Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-12-05, n. 201806905
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Pubblicato il 05/12/2018
N. 06905/2018REG.PROV.COLL.
N. 08550/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8550 del 2012, proposto da:
V G, rappresentata e difesa dall'avvocato B G C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, 288;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'avvocato S S, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove n. 21,
Roma Capitale - Municipio II - Unità' Organizzativa Tecnica, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso per legge dall'avvocato S S, con domicilio eletto in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il LAZIO – ROMA - SEZIONE I-QUATER, n. 6822/2012, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive e ripristino della destinazione d'uso nonché ripristino dello stato dei luoghi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Roma Capitale - Municipio II - Unità Organizzativa Tecnica;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2018 il Consigliere O L e udito, per l’appellante, l’avvocato B G C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’odierna appellante è proprietaria di un appartamento sito in Roma, via di Novella n. 14, quinto piano, censito al foglio 568, particella 262, sub 504.
La medesima è altresì proprietaria, al piano superiore, di un locale soffitta per una superficie di circa mq. 7, con annessa terrazza di proprietà esclusiva censita al foglio 568, particella 262, sub 593 e 35 di mq. 43 circa di superficie.
Per una limitata porzione della terrazza posta al sesto piano (per mq. 15) la precedente proprietà aveva realizzato una tettoia a ridosso dell'uscita della soffitta e per tale intervento, aveva chiesto sanatoria in data 9.12.2004. Tale tettoia, originariamente formata da travi in legno con struttura portante in pali, risultava tamponata su due lati: per un lato con la porta finestra della soffitta e per l'altro lato per preesistenza di un muro di confine con la terrazza condominiale.
Nel corso dei lavori di manutenzione e di adeguamento degli impianti avviati dall'attuale proprietaria dopo l'acquisto, ed oggetto di regolare DIA del 2006 (prot. 47340 e 50429), si è proceduto, tra l'altro, alla sostituzione del manto impermeabilizzante anche della terrazza del VI° piano con conseguente ripavimentazione. In tale contesto, la tettoia in legno è stata oggetto di opere di revisione e di sostituzione di elementi ammalorati, con il completo rivestimento della struttura in legno con pannelli di alluminio e con l'aggiunta nella parte interna sottostante di una coibentazione termica rivestita da un controsoffitto in cartongesso.
Peraltro, in quella sede, sono stati anche applicati sui due lati residui aperti pannelli scorrevoli in vetro creando, nella sostanza, una serra – veranda.
Tale ultimo intervento è stato oggetto di rilievo da parte della Polizia Municipale di Roma nel corso di un sopralluogo effettuato in data 30.10.2006 per una verifica di tutti i lavori in corso. Più specificatamente, nell'occasione, la Polizia Municipale accertava e contestava la creazione della veranda mediante la tamponatura dei due lati aperti della tettoia con infissi scorrevoli in alluminio anodizzato e vetri, nonché la messa in comunicazione della terrazza del VI piano con quella del V piano a mezzo di una scala a chiocciola aperta in ferro (posta sul terrazzo del piano quinto ed aggettante su quello del VI) e, quindi, in questo modo con il sottostante appartamento.
A seguito di detto sopralluogo, le strutture contestate di tamponatura dei due lati aperti venivano interamente rimosse da parte della proprietaria, con conseguente ripristino dello stato quo ante: salvo la permanenza degli interventi manutentivi e di revisione della tettoia rimasta — di identiche dimensioni rispetto alla sottostante struttura in legno — con i rivestimenti in alluminio anodizzato estesi ai pali di sostegno e con la controsoffittatura di copertura della coibentazione.
Nel contempo l'interessata presentava altresì, in date 7.11.2006 e 23.11.2006, D.I.A. a sanatoria con relativo pagamento dell'oblazione di legge, comprendente tra l'altro la collocazione della scala a chiocciola in ferro (con ringhiera di protezione del lastrico solare) di collegamento tra le due terrazze.
Nel frattempo, in data 6.11.2006, veniva effettuato un ulteriore sopralluogo da parte dei Vigili Urbani, che portava all'accertamento dell'avvenuta rimozione delle opere contestate, come confermato dalla comunicazione di avvio del procedimento emessa dal Dirigente del Municipio Il prot. CB 3381 del 23.01.2007, con conseguente presa d'atto dell'eliminazione della tamponatura dei due lati aperti della tettoia e quindi dell'intervenuto ripristino dello stato quo ante dei luoghi.
