Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-12-02, n. 202210593

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-12-02, n. 202210593
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202210593
Data del deposito : 2 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/12/2022

N. 10593/2022REG.PROV.COLL.

N. 03589/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3589 del 2020, proposto dal Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

la società Telecom Italia S.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F C, F L e Jacopo d’Auria, con domicilio presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma (Studio Legale LCA), via G.P. da Palestrina, n. 47;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III, 20 dicembre 2019 n. 14631, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Telecom Italia S.p.a. nonché i documenti prodotti;

Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, depositate dalle parti e gli altri documenti prodotti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 13 ottobre 2022 il Cons. S T e uditi, per le parti, gli avvocati F L e Jacopo D'Auria nonché l’avvocato dello Stato Luigi Simeoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello n. R.g. 3589/2020 il Ministero dello sviluppo economico (d’ora in poi, per brevità, MISE) ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sez. III, 20 dicembre 2019 n. 14631, con la quale il TAR ha accolto il ricorso (n. R.g. 1136/2017) proposto in primo grado dalla società Telecom Italia S.p.a. ai fini dell’annullamento dei seguenti atti e/o provvedimenti: a) la determina del MISE prot. 83947 del 5 dicembre 2016 recante “Diritti d'uso delle frequenze radio”;
b) la nota del MISE prot. 1107 del 9 gennaio 2017 recante “Contributi relativi ai diritti d'uso delle frequenze radio” nella parte in cui modifica unilateralmente i criteri di calcolo e computo delle contribuzioni dovute applicando una maggiorazione per i collegamenti in doppia polarizzazione;
c) il parere tecnico espresso dalla Divisione III della DGPGSR con nota prot. n. 201611281200/EC citato nella determina prot. 83947 del 5 dicembre 2016;
d) la nota prot. 3316 del 19 gennaio 2016 a firma del dirigente della II Divisione della direzione generale Servizi comunicazione elettronica, avente ad oggetto “Diritti d'uso delle frequenze radio”, già impugnata nel ricorso R.g. n. 1049/2016, con cui il MISE ha esplicitato le ragioni in base alle quali ritiene di dover assoggettare a maggiorazione le contribuzioni per i collegamenti in doppia polarizzazione.

2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

- la società Telecom Italia S.p.a. (d’ora in poi, per brevità, TIM) è un operatore telefonico titolare di autorizzazione generale ex art. 25 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (recante il Codice delle comunicazioni elettroniche) per la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica fissa e mobile sull’intero territorio nazionale, che si avvale, tra le varie componenti di infrastrutture di rete, anche dei c.d. ponti radio ovvero di collegamenti radio unidirezionali e bidirezionali fra due stazioni fisse che servono per connettere una determinata rete senza soluzione di continuità ed interruzioni;

- ogni singolo collegamento deve essere autorizzato dal MISE che conferisce con proprio atto l’attribuzione dei correlati diritti d’uso, previa verifica dell’insussistenza di interferenze;

- TIM, così come gli altri operatori, ogni anno pianifica i vari collegamenti in ponte radio, attivandone nuovi e disattivandone altri. Conseguentemente, alla fine dell’anno di riferimento viene comunicato al MISE l’elenco dettagliato dei collegamenti attivi, evidenziando le dismissioni eventualmente intervenute rispetto all’anno precedente e indicando la consistenza totale dei collegamenti sulla base della quale il Ministero richiede il pagamento delle dovute contribuzioni entro il 31 gennaio dell’anno successivo. Per prassi, viene fornita una rendicontazione trimestrale dei nuovi collegamenti con la cadenza che segue: quelli relativi al trimestre gennaio/marzo vengono comunicati ad aprile, quelli del trimestre aprile/giugno sono comunicati a luglio, quelli di luglio/settembre vengono comunicati ad ottobre e quelli afferenti al periodo ottobre/dicembre sono comunicati a gennaio dell’anno successivo;

