Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-11-07, n. 202309581

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-11-07, n. 202309581
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309581
Data del deposito : 7 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/11/2023

N. 09581/2023REG.PROV.COLL.

N. 00389/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 389 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati S C e C R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio S C, in Roma, via P. da Palestrina n. 63;

contro

Comune di Collegno, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocato T P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Collegno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2023 il Cons. Marco Poppi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

In data 29 settembre 1986 il Signor -OMISSIS-, dante causa dell’odierno appellante, presentava istanza di condono ai sensi della L. n. 47/1985 per legittimare opere realizzate in assenza di titolo edilizio, in ambito vincolato, consistenti in un « capannone ad uso artigianale e tettoia ricovero » che il Comune di Collegno assentiva con concessione rilasciata il 26 febbraio 1997.

A seguito di sopralluogo eseguito il 18 giugno 1998, l’amministrazione accertava che l’odierno appellante, acquirente dell’immobile con atto del 28 febbraio 1997, aveva demolito il fabbricato condonato e realizzato « in assenza della prescritta concessione edilizia, una nuova costruzione destinata a civile abitazione delle dimensioni di mt. 17,00 x 12,00 = mq. 204 e composta al piano terreno da ingresso living, cucina, tre camere e bagno. L’altezza interna dei locali (era) di mt 3,00 ed il piano pavimento è posto a quota + 0,70 rispetto al terreno circostante la predetta costruzione. L’accesso al piano sottotetto è posto all’esterno del fabbricato e all’interno del locale stesso si è misurata un’altezza all’imposta pari a mt 1,15 ed al colmo mt 4,20 » (v. Relazione di verifica del 18 giugno 1998 dell’Ufficio Edilizia Privata).

Preso atto di quanto realizzato, con ordinanza n. 215 del 3 luglio 1998, veniva disposta la sospensione dei lavori e con successiva ordinanza n. 229 del 23 luglio successivo, veniva ingiunta la demolizione.

Il proprietario, impugnava la misura demolitoria innanzi al T Piemonte con ricorso iscritto al n. 1768/1998 R.G. conseguendo in sede cautelare la sospensione della misura.

In pendenza di giudizio, con istanza del 24 maggio 2001, il proprietario richiedeva ai sensi della L. n. 47/1985 il condono di quanto realizzato.

L’amministrazione respingeva l’istanza con provvedimento del 21 dicembre 2001 recependo la posizione della Commissione Edilizia Comunale che si esprimeva affermando che « la proposta progettuale si configura come nuova costruzione e pertanto non ammissibile tra gli interventi previsti nell’ambito normativo interessato, lo stesso infatti permette esclusivamente il recupero di superfici in continuità di edifici esistenti e non ammette nuove costruzioni isolate che modifichino l’impianto planimetrico originario ».

In data 18 luglio 2003, la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Torino, a seguito della condanna riportata dal Signor -OMISSIS- il precedente 12 marzo 2002 per il reato di cui -OMISSIS- (per aver realizzato senza titolo « una struttura destinata a civile abitazione » della superficie di mq.204), ingiungeva a propria volta il ripristino dello stato dei luoghi.

Il proprietario, con istanza del 3 dicembre 2003, presentava una nuova istanza di condono ai sensi della L. n. 326/2003 dichiarando che l’area interessata all’intervento era destinata dal P.R.G. a « salvaguardia ambientale, all’uso agricolo ed a attività ricreative e sportive » e qualificando egli stesso il manufatto realizzato come « nuova unità immobiliare residenziale unifamiliare ».

La Procura Generale, con atto -OMISSIS-, ordinava la « concreta esecuzione della demolizione dell’opera abusivamente edificata » demandando la « concreta attività risolutiva » al Provveditorato per le OO.PP. per il Piemonte (che non provvedeva).

Il citato giudizio n. 1768/1998 veniva definito con sentenza n. -OMISSIS- del 12 marzo 2009 che, su istanza dello stesso ricorrente, veniva dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Con nota del 30 ottobre 2015 l’amministrazione, in esito all’istanza di condono da ultimo presentata, comunicava all’appellante il preavviso di diniego ex art. 10 bis della L. n. 241/1990 sul rilievo che « l’opera, oltre a ricadere nel vincolo di cui all’art. 1 lett. f) della legge n. 431/1995, la stessa, in base allo strumento urbanistico all’epoca vigente e tuttora confermato, risulta compresa nel parco agronaturale della Dora, definito come bene ambientale da salvaguardare ai sensi dell’art. 24 della legge regionale 05/12/1977 n. 56 e s.m.i. » e, pertanto, non poteva essere condonata in quanto « realizzata in assenza di titolo abilitativo, non conforme alle norme urbanistiche, alle prescrizioni dello strumento urbanistico ed alle norme ambientali e paesaggistiche ».

