Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-01-13, n. 202000323
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Pubblicato il 13/01/2020
N. 00323/2020REG.PROV.COLL.
N. 03401/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3401 del 2019, proposto da
A R, rappresentata e difesa dagli avvocati G L, B L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Paolo Leone in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
Comune di Positano non costituito in giudizio;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
A S, rappresentato e difeso dall'avvocato Lodovico Visone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 00217/2019, resa tra le parti, concernente per l'annullamento, previa sospensione della sua efficacia - del provvedimento prot. n. 3740 del 20.3.2018, notificato in data 25 marzo 2018, con il quale il Responsabile dell'Area Tecnica Edilizia Privata del Comune di Positano ha disposto la “revoca in autotutela dell'Autorizzazione Paesaggistica n. 47/2015 del 5 novembre 2015” ed ha ingiunto alla ricorrente “di procedere nel termine di giorni novanta decorrenti dalla data di notifica della presente ingiunzione, alla DEMOLIZIONE, a propri cura e spese, di tutte le opere edili abusive in premessa descritte, nonché alla RIMESSA IN PRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI preesistente alla realizzazione delle stesse”, nonché di ogni altro atto ad esso preordinato, connesso e consequenziale, per quanto lesivo della posizione della ricorrente ancorché non conosciuto, tra cui, per quanto possa occorrere, la nota della Sovrintendenza B.A.P. di Salerno prot. n. 15848 del 20.06.2017 (non trasmessa alla ricorrente), la relazione di sopralluogo a firma dell'arch. Gerarda Cuoco prot. n. 8915 dell'1/08/2017 e la successiva nota integrativa prot. n. 9215 del 9/082017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A S e di Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. O M C e uditi per le parti gli avvocati G L, Pasquale Rago in delega dell'avv. Lodovico Visone, e l'avvocato dello Stato Davide di Giorgio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno n. 21/2019, di reiezione del ricorso proposto dalla sig.ra A R avverso la revoca in autotutela, disposta dal responsabile dell'area tecnica edilizia privata del comune di Positano, dell'autorizzazione paesaggistica (n. 47/2015 del 5 novembre 2015) e l’ingiunzione di demolizione delle opere relative alla sostituzione di ringhiera in ferro del balcone con balaustra in vetro, sostituzione della pergola esistente con nuova struttura in ferro e nuova pavimentazione dell’appartamentino in proprietà sito in Positano alla via dei Gladioli n. 14, identificato nel N.C.E.U. dell’Ufficio Provinciale di Salerno al foglio 5.
Nelle promesse dell’atto introduttivo la ricorrente ha dato atto che:
il comune di Positano - previo parere favorevole prot. n. 14953 dell’1/10/2015 della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino – rilasciò l’autorizzazione paesaggistica prot. n. 47 del 05.11.2015, ai sensi dell’art.146 del D.lgs. n. 42/2004 per le opere di cui ai provvedimenti impugnati;
in data 21.07.2016, verificata la difformità esecutiva dei lavori, la ricorrente depositava presso gli uffici dell’amministrazione comunale S.C.I.A. prot. n. 8876 per il prosieguo delle opere di completamento;
a seguito di ulteriore sopralluogo – disposto su richiesta (con nota prot. 15848 del 20.06.2017) della Sovrintendenza B.A.P. di Salerno, a sua volta sollecitata dal sig. A S, controinteressato “viciniore” – eseguito dal tecnico comunale in data 25.07.2017, risultò che “allo stato attuale la pergola non rispecchia del tutto il progetto architettonico in quanto lo stato dei luoghi mostra delle travi in più rispetto a quelle riportate sui grafici”;
con provvedimento prot. n. 3740 del 20.3.2018, il Comune adottava la revoca dell’autorizzazione paesaggistica n. 47/2015, ingiungendo contestualmente la demolizione di tutte le opere manutentive realizzate, e la messa in prestino dello stato dei luoghi.
