Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-20, n. 201908653

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-20, n. 201908653
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908653
Data del deposito : 20 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/12/2019

N. 08653/2019REG.PROV.COLL.

N. 10469/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10469 del 2018, proposto da
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato F G, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

contro

Moreno Estate s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato M A S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10883/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 il Cons. F D M e uditi per le parti gli avvocati Sandulli Maria Alessandra, Graglia Federica;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Moreno Estate s.r.l. è proprietaria di 1042 immobili in Ostia lido, condotti in locazione dal Comune di Roma sin dal 1970 per la sistemazione alloggiativa di famiglie senza tetto;
l’ultimo contratto di locazione, datato 1°ottobre 2001 e registrato il 18 marzo 2002, della durata di sei anni rinnovabili per ulteriori sei, è venuto a scadenza il 31 dicembre 2012.

1.1. Con intimazione di licenza per finita locazione Moreno Estate s.r.l. diffidava il Comune di Roma a rilasciare il compendio immobiliare alla scadenza contrattuale, con contestuale citazione per convalida dinanzi al Tribunale di Roma.

Con ordinanza 28 giugno 2012, il Tribunale di Roma, sez. dist. di Ostia, disponeva il rilascio dell’immobile alla data del 10 maggio 2013 e il mutamento del rito ai sensi dell’art. 667 Cod. proc. civ.

Il giudizio civile era concluso dalla sentenza del Tribunale di Roma (competente per l’intervenuta soppressione della sede distaccata di Ostia), sez. VI, 25 novembre 2013, n. 24481, di accoglimento della domanda di convalida della licenza per finita locazione, con conseguente conferma del provvedimento (di rilascio) già assunto nella fase sommaria.

1.2. Trovandosi nella difficoltà di reperire nuovi alloggi per la sistemazione delle famiglie collocate nel compendio immobiliare, il 2 maggio 2013 il Comune di Roma proponeva alla società proprietaria la stipulazione di nuovo contratto di locazione per un canone determinato sulla base di perizia di stima redatta dall’ing. Maola.

La società accettava la proposta e con determinazione del dirigente del Dipartimento patrimonio 7 maggio 2013 il Comune di Roma autorizzava la stipulazione.

La Ragioneria generale del Comune, tuttavia, negava il proprio visto, per essere le condizioni economiche previste non coerenti con gli obiettivi generali di contenimento della spesa pubblica e con quelli comunale di risparmio sulle locazioni passive, e, comunque, per l’assenza, nel progetto di bilancio per gli anni 2013 e 2014, della “ necessaria copertura finanziaria ”. Il contratto di locazione non veniva stipulato.

2. Moreno Estate s.r.l. proponeva, allora, due giudizi.

Con ricorso ex art. 447 – bis Cod. proc. civ. al Tribunale di Roma, notificato il 9 ottobre 2014, domandava la condanna del Comune di Roma al risarcimento del danno per ritardato rilascio degli immobili ai sensi dell’art. 1591 Cod. civ. quantificato in almeno € 960.000,00 mensili per ogni mese di ritardo.

La ricorrente allegava che, nonostante le lunghe trattative intercorse nel 2013 e nel 2014, l’amministrazione comunale non aveva dimostrato un reale interesse a definire la situazione in tempi brevi e che, intanto, continuava ad occupare gli immobili corrispondendole a titolo di indennità di occupazione il canone previsto dal contratto di locazione ormai scaduto (pari ad € 4.246.842,24 annui).

Tale indennità, precisava la ricorrente, era del tutto inadeguata rispetto ai valori di mercato del compendio immobiliare, donde la conclusione che la ritardata consegna da parte del Comune produceva un danno quantificato nei termini descritti, che doveva esserle risarcito.

2.1. Con ricorso per ottemperanza ex art. 112 Cod. proc. amm. al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, notificato il 30 giugno 2017, Moreno Estate s.r.l. domandava che fosse data esecuzione alla sentenza del Tribunale di Roma 25 novembre 2013, n. 24481, mediante ordine di rilascio degli immobili con contestuale nomina del commissario ad acta, in caso di perdurante inerzia dell’amministrazione.

Era, altresì, proposta domanda di condanna di Roma Capitale al risarcimento del danno subito a causa dell’inottemperanza al giudicato nella misura che il Tribunale dovesse ritenere di stabilire “ tenuto conto che la ricorrente ha, come detto, già agito dinanzi al Tribunale civile di Roma ex art. 1591 c.c. ”.