Il procedimento condonistico veniva, quindi, definito con provvedimento del 18 dicembre 2015 che recepiva i motivi già illustrati in sede di preavviso.

Detto diniego veniva impugnato con ricorso iscritto al n. 239/2016 R.R. che il T Piemonte respingeva con sentenza n. -OMISSIS- del 12 ottobre 2020 prescindendo dall’esame dell’eccezione di tardività delle produzioni comunali sollevata dal ricorrente.

Il Signor -OMISSIS- impugnava la sentenza con appello depositato il 18 gennaio 2021 deducendo:

1. « Eccezione pregiudiziale di tardività di produzione dei documenti. Violazione di legge con riferimento agli artt. artt. 52, 54, 64 e 73 c.p.a.: error in procedendo »;

2. « Sul 1° motivo di primo grado: error in judicando. Violazione di legge con riferimento all’art. 32 D. L. 30 settembre 2003, n. 269, all’art. 32 legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed all’art. 1 legge 27 dicembre 1997, n. 449, in relazione all’art. 200 T.U.L.S. approvato con R.D. n. 1265 del 1934 ed all’art. 33 legge n. 1150 del 1942. Violazione di legge con riferimento all’art. 4 legge regionale piemontese 10 novembre 2004, n. 33, in relazione agli artt. 2 e 4 legge regionale 8 luglio 1999, n. 19. Violazione di legge per vizio del procedimento. Violazione di legge – con riferimento all’art. 3 legge 7 agosto 1990, n. 241 – ed eccesso di potere per difetto di motivazione »;

3. « Sul 2° motivo di primo grado: error in judicando. Violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 32 D. L. 30 settembre 2003, n. 269, ed all’art. 32 legge 28 febbraio 1985, n. 47, anche in relazione al P.R.G.C. di Collegno approvato con D.G.R. Piemonte 26 maggio 2003, n. 10-9436, all’art. 1, lett. F), legge n. 431 del 1995 ed all’art. 24 legge regionale piemontese 5 dicembre 1977, n. 56. Violazione di legge con riferimento all’art. 3 legge 7.8.1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di motivazione »;

4. « Sulla 2^ parte del 2° motivo e sul 3° motivo di primo grado: error in judicando. Violazione e falsa applicazione di legge - sotto distinto profilo - con riferimento all’art. 32 D. L. 30 settembre 2003, n. 269, ed all’art. 32 legge 28 febbraio 1985, n. 47, nonché con riferimento all’art. 16 norme d’attuazione del P.R.G.C. previgente, in raffronto al P.R.G.C. di Collegno approvato con D.G.R. Piemonte 26 maggio 2003, n. 10-9436, all’art. 1, lett. F), legge n. 431 del 1995 ed all’art. 24 legge regionale piemontese 5 dicembre 1977, n. 56 »;

5. « Sul 4° motivo di primo grado: error in judicando. Violazione e falsa applicazione di legge - sotto ulteriore profilo - con riferimento all’art. 32 D. L. 30 settembre 2003, n. 269, ed all’art. 32 legge 28 febbraio 1985, n. 47, anche in relazione al P.R.G.C. di Collegno approvato con D.G.R. Piemonte 26 maggio 2003, n. 10-9436, all’art. 1, lett. F), legge n. 25 431 del 1995 ed all’art. 24 legge reg. piem. 5 dicembre 1977, n. 56 ».

L’amministrazione si costituiva in giudizio il 21 gennaio 2021 confutando le avverse censure con memoria depositata il 22 settembre 2023 alla quale l’appellante replicava con deposito del 5 ottobre successivo.

All’esito della pubblica udienza del 26 ottobre 2023, la causa veniva decisa.

L’appellante, ribadendo la medesima eccezione già sollevata in primo grado, sostiene la tardività delle produzioni dell’amministrazione effettuate il 13 luglio 2020 in vista dell’udienza del 22 settembre successivo.

L’eccezione è irrilevante posto che, come specificato in sentenza, il T la superava « poiché il giudizio di infondatezza [del ricorso, ndr] prescinde dal relativo esame », nel senso che non si fonda su tale documentazione tardivamente depositata, da intendersi tamquam non esset , con conseguente difetto, in capo all’appellante, di un concreto interesse alla sua riproposizione.