- sotto il profilo tecnico va chiarito fin da subito che i collegamenti dei ponti radio, per esigenze e questioni di natura tecnica, sono utilizzati sia in polarizzazione singola, che in polarizzazione doppia. La doppia polarizzazione è una tecnica trasmissiva consistente nel suddividere il flusso dati da trasmettere in due metà che vengono modulate con lo stesso meccanismo su una medesima portante per essere irradiate dall’antenna con l’assegnazione di due diverse polarità, ovvero creando due onde elettromagnetiche distinte, i cui campi “oscillano” sui due piani perpendicolari sfruttando le due polarizzazioni. I collegamenti in doppia polarizzazione non presuppongono un maggior utilizzo di risorse frequenziali, essendo una tecnica che consente di ottimizzare i flussi di trasmissione all’interno del canale radio assegnato. Dunque, a differenza della polarizzazione singola, all’interno dello stesso “spazio” assegnato, l’operatore, applicando tecnologie innovative e moderne, riesce a sfruttare in maniera più efficiente la identica porzione di spettro, trasmettendo e ricevendo sulla stessa frequenza contemporaneamente segnali in polarizzazione verticale e orizzontale;

- con determina prot. 83947 del 5 dicembre 2016, il MISE, all’esito di un’istruttoria tecnica, ha attribuito a TIM i diritti d’uso delle frequenze radio, su base di non interferenza delle frequenze radio di 516 collegamenti, di cui 177 con doppia polarizzazione, imponendo una contribuzione pari ad € 34.421,51;

- con la nota prot. 1107 del 9 gennaio 2017 il Ministero ha, poi, stabilito l’importo del contributo per l’anno 2017 per complessivi 16.398 collegamenti, di cui 3.324 con doppia polarizzazione, nella misura di € 14.453.250;

- successivamente, dopo che TIM aveva presentato (in seguito all’adozione da parte del Ministero della contestata determinazione del 5 dicembre 2016) una formale istanza al MISE chiedendo il ricalcolo delle contribuzioni in base ai criteri determinativi stabiliti dal Codice delle comunicazioni elettroniche, rappresentando come la normativa di riferimento non consentisse l’applicazione di maggiorazioni, il MISE respingeva la richiesta di TIM con la nota prot. 3316 del 19 gennaio 2016, esponendo in essa le ragioni in base alle quali per i collegamenti utilizzati in doppia polarizzazione dovessero essere chieste contribuzioni maggiorate rispetto ai criteri stabiliti dal legislatore;

- TIM ha impugnato entrambi i suddetti atti determinativi e l’ultima nota su richiamata (che, peraltro, era stata già impugnata, con ricorso recante motivi aggiunti, nell’ambito di un precedente ricorso giurisdizionale, n. R.g. 1049/2016) dinanzi al TAR per il Lazio deducendo l’illegittimità di entrambi per violazione dell’art. 35 e dell’art. 5 dell’Allegato 10 d.lgs. 259/2003, dell’art. 23 Cost. nonché per vizi di incompetenza, carenza di potere ed eccesso di potere sotto diversi profili;

- il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 14631/2019, ha accolto il ricorso proposto da TIM annullando i due atti impugnati “ limitatamente alla parte in cui pretendono il pagamento di somme maggiorate per le frequenze richieste e assegnate a Telecom Italia e da essa utilizzate con la tecnica della doppia polarizzazione ” e facendo discendere “ dall’annullamento degli atti “in parte qua”, (…) l’obbligo del MISE di provvedere al calcolo e alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione dei provvedimenti impugnati ed eccedenti quanto legittimamente dovuto dall’operatore ricorrente ” (così, testualmente, al punto 7 della sentenza qui oggetto di appello)

3. – Il MISE ritiene errata la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado con un unico e complesso motivo di appello così rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 35, comma 2, in combinato disposto con l’art. 5 dell’allegato 10 al D.lgs. n. 259/03 (Codice delle comunicazioni elettroniche) e dell’art. 36 del medesimo codice;
degli artt. 13 della Direttiva “autorizzazioni” 2002/20/CE e 8 della Direttiva “quadro” 2002/21/CE;
illogica ed insufficiente motivazione”.

