Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-06-03, n. 201303024

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-06-03, n. 201303024
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303024
Data del deposito : 3 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04178/2003 REG.RIC.

N. 03024/2013REG.PROV.COLL.

N. 04178/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4178 del 2003, proposto da:
F A, rappresentata e difesa dall'avvocato A D L, con domicilio eletto presso Eleonora Iacovoni in Roma, via degli Scipioni, n. 267/A;

contro

Comunedi Potenza, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati C M e B P d’Errico, con domicilio presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Basilicata, n. 539 del 18 luglio 2002.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del comune di Potenza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito per la parte appellante l’avvocato Di Lieto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso principale e successivo atto per motivi aggiunti proposti dinanzi al T.a.r. per la regione Basilicata la sig.ra Antonietta Foscolo invocava l’annullamento:

a) della determinazione del dirigente dell’unità di direzione “Qualità Urbana e Centro Storico” prot. 5141 del 23.4.2001, recante annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 13153 del 15.12.2000;

b) della delibera di Giunta municipale n. 269 del 27.3.2001;

c) del parere espresso in sede di conferenza di servizio del 10.4.2001 e di ogni altro a questi connesso;

d) dell’ordinanza del Sindaco di Potenza n. 38 del 15.5.2001;

e) della relazione tecnica redatta dal dirigente dell’unità di direzione “Urbanizzazioni e viabilità” del 10.5.2001.

Allo stesso tempo l’originaria avanzava domanda di risarcimento del danno causato dagli atti oggetto di impugnativa.

2. Il Tribunale amministrativo per la Basilicata con sentenza n. 539 del 2002, premettendo di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso - nella parte in cui è diretto contro il parere reso in sede di conferenza di servizio, la relazione tecnica del dirigente dell’unità di direzione “Urbanizzazioni e viabilità” e la delibera di G.M. n. 269 del 27.3.2001 - respingeva le azioni proposte dall’odierna appellante rilevando che:

a) la delibera di Giunta municipale n. 269 del 27.3.2001 costituisce manifestazione dei poteri di indirizzo e controllo ex art. 107, comma 1 T.U. enti locali e non è espressione di competenze interpretative del regolamento edilizio alla stessa non spettanti;
in quanto atto di indirizzo non comporta l’obbligo che la delibera in questione sia corredata dei pareri prescritti, di regola, per l’adozione di atti di competenza della giunta o del consiglio comunale;

b) il termine di 10 giorni concesso alla ricorrente nel procedimento di annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 13153 del 15.12.2000, per esternare la propria posizione non è incongruo, se rapportato al pericolo per l’incolumità pubblica rappresentato dall’avvenuta realizzazione del manufatto e non è stato percepito come tale dalla stessa ricorrente che nella memoria procedimentale prodotta non ha invocato un termine maggiore per contro dedurre;
né appare rilevante che la conferenza di servizi preordinata all’adozione dell’atto di autotutela si fosse già svolta, atteso che le osservazioni del privato devono essere valutate dall’autorità decidente, che ne ha in concreto tenuto conto;
inoltre, per assicurare una piena partecipazione del privato alla comunicazione di avvio del procedimento è stata allegata la delibera della Giunta municipale n. 269, che conteneva le ragioni della ritenuta illegittimità dell’autorizzazione edilizia precedentemente rilasciata all’interessata;

c) l’art. 14 del regolamento edilizio comunale impone che il manufatto in questione, in quanto opera stabile necessiti di concessione edilizia, ed allo stesso regime soggiace la rampa per portatori di handicap, che non può essere concettualmente, prima ancora che giuridicamente, separata dal progetto del manufatto assentito, del quale non può non condividere anche la disciplina autorizzatoria;
inoltre, non poteva essere sostituito al titolo edilizio rilasciato altro titolo edilizio per la sola rampa, in ragione dell’assenza di un’istanza in tale senso da parte dell’interessata e per il difetto di competenza a rilasciarlo da parte dell’organo procedente;

d) non può essere dichiarata la nullità del verbale di conferenza di servizi, sia perché contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente risulta sottoscritto da tutti i partecipanti, sia perché non vengono ulteriormente chiariti quali siano i vizi di nullità dai quali l’atto stesso sarebbe gravato;

e) la relazione tecnica richiamata nell’ordinanza contingibile ed urgente è elemento sufficiente per ritenere integrata la motivazione del provvedimento. Né risulta a carico dell’ordinanza extra ordinem un vizio funzionale, considerato che attraverso la sua adozione ben si può perseguire il fine di prevenire un danno all’incolumità pubblica;