Quanto al merito della controversia, si premette che con il provvedimento impugnato in primo grado, l’amministrazione negava il condono richiesto dall’appellante sul rilievo che il fabbricato residenziale oggetto di contestazione, da qualificarsi in termini di nuova costruzione, venisse realizzato in difetto di titolo abilitativo, in violazione dei plurimi vincoli gravanti sull’area e in contrasto con la disciplina urbanistica vigente.

L’area interessata all’intervento, infatti, è soggetta al vincolo di cui all’arti 1, lett. f) della L. n. 431/1995, a norma del quale « sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497: … f ) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi ».

La medesima area ricade, per espressa previsione del P.R.G. all’epoca vigente, all’interno del Parco Agronaturale della Dora da considerarsi bene ambientale da salvaguardare ai sensi della L.R. n. 56/1977.

Con il primo capo di impugnazione l’appellante censura la sentenza nella parte in cui respingeva il primo motivo di ricorso, con il quale lamentava la mancata acquisizione del parere preventivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo circa la concreta compatibilità dell’intervento edilizio realizzato nonostante fosse « ineludibile » ai sensi dell’art. 1, della L. n. 449/1997 e dall’art. 4 della L.R. n. 33/2004: motivo che veniva respinto dal T sul rilievo che la norma invocata non sarebbe stata applicabile ratione temporis e che, in ogni caso, il vincolo di inedificabilità assoluto gravante sull’area non consentiva un diverso esito del procedimento di condono.

Il motivo è infondato.

Il condono in questione veniva dall’appellante richiesto in data 4 dicembre 2003 non trovando, quindi, applicazione quanto introdotto con L.R. n. 33/2004 che, in ogni caso, all’art. 1, comma 2, dispone che « le domande di sanatoria presentate fino alla data di entrata in vigore della l. 191/2004 [entrata in vigore il 20 luglio 2004, ndr] restano valide ed ai fini della relativa definizione non si applicano le disposizioni della presente legge ».

Ne deriva l’applicabilità al caso di specie di quanto disposto dalla L. n. 47/1985 in virtù dell’espresso richiamo contenuto nella disciplina condonistica di cui alla L. n. 326/2003.

Circa tale profilo deve rilevarsi che l’equivoco in cui incorre l’appellante nella formulazione della censura è quello di ritenere che l’intervento realizzato fosse riconducibile alla fattispecie disciplinata dall’art. 32 della legge del 1985, rubricato « Opere costruite su aree sottoposte a vincolo » e non il successivo art. 33 recante « Opere non suscettibili di sanatoria ».

L’art. 32, comma 1, dispone che « fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso ».

A norma del successivo art. 33, invece, « le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici ».

Essendo pacifico che l’immobile veniva realizzato in area vincolata, in difetto di titolo abilitativo e in contrasto con l’assetto urbanistico dell’area, non può che trovare applicazione l’art. 32, comma 27, lett. d) della L. n. 326/2003 a norma del quale « fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: … siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ».

Nessun dubbio può insorgere circa l’esistenza degli evidenziati vincoli normativamente apposti sull’area interessata all’abuso.

In ogni caso, alla data di adozione del diniego impugnato (18 dicembre 2015) lo specifico profilo trovava disciplina nell’art. 4 della L.R. n. 19/1999 che, nel testo ratione temporis vigente, disponeva al comma 1 che « la nomina della commissione edilizia è facoltativa » e al successivo comma 5 che « il regolamento edilizio indica gli interventi sottoposti al parere preventivo, non vincolante della commissione edilizia »: indicazione all’epoca non ancora espressa dalla fonte regolamentare.

La pretesa omissione sarebbe, in ogni caso, irrilevante poiché il già richiamato assetto vincolistico e urbanistico dell’area (profilo sul quale ci si soffermerà in seguito) non consentiva la realizzazione di alcun intervento di nuova costruzione trovando, quindi, applicazione l’art. 21 octies , comma 2, della L. n. 241/1990 a norma del quale « non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ».

Con il secondo capo di impugnazione l’appellante censura la sentenza impugnata laddove respingeva il secondo motivo di ricorso (prima parte) con il quale era dedotto il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.

