Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-01-16, n. 201400136

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-01-16, n. 201400136
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201400136
Data del deposito : 16 gennaio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00722/2012 REG.RIC.

N. 00136/2014REG.PROV.COLL.

N. 00722/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 722 del 2012, proposto da:
G I, D L, M A, G B, A C, A C, R G P, D C, V G, A E G, S G, A M P, S P, L P, A M, E F, A I, S S, C C, S S, S L M, F B, E T, P S, R M, rappresentati e difesi dagli avv. M M, S V, con domicilio eletto presso S V in Roma, piazza della Libertà, 20;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Maria Concetta Alduino, Nicolo' Camarda, non costituiti;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 05675/2011, resa tra le parti, concernente revoca selezione interna per il passaggio all'area C posizione economica C1 (risarcimento danni).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2013 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’Avv. Marco Orlando su delega dell'avvocato S V e l'Avvocato dello Stato Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con decreto n. 13302 dell’11 luglio 2001, il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento delle politiche fiscali, ha indetto una procedura di selezione interna per il passaggio nell’area C, posizione economica C1, per complessivi 715 posti riservati ai dipendenti collocati nell’area B, posizioni economiche B1, B2 e B3.

Il bando ha provveduto immediatamente alla ripartizione su base regionale di un certo numero di unità (indicate alternativamente, negli atti di causa, come 326, 328 o 348), rinviando la ripartizione dei posti residui, secondo il criterio delle vacanze, a un momento successivo.

Gi odierni appellanti, in origine non collocatisi in posizione utile nella graduatoria formata sulla base dei titoli, hanno chiesto all’Amministrazione di procedere alla ripartizione dei posti residui e all’avviamento dei candidati ai percorsi formativi. Hanno quindi impugnato i provvedimenti in data 26 luglio 2007, con cui l’Amministrazione ha respinto le loro istanze.

Con sentenza 29 luglio 2009, n. 7693, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II, ha accolto il ricorso.

Passata in giudicato tale sentenza, dopo avere diffidato, senza esito, l’Amministrazione a procedere alla ripartizione su base regionale dei residui 367 posti, hanno adito il T.A.R. per l’esecuzione della sentenza sopra ricordata.

Nel giudizio così instaurato, l’Amministrazione ha depositato copia del decreto n. 62689 del 27 luglio 2010, con il quale ha disposto la revoca della procedura selettiva limitatamente al riparto dei 367 posti non ancora assegnati.

Contro tale provvedimento gli odierni appellanti hanno prodotto motivi aggiunti, deducendone la nullità per elusione del giudicato, e autonomo ricorso innanzi al Tribunale regionale.

Con sentenza 27 giugno 2011, n. 5675, il T.A.R. per il Lazio, sez. II, riuniti i ricorsi, li ha respinti, ritenendo legittimamente esercitato il potere di revoca, anche alla luce dei successivi atti normativi che hanno ridotto il personale pubblico e istituito il ruolo unico del personale del Ministero dell’economia e delle finanze con la conseguente soppressione del Dipartimento delle politiche fiscali, ai dipendenti del quale era dedicata la procedura in questione.

Il signor G I e altri dipendenti hanno interposto appello contro la sentenza. Essi censurano il provvedimento di revoca perché non sarebbe sostenuto dallo svolgimento di una puntuale istruttoria circa la perdurante sussistenza di vacanze nella posizione C1 e non motiverebbe circa le ragioni per cui il mutato assetto amministrativo dell’Amministrazione finanziaria non consentirebbe di portare a termine la procedura selettiva.