La ricorrente domandava, infine, condanna dell’amministrazione al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e) Cod. proc. amm..

2.2. Il giudizio civile era concluso dalla sentenza 14 settembre 2017, n. 17487, che:

- dato atto dell’esistenza di un maggior danno subito da Moreno Estate s.r.l. (rispetto all’entità dell’indennità di occupazione corrisposta annualmente da Roma Capitale), sia in applicazione del principio di non contestazione ex art. 115 Cod. proc. civ., per essersi Roma Capitale limitata a contestare la quantificazione dello stesso, e non l’ an , e, comunque, per le proposte di stipulazione di nuovo contratto di locazione provenienti dalla stessa amministrazione a canone maggiorato;

- ritenuto di dover disporre il risarcimento del maggior danno a partire dal 1 gennaio 2013, data in cui il complesso immobiliare sarebbe dovuto essere restituito da Roma Capitale e fino al 14 settembre 2017, data di pubblicazione della sentenza, non ritenendo ragionevole e fondata la previsione di danno futuro potendo Roma Capitale rilasciare gli immobili in qualsiasi momento successivo alla pubblicazione della sentenza;

disponeva condanna di Roma Capitale al risarcimento del danno quantificato, sulla base di consulenza tecnica d’ufficio, in € 18.332.903,46 oltre al pagamento degli interessi nella misura legale su detta somma dalla data di pubblicazione della sentenza e fino all’effettivo pagamento.

2.3. Nel giudizio d’ottemperanza era emessa sentenza non definitiva, sez. II. 27 febbraio 2018, n. 2184, di accoglimento della domanda di esecuzione del giudicato, con conseguente ordine all’amministrazione comunale di provvedere al rilascio degli immobili nel termine di trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, alla notificazione, con nomina di commissario ad acta, nella persona del Prefetto di Roma, per il caso di perdurante inottemperanza oltre il termine.

Per la decisione della domanda risarcitoria, era richiesto il deposito a carico della parte ricorrente della copia della sentenza del Tribunale civile di Roma n. 17487 del 2017 e del ricorso introduttivo del giudizio, nonché, con successiva ordinanza istruttoria del 18 aprile 2018, n. 5407, della copia conforme all’originale della relazione del consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio civile.

Era, invece, respinta la domanda di condanna proposta ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e) Cod. proc. amm..

2.4. Il giudizio era, infine, concluso dalla sentenza, sez. II, 12 novembre 2018, n. 10883, di accoglimento della domanda risarcitoria proposta e condanna di Roma Capitale al pagamento della somma di € 3.276.955,16 per il periodo dal 2017 – 2018, quantificato sulla base degli stessi criteri utilizzati dal consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio civile.

Preliminarmente, il giudice di primo grado definiva l’oggetto del giudizio: siccome la sentenza del Tribunale civile di Roma n. 17487 del 2017 aveva accertato il diritto al risarcimento del danno fino alla data del 14 settembre 2017, era preclusa la conoscenza di qualsivoglia profilo di pregiudizio subito dalla ricorrente fino alla suddetta data, pena la duplicazione degli strumenti processuali di tutela, per il noto principio per cui electa una via, non datur recursus ad alteram .

Oggetto del giudizio, pertanto, poteva essere solamente l’accertamento dell’ulteriore danno risarcibile per effetto dell’inottemperanza al giudicato maturato a decorrere dal 15 settembre 2017.

Così definito l’oggetto del giudizio, il giudice di primo grado riteneva effettivamente sussistente il danno lamentato dalla ricorrente poiché Roma Capitale continuava ad occupare senza titolo il complesso immobiliare, anche dopo la pubblicazione della sentenza non definitiva, e, d’altra parte, era condivisibile quanto affermato dal Tribunale civile di Roma nella sentenza del 2017, sulla scorta della disposta consulenza tecnica d’ufficio, circa il maggior valore locatizio del complesso immobiliare rispetto all’importo versato dall’amministrazione comunale a titolo di indennità di occupazione.

Quanto al dies ad quem del risarcimento il giudice, per la rilavata perdurante inottemperanza di Roma Capitale, decideva di assegnare un termine inderogabile di novanta giorni al commissario ad acta già nominato per provvedere al rilascio del complesso immobiliare e in quella data fissava il termine ultimo per la quantificazione del risarcimento, poiché, da quel momento in poi, il bene sarebbe tornato nella disponibilità della società.