In primo grado il ricorrente deduceva che, ai fini dell’assolvimento dell’onere motivazionale, non fosse sufficiente la sola affermazione di non conformità « alle norme urbanistiche, alle prescrizioni dello strumento urbanistico ed alle norme ambientali e paesaggistiche » che non consentirebbe al destinatario del provvedimento di percepirne il fondamento e, quindi, « di denunziare in sede giurisdizionale l’erronea interpretazione delle norme applicate » (pag. 10 dell’appello).

Veniva, altresì, censurata la tempistica procedimentale evidenziando come l’istanza di condono risalga al 2003 e il diniego impugnato venisse adottato a distanza di dodici anni (2015) nonostante il procedimento non presentasse « particolari complessità ».

Sarebbe inoltre inesistente la « (relazione) “istruttoria tecnica in data 28/10/2015” » menzionata nel preavviso di diniego.

La sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui ritiene che il provvedimento contenesse i riferimenti normativi e l’indicazione della tipologia di vincolo che inibivano l’accoglimento dell’istanza e che detti elementi fossero sufficienti a sostenere sotto il profilo motivazionale il diniego adottato in ragione del carattere vincolato dello stesso.

L’appellante afferma, in particolare, che « l’obbligo di motivazione degli atti di diniego edilizio non soffre eccezioni » (pag 11 dell’appello) e che l’amministrazione avrebbe dovuto effettuare una comparazione « tra le caratteristiche concrete dell’intervento e le prescrizioni di determinate disposizioni urbanistiche sia del piano regolatore che di legge ».

La censura, che si pone ai limiti della temerarietà, è generica e in ogni caso infondata.

Sul punto è sufficiente rilevare che il giudice di prime cure respingeva la censura affermando che « il provvedimento contiene, al proprio interno, sia i puntuali riferimenti normativi generali, con riferimento alle norme ostative alla sanatoria (art. 32, comma 27 lett. d.), sia l’indicazione della tipologia di vincolo (mediante richiamo alla lett. f. della L. 431/95, che sottopone i parchi a vincolo paesaggistico, ed all’art. 24 della LRP n. 56/77 che consente al PRG di individuare le aree di interesse paesaggistico da salvaguardare e renderle inedificabili ai sensi dell’art. 13, comma 7 della stessa legge) ».

L’illustrata statuizione contiene i dati normativi presenti nel provvedimento di diniego impugnato nel quale è ulteriormente specificato che lo strumento urbanistico (il P.R.G. che, ai sensi della richiamata L.R. n. 56/1977, individua le aree di interesse paesaggistico) include l’area in questione nel Parco naturale della Dora.

Nessun profilo di incertezza, perplessità e lacunosità è, pertanto, rinvenibile tanto nel supporto motivazionale del provvedimento impugnato quanto nella sentenza.

Ad ulteriore conferma della pretestuosità della censura si rileva che la sentenza impugnata afferma, altresì, che « é bene ricordare, peraltro, che tale percorso si innesta in un quadro di attività amministrativa che, per giurisprudenza consolidata, è di natura pressoché vincolata e, pertanto, non richiede oneri motivazionali particolarmente articolati e complessi. Il provvedimento impugnato, a mezzo dei richiami normativi sopra indicati, identifica il percorso logico giuridico utilizzato sino a giungere alla individuazione dei vincoli di inedificabilità assoluta presenti sull’area ».

Con riferimento a tale ultima precisazione, non può non rilevarsi che la giurisprudenza è granitica nel ritenere « che i provvedimenti in materia edilizia, compreso il, diniego di condono non richiedano specifica motivazione, se non con riferimento all'abusività delle opere ed al contrasto insanabile con la normativa edilizia (cfr. Sez. VI, 5 settembre 2018, n. 5211) » (Cons. Stato, Sez. II, 24 agosto 2021, n.6028).

Irrilevante è, infine, che il diniego di condono sia intervenuto a notevole distanza di tempo.

Il carattere vincolato degli atti repressivi di abusi edilizi, proprio anche dei dinieghi di sanatoria e/o condono, non legittima, infatti, alcun affidamento tutelabile a conseguire un titolo abilitativo riferito ad opere abusive.

Con il terzo capo di impugnazione l’appellante lamenta il mancato accoglimento del secondo motivo di ricorso (seconda parte) con il quale veniva dedotta l’errata applicazione dell’art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003.

L’errore in cui sarebbe incorsa l’amministrazione sarebbe quello di aver ritenuto non condonabili le opere eseguite per il solo fatto che ricadono in area soggetta a vincolo ambientale.

