Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-09, n. 201302520

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-09, n. 201302520
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302520
Data del deposito : 9 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09359/2010 REG.RIC.

N. 02520/2013REG.PROV.COLL.

N. 09359/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9359 del 2010, proposto da:
D L, rappresentato e difeso dall’Avv. F O e dall’Avv. F L, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Flaminia, 79;

contro


Comune di Almenno S Salvatore (Bg), in persona del Sindaco pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. M B e dall’Avv. F C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni, 8;

per la riforma

dell' ordinanza collegiale del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 73 dd. 23 marzo 2010, resa tra le parti e concernente liquidazione spese di giudizio per perenzione di ricorso proposto avverso ingiunzione a demolire opere abusive.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Almenno S Salvatore;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. F R e uditi per l’appellante Luigi D l’Avv. F O e per l’appellato Comune di Almenno S Salvatore l’Avv. F C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. L’esposizione della vicenda per cui è causa non può prescindere dall’illustrazione di taluni antefatti, alquanto risalenti nel tempo e che - nondimeno - risultano determinanti per la compiuta conoscenza della vicenda medesima.

In data 20 giugno 1968, il Comune di Almenno S Salvatore (Bg) ha rilasciato all’attuale appellante, Sig. Luigi D, la licenza edilizia n. 457 Reg. Costr. avente ad oggetto la realizzazione in località Oppoli Sopra, su un terreno fortemente scosceso e ad oggi corrispondente al civico n. 15 di Via Repubblica, di un edificio che sarebbe dovuto essere di sette piani, verso il lato a valle, e di quattro sul versante opposto.

I relativi lavori, iniziati il 5 novembre 1968 sono stati peraltro sospesi quasi subito con ordinanza del Pretore di Almenno S Salvatore emessa a’ sensi dell’art. 703 cod. proc. civ. a seguito di denuncia di nuova opera formulata dall’Opera Pia Rota a’ sensi dell’art. 1171 cod. civ., dante causa del medesimo D, la quale reclamava l’esercizio di una servitu altius non tollendi gravante sul fondo ceduto in proprietà all’attuale appellante.

A seguito di tale provvedimento giudiziale, l’impresa costruttrice ha abbandonato il cantiere quando l’edificio era stato realizzato per 3 piani fuori terra, verso il lato di valle, e per un piano dalla parte opposta, sui lato strada.

Il D riferisce, quindi, di aver completato l’edificio medesimo mediante lavori da lui eseguiti in economia, adibendo quindi il piano prospiciente alla strada provinciale (lato verso monte) a negozio: tutto ciò a motivo dell’intervenuta sua impugnazione del provvedimento pretorile di sospensione dei lavori, reso poi in effetti privo della sua efficacia interdittiva.

Va comunque evidenziato che con sentenza n. 2435 dd. 10 ottobre 1980 la Sez. III civile della Corte di Cassazione ha accolto integralmente le ragioni fatte valere dall’Opera Pia Rota nei confronti del D.

Il medesimo D riferisce quindi che il Sindaco di Almenno S Salvatore, a riscontro di una pregressa sua richiesta presentata in data 7 aprile 1970, ha rilasciato il certificato di agibilità limitatamente alla parte di edificio adibito a negozio.

L’Amministrazione Comunale ha inoltre proceduto in data 21 dicembre 1972 ad un nuovo sopralluogo in cantiere, all’esito del quale è stato rilevato che, a parte il piano adibito a negozio, degli altre tre realizzati uno era stato completato al 90%, nel mentre gli altri due erano stati invece, completati per il 30% circa, mancando ancora a quella data le barriere, gli infissi, i pavimenti e gli impianti igienici.

In dipendenza di ciò e su richiesta dello stesso D presentata il 26 marzo 1974, il Sindaco avrebbe prorogato sine di e l’efficacia dell’originaria licenza edilizia del 1968.