2. Avverso i provvedimenti, la ricorrente presentava il ricorso respinto dal Tar.
2.1 Rilevavano i primi giudici che il Comune, con l’ordinare la demolizione degli abusi posti in essere dalla ricorrente, “altro non aveva fatto che incidere sulle opere difformi da quelle autorizzate” con la DIA, per la presentazione di un progetto rappresentativo di uno stato di fatto preesistente diverso rispetto a quello reale, tale da configurare un “falso grafico”..
3. Appella la sentenza la sig.ra A R. Resistono il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il sig. A S, controinteressato in qualità di proprietario dell’edificio viciniore pregiudicato dall’esecuzione delle opere.
4. Alla pubblica udienza del 5 dicembre 2019 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. Va in limine respinta l’eccezione d’inammissibilità dell’appello sollevata dal controinteressato sul rilievo che l’appellante, in pendenza di causa, avendo presentato domanda di sanatoria per l’abuso edilizio oggetto dei provvedimenti impugnati, ha prestato acquiescenza.
In contrario, l’acquiescenza è circoscritta alle ipotesi di esplicita ed inequivoca manifestazione di volontà di piena adesione al provvedimento che, in difetto di dichiarazione espressa, è ricavabile attraverso il compimento di atti o comportamenti univocamente rivelatori della volontà di accettarne gli effetti (cfr., Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013 n. 4140;Id. sez. V, 27 novembre 2012, n. 5966):
la presentazione dell’appello avvero la sentenza che ha respinto l’impugnazione degli atti lesivi è ex se incompatibile con l’acquiescenza.
6. Con il primo motivo, l’appallante lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure laddove avrebbero omesso di scrutinare l’irragionevolezza della sanzione ripristinatoria dell’intera struttura, ivi comprese le opere realizzate in conformità, anziché dei soli elementi aggiuntivi difformi.
6.1 Il motivo è infondato.
Le difformità rilevate dal Comune nel provvedimento di revoca in autotutela riguardano due aspetti: a) la realizzazione di un numero di travi (della struttura orizzontale) del pergolato superiore a quello previsto nel progetto;b) la presentazione di un progetto rappresentativo di uno stato di fatto preesistente diverso rispetto a quello reale, tale da configurare un falso grafico.
Conseguentemente la sanzione reale deve essere circoscritta alle modalità esecutive di realizzazione del pergolato, non essendovi giuridicamente ricompresa l’eseguibilità (secondo le modalità prescritte) del pergolato né le opere ad esso accessorie debitamente autorizzate.
6.2 Ad analoga conclusione deve invece giungersi con riguardo alla supposta violazione degli artt. 21 quinquies e nonies l. 241/90.
La “revoca” ( recte annullamento in autotutela) dell’autorizzazione, diversamente da quanto denunciato dall’appellante, non è affatto generica ed indeterminata nell’oggetto: le rappresentazioni grafiche dello stato dei luoghi non corrette hanno consentito la realizzazione delle opere in difformità da quelle descritte nella DIA, come indicate nel verbale di sopralluogo del 25.07.2017 redatto dal tecnico comunale.
A riguardo va data continuità – venendo ai motivi d’appello che lamentano la tardiva adozione del provvedimento d’autotutela nonché l’omessa valutazione della buona fede della ricorrente nella presentazione degli elaborati grafici a supporto della DIA – all’indirizzo a mente del quale l’art. 21 nonies della l. n. 241/1990 va interpretato nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi è consentito:
a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale;b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 2018 n. 3940).
Da ultimo, con riguardo alla lamentata violazione dell’art. 146 d.lgs. 42/2004: proprio la particolare tutela ambientale dei luoghi ove l’intervento ricade esige il rigoroso rispetto della disciplina paesaggistica e con essa delle modalità d’esecuzione delle opere autorizzate.
Sicché, in caso di difformità delle opere dall’autorizzazione paesaggistica, la sanzione ripristinatoria, ragguagliata alla difformità contestata, è atto hic et inde dovuto senza affatto presupporre il previo riesame dell’autorizzazione da parte degli organi periferici del MIBAC ai sensi dell’art. 12, comma 1 bis, del D.L. n. 83/2014, convertito in legge n. 106/2014.
7. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
8. La controvertibilità dei fatti dedotti in causa giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.