Il giudizio sulla legittimità dell’esercizio dello ius poenitendi, attuato in pendenza di giudizio di ottemperanza, non avrebbe potuto prescindere dalla valutazione dei vincoli derivanti dal giudicato, con riguardo alle ragioni poste a fondamento del gravame. I chiarimenti offerti dall’Amministrazione in primo grado – a seguito della sentenza interlocutoria n. 4397 del 2009 – ritenuti insufficienti dal T.A.R. nella sentenza n. 7693 del 2009, già avrebbero scontato le riduzioni organiche e l’istituzione del ruolo unico del personale del M.E.F. L’unico dato nuovo sopravvenuto (l’ulteriore riduzione percentuale della spese per il personale non dipendente operata con l’art. 2 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni nelle legge 26 febbraio 2010, n. 25) non sarebbe definitivo, perché l’Amministrazione non ne avrebbe dimostrato la concreta incidenza sulla dotazione di personale in posizione C1. Neppure la normativa di legge ulteriormente sopravvenuta (art. 2 del decreto-legge 25 marzo 2009 - recte: 2010 -, n. 40, convertito con modificazioni nella legge 22 maggio 2010, n. 73;
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122) deporrebbe nel senso di una contrazione ulteriore delle dotazioni organiche. Essendo accertata la disponibilità di posti nella posizione C1, la legittimità della revoca della procedura selettiva non potrebbe sostenersi sulla sola enunciazione di indimostrate e imperscrutabili ragioni di opportunità, che, senza una chiara esternazione dell’interesse pubblico, alla cura del quale l’atto dovrebbe essere orientato, null’altro sarebbe se non una mera clausola di stile.

A conferma della tesi circa la disponibilità di posti nelle dotazioni organiche di C1, gli appellanti citano poi le vicende successive a decisioni del Giudice amministrativo in cui l’Amministrazione, pur procedendo alla stipulazione del contratto con i ricorrenti vincitori, non avrebbe risolto il contratto con i dipendenti soccombenti, confermandoli nella loro posizione. Tale circostanza non solo dimostrerebbe la sussistenza di ulteriori vacanze organiche, ma anche smentirebbe l’assunto per cui la riorganizzazione del Ministero e l’istituzione del ruolo unico avrebbero impedito di portare a termine la procedura selettiva.

Gli appellanti chiedono, in conclusione, l’annullamento degli atti impugnati e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, da liquidarsi in ragione della – totale o parziale – differenza retributiva, anche a titolo di perdita di chance, insieme con gli accessori.

Il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito in giudizio per resistere all’appello, evocando l’art. 21 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e sostenendo che - nel caso di specie - il decreto di revoca impugnato sarebbe adeguatamente motivato sia in diritto (a seguito del radicale cambiamento del quadro normativo), che in fatto. A questo proposito, oltre alle note riduzioni organiche, l’Amministrazione richiama i successivi mutamenti dell’assetto del M.E.F., che avrebbero comportato l’unificazione in ruolo unico del personale in origine suddiviso in due ruoli distinti (personale del D.P.F. e personale in servizio presso gli altri dipartimenti), cosicché la conclusione della procedura, nei termini in cui fu bandita nel 2001, non corrisponderebbe più a ragioni di pubblico interesse, dovendosi ormai dare rilievo, piuttosto, alle esigenze di tutto il Ministero e non di una sola porzione di esso.

Il Ministero resistente cita anche l’art. 24 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, il quale, nel dare seguito alle indicazioni espresse dalla Corte costituzionale, prescrive il concorso pubblico - a decorrere dal 1° gennaio 2010 - per la copertura dei posti che si rendano disponibili nelle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche, limitandosi ad attribuire una riserva di posti al personale interno. Ne deriverebbe l’illegittimità della procedura interna di progressione verticale.

Per altro verso, la revoca si giustificherebbe alla luce delle norme che avrebbero disposto una drastica riduzione delle spese per l’assunzione di nuovo personale (la procedura all’interno delle aree andrebbe equiparata ad assunzione) e che legittimerebbero l’Amministrazione a effettuare nuove scelte in ordine all’utilizzazione delle limitate risorse disponibili. In definitiva, la situazione presente – considerato il quadro normativo più recente, la prevedibile tendenza della politica legislativa, il contesto organizzativo attuale – sarebbe radicalmente diversa da quello del 2001, anno in cui la procedura controversa fu avviata.