Il D riferisce quindi che i lavori sono stati ripresi e continuati sino alla data del 7 settembre 1977, allorquando il Sindaco di Almenno S Salvatore – a suo dire “inaspettatamente” e comunque nonostante la proroga della licenza edilizia disposta dal medio tempore sopravvenuto art. 18 della L. 28 gennaio 1977 n. 10 sino alla data del 30 gennaio 1981 – ha disposto la sospensione dei lavori “di completamento e di sopralzo dell’edificio esistente in località Oppoli Sopra” , in quanto eseguiti in assenza della “prescritta licenza” ;
a tale provvedimento ha fatto quindi seguito in data 23 novembre 1978 l’ordinanza di demolizione di quanto era stato ulteriormente realizzato in sopralzo, ossia gli ultimi tre piani.

Va rilevato, peraltro, che a fondamento dell’ordinanza sindacale di sospensione dei lavori è stata pure addotta dallo stesso Comune l’entrata in vigore del nuovo P.R.G., adottato sin dal 1977 e per effetto del quale è stato introdotto per la zona B1, nella quale ricade l’immobile del D, un limite di altezza pari a 7,5 metri, non rispettato dal progetto che il medesimo D stava realizzando.

Il D riferisce di aver presentato ricorso avverso il provvedimento di approvazione del nuovo strumento urbanistico, respinto dal T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia, con sentenza n. 542 del 1982.

L’anzidetta ordinanza di demolizione è stata parimenti impugnata dal D innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia: ma con sentenza n. 46 dd. 2 febbraio 1982 tale ricorso è stato dichiarato perento a’ sensi dell’allora vigente art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, non essendo stata depositata entro il termine dovuto la domanda di fissazione del ricorso medesimo.

Il D riferisce inoltre che l’adozione dell’ordinanza di demolizione medesima era stata, tra l’altro, preceduta dalla richiesta preventiva di parere obbligatorio che il Sindaco aveva inoltrato alla Sezione Urbanistica della Regione Lombardia, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 32 della L. 17 agosto 1942 n. 1150, e che l’organo adito si era pronunciato in senso favorevole alla demolizione dei tre piani costruiti fino al forzato fermo dei lavori determinato dall’ordinanza di sospensione dei lavori dd. 7 settembre 1977.

Il D afferma di aver quindi chiesto l’annullamento di tale parere con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto in data 3 ottobre 2001 a’ sensi dell’art. 8 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e di non conoscere a tutt’oggi l’esito di tale ulteriore impugnativa da lui proposta.

Il D espone pure di aver chiesto al Comune in data 19 ottobre 1981 di essere autorizzato a proseguire i lavori di completamento dell’edificio sulla scorta della proroga della licenza edilizia conseguita nel 1974;
non ricevendo risposta, egli afferma di aver più volte reiterato la domanda medesima, ricevendo soltanto in data 3 febbraio 1982 una prima risposta negativa su conforme parere reso dalla Commissione Edilizia comunale, secondo la quale egli non era più titolare del diritto di costruire in dipendenza non solo della pretesa dell’Opera Pia Rota al rispetto dell’anzidetta servitus altius non tollendi , ma anche per effetto della sopravvenuta disciplina contenuta nel P.R.G. che limitava l’altezza degli edifici ricadenti in quella zona del territorio comunale.

In data 20 aprile 1982 il Comune ha reiterato tale diniego a seguito di ulteriore istanza del D, il quale a sua volta ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento con ulteriore ricorso proposto innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sezione di Brescia, dichiarato inammissibile con sentenza n. 702 dd. 31 agosto 1984, a sua volta confermata in appello con sentenza n. 670 dd. 16 gennaio 1996 resa da questa stessa Sezione.

Nella sua esposizione dei fatti il D non sottace che la vicenda sin qui illustrata ha assunto pure risvolti penali, posto che il Pretore di Almenno S Salvatore ha disposto il sequestro dell’immobile in data 12 settembre 1983 nell’evenienza dell’esecuzione di opere - non assentite dal Comune - di tamponamento di alcuni dei muri perimetrali dell’edificio in corso di costruzione.