In sintesi il MISE sostiene che:

- il ragionamento sviluppato dal TAR nella sentenza qui oggetto di appello si fonda su una non corretta interpretazione ed applicazione alla fattispecie in esame della normativa di settore che consente, invece, di giungere a conclusioni opposte;

- in sostanza il TAR ha accolto il ricorso proposto in primo grado sulla base delle seguenti tre considerazioni: 1) il parametro introdotto dal Ministero con i due atti impugnati per pretendere il pagamento delle somme richieste a TIM non trova alcun fondamento a livello normativo, in quanto l’art. 35, comma 2, d.lgs. 259/2003, letto in combinato disposto con l’art. 5 dell’Allegato 10 al medesimo Codice (richiamato anche dall’art. 2 dell’Allegato), collega la quantificazione dei contributi per l’attribuzione dei diritti di uso delle frequenze unicamente a due soli elementi, vale a dire, alla larghezza della banda occupata dal segnale trasmesso (L) e alla frequenza utilizzata dal segnale medesimo che è ripartita in quattro fasce (A, B, C e D). D’altronde lo stesso citato art. 35 vincola il MISE al rispetto dei criteri stabiliti dall’Autorità di regolazione, i quali, tuttavia, non vengono in rilievo nel caso di specie in quanto il criterio della “doppia polarizzazione” non risulta da alcuna determinazione dell’AGCom, essendo stato, invece, autonomamente individuato dal Ministero dall’anno 2015;
2) la maggior contribuzione per l’utilizzo delle frequenze attraverso la tecnica trasmissiva della doppia polarizzazione viola la riserva di legge posta dall’art. 23 Cost.;
3) la scelta in questione appare anche in contrasto con il principio della “neutralità tecnologica” di cui all’art. 4 d.lgs. 259/2003 e con il principio dell’efficienza nell’uso delle frequenze radio rinvenibile negli artt. 13, 13- bis , 14 e 27 d.lgs. 259/2003;

- al contrario, ad avviso del Ministero appellante, sia dalla lettura dell’art. 13 della direttiva 2002/20/CE e dell’art. 8 della direttiva quadro sulle comunicazioni elettroniche, direttiva 2002/21/CE, nonché degli artt. 4 e 13 d.lgs. 259/2003, oltre all’art. 5 dell’Allegato 10 al citato Codice delle comunicazioni elettroniche, emerge un quadro normativo decisamente diverso, rispetto a quanto ha rappresentato TIM nel ricorso di primo grado, che legittimerebbe la maggiorazione nell’esercizio del potere di fissazione degli obblighi imposti alle imprese operanti nel settore delle comunicazioni, siccome caratterizzato dalla doverosa applicazione dei principi della trasparenza, non distorsione della concorrenza, non discriminazione e proporzionalità;

- infatti, posto che la tecnica trasmissiva della doppia polarizzazione consente l’utilizzo, sulla stessa frequenza, di due canali diversi ed indipendenti, uno con polarizzazione verticale e l’altro con polarizzazione orizzontale, tali da determinare un raddoppio della capacità trasmissiva, pare evidente che un aumento della quantità di dati trasmessa, pari all’ipotesi in cui si consentisse l’utilizzo della larghezza di banda doppia, ma senza dover richiedere (e pagare) un ulteriore diritto d’uso di frequenze, provocherebbe una aperta violazione dei principi più sopra richiamati;

- in altri termini, il corretto fondamento dell’operato del MISE, nel caso in esame, va ricercato nella adeguata applicazione del parametro della larghezza della banda a sua volta collegato all’uso delle frequenze, in attuazione del quale è stata determinata la (contestata) maggiorazione contributiva;

- d’altronde l’art. 36 del Codice delle comunicazioni facoltizza l’Amministrazione a modificare i diritti, le condizioni e le procedure relativi alle autorizzazioni generali, ai diritti di uso o ai diritti di installazione delle infrastrutture in casi obiettivamente giustificati e in misura proporzionata, di talché la trasmissione in doppia polarizzazione, laddove l’autorizzazione generale riguarda la trasmissione in polarizzazione singola, è certamente causa obiettiva che giustifica la riparametrazione, in misura proporzionata (come è realmente avvenuto), dell’importo dei diritti d’uso imposti dal Ministero, escludendosi in tal modo ogni paventata violazione dei principi di cui all’art. 23 Cost.;

