Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-18, n. 202001930

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-03-18, n. 202001930
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001930
Data del deposito : 18 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/03/2020

N. 01930/2020REG.PROV.COLL.

N. 07277/2017 REG.RIC.

N. 07521/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7277 del 2017, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;



contro

il Comune di Paternò, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M D P, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via di San Basilio, n. 61;



nei confronti

la Regione Siciliana, non costituitasi in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 7521 del 2017, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;



contro

il Comune di Paternò, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio;



nei confronti

della Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante p.t., non costituitasi in giudizio;



per la riforma

quanto al ricorso n. 7277 del 2017:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, n. 3401 del 2017;

quanto al ricorso n. 7521 del 2017:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, n. 3402 del 2017;


Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Paternò nel ricorso R.G. n. 7277 del 2017;

Visti tutti gli atti delle cause;

Vista l’istanza di cancellazione del ricorso n. 7277 del 2017, avanzata dall’Avvocatura dello Stato;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il consigliere Silvia Martino e uditi per le parti l’avvocato M D P e l’avvocato dello Stato Eugenio De Bonis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO e DIRITTO

1. In via preliminare, si dispone la riunione dei ricorsi in epigrafe in quanto entrambi sono stati notificati alla Regione Siciliana e al Comune di Paternò.

Tuttavia, il ricorso iscritto al n. di R.G. n. 7277 del 2017 riguarda la sentenza del TAR per il Lazio n. 3401 del 2017, resa nei confronti della Regione Liguria e del Comune di La Spezia, a sua volta oggetto di separato appello (n. 7276 del 2017).

Nel ricorso n. 7277 del 2017 si è tuttavia costituito il Comune di Paternò, che, al contrario, non è formalmente comparso nell’appello iscritto al n. 7521 del 2017, relativo alla sentenza n. 3402 del 2017, resa nei suoi confronti.

In sostanza, il Comune ha depositato il proprio atto di costituzione in un giudizio che non lo riguarda e di cui l’Avvocatura dello Stato ha chiesto la cancellazione dal ruolo.

Poiché si tratta di un errore pienamente riconoscibile, il Collegio ritiene peraltro che - pur dovendo disporsi la cancellazione dal ruolo dell’RG n. 7277 del 2017 (in quanto duplicato dell’R.G. n. 7276 del 2017) - la costituzione del Comune di Paternò vada inserita negli atti relativi al R.G. n. 7521 del 2017, cui effettivamente pertiene, senza che tanto possa ledere le prerogative di difesa del patrocinio pubblico.

Si procede quindi all’esame dell’appello n. 7521 del 2017.

2. Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale per i Rapporti Finanziari con l’Unione Europea, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con l’impugnato atto del 1° aprile 2016, notificava al Comune di Paternò la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emessa in data 2 dicembre 2014, in esito alla causa C – 193/13, con la quale la Repubblica Italiana è stata condannata al pagamento di una somma forfettaria iniziale di 40 milioni di euro ed a penalità finanziarie semestrali fino al completo superamento della situazione di non conformità alla normativa europea delle discariche abusive situate nel territorio italiano.

Per dare esecuzione a tale sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva provveduto, nel corso dell’anno 2015, a pagare l’importo della sanzione iniziale di 40 milioni di euro, oltre ad 85.589,04 a titolo di interessi di mora, e della prima penalità semestrale pari a 39,8 milioni di euro, a titolo di anticipazione ai sensi dell’art. 43, comma 9 bis , della legge n. 234 del 2012, salvo rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni censurate dalla Corte di Giustizia Europea.

Ai fini della procedura di rivalsa, l’amministrazione aveva effettuato l’imputazione delle penalità già pagate tra le discariche interessate sulla base degli elementi desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia che attribuisce una penalità di 400.000 euro per le discariche contenenti rifiuti pericolosi e 200.000 euro per quelle con rifiuti non pericolosi.

