Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-17, n. 201200837
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N. 00837/2012REG.PROV.COLL.
N. 08235/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8235 del 2006, proposto da:
R F, rappresentato e difeso dagli avv. L F L e R T, con domicilio eletto presso L F L in Roma, via della Marina n.1;
contro
Questura di Como, in persona del Questore, Ministero dell'Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 01456/2006, resa tra le parti, concernente AVVISO EX ART.4 L.24/12/1956 N.1423
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Como e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2011 il Cons. R G e uditi per le parti l’avvocati Longo l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 1456 del 2006 il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il provvedimento n. 5 A.O./05 del 9 gennaio 2005 con il quale il Questore della Provincia di Como, ai sensi dell’art. 4, l. 27 dicembre 1956, n. 1423, ha disposto nei suoi confronti “avviso a tenere una condotta conforme alla legge”.
Come ricostruito nella sentenza appellata, il Questore della Provincia di Como, con il provvedimento suindicato, in applicazione del ricordato articolo 4, ha disposto nei confronti dell’odierno ricorrente, notaio in Cantù, “avviso a tenere una condotta conforme alla legge”;determinazione motivata facendo riferimento alla assunta pericolosità sociale del dott. R ricavabile da un’informativa a suo carico trasmessa dalla Squadra mobile della Questura di Como all’Autorità giudiziaria per i reati di circonvenzione di incapace, favoreggiamento reale, truffa aggravata e continuata in concorso, nonché da una sentenza di condanna per il reato continuato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici.
Nel medesimo provvedimento si è dato atto, inoltre, della particolare posizione del ricorrente che gli avrebbe permesso di trarre profitto da atti illeciti, nonché dei contatti avuti con alcuni pregiudicati, accertati a seguito di indagini effettuate dagli organi di Polizia, ed, infine, della vasta eco che la vicenda aveva avuto nella zona e sugli organi di stampa.
Avverso la sentenza con cui il giudice di primo grado ha disatteso le dedotte censure di omessa comunicazione di avvio del procedimento e violazione degli artt. 1 e 4, l. n. 1423 del 1956, ha proposto appello il ricorrente ritenendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento.
Con ordinanza n. 4186 del 2011 questa Sezione ha disposto l’acquisizione di documentate informazioni in merito a ciascuna delle vicende penali risultanti a carico del ricorrente, con dettagliata ed aggiornata indicazione dei relativi sviluppi processuali.
Con nota del 19 novembre 2011 la Questura di Como, in esecuzione della disposta istruttoria, ha trasmesso la richiesta relazione.
All’udienza del 13 dicembre 2011 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
L’appello va accolto.
Giova considerare che l'art. 1 della l. 27 dicembre 1956, n. 1423 stabilisce che i provvedimenti ivi previsti si applicano nei confronti:
- di coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
- di coloro, che per la condotta ed il tenore di vita, debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
- di coloro che, per il loro comportamento, debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Nel successivo art. 4 (come modificato dall'art. 5 l. 3 agosto 1988, n. 327) la stessa legge n. 1423 del 1956 dispone, inoltre, che l'applicazione dei provvedimenti di cui all'art. 3 (sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più province, obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale) è consentita dopo che il Questore nella cui provincia la persona dimora ha provveduto ad avvisarla oralmente che esistono sospetti a suo carico e ad indicare i motivi che li giustificano, invitando la persona destinataria a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo il processo verbale dell'avviso al solo fine di dare allo stesso data certa.
Alla stregua delle richiamate disposizioni, l'avviso orale di cui all'art. 4 della legge 1423 del 1956, come modificato dalla citata l. n. 327 del 1988, consiste, dunque, nell'avvertimento della sussistenza di sospetti a carico di una persona, per la quale si profilano "elementi di fatto" che facciano ritenere l'appartenenza ad una delle categorie previste dall'art. 1 della legge 1423 del 1956, e non ha altro effetto se non quello di consentire la proposta all'Autorità giudiziaria, entro tre anni, di applicazione delle misure di prevenzione.
Il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto avvisato, se non richiede, pertanto, la sussistenza di prove compiute sulla commissione di reati, presuppone tuttavia che sussistano e siano indicati elementi di fatto tali da indurre l'Autorità di polizia a ritenere sussistenti le condizioni di pericolosità sociale che possono dar luogo, da parte del giudice, all'applicazione delle misure di prevenzione.
In definitiva, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, è legittimo procedere all'avviso orale anche in assenza di addebiti specifici, purché emerga una situazione rivelatrice di personalità incline a comportamenti asociali o antisociali (cfr., ex multis , Cons. Stato, IV, 4 maggio 1984, n. 312;VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).
Orbene, come già dalla Sezione ritenuto nel definire l’incidente cautelare, il provvedimento impugnato in primo grado appare affetto dai dedotti vizi di carenza di motivazione e di istruttoria, nello stesso mancando precisi riferimenti a quei dati di fatto che sono necessari a rendere credibile il sospetto che l’appellante “possa considerarsi persona pericolosa per la sicurezza pubblica” ovvero che viva “con i proventi di attività delittuose” ovvero ancora che possa ritenersi “abitualmente dedita a traffici delittuosi”.
In particolare, non risulta decisivo, al riguardo, il mero riferimento – senza alcuna autonoma valutazione - alla pendenza di procedimenti penali relativi a fatti di truffa, favoreggiamento e circonvenzione. Questi procedimenti, peraltro, sono poi stati definiti in senso favorevole all’odierno ricorrente, come emerge dal provvedimento di archiviazione prodotto con riferimento ai primi due procedimenti penali indicati, e dalla sentenza di estinzione per intervenuta prescrizione quanto al procedimento relativo al reato di circonvenzione di incapaci.
Né in senso contrario può assumere rilievo la circostanza della affermata frequentazione di pregiudicati, se solo si considera che – come affermato in modo non contestato nell’atto di appello- la indicata frequentazione è consistita in meri contatti di tipo professionale, svoltisi presso lo studio del notaio R, in occasione della gestione di venticinque pratiche professionali.
Non sufficiente appare, del resto, da sé solo il mero riferimento –senza alcuna autonoma valutazione- alle due sentenze di patteggiamento per il reato di cui all’art. 479 Cod. pen.. Per quanto non si tratti, invero, di episodi certo irrilevanti, tanto più sul piano professionale e disciplinare, gli stessi, in sé e in assenza di adeguata e motivata valorizzazione ad opera dell’amministrazione, non valgono a fondare il sospetto che l’appellante “possa considerarsi persona pericolosa per la sicurezza pubblica” ovvero che viva “con i proventi di attività delittuose” ovvero ancora che possa ritenersi “abitualmente dedita a traffici delittuosi”.
Alla stregua delle esposte ragioni, in accoglimento dell’appello, va riformata la sentenza di primo grado e annullato il provvedimento impugnato con il ricorso di prime cure.
Va, invece, respinta la domanda risarcitoria.
La sussistenza, invero, delle indicate pronunce di patteggiamento, per quanto di loro non sufficienti a fondare la valutazione di pericolosità necessaria per l’adozione dell’atto impugnato in primo grado, non consente di formulare, nei riguardi dell’amministrazione, quel giudizio di colpa, necessario perché possa ritenere integrata la fattispecie di responsabilità.
Sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.