Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-04-24, n. 201902637
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Pubblicato il 24/04/2019
N. 02637/2019REG.PROV.COLL.
N. 08121/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8121 del 2018, proposto dalla Cartiera San Martino S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati I P, G C, L C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati V S, M S, A C, V T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto stesso in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29;
per la riforma
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il Cons. U M e uditi per le parti gli avocati presenti, come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società appellante, insediamento cartario storico in Broccostella (FR), chiede la riforma in parte qua della sentenza n.98/2018, depositata in segreteria in data 23.2.2018, con la quale il TAR per il Lazio, sede di Latina, ha accolto solo parzialmente il ricorso n.418/017 proposto per l’annullamento:
a) del provvedimento di rigetto della domanda di integrazioni salariali per il periodo dal 9.1.2017 al 28.1.2017, comunicato con lettera notificata in data 23.3.2017;
b) del provvedimento di rigetto della domanda di integrazioni salariali per il periodo dal 16.1.2017 al 28.1.2017, comunicato con lettera notificata in data 23.3.2017;
c) del provvedimento di rigetto della domanda di integrazioni salariali per il periodo dal 27.2.2017 all’1.4.2017, comunicato con lettera notificata in data 23.3.2017;
d) del provvedimento di rigetto della domanda di integrazioni salariali per il periodo dal 6.3.2017 all’1.4.2017, comunicato con lettera notificata in data 23.3.2017.
Le richiesta di CIGO qui in rilievo, del 23.1.2017 e del 10.3.2017, concordate con la RSU aziendale e le OO.SS. Provinciali, erano state indotte da una situazione contingente di negativa congiuntura, che, a partire dal 2008, avrebbe fatto progressivamente registrare una riduzione delle commesse e della produzione, e venivano riscontrate con una e-mail spedita dal Cassetto Previdenziale dell’INPS con richiesta di notizie in merito ai periodi interessati dalla domanda di CIG e di integrazioni documentali alla quale l’appellante rispondeva in data 20.3.2017.
Segnatamente, l’INPS comunicava quanto segue:
Al fine di consentire l'istruttoria della domanda di CIGO presentata in data 10/03/2017 con prot. 0042767 si invita codesta ditta a comunicare con la massima sollecitudine le notizie di cui al punto:
1) Dichiarazione sostitutiva di atto notorio con specifica delle settimane effettivamente fruite dai dipendenti alla data di richiesta della CIGO;
2) dichiarazione sostitutiva atto notorio con autocertificazione dell'autonomia organizzativa dell'unità produttiva;
3) copia di eventuali commesse che garantiscono la ripresa dell'attività;
4) rinvio file csv con numero lavoratori interessati alla cig conforme al numero dipendenti indicato sulla domanda (quadro E del modello).
Si precisa che, in mancanza di riscontro entro 15 giorni dalla data di ricezione della presente, la richiesta sarà decisa allo stato degli atti.
Analoghe richieste venivano formulate dall’INPS con riferimento agli ulteriori periodi comunicati.
L’appellante forniva riscontro alle suddette sollecitazioni fornendo i dati richiesti anche se formulava dei dubbi sul significato degli adempimenti sollecitati, dichiarandosi comunque a disposizione per ulteriori invii, modifiche ed integrazioni.
Ciò nondimeno, in data 23.03.2017, la società ricorrente riceveva la notifica dei provvedimenti di diniego corredati dalle seguenti motivazioni:
- per la domanda 9.1.2017-28.1.2017 “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda. Dichiarazioni richieste in data 8.2.2017 non pervenute ”;
- per la domanda 16.1.2017-28.1.2017, “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda ”;
- per la domanda 27.2.2017-1.4.2017 “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda. Dichiarazioni richieste in data 13.3.2017 non pervenute ”;
- per la domanda 6.3.2017-1.4.2017 “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda. Dichiarazioni richieste in data 13.3.2017 non pervenute ”.
Avverso tali atti la società proponeva ricorso al TAR che, però, con la sentenza impugnata, lo accoglieva, per difetto di motivazione, limitatamente alla domanda per il periodo 16.1.2017-28.1.2017 recante la motivazione “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda ”, ritenendo, per il resto, corretto l’opposto diniego in ragione dell’esplicito riferimento alla mancata allegazione delle dichiarazioni richieste, rispettivamente, in data 8.2.2017 e in data 13.3.2017.