- in particolare, per un verso “ l’applicazione del medesimo carico contributivo sia alle imprese autorizzate a trasmettere con la tecnica della doppia polarizzazione che alle imprese autorizzate a trasmettere con polarizzazione singola garantirebbe alle prime un vantaggio competitivo, derivante dalla utilizzazione della frequenza, a parità di oneri, con una capacità trasmissiva maggiore;
dall’altro, invece, non essendo possibile – per motivi fisici - assegnare ad altro operatore l’utilizzo della medesima frequenza con un unico fascio di trasmissione ovvero di una adiacente, orizzontale verticale, si precluderebbe l’ingresso sul mercato ad un altro operatore, in assenza di alcuna valida ragione di interesse pubblico. Infatti, poiché la doppia polarizzazione determina un aumento dell'area di utilizzo della banda, in via cautelativa e preventiva, al fine di evitare interferenze, le frequenze adiacenti non possono essere assegnate;
e ciò, da un lato, essendo la risorsa frequenziale scarsa, comporta una preclusione all’ingresso nel mercato di altro operatore;
dall’altro, determina un mancato introito nelle casse erariali, che deve essere necessariamente compensato, pur senza penalizzare l'uso di tecniche efficienti e tecnologicamente innovative nel rispetto del principio di neutralità tecnologica
” (così, testualmente, alle pagg. 8 e 9 dell’atto di appello).

In conclusione, per un verso la richiesta di una maggiorazione contributiva - e non del raddoppio del relativo onere - risponde al criterio di proporzionalità, atteso che oggettivamente l’operatore non fruisce delle intere potenzialità di un doppio collegamento, sotto altro versante non ha pregio neppure la considerazione, espressa da TAR, secondo la quale la scelta dell’amministrazione si porrebbe in contrasto con il principio della neutralità tecnologica, atteso che detto principio sarebbe violato nel caso in cui, a parità di tecnica trasmissiva (singola o doppia polarizzazione), l’amministrazione imponesse un differente onere contributivo parametrato solo in base alla tecnologia utilizzata, ma nel caso in esame l’incremento del contributo è richiesto in ragione della rilevante circostanza per cui “ l’utilizzo dello spettro elettromagnetico in doppia polarizzazione, in quanto riguardante un bene limitato, deve essere consentito dall’Amministrazione, la quale, però, non potrebbe più attribuire ad altro operatore la possibilità di trasmettere sulla medesima frequenza con diversa polarizzazione ” (così ancora, testualmente, a pag. 10 dell’atto di appello).

4. – Si oppone alla su riproposta impostazione TIM, costituendosi nel presente giudizio di appello e contestando analiticamente le avverse prospettazioni.

In particolare la società appellata ricorda che la disciplina relativa alla individuazione dei contributi dovuti dagli operatori sulla base delle consistenze comunicate ogni anno (e trimestralmente) è contenuta nell’art. 35 d.lgs. 259/2003, in virtù del quale i contributi per la concessione di diritti di uso delle frequenze radio o dei numeri sono fissati dal Ministero nella misura prevista dall’Allegato n. 10 del predetto decreto legislativo, il quale nella tabella indicata all’art. 5 richiama due soli parametri di riferimento, quali la frequenza utilizzata e la larghezza di banda occupata dal segnale (ovvero il c.d. canale radio).

Deriva da ciò che le contribuzioni sono dovute dagli operatori tenendo conto del tipo di frequenza assegnata e del canale radio impiegato, mentre non è prevista la possibilità per il MISE di contemplare maggiorazioni alle contribuzioni in relazione alla tipologia di polarizzazione del segnale. Ne consegue l’illegittimità della scelta ministeriale assunta nella specie e la conseguente condivisibilità del contenuto della sentenza qui oggetto di appello.

La TIM, nel costituirsi in giudizio, rende poi noto che:

- nel luglio del 2015, essa comunicava al MISE l’elenco dettagliato dei collegamenti attivati nel trimestre gennaio/marzo, chiedendo l’assegnazione dei correlati diritti d’uso delle frequenze radio;

- avviata l’istruttoria, con determina prot. n. 67346 del 20 novembre 2015, il Ministero assegnava a TIM i diritti d’uso delle frequenze radio indicate in una tabella allegata e contestualmente, per la prima volta, diversamente da quanto avvenuto in precedenza, negli atti autorizzatori indicava per i collegamenti radio in doppia polarizzazione importi maggiorati;

- TIM impugnava innanzi al TAR per il Lazio la suddetta determina del 2015 (ricorso R.g. n. 1049/2016) e gli atti autorizzatori nella parte in cui nel dettaglio degli addebiti erano indicate somme maggiori per le doppie polarizzazioni, denunziando complessivamente la violazione e la falsa applicazione dell’art. 35 e dell’art. 5 dell’Allegato 10 del Codice delle comunicazioni elettroniche nonché della disciplina unionale, oltre alla violazione dell’art. 23 Cost.;