In esito a tali analisi, alle discariche situate nel territorio della Regione Sicilia sanzionate dalla Corte di Giustizia UE era stato imputato l’importo complessivo di euro 5.046.476,60, rispetto alle penalità complessivamente anticipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, importo che avrebbe dovuto essere reintegrato ai sensi del citato art. 43, comma 9 bis, della legge n. 234 del 2012.

Pertanto, ai fini del raggiungimento dell’intesa sulle procedure di recupero degli importi anticipati dallo Stato, come previsto dall’art. 43, comma 7, della legge n. 234 del 2012, l’amministrazione statale aveva invitato la Regione Sicilia, quale responsabile in solido con i Comuni di San Filippo del Mela, Cammarata, Racalmuto, Siculiana, Leonforte, Augusta, Paternò, Monreale, Mistretta, Cerda e Priolo Gargallo, ai sensi dell’art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, a voler concordare con gli enti locali le modalità attraverso le quali provvedere al suddetto reintegro che, in base alla normativa vigente, può avvenire anche mediante compensazione, fino a concorrenza dei relativi importi, con altri trasferimenti dovuti dallo Stato.

Il Ministero aveva concluso che, decorso il termine di 90 giorni senza alcuna indicazione in merito alle modalità di reintegro, si sarebbe proceduto al recupero delle risorse in questione a carico dei singoli Enti interessati ai sensi della normativa vigente.

3. In primo grado, il Comune odierno appellato articolava i seguenti motivi di impugnativa:

1) Violazione dell’art. 43 della legge n. 234 del 2012. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza di presupposti. Violazione dei principi di leale collaborazione, sussidiarietà, buon andamento, proporzionalità, giusto procedimento e diritto di difesa: violazione degli artt. 24, 97, 118 e 119 Cost. Violazione del principio di proporzionalità. Vizio di istruttoria. Violazione del principio di partecipazione procedimentale .

L’art. 43 della legge n. 234 del 2012 disciplina il potere di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti pubblici che si siano resi responsabili dell’inadempimento alle direttive comunitarie, la cui violazione abbia comportato una condanna in esito ad una procedura di infrazione.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva avviato il procedimento di rivalsa ed aveva imputato in via esclusiva alle amministrazioni locali la responsabilità per le violazioni censurate dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

L’imputazione delle penalità sarebbe avvenuta in modo non procedimentalizzato in quanto lo Stato avrebbe dovuto accertare la sussistenza della responsabilità dei Comuni coinvolti e delle Regioni caso per caso e con apposita istruttoria, in contraddittorio con gli stessi, e, accertato l’ an debeatur , avrebbe dovuto procedere, sempre in contraddittorio, alla ripartizione delle responsabilità fra i livelli coinvolti.

In definitiva, doveva ritenersi illegittima la previsione in automatico e deprocedimentalizzata della misura dell’imputazione della responsabilità in via esclusiva in capo agli enti locali, mentre lo Stato non aveva effettuato alcun procedimento volto ad accertare e gradare l’effettiva responsabilità degli enti locali in violazione dei principi e delle norme in materia di giusto procedimento;

2) Violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere sotto altro profilo: vizio di istruttoria e sviamento .

Non vi sarebbe stata traccia né di un accertamento né della comunicazione di avvio del relativo procedimento;

3) Violazione e falsa applicazione: dell’art. 260 TFUE; dell’art. 6, comma 1, dell’OPCM n. 2983 del 1999; della OPCM n. 3852 del 2010; dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997; degli artt. 14 e 17 d.m. n. 471 del 1999; degli artt. 242 e ss. e dell’art. 250 d.lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere. Violazione dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 8 della legge n. 131 del 2003 .

Se fosse consentito allo Stato scaricare la responsabilità delle violazioni del diritto comunitario verso i livelli di governo “inferiori”, pur in presenza di specifiche competenze amministrative, ivi comprese quelle di tipo sostitutivo, si svuoterebbe di forza deterrente lo stesso strumento della sanzione per l’infrazione comunitaria.

La sentenza della CGUE aveva

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