Il procedimento penale che è da ciò conseguito à stato definito con sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI, penale n. 2751 dd. 23 ottobre 1990, recante conferma della sentenza di condanna n. 212 dd. 26 febbraio 1990 emessa dalla Corte d’Appello di Brescia, ad eccezione del capo di imputazione inerente la violazione degli artt. 334, comma 2, e 388 cod. pen. (rispettivamente: sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) per intervenuta amnistia.

Il D riferisce quindi che l’immobile di cui trattasi è stato assoggettato a diversi provvedimenti giudiziali di sospensione dei lavori e di sequestro, segnatamente dal 3 ottobre 1977 fino al 15 dicembre 1983, ossia fino a quando il Pretore di Almenno S Salvatore ha disposto la revoca dell’anzidetto sequestro penale: circostanza, questa, che al di là della personale sua convinzione di essere comunque titolare di un legittimo e idoneo titolo edilizio che lo abilitava a completare l’edificio, gli avrebbe comunque materialmente impedito la spontanea ottemperanza all’ordinanza di demolizione degli ultimi tre piani dell’edificio medesimo emanata dal Sindaco in data 28 novembre 1978.

Il D afferma pure che la stessa sentenza della Corte di Cassazione dianzi citata confermerebbe che, in forza delle proroghe normative contenute nelle disposizioni di cui alla L. 10 del 1977, l’attività edilizia che egli avrebbe potuto porre in essere fino a tutto il 31 dicembre 1984 sarebbe stata per certo legittima.

L’attuale appellante riferisce inoltre che con deliberazione del Consiglio di amministrazione dd. 26 luglio 1984 l’Opera Pia Rota si era determinata a concludere con lui una transazione, comprendente la rinuncia a far valere la servitus altius non tollendi a fronte della corresponsione di una congrua somma quale corrispettivo al riguardo, e che peraltro la Sezione provinciale di Bergamo del Comitato Regionale di Controllo ha annullato con proprio provvedimento dd. 25 luglio1987.

1.2. Il Sindaco ha quindi emesso il provvedimento Prot. n. 4139 dd. 26 luglio 1991, recante un’ulteriore ingiunzione a demolire le parti abusive dell’edificio, dando contestualmente atto nella parte motiva di tale provvedimento che la demolizione stessa non era stata sino a quel momento possibile in dipendenza sia del sopradescritto contenzioso giudiziale penale ed amministrativo, sia delle misure di condono edilizio medio tempore intervenute.

Anche tale provvedimento sindacale à stato impugnato dal D innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia, sub R.G. 1160 del 1991.

1.3. Con ordinanza n. 625 dd. 15 novembre 1991 l’adito giudice di primo grado ha respinto la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, avanzata dal D, il quale ha pure proposto appello al riguardo, respinto a sua volta da questa stessa Sezione con ordinanza n. 843 dd. 28 maggio 1993.

1.4. Tale procedimento è stato quindi definito con decreto presidenziale di perenzione n. 930 dd. 30 giugno 2003.

1.5. Il D ha proposto opposizione avverso tale provvedimento, notificata il 9 e il 14 gennaio 2004 e depositandola il 16 gennaio 2004.

Nella propria impugnativa il medesimo D ha affermato che il termine di 60 giorni per la proposizione dell’opposizione stessa a’ sensi dell’allora vigente art. 26, comma 7, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 decorreva dal 25 novembre 2003, ossia dalla data di ricezione per e-mail della notizia della pronuncia predetta da parte dell’Ufficio relazioni con il pubblico della Sede di Brescia del T.A.R. per la Lombardia.

Secondo lo stesso D, inoltre, il termine decennale ex art. 9, comma 2, della L. 21 luglio 2000 n. 205, in forza del cui decorso la perenzione era stata dichiarata, doveva essere prolungato al fine di considerare pure le medio tempore intervenute sospensione feriali di cui alla L. 7 ottobre 1969 n. 742 con la conseguenza che per il caso di specie la perenzione sarebbe intervenuta appena nel marzo del 2003 e che - comunque - né prima, né dopo tale data la Segreteria della Sezione presso la quale il ricorso pendeva gli avrebbe notificato l’invito a presentare entro 6 mesi la domanda di fissazione dell’udienza;
senza sottacere, inoltre, che nel caso di specie la perdurante sussistenza di un proprio interesse alla definizione del ricorso nel merito era comprovato dall’avvenuta proposizione in data 26 luglio 2001 di motivi aggiunti di ricorso.