f) non si ravvisa la volontà di perseguire, tramite l’ordinanza contingibile ed urgente, un fine diverso, né la stessa risulta viziata per il fatto che il parere tecnico non è stato chiesto al dirigente competente, in quanto il Sindaco, quando opera come ufficiale di governo, può servirsi dell’amministrazione comunale senza però sottostare ai limiti imposti dalla ripartizione delle competenze all’interno del Comune;
inoltre, il dirigente in questione era stato coinvolto nella precedente conferenza di servizi, avendo la titolarità dell’ufficio deputato alla viabilità;
né si ravvisa contraddittorietà tra i pareri espressi nel corso del tempo sulle istanze dell’interessata, giacché in passato la ricorrente aveva proposto la realizzazione di opere caratterizzate da diverse modalità costruttive e soprattutto sprovviste del requisito della stabilità;
allo stesso tempo non appare rilevante ai fini della declaratoria di illegittimità degli atti impugnati che solo una parte delle opere realizzate determinerebbe pericolo per l’incolumità pubblica, visto che si è in presenza di una costruzione unitaria;

g) non può validamente opporsi che l’ordinanza contingibile ed urgente deve fronteggiare un evento imprevisto ed imprevedibile e tale non sarebbe la realizzazione di un manufatto precedentemente assentito dallo stesso Comune, giacché la rappresentazione grafica degli elaborati progettuali non corrisponde all’opera realizzata che ne risulta difforme;

h) non si traduce in un vizio di legittimità la circostanza che il destinatario dell’ordinanza extra ordinem sia stato il dirigente dell’unità di direzione “Urbanizzazione e viabilità”, peraltro incompetente, perché in costanza di pericolo per l’incolumità pubblica, la ricorrente aveva già dimostrato di non voler ottemperare alla precedente ingiunzione di demolizione;
mentre è inammissibile, per carenza di interesse, nella parte in cui si denuncia che l’ufficio competente a procedere alla demolizione sarebbe l’unità di direzione “Edilizia” e che vi sarebbe contraddizione tra la parte dell’ordinanza in cui si individua il destinatario dell’ordine di demolizione e quella contenente l’avvertimento della responsabilità penale in caso di mancata ottemperanza: ciò in quanto è incontroverso che, alla data di proposizione dei motivi aggiunti, al provvedimento contingibile ed urgente era stata già data esecuzione mediante la demolizione del manufatto;

i) è, infine, infondata anche la censura di illegittimità derivata dell’ordinanza sindacale da quella della delibera di G.M. n. 269/2001 e della determinazione dirigenziale prot. n. 5141/2001, sia per l’assenza di un nesso di presupposizione, che per la riscontrata legittimità dei due provvedimenti. Dall’assenza di vizi di legittimità il primo Giudice faceva discendere il rigetto della richiesta di risarcimento del danno.

3. Con ricorso in appello notificato il 17 aprile 2003 l’originaria ricorrente insorgeva contro la sentenza del primo Giudice, denunciando:

a) la violazione del principio di partecipazione procedimentale, poiché la decisione oggetto dell’annullamento in autotutela era già stata presa dalla delibera della Giunta municipale n. 269 del 27.3.2001, rispetto alla quale la determinazione del dirigente dell’unità di direzione “Qualità Urbana e Centro Storico” prot. 5141 del 23.4.2001, recante annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 13153 del 15.12.2000, rappresenterebbe un mero atto esecutivo, privo di reale discrezionalità in violazione del dettato degli artt. 48 e 107 T.U. enti locali;

b) l’erroneità nella supposta necessità di un titolo edilizio concessorio per la realizzazione della rampa, in quanto una simile opera sarebbe sottoposta alla disciplina dell’art. 4, l. n. 493/1993, che richiede la semplice autorizzazione o la d.i.a., senza dire che lo stesso art. 5 del regolamento edilizio comunale sottopone a mera autorizzazione tipologie di opere caratterizzantesi per un ben maggiore impatto edilizio;

c) l’assenza del presupposto del pericolo per la pubblica incolumità, come desumibile dalla perizia giurata depositata in primo grado e dalla circostanza che precedenti manufatti, sia pure non stabili, avevano fruito senza alcun problema di autorizzazione, rilasciata a favore dell’odierna appellante. E comunque prima di disporre l’annullamento in autotutela l’amministrazione avrebbe dovuto proporre modifiche atte ad eliminare il supposto pericolo senza addivenire ad una determinazione che obbligasse la rimozione tout court dell’opera;

d) l’erronea individuazione del destinatario dell’ordinanza contingibile ed urgente che doveva essere indirizzata all’interessata e doveva essere preceduta da una verifica circa l’inottemperanza da parte della stessa alla precedente ordinanza ingiunzione a demolire.

