Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-06-24, n. 202205194

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-06-24, n. 202205194
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205194
Data del deposito : 24 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/06/2022

N. 05194/2022REG.PROV.COLL.

N. 08625/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8625 del 2020, proposto dal CNR - Consiglio nazionale delle ricerche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

D Z, rappresentata e difesa dall’avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cosseria 2;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 10929/2020, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della dott.ssa D Z;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 20 gennaio 2022 il cons. A P e uditi per il CNR l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con il ricorso in appello, indicato in epigrafe, il Consiglio nazionale delle ricerche (d’ora in poi, per brevità, CNR) ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. III-ter, 26 ottobre 2020, n. 10929, con la quale è stato accolto il ricorso (n. R.G. 11168/2018), seguito da motivi aggiunti, proposto in primo grado dall’odierna parte appellata e quindi è stato annullato l’impugnato provvedimento di esclusione dal concorso bandito dal CNR (bando n. 366.65), per titoli e colloquio, riservato al personale in possesso dei requisiti di cui all’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, per l’assunzione con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato di 3 unità di personale profilo di ricercatore – III livello : area strategica, patrimonio storico-culturale (la cui legittimità era stata contestata dalla ricorrente in primo grado insieme con quella relativa ad altri atti e provvedimenti presupposti e successivi rispetto a quello principalmente gravato).

2. L’odierna appellata ha impugnato il predetto bando di concorso e il successivo provvedimento di esclusione dalla procedura, nella parte in cui prevede:

- all’art. 2, comma 2, che ai fini della partecipazione alla procedura concorsuale è richiesto che i candidati non siano titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di qualsiasi profilo e/o qualifica presso una pubblica amministrazione sia alla data di scadenza della presentazione della domanda che alla data dell’eventuale assunzione;

- all’art. 3, comma 3, e all’art. 4, che la domanda deve essere compilata e presentata esclusivamente utilizzando l’applicazione informatica disponibile sul sito CNR.

3. La procedura de qua è stata indetta sulla base dell’art. 20 del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75 («Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni»), a norma del quale «le amministrazioni al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’art. 6, co. 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato il personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) abbia maturato al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi 8 anni».

Il comma 2 della medesima disposizione normativa, destinato al personale non in possesso dei suddetti requisiti ma in ogni caso di una esperienza professionale formalizzata con contratti flessibili diversi dal contratto a tempo determinato, ha individuato la possibilità per le amministrazioni pubbliche di bandire, nel triennio 2018-2020 «procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso».

4. Parte appellata dichiara di aver svolto, sin dal 2010, attività di ricerca in qualità di assegnista presso il CNR, istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (ITABC), ma, pur mantenendo l’interesse a continuare la propria esperienza in tale settore, a causa del mancato rinnovo dei contratti, ha partecipato ad un concorso statale ove è risultata vincitrice con conseguente assunzione a tempo indeterminato presso Ministero dell’istruzione, scuola primaria (prot. n. 15029 del 28/08/2012) con la qualifica di insegnante.

Il bando in questione, tuttavia, con riferimento ai requisiti di ammissione al concorso, ha previsto l’esclusione dei candidati che, pur essendo in possesso dei requisiti previsti dalla normativa primaria e dal medesimo bando, siano titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso un’altra amministrazione.

5. La sentenza qui appellata ha accolto il ricorso e i successivi motivi aggiunti ritenendo fondata la censura, di carattere assorbente, volta a contestare la violazione da parte del bando di concorso dell’art. 20, comma 2, d.lgs. n. 75/2017, letto unitamente agli artt. 51 e 97 Cost. e alla stregua dei principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Nel restringere la platea dei partecipanti al pubblico concorso, escludendo i dipendenti pubblici a tempo indeterminato, l’amministrazione ha, infatti, non solo irragionevolmente discriminato quest’ultima categoria di dipendenti rispetto a quelli privati, ma ha contraddetto la natura meritocratica dell’istituto del concorso per l’accesso agli impieghi pubblici, condizionando la partecipazione alla circostanza – ininfluente rispetto all’obiettivo della procedura concorsuale di selezione delle migliori professionalità – che non fosse in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze della pubblica amministrazione.

Tale requisito deve ritenersi illegittimo: l’individuazione dei requisiti di partecipazione deve essere infatti adeguatamente e prioritariamente motivata in ragione dell’interesse dell’amministrazione all’assunzione delle migliori professionalità, interesse sovraordinato rispetto ad altre finalità pure meritevoli di perseguimento, come, nel caso odierno, il superamento del precariato nel settore pubblico.

Appare poi fuorviante la pretesa dell’amministrazione di giustificare la disposizione escludente con la finalità di stabilizzazione del personale precario, prevista dalla legge.

Tale obiettivo appare già assicurato dal piano di assunzioni previsto dall’art. 20, co. 1, d.lgs. n. 75/2017 e dalla natura riservata delle procedure concorsuali come quella in esame (ex art. 20, co. 2), caratteristiche che esauriscono ampiamente il perseguimento della detta finalità di stabilizzazione.

L’introduzione, dunque, di un ulteriore requisito, non contemplato dalla legge ed estraneo all’interesse dell’amministrazione al reclutamento di personale qualificato, rappresenta uno sviamento dalle finalità tipiche del pubblico concorso, il quale, una volta individuate le necessità di organico dell’amministrazione e le professionalità richieste, deve necessariamente ispirarsi ai principi di riconoscimento del merito e di favor partecipationis.