1.6. Con ordinanza collegiale n. 7 dd. 2 febbraio 2004 l’adito giudice di primo grado ha respinto l’opposizione del D, rilevando che: “la Segreteria della Sezione ha predisposto avviso di deposito del decreto di perenzione in data 30 giugno 2003, con invio per fax il giorno successivo. Peraltro il ricorrente era domiciliato presso la Segreteria della Sezione;
la nota con l’invito a presentare istanza di fissazione di udienza è stata inviata dalla Segreteria della Sezione allo studio del legale del ricorrente con raccomandata A/R all’indirizzo di Bergamo, Via Masone 2, e risulta ricevuta in data 21 gennaio 2002. Anche al riguardo si deve comunque ribadire che il ricorrente era domiciliato presso la Segreteria della Sezione;
il termine decennale si calcola senza sospensioni, in quanto tale periodo è preso in considerazione dalla norma come parametro legale della conservazione dell’interesse alla decisione e non al fine di sollecitare particolari adempimenti processuali;
l’attività processuale svolta all’interno del termine decennale è irrilevante (Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2003 n. 213). La perenzione decennale, a differenza di quella ordinaria, non tende principalmente a sollecitare l’attività processuale delle parti ma a preservare l’utilità della pronuncia giudiziale, che dopo un lungo periodo di tempo potrebbe essere data inutilmente per le modifiche di fatto e di diritto intervenute nel frattempo;
nel caso specifico, inoltre, i motivi aggiunti proposti dal ricorrente nel 2001 integrano censure contro il provvedimento impugnato con il ricorso originario senza introdurre un contenzioso strutturalmente autonomo nei confronti di altri atti”
.

1.7. Avverso tale ordinanza il D ha proposto appello sub R.G. 2109 del 2004, deducendo

al riguardo violazione dell’obbligo di regolare comunicazione a’ sensi dell’art. 9, comma 2 della L. 205 del 2000 dell’obbligo di regolare comunicazione, violazione dell’obbligo di rituale notizia di cui all’art. 6, ultimo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, non risultando nella specie previsto l’utilizzo della posta elettronica, oltre a tutto non inviata al corretto indirizzo;
erronei presupposti a’ sensi del medesimo art. 9 della L. 205 del 2000, nonché omessa astensione obbligatoria del presidente in seno al collegio giudicante, con conseguente violazione degli artt. 51 n. 4 e 669- terdecies cod. proc.civ.).

La vertenza è passata in decisione sulle sole conclusioni del D, e con ordinanza collegiale n. 5784 dd. 7 settembre 2004 questa stessa Sezione ha respinto la sua impugnazione, “stante la sospensione legislativa in atto in materia di condono edilizio (art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 conv. in L. 24 novembre 2003 n. 326), efficace nei confronti dei provvedimenti impugnati in primo grado, come pure del decreto presidenziale n. 930 del 2003 e dell’ordinanza (collegiale) n. 7 dd. 2 febbraio 2004 del T.A.R. di Brescia, per legge da ritenersi tutti sospesi fino al 31 luglio 2004 (ed anche successivamente, in presenza di domanda di sanatoria). Pertanto, il ricorso in appello va respinto, mentre le spese di questa fase saranno liquidate al definitivo” .

1.8. A questo punto il procedimento di opposizione avverso il decreto presidenziale dichiarativo della perenzione n. 930 del 2003 è stato definitivamente concluso dal giudice adito in primo grado con ordinanza collegiale n. 73 dd. 23 marzo 2004.