L’appellante chiedeva, inoltre, il risarcimento del danno subito, enunciando quali voci dello stesso:

I) il costo del manufatto pari a 10.000,00 euro;
II) il danno morale pari a 30.000,00 euro;
III) il mancato utile pari a 50.000,00 euro.

4. Con memoria del 10 aprile 2013 l’amministrazione comunale ha chiesto che il Consiglio dichiari inammissibile l’appello, perché non individua criticità della sentenza, ma si limita a riproporre, in parte ampliandoli, vizi denunciati nei confronti dei provvedimenti oggetto di impugnazione con il ricorso di primo grado. Inoltre, fa presente che già il ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile nella parte in cui era rivolto all’impugnazione di atti endoprocedimentali (quali il parere della conferenza di servizio e la relazione tecnica del Dirigente dell’Unità di Direzione “Urbanizzazioni e Viabilità”). Infondate sarebbero le censure esposte in relazione all’art. 5 del regolamento edilizio comunale, che non è applicabile, perché concerne la manutenzione straordinaria, mentre l’art. 14 del regolamento edilizio comunale per l’opera realizzata dall’appellante richiede la concessione edilizia, quando le stesse permangano per più di sei mesi. Ancora la mancata rappresentazione dei prospetti laterali e frontali ha generato un equivoco, che non ha consentito di prevedere il pericolo per la pubblica incolumità rappresentato dalla riduzione di visibilità con peggioramento delle condizioni per la circolazione. Quanto, infine, al risarcimento del danno, oppone l’amministrazione comunale che l’appellante ha contribuito al suo aggravamento, non avanzando successive istanza di rilascio di autorizzazione secondo le modalità che nel passato gli erano state pacificamente assentite.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e merita di essere respinto.

La non condivisibilità delle doglianze spiegate dall’odierna appellante consente al Collegio di soprassedere all’esame delle eccezioni proposte dall’amministrazione comunale in termini di inammissibilità dell’appello tout court e di una parte delle censure in esso contenute.

2. Con un primo motivo di doglianza l’appellante lamenta l’avvenuta lesione dell’obbligo gravante sull’amministrazione comunale di consentire un’effettiva partecipazione del destinatario del provvedimento. Nella fattispecie, però, non si ravvisa alcuna lesione, giacché, come condivisibilmente sostenuto dal primo Giudice, va distinta la natura giuridica del potere esercitato dalla Giunta comunale con la delibera n. 269 del 27.3.2001, dalla natura giuridica del potere esercitato dal dirigente dell’unità di direzione “Qualità Urbana e Centro Storico” prot. 5141 del 23.4.2001, che ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 13153 del 15.12.2000. Nel primo caso, infatti, in omaggio al dettato degli artt. 48 e 107 comma 1, T.U. enti locali, si ravvisa l’esercizio di un potere di controllo dell’attività amministrativa. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione all'interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267/2000 (T.U. enti locali) esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione. Più in particolare, alla Giunta competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politico-amministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48-107 T.U. cit.), e per converso ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107, commi 3 e 6, T.U. cit.) (Cons. St., Sez. V, 7 aprile 2011, n. 2154, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.). Ne discende, da un lato, che è del tutto fisiologico che la Giunta municipale, verificata la presenza di una eventuale illegittimità dell’atto dirigenziale, esponga il suo avviso compulsando il dirigente competente ad intervenire mercé il potere di autotutela, che è a lui riservato in quanto titolare in materia del potere di amministrazione attiva;
dall’altro, che non spetta all’interessato alcuna facoltà di intervento nel procedimento che si conclude con l’adozione da parte della Giunta comunale dell’atto di indirizzo e controllo politico-amministrativo, che non è atto immediatamente lesivo delle ragioni dell’interessato, ma necessita della successiva adozione del provvedimento dirigenziale in autotutela che, ferma restando la correttezza delle ragioni espresse dalla Giunta, potrebbe non seguire a causa della necessità di far prevalere, ad esempio, l’affidamento del privato, dovendosi confrontare l’organo procedente con i limiti fissati dall’art. 21- nonies , l. n. 241/90;
ovvero a causa dei fatti o interessi che potrebbero emergere d’ufficio o su sollecitazione del privato in sede istruttoria. In definitiva non si ravvisa alcuna lesione del diritto alla partecipazione procedimentale effettiva a carico dell’appellante (cfr., in materia di annullamento di titoli edilizi, i principi sviluppati da Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).