Gli appellanti non potrebbero poi invocare la stabilizzazione dei dipendenti ex B3, espunti dall’originaria graduatoria dei vincitori, perché alla base della decisione dell’Amministrazione, in quel caso, vi sarebbe stata non la volontà di reclutare nuovo personale, ma l’esigenza di tutelare l’affidamento di dipendenti che per quasi due anni avrebbero svolto mansioni corrispondenti alla qualifica C1.

Su queste premesse, l’Amministrazione avrebbe agito correttamente in via di autotutela, revocando il bando di concorso. Non vi sarebbe elusione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 7693 del 2009, che, annullando il diniego di procedere alla ripartizione dei posti residui, avrebbe avuto oggetto diverso, e comunque avrebbe espressamente fatta salva per l’Amministrazione la possibilità di esercitare poteri di autotutela. A tale riguardo, la parte pubblica considera irrilevante la preesistenza di parte della normativa richiamata dal decreto di revoca, (su cui invece insiste l’appello), posto che la valutazione dell’opportunità di provvedere o no all’espletamento del concorso, in funzione dell’interesse pubblico, sarebbe stata effettuata in un momento successivo, anche alla luce degli ulteriori interventi legislativi, che avrebbero completato il quadro normativo di riferimento.

In data 26 marzo 2013, dato atto che la causa era stata fissata erroneamente in camera di consiglio, ne è stato disposto il rinvio alla pubblica udienza.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2013, l’appello è stato chiamato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Gli attuali appellanti chiedono di avvalersi della procedura selettiva interna bandita dall’Amministrazione finanziaria nel 2001, secondo i termini più dettagliatamente esposti in narrativa.

Nell’accogliere un loro precedente ricorso, il T.A.R. per il Lazio aveva espressamente fatto salvo l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, dei poteri di autotutela (sentenza n. 7693 del 2009).

In data 27 luglio 2010, l’Amministrazione ha disposto la revoca del bando (limitatamente all’assegnazione dei 367 posti residuali di cui ora si discute), adottando un provvedimento di cui gli appellanti contestano la legittimità.

2. L’appello non è fondato.

La revoca del bando, infatti, si giustifica alla luce del radicale mutamento della situazione di fatto e del quadro di diritto nell’Amministrazione finanziaria, verificatosi dal 2001 a oggi e ampiamente descritto nelle memorie dell’Avvocatura, che legittimamente l’Amministrazione ha ritenuto di dover prendere in considerazione, alla luce dell’interesse pubblico.

3. Ritiene anzi il Collegio che, con riguardo agli artt. 24 e 62 del decreto legislativo n. 150 del 2009, citato, la revoca, invece che discrezionale, si configuri piuttosto come atto dovuto.

L’art. 24, comma 1, del decreto legislativo dispone che “ai sensi dell’art. 52, comma 1 bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come introdotto dall’articolo 62 del presente decreto, le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1° gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni”.

Il successivo art. 62 del medesimo decreto legislativo, nel modificare l’art. 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001, introduce il comma 1 bis, in base al quale “le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso”.

4. Investita della questione, l’Adunanza generale del Consiglio di Stato (parere n. 04625/2012 del 6 novembre 2012, espresso sull’affare 05099/2011) ha ritenuto che:

• le predette disposizioni allineano la normativa in materia di progressioni di carriera ai principi già desumibili dall’ordinamento e acquisiti in una copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 7 e n. 108 del 2011, n. 159 del 2005, n. 34 del 2004, n. 218 e n. 194 del 2002, n. 1 del 1999), che ha ricondotto anche l’accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a funzioni più elevate - al pari dell’assunzione - alla regola del concorso pubblico, riconosciuta, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione, come forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, escludendo la ragionevolezza di norme che permettano selezioni interne per la copertura dei posti vacanti;

• in un sistema che non prevede carriere (o le prevede entro ristretti limiti), anche il passaggio a una fascia funzionale superiore deve essere considerata come una forma di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso che, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione, è il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità, idoneo a garantire la verifica attitudinale del candidato e funzionale al miglior rendimento della pubblica amministrazione;