Successivamente, in data 16.07.2007, la Polizia municipale riteneva di effettuare un ulteriore sopralluogo, all'esito del quale il Dirigente del settore, con Determinazione Dirigenziale n. 1644 del 11.9.2007, contestava alla sig.ra G il "cambio di destinazione d'uso del manufatto posto al piano VI dell'immobile da locale soffitta a residenziale in quanto usato come studiolo. L'interno del vano risulta completamente arredato, munito di impianto elettrico e di condizionamento, inoltre l'area sottostante la tettoia sopraccitata, posta in comunicazione con la predetta soffitta a mezzo di un vano porta, è stata arredata con mobilio e piante, è munita di impianto elettrico e predisposizione per l'impianto di riscaldamento. Tale tettoia, di circa mq. 15 con altezza variabile da int. 2,70 a mt. 3,00 è formata da una copertura in pannelli coibentati ancorati al muro perimetrale della soffitta;è sorretta da una struttura portante in pannelli di alluminio anodizzato fissata su soglie in travertino poste sul piano di calpestio del terrazzo;è munita di gronda e pluviale, è controsoffittata internamente ed è stata tamponata su due lati mentre il terzo lato è chiuso da un muro di confine con altra proprietà su cui è sovrapposta una vetrata. Sui due lati stamponati, a suo tempo chiusi con infissi scorrevoli in alluminio anodizzato e vetri, successivamente rimossi, sono ancora presenti i binari per lo scorrimento degli infissi" .
Sulla scorta dei riportati rilievi ed ai sensi dell'art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, il Dirigente del Municipio II del Comune di Roma ordinava alla Sig.ra G la demolizione o rimozione delle opere sopradescritte entro trenta giorni dalla notifica dell'atto.
Con ricorso al TAR Lazio, la sig.ra G proponeva ricorso avverso la suddetta determinazione, lamentando:
i) violazione dei principi sul procedimento amministrativo, in relazione alla mancata individuazione nel provvedimento impugnato di uno specifico abuso cui è correlabile la disposta misura della demolizione;
ii) violazione delle regole di cui all'art. 7 della L. n. 241/1990, essendo mancata totalmente la contestazione dell'abuso e dell'avvio del procedimento sanzionatorio (non potendo valere allo scopo la nota del 23.11.2007 prot. CB 3381 in quanto attinente esclusivamente alla contestata tamponatura dei due lati liberi della tettoia);
iii) violazione delle disposizioni relative ai titoli abilitativi e del relativo procedimento di cui al D.P.R. n. 380/2001, posto che nessun mutamento di destinazione d'uso poteva configurarsi nella specie.
Il T.A.R. rigettava parzialmente il ricorso per quanto riguardava le censure volte a contestare il cambio di destinazione d'uso del locale soffitta e la mancata comunicazione di avvio del procedimento, mentre accoglieva l'impugnativa soltanto in relazione al contestato carattere abusivo della tettoia, in quanto oggetto di domanda di condono edilizio pendente e in fase di positiva conclusione.
Avverso tale sentenza interponeva gravame la sig.ra G, formulando tre motivi d’appello.
Si costituiva in giudizio Roma Capitale, per resistere al gravame.
All’udienza del 29 novembre 2018, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. E’ fondata la prima parte delle deduzioni del secondo motivo d’appello, con il quale l’appellante denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 10, 22, 33, 36 e 37 D.P.R. n. 380/2001, anche con riguardo all'art. 5 delle N.T.A. del P.R.G. di Roma. Eccesso di potere per manifesta illogicità ed abnormità, per errore e travisamento dei presupposti di fatto e diritto, difetto di istruttoria ed illogicità manifesta.
La motivazione di parziale rigetto del T.A.R. si fonda sul presunto mutamento di destinazione d'uso della soffitta in "studiolo" .
Tuttavia il giudice di prime cure trae il proprio convincimento soltanto dalle argomentazioni contenute nelle memorie difensive dell’odierna appellata, senza dare minimamente conto che trattavano di una rappresentazione di parte e che dalla documentazione prodotta in giudizio risultava un diverso stato dei luoghi.