- nello stesso tempo TIM presentava una formale istanza al MISE chiedendo il ricalcolo delle contribuzioni in base ai criteri determinativi stabiliti dal Codice delle comunicazioni elettroniche e rappresentando come la normativa di riferimento non consentisse l’applicazione di maggiorazioni;

- l’istanza era respinta dal Ministero con la nota prot. 3316 del 19 gennaio 2016, con la quale l’amministrazione esponeva le ragioni in base alle quali, per i collegamenti utilizzati in doppia polarizzazione, dovessero comunque essere chieste contribuzioni maggiorate;

- anche detta nota, insieme con gli ulteriori atti con cui il MISE nel frattempo aveva autorizzato altri collegamenti richiesti da TIM, veniva impugnata dinanzi al TAR per il Lazio, nella parte in cui erano previste le maggiorazioni contributive per la doppia polarizzazione, con motivi aggiunti nell’ambito del pendente ricorso R.g. n. 1049/2016;

- nel frattempo, al solo fine di non incorrere in sanzioni e tenuto conto che l’assolvimento delle contribuzioni costituisce la condizione per la concessione dei diritti d’uso delle frequenze, TIM effettuava il pagamento degli importi maggiorati, esplicitando di non prestare acquiescenza alla richiesta ministeriale maggiorativa, ritenuta illegittima e con riserva di ripetere le somme indebitamente corrisposte una volta ottenuto l’annullamento degli atti impugnati innanzi al giudice amministrativo;

- in pendenza del ricorso R.g. n. 1049/2016 TIM chiedeva al MISE l’autorizzazione all’attivazione di ulteriori collegamenti, alcuni dei quali in doppia polarizzazione. Il Ministero, accertata e verificata la sussistenza delle condizioni per assegnare i diritti d’uso delle frequenze escludendo interferenze, autorizzava i nuovi collegamenti indicando i contributi dovuti e applicando anche in questo caso le maggiorazioni per i collegamenti in doppia polarizzazione;

- non potendo impugnare tali atti nell’ambito del pendente R.g. n. 1049/2016, in quanto si era già celebrata l’udienza di merito ed era stato trattenuto per la decisione, TIM proponeva un nuovo ricorso per ottenere l’annullamento dei nuovi provvedimenti sfavorevoli. Detto ricorso (R.g. n. 1136/2017) veniva definito con la sentenza del TAR per il Lazio n. 14631/2019 qui oggetto di appello da parte del MISE;

- poco dopo la proposizione del nuovo ricorso R.g. 1136/2017, in data 28 febbraio 2017 veniva pubblicata la sentenza del TAR per il Lazio n. 2925/2017 di accoglimento del (primo) ricorso proposto da TIM R.g. n. 1049/2016, per ragioni analoghe e con formula sovrapponibile a quella che sarà successivamente utilizzata dal TAR per il Lazio nella sentenza (qui oggetto di appello) n. 14631/2019;

- la sentenza del TAR per il Lazio n. 2925/2017 non era sottoposta ad appello sicché passava in cosa giudicata e il MISE dava esecuzione ad essa, restituendo a TIM gli importi maggiori applicati per le annualità che erano state oggetto di contestazione.

Tenuto conto di tutto quanto sopra si è riassunto, ad avviso di TIM “ una volta passata in giudicato la predetta decisione (n. 2925/2017, n.d.r. ) e avendo il MISE prestato acquiescenza alle corrispondenti statuizioni restitutorie, sono venuti meno i presupposti (giuridici e logici) per appellare ad aprile 2020 la coeva sentenza n. 14631/19, sussistendo identità del rapporto giuridico sostanziale ” (così, testualmente, a pag. 10 della memoria di costituzione di TIM), oltre ad essere infondato nel merito l’unico motivo di appello dedotto da TIM.

5. – Nel corso del giudizio il MISE ha contestato la fondatezza della eccezione preliminare sollevata da TIM, in quanto “ da un lato, non sussiste il giudicato esterno, in quanto la precedente sentenza del Tar invocata da controparte ha ad oggetto un diverso provvedimento da cui è scaturito un diverso rapporto relativo, peraltro, ad altra annualità;
da un altro lato, non sussiste la contemporanea pendenza di controversia dinnanzi al medesimo giudice
” (così, testualmente, a pag. 3 della memoria illustrativa del Ministero), ribadendo quanto già prospettato con riferimento al merito del ricorso in appello.