• il ricorso al concorso interno nel passaggio da un livello all’altro produce una distorsione che contraddice l’avvenuto superamento da parte dell’ordinamento del modello delle carriere e si riflette negativamente anche sul buon andamento dell’amministrazione;

• la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. ad es. ss. uu., 24 maggio 2006, n. 12221, 19 febbraio 2007, n. 3717, 9 febbraio 2009, n. 3051) e quella del Consiglio di Stato (cfr. ad es. sez. IV, 20 novembre 2006, n. 6736;
sez. V, 16 luglio 2007, n. 4030;
sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2619;
Ad. plen., 28 maggio 2012, n. 17) hanno abbandonato la nozione restrittiva di assunzione, come costituzione di rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, e hanno esteso il concetto di reclutamento a ogni passaggio da un’area funzionale all’altra, tale da comportare il mutamento dello status professionale e la progressione sotto il profilo qualitativo della funzione ricoperta, a prescindere dalla previsione di una riserva in favore di personale interno.

5. Su tali premesse, l’Adunanza generale ha escluso che, a partire dal 1° gennaio 2010, l’Amministrazione possa utilizzare gli esiti di procedure di selezione interna, bandite anteriormente a tale data, in quanto la riforma della modalità di reclutamento di personale per le fasce funzionali superiori (progressioni di carriera), introdotta dagli articoli 24 e 62 del decreto legislativo ricordato, con la sostanziale abrogazione delle progressioni verticali interne, comporta - a decorrere dal 1° gennaio 2010 - l’inefficacia delle disposizioni del bando concernenti la copertura di posti, senza che dal bando possa discendere alcuna legittima aspettativa.

Si tratta di considerazioni che si attagliano perfettamente alla vicenda in questione e che il Collegio non può non fare proprie.

6. A contestare questa conclusione, non può essere addotta – come invece gli appellanti fanno – la circostanza che, nonostante le disposizioni restrittive succedutesi nel tempo dopo l’emanazione del bando (da ultimo: il ricordato decreto-legge n. 194 del 2009), vi sarebbero ancora disponibilità in organico di posti di posizione economica C1.

A tale proposito, gli appellanti richiamano la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 18 marzo 2010, n. 1595. Avendo il T.A.R. accolto il ricorso proposto contro la graduatoria per il passaggio da B a C1 (che, approvata nel 2007 sulla base di un accordo sindacale risalente al 2003, aveva attribuito precedenza ai candidati in possesso della posizione economica B3, indipendentemente dal punteggio di merito da questi conseguito), la Sezione ha affermato che l'Amministrazione è vincolata al bando, finché questo non è revocato, e ne ha respinto l'appello.

Tuttavia l'Amministrazione non avrebbe proceduto alla risoluzione dei contratti già stipulati e - con il decreto 87905 del 2010 - li avrebbe confermati in via di autotutela.

Siffatta decisione - in disparte il profilo della sua illegittimità, considerata evidente - dimostrerebbe la sussistenza di ulteriori vacanze organiche in posizione economica C1.

7. Replica l’Avvocatura dello Stato che intento dell’Amministrazione non sarebbe stato quello di reclutare altro personale, ma di stabilizzare dipendenti che avrebbero svolto di fatto mansioni superiori. La tutela dell’affidamento dei privati e quella dell’interesse pubblico avrebbero perciò giustificato il provvedimento, la particolare ratio del quale non consentirebbe di invocarlo nella presente controversia.

Senonché, con la recentissima sentenza 21 agosto 2013, n. 4212, la Sezione ha ritenuto quel decreto e i successivi inquadramenti adottati in sostanziale violazione del giudicato;
pertanto, li ha dichiarati nulli.

Con ciò, evidentemente, l’argomento cade, e riprende pieno vigore il principio enunciato dall’Adunanza generale, secondo cui all’Amministrazione non è ormai più permesso disporre progressioni di carriera mediante lo scorrimento di precedenti graduatorie. La revoca della procedura interna (che anche la citata sentenza n. 1595 del 2010 faceva salva) si palesa dunque corretta.

8. Dalle considerazioni che precedono, discende che - come già detto - l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.

Considerata la natura della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi