Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-09-29, n. 201007187

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-09-29, n. 201007187
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201007187
Data del deposito : 29 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04063/2005 REG.RIC.

N. 07187/2010 REG.DEC.

N. 04063/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 4063 del 2005, proposto da:
Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

O N;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 04186/2004, resa tra le parti, concernente DINIEGO AUTORIZZAZIONE A GESTIRE ISTITUTO DI VIGILANZA PRIVATA.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2010 il Cons. M C e udito l'avvocato dello Stato Vitale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con la sentenza n. 4186 del 2004 il Tar del Lazio, sede di Roma, ha accolto il ricorso proposto dal sig. Nicola Oliva per l’annullamento del provvedimento del Prefetto di Roma del 2.6.1997, con il quale è stato negato il rilascio dell’autorizzazione a gestire un istituto di vigilanza privata per il motivo che “da un’accurata e approfondita ricognizione dello stato della vigilanza privata nella provincia risulta che il numero degli istituti ivi operanti è adeguato alla domanda, quest’ultima valutata nel contesto delle condizioni dell’ordine e della sicurezza pubblica”.

Il Tar, premesso che gli artt. 134 e 136 del t.u.l.p.s. n. 773 del 1931 attengono alla regolamentazione del rilascio di una licenza che è necessaria non già per l’esercizio di un’attività succedanea di quella propria delle Forze dell’ordine, ma per quello di un’attività imprenditoriale che si concretizza nella fornitura di un servizio di difesa della proprietà privata resa ad altri soggetti dietro corrispettivo, ha ritenuto il diniego illegittimo non tenendo conto, tra l’altro, della posizione espressa sul punto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 23.5.1997 per la quale l’istituzione di un regime di sostanziale esclusiva o oligopolio non appare giustificata da reali esigenze di carattere generale;
in concreto, poi, le motivazioni del diniego risultano, per il TAR, del tutto insufficienti non essendo evidenziato né il numero, né l’importanza degli istituti esistenti, né alcun dato in ordine ai pericoli derivanti dal preteso eccesso di concorrenza che si verificherebbe in caso di favorevole valutazione della domanda.

La sentenza è appellata dal Ministero dell’interno, il quale sostiene che il settore della vigilanza in provincia di Roma è caratterizzato da un regime di piena concorrenza tra le varie imprese autorizzate e che il limite al rilascio di nuove autorizzazioni è inscindibilmente connesso ad esigenze di sicurezza pubblica, le quali verrebbero disattese in caso di eccessiva proliferazione delle autorizzazioni medesime.

Non si è costituito in giudizio l’originario ricorrente.

All’udienza del 4.5.2010 la causa è passata in decisione.

L’appello è da respingere alla luce della giurisprudenza amministrativa prevalente sullo specifico argomento, alla quale il Collegio aderisce.

Va premesso che la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum , con conseguente irrilevanza di sopravvenienze normative, salve le ipotesi, non ricorrenti nella fattispecie, di un’eventuale espressa clausola di retroattività della legge.

In questo senso l’intervenuta abrogazione (per effetto dell’art. 4 del d.l. 8 aprile 2008 n. 59, convertito nella legge n. 101 del 2008) del secondo comma dell’art. 136 del t.u.l.p.s. n. 773 del 1931 – ai sensi del quale la licenza in questione poteva essere negata in considerazione del numero o dell’importanza degli istituti esistenti - non può produrre un diretto effetto demolitorio sull’azione amministrativa ora all’esame del Collegio.

Peraltro già in passato la giurisprudenza prevalente amministrativa aveva interpretato restrittivamente il canone valutativo contenuto nella citata disposizione, nel senso che i provvedimenti di diniego non potevano essere motivati soltanto in base al numero degli istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti, ma dovevano dare ragione di come e perché l’interesse pubblico sarebbe stato danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, a giustificazione del restringimento della sfera di libertà costituzionalmente garantita e della limitazione delle dinamiche concorrenziali legislativamente tutelate e promosse (Cons. di Stato, VI, nn. 1556 del 2010, 4391 e 5195 del 2009, 1916 del 2008, 5303 del 2007).

Ciò vale anche nel caso in esame, essendosi la p.a. limitata ad affermare il dato quantitativo delle licenze esistenti che, a suo avviso, non consentiva il rilascio di nuove autorizzazioni per ragioni di “ordine e sicurezza pubblica” soltanto genericamente dedotte.

La sentenza impugnata è esente da censure, perché si adegua all’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa sopra ricordato e puntualmente rileva anche che il diniego della p.a. non ha tenuto conto della segnalazione fatta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato proprio al Ministero dell’interno sullo specifico argomento pochi giorni prima dell’adozione del diniego impugnato.

Non possono essere positivamente valutate le considerazioni espresse nell’appello circa le “nefaste conseguenze di un eccesso di concorrenza” tra gli istituti di vigilanza, che avrebbe già innescato una vera e propria competizione al ribasso dei costi sostenuti dai vari istituti con conseguente ripercussione sulla qualità del servizio, nonché sulle frequenti violazioni di legge riscontrate dagli organi di vigilanza nell’applicazione di tariffe inferiori a quelle di legalità, nell’impiego di guardie giurate per un numero di ore eccedenti quelle consentite, nella predisposizione di servizi in contrasto con le norme contenute nel regolamento predisposto dal Questore il 24.4.2001 e infine nell’eccessivo ricorso al lavoro straordinario, perché siffatte presunte irregolarità sono estranee al contenuto del diniego impugnato e, come affermato anche dalla Corte di giustizia CE nella sentenza della seconda sezione 13.12.2007 nella causa C-406/05, l’introduzione di controlli amministrativi regolari dovrebbe assicurare la necessaria vigilanza sul settore in esame, senza giungere ad ingiustificate restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi.

Per tali motivi l’appello in epigrafe appare infondato e, per l’effetto, va respinto.

Nulla sulle spese del grado in mancanza della costituzione nel presente giudizio dell’originario ricorrente.

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