Avverso il suddetto decisum l’appellante deduce che:
1) il giudice di prime cure avrebbe completamente omesso lo scrutinio degli altri motivi relativi al merito del rigetto, essendo in possesso dell’INPS tutti i dati richiesti per effetto del puntuale riscontro alla sollecitazione proveniente dal detto Istituto. L’Ente avrebbe dovuto specificare in che cosa si sia concretizzata la contestata non conformità. Nel messaggio INPS n. 1856 del 03.05.2017 è previsto che in tutte le ipotesi in cui si ritenga di dover rigettare la domanda di concessione del trattamento di integrazione salariale ordinaria per carenza di elementi valutativi, è necessario attivare la procedura di cui all’art. 11, comma 2, del DM 95442;
2) il rigetto della domanda dovrebbe derivare dalla carenza dei presupposti legittimanti la richiesta di integrazione salariale ma non da carenze e/o inesattezze (non si comprende bene) meramente formali, visto anche il meccanismo di soccorso istruttorio previsto dal legislatore con il D.M. 95442/16 e fatto proprio dall’Istituto nei vari messaggi e circolari che hanno previsto la possibilità di richiedere all’impresa gli elementi necessari per il completamento dell’istruttoria, salvo il rigetto della domanda ove tali integrazioni non venissero fornite nei termini concessi.
Resiste in giudizio l’INPS.
Con ordinanza n. 5417 del 12.11.2018 la Sezione ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
Com’è noto, la disciplina normativa dettata in materia di cassa integrazione salariale ordinaria, tenuto conto delle finalità sociali e assistenziali sottese all'istituto e dell'impiego al riguardo di risorse pubbliche, è posta ad attenuazione del rischio di impresa, sul presupposto di una situazione di temporanea crisi aziendale, non riconducibile a responsabilità dell'imprenditore.
Nel caso qui in rilievo le istanze all’uopo presentate dall’odierna appellante, e delle quali è prevista una gestione telematica, risultano (in parte) respinte per ragioni esclusivamente di carattere formale incentrate su presunte omissioni e/o incongruenze rilevate nella documentazione trasmessa.
Per una delle suddette istanze, segnatamente quella riferita al periodo 16.1.2017-28.1.2017, già respinta con la motivazione “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato sulla domanda ”, il giudice territoriale ha accolto il ricorso per difetto di motivazione.
In particolare, il TAR Latina ha rilevato che “..il provvedimento sopra specificato non soddisfa tale requisito, posto che il solo richiamo a “ dati del file .csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda ” non rende conto di quali siano i dati discordanti, per quale ragione tale discordanza non ha potuto essere sanata col soccorso istruttorio previsto al comma 2 dell’art. 11 cit.”.
Tanto premesso, e venendo allo scrutinio delle statuizioni compendiate nel suindicato decisum e relative, invece, agli altri provvedimenti, la cui legittimità è stata confermata all’esito del giudizio di prime cure, occorre, anzitutto, considerare che in tali distinti casi la motivazione di rigetto risultava così formulata “ Dati del file csv errati e/o discordanti da quanto riportato nella domanda. Dichiarazioni richieste …. non pervenute ”;
Orbene, appare di tutta evidenza, ad una semplice comparazione, come il primo enunciato è assolutamente sovrapponibile a quello già – del tutto condivisibilmente – ritenuto carente dal giudice di prime cure, in quanto ripropone le medesime argomentazioni non sufficientemente esplicative delle presunte ragioni di disallineamento delle informazioni veicolate nella domanda e nei relativi allegati, di talchè sono qui replicabili le medesime considerazioni quanto all’insufficienza strutturale degli atti già esposte nella sentenza di primo grado, alla quale peraltro l’Istituto resistente ha fatto acquiescenza.
Di contro, nell’economia della detta sentenza l’elemento discretivo idoneo a reggere (a differenza dell’unico provvedimento di diniego annullato) le statuizioni di rigetto sarebbe dato dall’ulteriore passaggio motivazionale che reca l’esplicito riferimento alla mancata allegazione delle dichiarazioni richieste, rispettivamente, in data 8.2.2017 e in data 13.3.2017, a tali fini richiamando un precedente orientamento del TAR Lazio (id est Tar Lazio n. 4915/17) che valorizzava la sufficienza di un pur sintetico riferimento alla mancata allegazione del modello CSV.
Sul punto la decisione di primo grado si rivela, però, manifestamente disancorata dalle risultanze processuali, avendo l’appellante dato prova di aver riscontrato le dette sollecitazioni, come già sopra anticipato, e dichiarandosi comunque a disposizione per ulteriori invii, modifiche ed integrazioni.
Di ciò non ha evidentemente tenuto conto il giudice di prime cure che in alcun modo menziona le suddette allegazioni dell’appellante insistendo su una sua pretesa inerzia rispetto alle richieste di integrazione provenienti dall’INPS, che, viceversa, risulta smentita per tabulas . In altri termini, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza qui impugnata, l’azienda appellante ha fornito specifico riscontro alla richiesta di integrazione documentale, di talchè, contrariamente a quanto ritenuto, vi era piena simmetria nelle risultanze istruttorie che facevano da corredo a tutte le domande de quibus e resta tuttora oscura la ragione per cui solo in tre provvedimenti su quattro risultasse apposta anche l’ulteriore formula Dichiarazioni richieste …. non pervenute ”.
Le medesime deficienze informative si colgono – oltre che nella sentenza qui appellata – anche nel corpo degli stessi provvedimenti impugnati che parimenti prescindono da una disamina di siffatte integrazioni, nemmeno menzionate, affidandosi alla suindicata, oscura formula “ Dichiarazioni richieste …. non pervenute ”.
