Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-05-22, n. 201202952
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N. 02952/2012REG.PROV.COLL.
N. 01387/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1387 del 2005, proposto da:
Comune di San Vincenzo La Costa, rappresentato e difeso dall'avv. O M, con domicilio eletto presso O M in Roma, via Arno, 6;
contro
I G, I B, I A, rappresentati e difesi dall'avv. M C, con domicilio eletto presso M C in Roma, via Bassano del Grappa, 24;
nei confronti di
Regione Calabria;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE I n. 01777/2004, resa tra le parti, concernente APPROVAZIONE VARIANTE GENERALE AL REGOLAMENTO EDILIZIO COMUNALE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Lorenzo Lentini in sostituzione di O M e M C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I signori Gregorio, Basiliola e Antonio Iannotta sono comproprietari di un terreno nel territorio del Comune di San Vincenzo La Costa, dapprima inserito in zona C di espansione secondo la variante generale all’allora vigente programma di fabbricazione approvata dal Consiglio comunale con deliberazione n. 9 dell’11 aprile 1998 e successivamente – a seguito delle prescrizioni dettate dalla Commissione urbanistica regionale (C.U.R.) nel senso dello stralcio di tutte le zone di tipo C e Ct – inserito in zona agricola con deliberazione n. 28 del 20 agosto 1998.
Con la ricordata deliberazione n. 28 del 1998 il Consiglio comunale recepiva le prescrizioni della C.U.R. in linea generale, parzialmente controdeducendo in ordine ad alcune talune aree, di cui proponeva l’inclusione in zona C. La variante generale al regolamento edilizio con annesso programma di fabbricazione veniva quindi approvata con decreto del Presidente della Regione Calabria 11 novembre 1998, n. 596, che faceva proprie le controdeduzioni comunali.
Avverso tale decreto, come pure avverso gli atti presupposti e consequenziali, i signori Iannotta proponevano ricorso, parzialmente accolto dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – Catanzaro, sezione I, con sentenza 10 settembre 2004, n. 1777.
Contro la sentenza interponeva appello il Comune, che al contempo ne chiedeva la sospensione dell’efficacia, così motivando:
- il ricorso di primo grado sarebbe inammissibile, in quanto rivolto contro atti endoprocedimentali non immediatamente lesivi (la citata delibera comunale n. 9 del 1998, mero atto prodromico e preparatorio dell’intero iter procedurale) e non contro atti concretamente lesivi (la ricordata delibera comunale n. 28 del 1998, con cui il Comune ha formulato le proprie controdeduzioni alle osservazioni della Commissione urbanistica regionale – C.U.R.) e conclusivi del procedimento (la delibera comunale n. 49 del 28 dicembre 1998, con cui il Comune ha preso atto dell’approvazione regionale del nuovo strumento urbanistico con le modifiche apportate);
- nel merito, la sentenza avrebbe errato nell’annullare i provvedimenti in oggetto considerandoli non supportati da alcun dato istruttorio. L’Amministrazione regionale e quella comunale avrebbero invece prodotto copiosa documentazione;in materia urbanistica le Amministrazione competenti godrebbero, in ordine alle scelte inerenti la destinazione delle aree, di ampia discrezionalità tecnica, sindacabile solo per illogicità o erroneità manifesta;gli atti a contenuto generale, come lo strumento urbanistico generale, non sarebbero soggetti a obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, né, nel caso di specie, gli originari ricorrenti potevano vantare, nei confronti delle Amministrazioni, una posizione di “qualificato affidamento” tale da produrre un onere di motivazione in capo alla P.A.;
- inoltre l’area dei signori Iannotta mostrerebbe caratteristiche tali (l’esternalità rispetto al centro abitato;la pendenza notevole;la prossimità alla zona di frana;la parziale ricomprensione in zona cimiteriale) da giustificare ampiamente - al di là della valutazione regionale di sovrastima dello sviluppo demografico, posta alla base delle prescrizioni di modifica della stesura originaria della variante e ritenuta non motivata dalla sentenza impugnata - la determinazione comunale di seguire le indicazioni regionali circa il ridimensionamento delle zone C di piano e la conseguente qualificazione delle aree in questione come zone agricole anziché come zone di espansione e tanto meno come zona B.
I signori Iannotta si costituivano in giudizio per resistere all’appello, argomentando nei termini che seguono:
- la delibera n. 28 del 1998 avrebbe formato oggetto di specifica impugnazione;la successiva delibera n. 49 del 1998 (che assumono peraltro non nota), di presa d’atto della definitiva approvazione dello strumento urbanistico, sarebbe estranea al procedimento, l’atto conclusivo del quale sarebbe costituito del ricordato decreto del Presidente della Regione n. 596 del 1998;
- correttamente la sentenza avrebbe ritenuto, nell’ambito proprio del giudizio di legittimità, illogica e manifestamente erronea la scelta urbanistica di assimilare l’area degli appellati alla zone agricole, poiché il presunto eccessivo dimensionamento delle cubature (alla luce della pretesa inaffidabilità delle previsioni di incremento demografico) non troverebbe riscontro nei dati e nelle argomentazioni fornite dalle Amministrazioni procedenti;
- le caratteristiche dell’area, oltre a essere riportate in modo non corretto, non sarebbero state mai addotte dalle Amministrazioni a ragione della decisione di classificare l’area stessa in zona agricola.
