esistenza del procedimento stesso;seguito per aver lui formulato l’istanza che il procedimento ha aperto.
____7. Con il settimo motivo si lamenta l’illegittimità del provvedimento di diniego, che non avrebbe ritenuto di poter sanare il manufatto in questione, in violazione dei principi generali in materia di esercizio della potestà sanzionatoria degli abusi edilizi, avente il solo fine di reprimere la mera inosservanza dell’obbligo di munirsi preventivamente della concessione edilizia, laddove la condizione realizzata risulti conforme alla disciplina urbanistica sostanziale.
Sarebbe mancata la valutazione specifica dell’entità dell’abuso realizzato, rispetto all’attività edilizia formalmente assentibile.
L’assunto è infondato.
I principi generali in materia ambientale e paesaggistica non possono esser disgiunti, come hainsegnato la Corte Costituzionale, dagli artt. 9 e 117 della Costituzione, per cui deve essere data la prevalenza alla tutela del paesaggio non nel significato, meramente estetico, di “bellezza naturale”, ma come complesso dei valori inerenti il territorio naturale (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379), che è un bene “primario” ed “assoluto (Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183) e comunque una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento.
In conformità ai principi costituzionali e con riguardo all'applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000, l’attività sanzionatoria è diretta ad assicurare la tutela ambientale e paesaggistica quale valore primario, complesso, unitario ed assoluto, che precede gli altri interessi pubblici e privati.
Pertanto, una volta accertato l’assoluto contrasto dell’intervento comunque realizzato dall’appellante con la disciplina urbanistica, non può sussistere alcun legittimo affidamento in capo al costruttore abusivo che possa giustificare la conservazione di una situazione di fatto realizzata "contra ius" in totale spregio dei valori ambientali, archeologici e paesaggistici.
Ossia, non solo non vi è alcuna norma che preveda il preteso “favor” per la conservazione dell’edilizia illegale, ma al contrario la repressione degli abusi edilizi è un’attività soggetta ai principi generali di "tipicità" e di "legalità" costituente un preciso obbligo dell'amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo.
____8.§. Nella medesima scia interpretativa deve essere respinto anche l’ottavo motivo, con cui si lamenta la violazione dell’articolo 27 del d.p.r. n. 380/2001, per cui la demolizione sarebbe una sanzione del tutto eccezionale prevista solo in casi in cui l’opera si trovi allo stato iniziale, insista su vincoli di inedificabilità assoluta, oppure su aree destinate a spazi pubblici o a interventi di edilizia residenziale pubblica. Nel caso, sostiene parte appellante, dato che le opere sarebbero da tempo terminate, ne conseguirebbe l’assoluta inapplicabilità della sanzione.
Né i vizi procedurali del provvedimento potrebbero essere giustificati dal fatto che all’epoca la commissione edilizia non fosse operante.
La commissione edilizia avrebbe invece esattamente inquadrato alla fattispecie alla luce delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore di Napoli, che non escluderebbero interventi edilizi nella zona F, sottozona Fa.
L’assunto è giuridicamente inconsistente.
Il secondo comma dell’art. 27 del d.lgs. n.380 /2001 e s.m.i. prevede che il responsabile del procedimento ordina la demolizione delle opere eseguite senza titolo su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate ad opere pubbliche e stabilisce che detto responsabile“ in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi ”.
In relazione a quando si diceva in precedenza non vi sono dubbi sulla legittimità di un provvedimento, a carattere vincolato, di demolizione di un’edificazione realizzata del tutto abusivamente in zona vincolata paesaggisticamente.
____9.§. In conclusione l’appello è infondato e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata.
Le spese, ai sensi dell’art. 26 del c.p.a. seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.