A parere dell’appellante la destinazione a parco naturale della zona non determinerebbe un vincolo assoluto di inedificabilità poiché il P.R.G. ammetterebbe esplicitamente la realizzazione di residenze rurali e infrastrutture agricole, recuperi funzionali di fabbricati esistenti, cambi di destinazione d’uso in residenza civile e ampliamenti anche in contrasto con la destinazione specifica della zona.

La natura relativa del vincolo determinerebbe l’applicabilità dell’art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003 che consente la condonabilità dell’abuso previo giudizio di compatibilità ex post delle opere realizzate.

A sostegno della censura allega che l’art. 16 delle N.T.A. del precedente P.R.G. (ovvero quello vigente al momento della realizzazione dell’intervento), a differenza di quello vigente, consentiva la realizzazione di interventi « di ristrutturazione e di recupero funzionale igienico e architettonico-estetico nonché gli ampliamenti per adeguatamente igienico-funzionali … », nonché, il recupero ad usi residenziali delle « volumetrie geometriche esistenti » con possibilità di conseguire il cambio di destinazione previo pagamento dei relativi oneri urbanistici.

Con il medesimo capo di impugnazione lamenta ulteriormente il mancato accoglimento del terzo motivo di ricorso deducendo che il vincolo esistente sull’area sarebbe successivo all’edificazione contestata.

L’amministrazione eccepisce l’inammissibilità del motivo poiché meramente ripropositivo delle censure di primo grado senza specifiche contestazioni ai contenuti della decisione.

L’eccezione del Comune può essere superata stante la manifesta infondatezza di quanto dedotto.

Richiamato quanto già esposto in sede di scrutino del primo motivo di appello circa i vincoli gravanti sull’area che ostano alla realizzazione della nuova costruzione, si rileva che l’appellante fonda il proprio impianto impugnatorio sull’inesistente presupposto che l’intervento realizzato consista « nel recupero funzionale, igienico e architettonico a resistenza del vetusto fabbricato urbano preesistente mediante sostituzione di elementi ammalorati » nonostante sia stata, invece, demolita una preesistente struttura produttiva ed edificata una nuova costruzione residenziale.

Di ciò ne è consapevole lo stesso appellante che, in sede di dichiarazione resa il 3 dicembre 2003 (depositata in primo grado in allegato alla denunzia di variazione catastale), qualifica la « tipologia » del manufatto come « nuova unità immobiliare residenziale unifamiliare » e, in sede di « Domanda di accertamento compatibilità paesaggistica » depositata il 31 gennaio 2005, afferma che l’immobile veniva realizzato « ove insisteva una vecchia costruzione demolita e trattasi di una nuova costruzione ».

In detta sede l’appellante riconosce, altresì, che « l’area ove è stata costruita … veniva destinata all’epoca dell’edificazione (1997/1998) alla salvaguardia ambientale, all’uso agricolo e ad attività ricreative e sportive » e che sulla stessa erano consentiti tutti i tipi di intervento di cui all’art. 16 delle NTA, sopra richiamati, fra i quali, peraltro, non rientrano gli interventi di nuova costruzione.

Infondato è, altresì, l’ulteriore argomento difensivo dell’appellante per il quale il vincolo di inedificabilità gravante sull’area sarebbe di natura relativa e che per tale ragione dovesse ritenersi ammessa la « sostituzione di elementi ammalorati preesistenti » del vecchio fabbricato come espressamente consentito dall’art. 16 delle N.d.A. del P.R.G. previgente, applicabile ratione temporis .

Il vincolo, sostiene l’appellante, non previsto dal P.R.G. del 1992, sarebbe stato introdotto solo con il P.R.G. approvato con delibera della giunta Regionale n. 10 del 26 maggio 2003.

La doglianza trova smentita nelle stesse difese dell’appellante che, a sostegno delle proprie tesi riporta a pag. 18 dell’appello il testo dell’invocato art. 16 delle N.d.A. vigente al momento della realizzazione dell’abuso.

La norma stabilisce che « per gli edifici esistenti ad esclusivo uso residenziale sono ammessi interventi … di ristrutturazione e di recupero funzionale igienico e architettonico-estetico nonché gli ampliamenti per adeguamenti igienico-funzionali, sino ad un max del 20% della volumetria esistente;
75 mc. sono comunque concessi anche se eccedono tale percentuale. È inoltre consentito il recupero ad usi residenziali delle volumetrie geometriche esistenti… i cambi di destinazione d’uso sono subordinati al pagamento 19 degli oo.uu.
».