La società appellata ha controdedotto, nelle memorie di replica, confermando le conclusioni già rassegnate negli atti processuali depositati nel corso del processo.

6. – Ad avviso del Collegio si può prescindere dall’eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello, sollevata dalla difesa di TIM, in ragione della infondatezza nel merito del motivo di appello dedotto dal Ministero, per le ragioni che seguono.

Il punctum pruriens del contenzioso qui in esame è costituito dalla corretta interpretazione della normativa di settore che, ad avviso del MISE, abiliterebbe quest’ultimo ad introdurre maggiorazioni ai contributi dovuti dagli operatori di telefonia per i diritti d’uso discendenti dalle singole autorizzazioni ai collegamenti dei ponti radio con polarizzazione doppia, ritenendo invece all’opposto TIM che tale maggiorazione non trova “copertura” normativa, per come confermato dal giudice di primo grado nella sentenza qui oggetto di appello (sostanzialmente confermativa di quanto già espresso nel precedente del TAR per il Lazio n. 2925/2017, intervenuta tra le stesse parti su questioni analoghe).

Sotto il profilo normativo meritano di essere sinteticamente richiamate le disposizioni che disciplinano la individuazione dell’ammontare degli importi dovuti per i diritti d’uso da parte degli operatori di telefonia all’atto del rilascio dell’autorizzazione ai collegamenti dei ponti radio, con la necessaria premessa che, essendo il Codice delle comunicazioni elettroniche stato di recente oggetto di modiche mediante il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 207 (recante attuazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche), la disciplina recata dal d.lgs. 259/2003 sui contributi per i diritti d’uso delle frequenze, per i collegamenti e ponti radio, è stata parzialmente innovata, ma – non essendo applicabile ratione temporis ai fatti che hanno dato luogo al presente contenzioso giunto al grado di appello – di essa non si terrà conto ai fini della decisione della controversia.

Seguendo il ragionamento normativo tracciato dal Ministero appellante vengono in emersione le seguenti previsioni normative:

- l’art. 13 della direttiva 2002/20/CE a mente del quale: “ Gli Stati membri possono consentire all’autorità competente di riscuotere contributi sui diritti d’uso delle frequenze radio o dei numeri o sui diritti di installare strutture su proprietà pubbliche o private, al di sopra o sotto di esse al fine di garantire l’impiego ottimale di tali risorse. Gli Stati membri fanno sì che tali contributi siano trasparenti, obiettivamente giustificati, proporzionati allo scopo perseguito e non discriminatori e tengano conto degli obiettivi dell’articolo 8 della direttiva 2002/21/CE (…) ”;

- l’art. 8 della direttiva 2002/21/CE (c.d. direttiva quadro) stabilisce che “ 1. Gli Stati membri provvedono affinché, nello svolgere le funzioni di regolamentazione indicate nella presente direttiva e nelle direttive particolari, le autorità nazionali di regolamentazione adottino tutte le ragionevoli misure intese a conseguire gli obiettivi di cui ai paragrafi 2, 3 e 4. Le misure sono proporzionate a tali obiettivi. Salvo diversa disposizione dell’articolo 9 relativo alle radiofrequenze, gli Stati membri tengono nella massima considerazione l’opportunità di adottare regolamentazioni tecnologicamente neutrali e provvedono affinché le autorità nazionali di regolamentazione, nell’esercizio delle funzioni indicate nella presente direttiva e nelle direttive particolari, e in particolare quelle intese a garantire una concorrenza effettiva, facciano altrettanto. (…) 2. Le autorità nazionali di regolamentazione promuovono la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, dei servizi di comunicazione elettronica e delle risorse e servizi correlati, tra l’altro: a) assicurando che gli utenti, compresi gli utenti disabili, gli utenti anziani e quelli che hanno esigenze sociali particolari ne traggano i massimi vantaggi in termini di scelta, prezzi e qualità;
b) garantendo che non vi siano distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche, anche per la trasmissione di contenuti;
(…) d) incoraggiando un uso efficace e garantendo una gestione efficiente delle radiofrequenze e delle risorse di numerazione.

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