In particolare il T.A.R. ha ritenuto di non condividere le osservazioni della ricorrente relative al mutamento di destinazione d'uso avvenuto senza opere, perché ciò - secondo quanto precisato dall’appellata - "rimane sconfessato dagli accertamenti che espressamente riferiscono di una scala di collegamento tra piani, di lavori per la realizzazione di impianti, della realizzazione di un vano porta di collegamento tra il vano e l'area sottostante la tettoia, della realizzazione di una struttura portante in alluminio posta sul calpestio del terrazzo" .
Tale affermazione non è fondata. Difatti si fonda su presupposti errati, sconfessati in primo luogo dallo stesso contenuto del provvedimento impugnato. In questo, infatti, non vi è alcuna correlazione tra il contestato cambio di destinazione d'uso e la realizzazione della scala esterna;nelle premesse si rileva semplicemente che il lastrico solare — oggetto di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui alla DIA presentata il 20.10.2006 — "comunicante con l'appartamento sottostante a mezzo scala a chiocciola in ferro" : non si tratta quindi di "collegamento tra piani" — come erroneamente ritenuto dal T.A.R. - in quanto la soffitta affaccia su di un terrazzo di proprietà esclusiva al sesto piano comunicante con il predetto lastrico solare e quindi non è affatto comunicante con i vani dell'appartamento sottostante.
Ciò precisato, risulta parimenti non condivisibile la pretesa contestazione di una modifica di destinazione d'uso della soffitta sul semplice indizio istruttorio dell'arredamento ivi presente e della presenza di impianto elettrico e di condizionamento.
Tali elementi non valgono a dimostrare la destinazione residenziale del locale soffitta.
Ed in effetti così non è in quanto la stessa è utilizzata anche come deposito di mobilio, non è collegata direttamente all'appartamento sottostante potendosi accedere ad essa o tramite scala condominiale ovvero uscendo dalla terrazza del V piano, e accedendo tramite la scala a chiocciola realizzata nel terrazzo aperto del VI piano per poi transitare dalla porta di accesso della terrazza posta sotto la tettoia.
Questi elementi da soli sono inequivoci nell'attestare l'inidoneità del vano ad un uso residenziale, posto che tra l'altro non è dotato di alcun impianto idraulico, né tanto meno di bagno e cucina.
Il T.A.R. ha omesso di considerare in concreto e nella reale consistenza su quali elementi si fondava il contestato cambio di destinazione d'uso, posto che tra l'altro nessuna opera edilizia era stata eseguita e che non certo decisiva poteva considerarsi la presenza di mobili che potesse far pensare ad un mutamento di destinazione urbanisticamente rilevante.
Così facendo il T.A.R. è incorso nella confusione tra destinazione d'uso e mera attività svolta in un immobile, che invece non ha alcuna rilevanza sul piano urbanistico, per il quale rileva soltanto la destinazione d'uso impressa all'immobile dalle sue caratteristiche architettoniche. In tal senso il Consiglio di Stato, riportandosi ad un costante indirizzo giurisprudenziale, ha affermato infatti che: "L'attività che di fatto venga svolta in un immobile non ha nulla a che vedere con la normativa edilizia, per la quale rileva soltanto la destinazione d'uso impressa all'immobile dalle sue caratteristiche architettoniche in sede di costruzione o con successive opere di modificazione,- né la normativa esige che un immobile rimanga sempre destinato all'originaria destinazione, intesa come attività che vi si svolge, o alla destinazione specifica che venga indicata in sede dì concessione edilizia" (Cons. Stato, 14.5.2003, n. 2586).
Inoltre, con riguardo ai locali soffitta, è evidente che un cambio di destinazione d'uso si realizza quando si è in presenza di una modifica edilizia tale da variare le oggettive attitudini funzionali del bene. Perciò, affinché possa contestarsi una modifica di destinazione d'uso di una soffitta in abitazione, deve essere rilevata la realizzazione di opere del tutto incompatibili con l'originaria destinazione d'uso.
Nel caso in esame invece opere interne al locale sottotetto non sono state affatto realizzate. L’appellante si è limitata a depositare alcuni mobili nella soffitta e ad installare un impianto di condizionamento per contestare l'irraggiamento solare e preservare la conservazione dei libri e del mobilio stesso ivi collocato. L'impianto elettrico, pure accertato dal Comune, pare essere preesistente ed è finalizzato alla ordinaria illuminazione della soffitta e, come tale, è di solito presente in un locale con qualsiasi destinazione d’uso. La porta finestra della soffitta che comunica con la terrazza del sesto piano, pure rilevata nel provvedimento, pare essere sempre esistita. Com'è evidente, allora, le attitudini funzionali del locale soffitta non sono state modificate, con conseguente insussistenza di alcun cambio di destinazione d'uso.