Ciò premesso non può che evidenziarsi come, sotto un primo profilo, la norma si riferisca a manufatti residenziali esistenti mentre, nel caso di specie, preesisteva un capannone industriale, demolito dall’appellante.

Sotto altro profilo, che l’opera realizzata (come ammesso dallo stesso appellante in sede di qualificazione dell’opera effettuata in sede di istanza di condono) è senza dubbio una nuova costruzione edificata previa demolizione del manufatto preesistente, mentre la previsione invocata è riferita a diversi interventi dalla stessa elencati.

Né può ricondursi l’intervento eseguito ad un recupero di volumetrie residenziali esistenti, ammessi dalla norma, poiché trattandosi di nuova costruzione, previa demolizione di un manufatto artigianale, non è configurabile alcun preesistente volume recuperabile.

In sintesi, le censure formulate con il presente capo di impugnazione si fondano ancora una volta sull’inesistente presupposto, nuovamente e temerariamente riaffermato a pag. 21 dell’appello, che l’intervento consista « nel recupero funzionale igienico, sanitario e architettonico a residenza del vetusto fabbricato urbano preesistente mediante sostituzione di elementi ammalorati che la disciplina di piano regolatore del tempo di per sé consentiva » mentre, si ribadisce, si è pacificamente in presenza di un intervento di demolizione e nuova costruzione di un nuovo manufatto in nulla riconducibile al preesistente.

La qualificazione dell’intervento in termini di nuova costruzione (che nemmeno l’appellante afferma essere ammessa nel vigore del previgente P.R.G.) conferma di per sé la legittimità dell’operato comunale.

In ogni caso, dal documento allegato 10 che l’appellante invoca a sostegno delle proprie tesi (Certificato di destinazione urbanistica dell’11 settembre 1997, depositato in primo grado in data 9 luglio 2020), si ricava:

- che l’immobile « ricade in area a parco agro-naturale fluviale della Dora Riparia individuata dal codice FVI per la quale, oltre a quelle di carattere generale sono previste specifiche norme all’art. 13.25 delle Norme Tecniche di Attuazione »;

- che ricade, altresì, in « area destinata a salvaguardia ambientale, all’uso agricolo e ad attività ricreative e sportive »;

- che gli « interventi ammessi con S.U.E. » nella zona consistono unicamente nella realizzazione di « attrezzature e per la sosta, lo svago, il ristoro e attività sportive di interesse generale in coerenza con gli obiettivi del di Piano » nonché, nella « realizzazione di OO.UU: tecniche »;

- che « per gli interventi esistenti ad uso esclusivo residenziale sono ammessi gli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione e di ristrutturazione e di recupero funzionale igienico e architettonico estetico, nonché gli ampliamenti per adeguamenti igienico-funzionali sino ad un max del 20% della volumetria esistente » per un minimo di mc. 75 sempre consentiti

- che « è consentito inoltre il recupero ad usi residenziali delle volumetrie geometriche esistenti ».

Il certificato invocato, quindi, conferma quanto ripetutamente affermato circa la natura dell’intervento e la sua inammissibilità nell’area in questione.

Con il quarto motivo l’appellante censura il diniego impugnato nella parte in cui farebbe discendere la non condonabilità dell’abuso « da un “passo citato nella sentenza della Procura Generale presso la Corte d’appello di Torino n. 18/02” » nonostante « l’usuale ordine di esecuzione del Procuratore generale » sia destinato ad essere superato dagli esiti del procedimento di condono.

La censura è priva di rilievo prima ancora che infondata.

La precisazione contenuta nel diniego impugnato « come peraltro citato nella sentenza della Procura della Repubblica presso la Corte d’appello di Torino n. 18/02 », segue l’articolato motivazionale sul quale si fonda il diniego per il quale « ai sensi dell’art. 32 comma 27 lett. d) della legge 326/2003 l’opera abusiva non è condonabile in quanto risulta essere stata realizzata in assenza di titolo abilitativo, non conforme alle norme urbanistiche, alle prescrizioni dello strumento urbanistico ed alle norme ambientali e paesaggistiche ».

I suddetti profili di non conformità sussistono nel caso di specie per le ragioni già esposte e non traggono fondamento dai contenuti della sentenza in questione il cui richiamo, come correttamente affermato dal T, è dovuto ad un mero refuso.

Tutte le questioni vagliate fin qui esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

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