6. Ha proposto ricorso in appello il consiglio nazionale delle ricerche deducendo quanto segue.

La previsione del bando censurata dalla controparte (e ritenuta illegittima dal TAR), in base alla quale sono ammessi alla procedura selettiva di cui all’art. 20, comma 2, cit. i soli candidati che non siano titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso una pubblica amministrazione, lungi dal porre un requisito di partecipazione estraneo all’ambito di operatività delle disposizioni di rango legislativo, risulta al contrario del tutto coerente con la ratio legis, di cui le clausole gravate costituiscono mera attuazione.

Nel caso di specie, infatti, non si discute dell’interesse del ricorrente a partecipare ad una procedura riconducibile tout court alla nozione di concorso pubblico (la cui finalità è effettivamente quella di realizzare la più ampia partecipazione possibile, al fine di selezionare le migliori professionalità), ma si disquisisce piuttosto della partecipazione ad una procedura speciale e soprattutto riservata, essenzialmente diretta al superamento del precariato nella pubblica amministrazione.

Tale procedura, disciplinata dall’art. 20 del D.lgs. n. 75/2017, risulta finanziata sulla base di fondi pubblici limitati e stanziati per realizzare l’obiettivo della stabilizzazione dei lavoratori precari.

Proprio in ragione del carattere limitato delle risorse disponibili, è da ritenersi coerente l’esclusione dall’iter selettivo di coloro che non rientrino nel novero dei lavoratori precari della pubblica amministrazione.

A conferma di quanto sin qui sostenuto, giova richiamare una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 872/2020 del 3.2.2020) che nell’affrontare una fattispecie analoga a quella odierna, ha avuto modo di affermare quanto segue: “[...] Dalla lettura combinata dei primi due commi dell’art. 20 risulta evidente che la stabilizzazione dei lavoratori precari costituisce obiettivo generale delle procedure di stabilizzazione, in entrambe le varianti disciplinate nei due commi, e tanto si desume sia dalla enunciazione di principio riportata nella rubrica dell’articolo (“Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”);
sia dalla individuazione di requisiti di ammissione modulati sulla titolarità di pregressi rapporti contrattuali a tempo determinato o flessibili, quindi “non stabili”;
sia, infine, dalla esplicita enunciazione, contenuta nel primo comma dell’art. 20, dell’intento normativo di consentire alle amministrazioni “di assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale” già reclutato con forme contrattuali estranee al modello del rapporto lavorativo stabile (id est, a tempo indeterminato).

Il Consiglio di Stato ha così chiarito che il presupposto applicativo della procedura riservata prevista dall’art. 20 del D.lgs. n. 75/2017 è proprio quello dell’assenza - in capo al candidato - di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in quanto la mera esistenza di un rapporto di lavoro stabile integra un profilo incompatibile con le istanze di superamento del precariato che costituiscono il fine principale della procedura di cui trattasi.

Del resto, se dipendenti già assunti a tempo indeterminato potessero essere reclutati con tale procedura straordinaria, intesa specificamente a superare il precariato, si vanificherebbe l’obiettivo della norma stessa, ed al contempo le risorse finanziarie dedicate a quel fine sarebbero impiegate per finalità diverse da quelle previste”.

Le predette argomentazioni appaiono idonee a far ritenere censurabile la sentenza impugnata anche laddove il TAR ha ritenuto illegittime le clausole del bando che impongono ai candidati di presentare la propria domanda di partecipazione esclusivamente in forma telematica.

Siffatta previsione non risulta in contrasto con il quadro normativo vigente, ed anzi risulta tesa ad una coerente gestione dell’iter selettivo, consentendo l’accesso alla procedura ai soli soggetti che attestino il possesso dei requisiti di partecipazione richiesti dal bando.

7. Il ricorso in appello non può trovare accoglimento.

La previsione contenuta nel bando (di assenza di titolarità di qualsiasi rapporto di lavoro a tempo indeterminato per accedere alla procedura su cui si controverte) non è contenuta nelle norme legislative che disciplinano la fattispecie, e tanto già sarebbe sufficiente per respingere il ricorso in appello.

9. Il Collegio ritine, però, di dover svolgere un’ulteriore osservazione.

La vicenda in esame attiene alla stabilizzazione di personale ad alto contenuto professionale: ne è riprova la necessità del possesso dei requisiti per la partecipazione alla selezione (che sono posseduti dall’odierna appellata).

Le osservazioni svolte nella sentenza, invocata da parte appellante, di questo Consiglio (Sez. III, n. 872/2020 del 3.2.2020), potrebbero valere in presenza di procedure di stabilizzazione di personale a basso contenuto professionale nelle quali non si richiede agli aspiranti (oltre alla precarietà del rapporto) nessuna particolare qualificazione. Se l’interessato ha ottenuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non ha più interesse alla stabilizzazione per un posto equivalente.

Nel caso di specie, l’appellata è risultata vincitrice con conseguente assunzione a tempo indeterminato presso il Ministero dell’istruzione, scuola primaria. Nella sua valutazione (insindacabile dal giudice adito, ma pienamente condivisibile) il posto di ricercatore presso il CNR offre maggior appagamento alle proprie esigenze di vita.

Deve essere ancora sottolineato che il bando (applicativo della norma di legge) non prevedeva la pendenza di un rapporto precario presso il CNR alla data di presentazione dell’istanza e la permanenza del medesimo fino al completamento della procedura medesima;
esso prevedeva, al contrario, solo l’astensione (di difficile giustificazione) da rapporti di lavoro per la durata della procedura medesima.

10. La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

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