Sull’importo individuato erano dovuti gli interessi compensativi (determinati in via equitativa, assumendo come parametro il tasso di interesse legale), volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno, con dies a quo individuato nel momento in cui la spettanza delle somme sarebbe maturata in base alla scadenza del contratto di locazione intanto cessato.

3. Propone appello Roma Capitale;
si è costituita in giudizio Moreno Estate s.r.l. che ha presentato memoria. All’udienza camerale del 19 settembre 2019 la causa è stata assunta in decisione.

4. Preliminarmente va esaminato il terzo motivo d’appello con il quale la sentenza di primo grado è contestata per “ Conflitto di giurisdizione. Violazione del principio del ne bis in idem. La domanda di risarcimento per analoga causa petendi è oggetto di un appello incidentale, nonché di una domanda introdotta ex novo ”;
sostiene l’appellante che il giudice dell’ottemperanza non poteva pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del c.d. danno futuro – per tale intendendosi il danno subito da Moreno Estate s.r.l. dal momento di pubblicazione della sentenza civile al momento dell’effettivo rilascio dell’immobile – poiché la stessa era già stata esaminata dal giudice civile nella sentenza 17487 del 2017 e da questi respinta (sebbene, poi, riproposta con appello incidentale dalla società dinanzi alla Corte d’appello di Roma chiamata a riformare la sentenza dall’appello di Roma Capitale).

Fa valere, pertanto, l’appellante il giudicato c.d. esterno formatosi sulla pronuncia del giudice civile.

Nel medesimo motivo, poi, è proposta eccezione di litispendenza ex art. 39 Cod. proc. civ. anche in relazione ad altro giudizio istaurato dinanzi al Tribunale civile di Roma dalla Moreno Estate s.r.l., con atto di citazione notificato il 13 settembre 2019 per la condanna di Roma Capitale e del Ministero di Giustizia al pagamento della somma di € 20.000.000,00 a titolo di risarcimento del danno derivante dalla mancata restituzione degli immobili e dalla omessa manutenzione degli stessi.

4.1. Il motivo è infondato.

Con il motivo di appello proposto, al di là delle espressioni utilizzate – improprio essendo il riferimento al giudicato c.d. esterno considerato che avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 17487 del 2017 pende giudizio di appello – l’appellante chiede di valutare quale sia il rapporto tra i due giudizi proposti da Moreno Estate s.r.l. e invita alla conclusione dell’identità degli stessi, con conseguente impossibilità per il giudice dell’ottemperanza a poter pronunciare sulla pretesa risarcitoria formulata dalla società per essere la stessa già conosciuta dal giudice ordinario.

4.2. Due giudizi sono identici se ricorre identità degli elementi soggettivi ed oggettivi delle domande proposte in ciascuno di essi;
va, dunque, accertata, oltre alla identità delle parti tra le quali si svolge la controversia, quale sia il bene della vita per il quale si richiede tutela (il petitum ) e il fatto costitutivo della domanda proposta (la causa petendi ) (cfr. Cass. civ., Sez. VI – 3, 12 febbraio 2018, n. 3306;
Sez. Unite, 31 luglio 2014, n. 17443;
sez. lav., 25 luglio 2011, n. 16199, III, 19 gennaio 2001, n. 792).

Tuttavia, anche a voler riconoscere nel caso di specie l’identità dei giudizio, occorre tener conto che la giurisprudenza ha in più occasioni affermato che nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale, anche in presenza di cause identiche, non ricorre una situazione di litispendenza, quanto, piuttosto, una questione di giurisdizione, dovendo accertarsi quale dei due giudici sia competente a conoscere la controversia (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 febbraio 2015, n. 806;
V 27 luglio 2014, n. 2742;
IV, 7 gennaio 2013, n. 22;
Cass. civ., sez. V, 30 luglio 2007, n. 16834).

In ultima analisi, pertanto, la questione proposta dall’odierna appellata è una questione di giurisdizione ed essa non può che essere risolta nel senso di ammettere la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 114, comma 3, Cod. proc. amm. a mente del quale può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di risarcimento dei danni connessi, oltre che all’impossibilità, anche alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale del giudicato.

Moreno Estate s.r.l., infatti, ha proposto proprio domanda di risarcimento del danno conseguente alla mancata esecuzione in forma specifica dell’ordine di rilascio del complesso immobiliare contenuto nella sentenza del Tribunale civile di Roma 25 novembre 2013, n. 24481, per aver l’amministrazione continuato ad occupare l’immobile corrispondendole un’indennità di occupazione quantificata sul canone di locazione dovuto in base al contratto di locazione ormai terminato.