Ne la decisione del T.A.R. può trovare idoneo fondamento nel rilievo del giudice di prime cure per cui "i mutamenti di destinazione d'uso in zone omogenee A di cui al DM 1444/68 abbisognano di permesso a costruire, anche se realizzati senza opere edilizie" . Anche qui, infatti, il T.A.R. erra.
Quanto alle destinazioni urbanistiche, giova evidenziare, infatti, che l’immobile in cui è inserito il locale, non ricade nella zona A del PRG di Roma (e quindi insuscettibile di qualsiasi eventuale mutamento di destinazione d’uso), ma – come d’altronde riportato nella stessa epigrafe della determina n. 1644/2007 – in zona B2 di cui al D.M. n. 1444 del 1968, a nulla rilevando che successivamente all’epoca del supposto abuso la variante generale al PRG avesse previsto una nuova classificazione con l’ampliamento della zona A denomina “Città storica” (dizione non corrispondente a quella di “Centro storico racchiuso nelle antiche mura” e di datazione anteriore al 1950) ricomprendente in sostanza la zona A dell’originario PRG, secondo la ripartizione del D.M. 1444/1968, e talune porzioni della zona B del medesimo D.M..
Al di là che nessuna mutazione di destinazione d’uso era di fatto intervenuta nella soffitta, la circostanza è comunque priva di rilievo e tanto più insuscettibile di giustificare un provvedimento di demolizione, posto che l’art. 25 (tessuti della città storica) della NTA ripartisce tale superzona in diverse zone di cui quella di interesse è indicata come “T7” , come risulta dalle cartografie depositate, definiti come “tessuti di espansione novecentesca e lottizzazione edilizia puntiforme” meglio descritta come “tessuto di edifici isolati nel lotto con tipologia a palazzina formatosi a ridosso ed all’esterno della cinta muraria, disegnata sulla base di impianti urbani previsti dal Piano Regolatore del 1909 e dalle successive varianti sia del Piano Regolatore del 1931 e dalle successive varianti” .
Infatti, per le aree così qualificate l’art. 32 NTA ammette:
- gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e di restauro e risanamento conservativo (art. 9);
- gli interventi di ristrutturazione, di ampliamento e di demolizione e ricostruzione secondo le modalità indicate dall’art. 25, co. 4, NTA.
L’art. 32 NTA, al comma 4, prevede, poi, che: “Sono ammesse le destinazioni d’uso di cui all’art. 25, comma 14, con esclusione delle destinazioni Agricole ...” , mentre secondo il richiamato art. 25, co. 14, la NTA, nei tessuti della Città storica sono consentite, salvo le ulteriori limitazioni contenute nella specifica disciplina di tessuto le seguenti destinazioni d’uso, come definite dall’art. 6: a) abitative;b) commerciali;c) servizi;d) turistico – ricettive;e) produttive;f) agricole;g) parcheggi non pertinenziali, specificando al successivo comma 15 che esclusivamente per “i Tessuti da T1 a T5 e per il Tessuto T6 ricedente nei Municipi I e XVII il cambio di destinazione d’uso è ammesso” con talune limitazioni, mentre nulla specifica per il T7.
Sicché, alla stregua della disciplina urbanistica riferibile, non poteva configurarsi l’ipotesi di mutamento di destinazione d’uso contestata alla ricorrente per il supposto utilizzo del locale soffitta in “studiolo” , dal momento che nessun intervento edilizio è stato attuato se non quelli di ordinaria manutenzione e di revisione e adeguamento degli impianti di illuminazione e trattazione dell’aria, non rileva affatto come mutamento di destinazione urbanistica tra le categorie indicate all’art. 6 delle medesime NTA, mantenendosi ovviamente all’interno della medesima destinazione d’uso, ovvero quella “abitativa” .