Non è da escludere che l’Inps possa aver (valutato e ciò nondimeno) stimato le aggiuntive notizie trasmesse tramite cassetto previdenziale come non esaustive ma la stessa esistenza di tale dubbio rende di per sé illegittimo l’approdo decisorio, fermo restando che, anche in siffatta evenienza, avrebbe dovuto evidenziare quale delle informazioni richieste non erano state fornite, rendendo in tal modo i provvedimenti qui gravati corredati di una conferente motivazione, da ritenersi esigibile anche alla stregua della specifica disciplina di settore (articolo 11 D.M. 15.4.2016 n. 95442) e, per come ricordato dallo stesso giudice di primo grado, delle successive circolari esplicative INPS e in particolare nel messaggio m. 2908 dell’1.7.2016 e nella circolare n. 139 dell’1.8.2016
D’altra parte, da una piana lettura delle risultanze di causa, emerge come possibile fattore di criticità nella gestione delle pratiche qui in rilievo l’opacità delle richieste istruttorie dell’INPS e le difficoltà del singolo operatore di allinearsi alle sollecitazioni provenienti dal suindicato Istituto alle quali si sarebbe potuto e dovuto ovviare attraverso un’applicazione più puntuale e corretta delle disposizioni compendiate nel D.M. 15.4.2016 n. 95442, al quale l’art. 16 comma 2 del D.lgs 148/15, referente normativo in materia, reca esplicito rinvio.
Com’è noto, già in via generale, l’istruttoria procedimentale è funzionale alla puntuale acquisizione, da un lato, degli interessi da ponderare e, dall’altro, degli elementi, di fatto e di diritto, necessari per compiere la suddetta valutazione.
Il relativo regime è governato da intuibili esigenze di completezza che vanno però contemperate con quelle altrettanto rilevanti di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa: ne discende che alla dimensione tipicamente inquisitoria del procedimento si affiancano, in ossequio al principio di autoresponsabilità, oneri deduttivi e di allegazione esigibili in capo al privato siccome riferibili ad adempimenti che ricadono nella sua sfera di signoria.
Rispetto, poi, alla concreta modulazione di siffatti adempimenti, costituisce, in via ordinaria, un fattore di mitigazione nella regolazione del rapporto tra le parti il principio cd. del soccorso istruttorio, quale precipitato tecnico del canone generale del buon andamento della pubblica amministrazione siccome funzionale all’emanazione di un giusto provvedimento e che trova la sua formale espressione più generale nel disposto dell’art. 6, comma 1, lett. b), della legge 241/1990.
Tale principio è qui retto da uno specifico risconto nell’ordinamento di settore che, all’articolo 11 del D.M. citato, prevede come, in caso di supplemento di istruttoria, l'INPS possa richiedere all'impresa di fornire, entro 15 giorni dalla ricezione della richiesta, gli elementi necessari al completamento dell'istruttoria.
Nel caso di specie appare di tutta evidenza come, a fronte della fattiva partecipazione dell’operatore interessato e della sua dichiarata disponibilità a regolarizzare le istanze presentate, si radicasse in capo all’INPS uno specifico onere di soccorso istruttorio anche in ossequio ai canoni di economicità, proporzionalità e di leale collaborazione, da declinare con una richiesta che valesse ad indicare, in modo chiaro ed immediatamente percepibile, le eventuali lacune da completare ovvero gli adempimenti formali ancora da porre in essere, precisando anche le ragioni per cui le modalità di confezionamento di dati già trasmessi (ad esempio il file cvs) non fossero regolari ovvero contenutisticamente sufficienti;e ciò vieppiù in considerazione delle modalità di gestione telematica della procedura che, precludendo contatti diretti, imponeva l’utilizzo di un codice di linguaggio chiaro e sufficientemente esplicativo dei contenuti della richiesta.
Tanto non è compiutamente avvenuto nel caso in esame dove, dopo una prima generica richiesta di integrazione formulata in termini non agevolmente intelligibili, l’INPS, pur a fronte delle sollecite integrazioni trasmesse dall’appellante, e nonostante la chiara percezione delle difficoltà del suddetto operatore di comprendere gli specifici dati di cui l’autorità procedente avesse ancora bisogno, ha sbrigativamente chiuso il relativo procedimento mediante l’adozione di una formula di rigetto criptica ed evitando in tal modo di assicurare effettività alla fase dialettica di cui all’articolo 11 comma 2 del D.M. 95442/16.
Tale fase avrebbe dovuto, viceversa, essere condotta alla stregua dei principi del clare loqui e della leale collaborazione, risultando il soccorso istruttorio reso vano dalla poca chiarezza della sollecitazione interlocutoria e segnatamente dalla mancanza di indicazioni puntuali e di agevole comprensione sugli specifici punti delle domande da correggere ed integrare.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, l’appello va accolto e, per l’effetto, s’impone, nei termini suesposti, la riforma della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.