4.3. Parametrando il risarcimento dovuto al pregiudizio subito nel periodo di tempo tra la pubblicazione della sentenza del Tribunale civile di Roma n. 17487 del 2017 e il termine ultimo riconosciuto al commissario ad acta per disporre la riconsegna dell’immobile alla società proprietaria, il giudice di primo grado ha, di fatto, ridotto la somma dovuta dall’amministrazione quale risarcimento per mancata esecuzione del giudicato alla differenza tra l’ammontare del danno complessivamente subito e quanto già liquidato dal giudice ordinario, così, in sostanza, in applicazione del principio del divieto di cumulo tra somme dovute in base a titoli diversi ma dirette a reintegrare la medesima sfera giuridica (dettato da Cons. Stato, Ad. plen., 23 febbraio 2018, n. 1 per la quale: “ Sul piano della struttura degli illeciti, la presenza di una condotta unica responsabile che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del medesimo bene giuridico, in capo allo stesso soggetto determina la nascita di rapporti obbligatori sostanzialmente unitari che giustifica l’attribuzione di una, altrettanto unitaria, prestazione patrimoniale finalizzata a reintegrare la sfera personale della parte lesa ”, nonché Cass. civ., Sez. Unite, 22 maggio 2018, n. 12567).

La domanda proposta da Moreno Estate s.r.l. dinanzi al giudice civile, infatti, aveva titolo nell’art. 1591 Cod. civ., come dichiarato sin dal ricorso introduttivo del giudizio d’ottemperanza e la sentenza che ha pronunciato la condanna immediatamente esecutiva.

4.4. Quanto al rapporto con l’ulteriore giudizio che l’appellante assume introdotto con atto di citazione del 13 settembre 2019 dinanzi al Tribunale di Roma – ferma la mancata produzione di documentazione utile a comprendere il contenuto della domanda ivi articolata, per essersi limitata l’appellante ad allegare tale circostanza di fatto – vale quanto in precedenza affermato in ordine alla possibilità per il solo giudice ordinario di accertare l’eventuale litispendenza tra i giudizi proposti dinanzi al medesimo plesso giudiziario dalla Moreno Estate s.r.l., pur se pendenti in grado diverso (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 12 dicembre 2013, n. 27846).

5. Può essere, a questo punto, esaminata la censura contenuta nel secondo motivo di appello, rubricato “ Illegittimità della sentenza nella parte in cui pone a fondamento della decisione una sentenza non passata in giudicato ed oggetto di impugnazione. Motivazione insufficiente e contraddittoria. Eccesso di potere ”;
Roma Capitale si duole che il giudice dell’ottemperanza abbia posto a fondamento della sua decisione il contenuto della sentenza del Tribunale di Roma n. 17487 del 2017, ed in particolar modo della consulenza tecnica ivi disposta, sebbene oggetto di impugnazione anche in relazione alla quantificazione del danno operata dal consulente tecnico.

Allega, infatti, l’appellante di aver articolato specifiche censure alla consulenza tecnica nell’ambito dell’appello proposto alla Corte d’appello di Roma;
censure che non avrebbe potuto proporre in sede di ottemperanza, trattandosi di consulenza disposta da altra autorità giudiziaria in distinto giudizio.

5.1. Le critiche esposte non meritano condivisione;
è principio consolidato nella giurisprudenza civile che rientra nei poteri del giudice in tema di disponibilità e valutazione delle prove anche quello di fondare il proprio convincimento su accertamenti compiuti in altri giudizi fra le stesse od anche fra altre parti, quando i risultati siano acquisiti nel giudizio della cui cognizione egli è investito, poiché le parti che vi hanno interesse possono sempre contestare quelle risultanze ovvero allegare prove contrarie (cfr. Cass. civ., sez. lav., 3 aprile 2017, n. 8603;
III. 4 marzo 2002, n. 3102;
II, 30 maggio 1996, n. 5013).

Non v’è dubbio che detto principio possa trovare applicazione anche nel processo amministrativo considerato che il giudice amministrativo dispone dei medesimi poteri in punto di disponibilità e valutazione delle prove riconosciuti al giudice ordinario.

5.2. Il giudice di primo grado, pertanto, ben poteva trarre convincimento sull’entità del danno subito dalla ricorrente per causa del mancato tempestivo rilascio dell’immobile dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice civile, e Roma Capitale era nella piena facoltà di contestarne gli esiti, tanto più che l’ordinanza istruttoria del 18 aprile 2018, n. 5407, con la quale era chiesto il deposito di copia conforme all’originale della consulenza tecnica, ben poteva porre la parte sull’avviso che il giudice l’avrebbe considerata decisiva ai fini della decisione.