In secondo luogo va sottolineato che, secondo quanto disposto dal comma 4 dello stesso articolo 6 delle NTA, “l’introduzione di nuovi usi e funzioni all’interno dell’unità immobiliare non comporta cambio di destinazione d’uso, ai sensi delle presenti norme, se i nuovi usi non eccedono, nel complesso e con successive modificazioni, sia il 25% della SUL dell’unità immobiliare sia i 250 mq di SUL, se non appartengono ad una più alta categoria di carico urbanistico, se non sottraggono destinazioni originarie a parcheggio, se non comportano frazionamento catastale” .
Alla luce della norma ora richiamata, è allora evidente che anche l’utilizzo “improprio” (come “studiolo” ) della soffitta, laddove fosse anche da ritenersi urbanisticamente rilevante (cosa che non pare proprio) non comporterebbe affatto un cambio di destinazione d’uso, e ciò in quanto il locale in questione è di modestissime dimensioni (7 mq), nettamente inferiore al 25% della SUL (superficie utile lorda) dell’unità immobiliare di proprietà della ricorrente anch’essa pure nettamente inferiore ai 250 mq di SUL indicata da quella MTA come limite oltre al quale sarebbero escluse le modifiche di destinazione e ciò senza considerare che la soffitta era ed è sprovvista di servizi igienici (anzi non è dotata di alcun elemento di adduzione idrica) e quindi è inidoneo ad alcuna funzione abitativa.
Può anche ricordarsi che questa Sezione ha recentemente stabilito che “ il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incidente sul carico urbanistico) mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere ” (sent. 20/11/2018 n. 6562), confermando la tesi qui accolta per la fattispecie in esame, in cui si tratta all’evidenza di una perfetta coincidenza tra le categorie edilizie interessate.
2. Nella seconda parte del secondo motivo d’appello, l’appellante deduce di aver inoltre denunciato l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui pretende di ordinare genericamente la demolizione con riguardo alla tettoia con struttura portante posta sulla terrazza al sesto piano.
Sul punto il ricorso è stato accolto dal T.A.R., rilevando che la tettoia era stata oggetto di domanda di condono pendente in fase di positiva conclusione.
Considerata tuttavia la assoluta genericità del provvedimento impugnato, l’appellante dichiara – a fini meramente cautelativi – di riproporre la censura laddove il provvedimento fosse inteso come diretto a contestare non solo l’esistenza della tettoia ma anche le attività di ammodernamento sulla stessa effettuate nel 2006 che hanno comportato il rivestimento del legno con elementi in alluminio anodizzato e con la copertura della coibentazione mediante pannelli in cartongesso.
Tali attività, infatti, risulterebbero oggetto di DIA in data 20.10.2006 e sarebbero state effettuate nell’ambito di un più ampio intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria sul lastrico solare posto al sesto piano dell’immobile.
In ogni caso, sarebbe evidente che le mere attività di rivestimento della struttura in legno con materiale in alluminio e cartongesso costituiscono attività manutentiva e certamente non concretano né attività non ammesse dal vigente strumento urbanistico, né interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica o di ristrutturazione edilizia.
2.1. Ritiene il Collegio che, con riguardo alla doglianza proposta dall’appellante rispetto alla tettoia, possa essere dichiarata l’improcedibilità dell’appello, poiché può ritenersi ormai superata la complessiva originaria problematica derivata dal sopralluogo della Polizia municipale del 16.07.2007 con riguardo alla questione della tettoia presente nel terrazzo al piano VI (e prospiciente la soffitta) realizzata dal precedente proprietaria dell’immobile, ed oggetto di manutenzione straordinaria da parte della medesima sig.ra G: per tale tettoia difatti era stato richiesto dall’originaria proprietà il condono nr. 389068, solo recentemente definito con l’emissione di titolo edilizio 28.09.2018 rep. 3244, mentre erano state rimosse talune protezioni in vetro originariamente inserite in due lati aperti. Nel rilasciare il titolo abilitativo in sanatoria, Roma Capitale non ha contestato in alcun modo gli interventi di ammodernamento della tettoia, per cui l’ha sanata nelle condizioni in cui essa si trova attualmente.
3. Conclusivamente, l’appello va dichiarato in parte improcedibile ed in parte accolto, con conseguente integrale accoglimento del ricorso in primo grado ed annullamento del provvedimento impugnato.
4. Considerata la particolarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
5. Roma Capitale è tenuta a rifondere all’appellante il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in primo grado ed in appello.