Proponevano inoltre appello incidentale sulla scorta dei due motivi rigettati in primo grado:
- ferma, in linea di principio, la discrezionalità dell’Amministrazione, la delibera comunale n. 28 del 1998 sarebbe stata illegittima per la contraddittorietà della scelta (riconduzione dell’area alla zona C) rispetto ai terreni viciniori, posto che l’area medesima - del tutto circondata da costruzioni - costituirebbe il logico completamento dello sviluppo edilizio della zona in cui è inserita;
- l’originario progetto di variante, sottoposto alla C.U.R., sarebbe stato sottodimensionato rispetto al fabbisogno abitativo assumendo un standard abitativo di 89 mc per abitante (100 mc quello minimo normativamente previsto;150 mc quello stimato idoneo per prassi);includendo nelle future costruzioni un certo numero di vani destinato a ridurre l’attuale affollamento, eccessivo rispetto agli standard minimi di legge;ricomprendendo in zona C anche volumi privi di incidenza sui volumi abitativi, per essere destinati ad attività complementari a quelle abitative.
La domanda cautelare del Comune era accolta dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con ordinanza 19 aprile 2005, n. 1946.
Successivamente le parti presentavano memorie, nelle quali ribadivano le argomentazioni già esposte.
Alla udienza pubblica del 24 aprile 2012 l’appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso originario - non formulata in primo grado, non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione comunale - è infondata.
Infatti la parte privata ha specificamente impugnato il ricordato decreto del Presidente regionale n. 596 del 1998 insieme con tutti gli atti del procedimento presupposti e consequenziali e segnatamente: la relativa delibera della Giunta regionale 16 ottobre 1998, n. 4937;il parere della C.U.R. in data 8 luglio 1998;le deliberazioni comunali n. 28 e n. 9 del 1998.
L’ulteriore delibera n. 49 del 1998, di semplice presa d’atto, è esterna al procedimento di adozione della variante e non di per sé produttiva di effetti. Pertanto non doveva essere oggetto di ricorso.
2. Nel merito, attraverso l’appello principale e quello incidentale il Collegio si trova investito di tutti e tre i motivi del ricorso di primo grado.
3. La sentenza impugnata ha accolto tale ricorso nel motivo in cui censurava la mancata motivazione della variante urbanistica, così come adottata all’esito della interlocuzione tra l’Amministrazione comunale e quella regionale. La proposta comunale presupponeva una determinata evoluzione demografica che la C.U.R. ha ritenuto sovrastimata. Non essendo riportate le ragioni di tale difforme valutazione, ne deriverebbe in parte qua – secondo il Tribunale regionale – l’illegittimità dell’atto conclusivo del procedimento.
4. Con fondatezza il Comune si duole di tale ragionamento.
L’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, stabilisce che “la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale”.
Discende da questa disposizione la regola operativa, più volte affermata dal Giudice amministrativo, secondo cui - in linea di principio - uno specifico onere motivazionale non sussiste per gli strumenti urbanistici generali, come quello di cui è causa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV. 14 ottobre 2005, n. 5716;Id., Sez. IV, 7 aprile 2008, n. 1476;Id., Sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5478;Id., Sez. IV, 30 dicembre 2008, n. 6600;Id., Sez. VI, 20 ottobre 2010, n. 7585;Id. Sez. IV 16 febbraio 2011, n. 1015).
L’esigenza di una più incisiva e singolare motivazione si dà solo in relazione a determinati profili:
- superamento degli standard minimi di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
- lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione;
- modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2005, n. 5716).
Nessuno di tali profili sussiste nella vicenda in questione (circa il rispetto degli standard previsti dal decreto ministeriale, si veda oltre sub 8).
5. Nel caso di specie, peraltro, una motivazione non mancava.
La C.U.R. ha ritenuto eccessiva la proposta comunale;il Comune ha parzialmente controdedotto;la Regione ha infine adottato la variante generale accettando tali osservazioni e proposte. In questa dialettica consiste la motivazione della decisione finale.
Ritenendo non esaustivo l’esito della istruttoria disposta, la sentenza impugnato ha accolto il motivo del ricorso. Ma, così facendo, ha in definitiva richiesto una sorta di “motivazione della motivazione”, con una interpretazione che, andando oltre il disposto del ricordato art. 3 della legge n. 241 del 1990 e l’applicazione giurisprudenziale relativa, non può essere condivisa.
6. Accolto l’appello del Comune, vanno esaminati i due motivi dell’appello incidentale proposto dalla parte private. Nessuno di essi è fondato.
7. Non ha pregio l’uno, perché è razionale e non censurabile la scelta dell’Amministrazione comunale – in sede di controdeduzioni – di inserire in zona C le aree che già ricadevano in zona di espansione secondo il previgente piano di fabbricazione, mentre l’area dei signori Iannotta era, secondo tale piano, inserito in zona agricola.
8. Neppure ha fondamento l’altro motivo dell’appello incidentale, relativo alla pretesa violazione che già l’originario progetto di variante avrebbe fatto dei parametri indicati dal decreto ministeriale n. 1444 del 1968.
A parte le ulteriori considerazioni svolte sotto il profilo di specie e ricordate in narrativa, che sono affermate e non dimostrate, è assorbente il rilievo che l’art. 3 del richiamato decreto ministeriale prescrive che a ogni abitante insediato o da insediare corrisponda una volumetria di 80 mc., eventualmente maggiorata di non più di 20 mc. Poiché la relazione tecnica su cui si basa l’originaria proposta comunale assume un indice pari a 89 mc. per abitante, non sussiste alcuna illegittimità di cui la parte privata possa dolersi.
9. In conclusione, l’appello principale del Comune va accolto. Deve essere respinto l’appello incidentale dei signori Iannotta.
Peraltro, apprezzate le circostanze, sussistono giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.