Va aggiunto che non v’è nell’atto di appello specifica censura diretta a contestare l’esistenza di un danno risarcibile di maggiore entità rispetto all’indennità di occupazione annualmente corrisposta, come già avvenuto in primo grado, secondo quanto affermato nella sentenza impugnata (al par. 17: “… Roma Capitale non ha specificamente contestato che la ricorrente abbia subito un danno maggiore rispetto all’importo versato a titolo di indennizzo, in misura pari al canone del contratto di locazione scaduto ”), e non smentito da parte appellante.

5.3. Quali che siano gli esiti del giudizio civile – e, dunque, anche se, per ipotesi dovesse essere accolto l’appello principale di Roma Capitale e respinta la domanda risarcitoria – nessuna conseguenza potrà aversi sulla pronuncia emessa nella presente sede di ottemperanza, considerato l’autonomo convincimento raggiunto sul diritto al risarcimento del danno derivante dall’inottemperanza al giudicato, sia pure quantificato mediante l’utilizzo di consulenza tecnica d’ufficio espletata in altro giudizio.

5.4. Le esposte considerazioni portano a respingere anche il primo motivo di appello, rubricato “ Infondatezza della sentenza nel punto in cui accoglie la generica e non provata domanda di risarcimento ”, in cui, dopo richiami di giurisprudenza, Roma Capitale rivolge una secca censura alla sentenza di primo grado, di aver pronunciato condanna al risarcimento del danno sebbene la prova del danno fosse stata fornita in maniera generica.

6. Il quarto motivo di appello con il quale è contestata la sentenza di primo grado per “ Violazione di legge – violazione del contenuto dell’art. 114 cpa ” è inammissibile poiché non v’è esposta alcuna critica alla sentenza impugnata e il riferimento all’ astreintes prevista dal quarto comma lett. e) dell’art. 114 Cod. proc. amm. è del tutto inconferente non essendo stata disposta condanna al pagamento di dette somme in sentenza.

7. Con ultimo motivo di appello Roma Capitale contesta la sentenza di primo grado per “ Violazione di legge sotto un altro profilo – Errata individuazione del dies ad quem ”;
evidenzia l’appellante la contraddittorietà della sentenza per aver, da un lato, riconosciuto al commissario ad acta già nominato ulteriori novanta giorni per attuare le misure necessarie al rilascio dell’immobile, e, dall’altro, di aver compreso nel dies ad quem del risarcimento anche gli stessi giorni assegnati al commissario ad acta .

In questo modo, sostiene l’appellante, è fatto ricadere su di sè la mancata esecuzione della sentenza, imputabile, questa volta, all’attività svolta dal commissario ad acta , poiché, se è vero che anche dopo la nomina del commissario ad acta l’amministrazione rimane titolare del potere di provvedere, è anche vero che, con la redazione del verbale di insediamento del commissario nelle funzioni amministrative, si verifica un definitivo trasferimento di poteri, con preclusione per l’amministrazione di ogni ulteriore margine di intervento.

7.1. Il motivo è infondato.

Il fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno è l’inottemperanza di Roma Capitale al giudicato di rilascio dell’immobile;
si tratta, cioè, di un illecito permanente che perdura fino a quando il compendio immobiliare non ritorna nella piena disponibilità del proprietario.

L’attività del commissario ad acta non inserisce in detta sequenza causale, per essere, invece, attività esecutiva dell’obbligo rimasto inadempiuto.

Ne deriva che il pregiudizio subito dal proprietario nel tempo che il giudice ha riconosciuto al commissario ad acta per attuare le misure necessarie alla restituzione dell’immobile non può che essere posto a carico dell’amministrazione che, con la propria condotta inottemperante, ha reso necessaria la nomina del commissario stesso.

7.2. Non può, dunque, trovare applicazione la regola per la quale il giudice amministrativo non può condannare al pagamento dell’ astreintes nel caso di nomina del commissario ad acta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 novembre 2018, n. 6724 e i precedenti ivi citati), poiché, nel caso di specie, non si tratta di disporre una misura coercitiva all’adempimento, ma di compensare la parte vittoriosa del pregiudizio subito per la mancata attuazione del dictum giudiziale, di cui non potrà che farsi carico integralmente l’amministrazione inadempiente.

8. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado integralmente confermata.

9. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di lite del presente grado del giudizio.

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