3. Del tutto destituita di fondamento appare anche la seconda censura con la quale viene invocato il riconoscimento di un titolo edilizio minore per la realizzazione della rampa per disabili. Come correttamente rilevato dalla sentenza gravata, è impossibile separare concettualmente, oltre che giuridicamente, il manufatto in calcestruzzo dalla rampa, trattandosi di un’opera unitaria ed accedendo la rampa al manufatto, giacché quest’ultima perseguirebbe diversa finalità concreta senso senza la realizzazione del primo. Da qui l’impossibilità di invocare il regime previsto dall’art. 4, l. n. 493/1993, come quello dettato dall’art. 5 del regolamento edilizio comunale che potrebbe essere richiamato soltanto laddove la rampa accedesse ad un’opera già preventivamente assentita e realizzata e la necessità, al contrario, di fare riferimento alla disciplina prescritta dall’art. 14 del regolamento edilizio comunale in ragione del carattere di durevolezza dell’opera realizzata.

4. Anche la terza doglianza è priva di pregio: non appare, infatti, presentare alcun profilo di illogicità o travisamento dei fatti l’accertamento del pericolo per l’incolumità pubblica rappresentato dalla ridotta visibilità causata dal manufatto in questione. Infatti, l’assoluta imprevedibilità della situazione da affrontare non è un presupposto indefettibile per l’adozione delle ordinanze sindacali extra ordinem ex art. 54, comma 2, T.U. enti locali, che possono essere adottate per fronteggiare situazioni impreviste (Cons. St., Sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3490) e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari, al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana (Cons. St., Sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3490;
Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2003, n. 1371). Nel caso in esame la difformità tra la rappresentazione progettuale depositata a sostegno dell’istanza per ottenere il titolo edilizio ed il manufatto in concreto realizzato, rappresenta elemento che non ha consentito di prevedere il pericolo che l’opera avrebbe determinato e il cui sorgere, altrimenti, l’amministrazione avrebbe potuto impedire semplicemente denegando il titolo edilizio. Inoltre, proprio in ragione dell’urgenza dell’intervento di rimozione del motivo di pericolo per l’incolumità pubblica, appare legittimo l’operato dell’amministrazione che si è attivata senza compulsare ulteriormente il privato, che già aveva dimostrato in precedenza di non voler rimuovere l’opera, o di instaurare un ulteriore procedimento finalizzato a verificare se l’intervento edilizio potesse essere rimodellato. L’urgenza del pericolo ha legittimato le modalità di intervento immediato da parte dell’amministrazione (Cons. St., Sez. V, 15 febbraio 2010, n. 820), vertendosi in un procedimento nel quale il soddisfacimento dell’interesse pubblico, per la natura primaria che lo caratterizza, ben può essere massimizzato a scapito di quello privato anche in presenza di una mera situazione di pericolo che non si sia tradotta ancora in un danno (Cons. St., Sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6624).

5. Del pari infondata è la doglianza inerente il presunto obbligo gravante sul Sindaco di indirizzare l’ordinanza contingibile ed urgente all’odierna appellante per la sua esecuzione, soccorre sul punto il dettato del comma 7 dell’art. 54, T.U. enti locali, secondo il quale: “ Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 4 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui siano incorsi ”. Dal tenore della norma appare evidente che non vi è un obbligo di rivolgersi a persone determinate prima di provvedere d’ufficio all’esecuzione dell’ordinanza contingibile ed urgente, del resto prevedere un obbligo di questo tipo imporrebbe una dilazione dei tempi per l’esecuzione dell’ordinanza, rimettendo di fatto in ogni caso sul privato la scelta della tempistica circa la rimozione di un pericolo per l’incolumità pubblica, eventualità quest’ultima che evidentemente non può sempre essere consentita. L’attuale fattispecie rappresenta, al riguardo, un esempio di scuola: laddove il privato non ottemperi ad un precedente provvedimento avente lo stesso contenuto, ma differenti presupposti (l’ordine di demolizione impartito dal Dirigente dell’Unità di Direzione “Centro storico-Qualità urbana”), facendo così concretizzare quella situazione di pericolo che l’ordinanza contingibile ed urgente intende superare, non è esigibile che l’amministrazione, prima di eseguire l’atto finalizzato prevenire il danno all’incolumità pubblica, torni a richiedere che sia il privato ad occuparsene.

6. La riscontrata assenza di profili di illegittimità degli atti impugnati impone la reiezione della della domanda. .

7. Appare, pertanto, doveroso respingere il presente gravame.

8. Le spese del giudizio devono seguire la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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