In tale ordinanza si legge, infatti – per quanto qui segnatamente interessa – che “il Comune ha depositato in data 22 febbraio 2010 l’ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5784 del 2004 al fine di ottenere la liquidazione delle spese di giudizio. La nota spese, depositata il 25 febbraio 2010, non si limita al giudizio di opposizione alla perenzione ma riguarda l’intero ricorso n. 1160 del 1991, conn una richiesta complessiva pari ad € 10.879,56.- , oltre ad IVA e CPA. … In effetti, considerato che questo T.A.R. si è già pronunciato sull’opposizione alla perenzione con l’ordinanza n. 7 del 2004, e tenuto conto delle valutazioni svolte nella sentenza n. 2565 dd. 14 dicembre 2009” (emessa sempre dal giudice di primo grado in reiezione dell’ulteriore ricorso ivi proposto sub R.G. 54 del 1993 dallo stesso D avverso il susseguente provvedimento del Sindaco di Almenno S Salvatore Prot. n. 5280 del 4 novembre 1992, recante l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli ultimi tre piani abusivi fuori terra dell’edificio in questione) , l’unica questione che rimane ancora aperta è quella relativa alle spese. … Al riguardo si osserva che la richiesta del Comune deve essere accolta per la parte riferibile al giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 26, comma 7, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, il quale prevede che nel caso di rigetto le spese siano poste a carico dell’opponente senza possibilità di compensazione anche parziale. La nota spese interessa solo la fase dell’opposizione che si è tenuta davanti al T.A.R. Del resto il Comune non ha partecipato al giudizio di appello. …Non può invece essere liquidata alcuna somma per l’attività Il decreto presidenziale n. 930 del 2003 utilizzando la formula “nulla per le spese” ha evidentemente fatto applicazione dell’art. 45 comma 2 del R.D. 17 agosto 1907 n. 642, il quale stabilisce che nel caso di perenzione ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio perento. Tale norma (coerente con il principio di cui all’art. 310 comma 4, cod. proc. civ. in materia di estinzione del processo) può essere estesa alla perenzione decennale (ora quinquennale). In effetti, pur essendo quest’ultima uno strumento che a differenza della perenzione ordinaria non sanziona l’inattività delle parti ma previene piuttosto l’inutile esame nel merito di ricorsi non più attuali a causa del tempo trascorso, l’effetto estintivo è in entrambi i casi la conseguenza automatica del verificarsi di un presupposto previsto dalla legge. Manca quindi un espresso atto di rinuncia al quale si possa ricollegare l’obbligo di rimborsare le spese (v. art. 46, comma 2, del R.D. 642 del 1907;
art. 306, comma 4, cod. proc. civ.). … Nello specifico le spese del giudizio di opposizione, tenuto conto della natura della controversia e della limitata attività processuale, possono essere liquidate nell’importo complessivo di € 760 oltre a IVA e CPA”
.

2.1. Tutto ciò premesso, con l’appello in epigrafe il D chiede la riforma sia dell’anzidetta ordinanza collegiale n. 7 del 2004 resa in primo grado dalla Sezione staccata di Brescia del T.A.R. per la Lombardia, sia dell’ordinanza collegiale n. 16 del 2010 resa dal medesimo giudice.

Il D premette al riguardo che il proprio interesse alla definizione del giudizio relativo ai rapporti definiti in tal modo dal giudice di primo si fonda sull’esigenza di riattivare il giudizio da lui proposto sulla legittimità dell’ingiunzione a demolire Prot.n. 4139 dd. 26 luglio 1991 gli anzidetti tre piani dell’immobile da lui realizzato, ottenendo in tal modo una definizione di tale causa nel merito.

Il D reputa inoltre, con riguardo all’art. 43 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, di poter essere rimesso in termini per chiedere a’ sensi dell’art. 32 del D.L. 269 del 2003 convertito in L. 326 del 2003 il condono edilizio per le opere abusive da lui realizzate: e ciò per effetto di un’eventuale accoglimento sia del presente appello, sia di quello concomitantemente da lui proposto sub R.G. 3503 del 2010 avverso l’anzidetta sentenza n. 2565 dd. 14 dicembre 2009 resa sempre dalla Sezione di Brescia del T.A.R. per la Lombardia, e parimenti chiamato in discussione all’odierna pubblica udienza.

Il D evidenzia che l’ordinanza n. 5784 dd. 7 settembre 2004 emessa sub R.G. 2109 del 2004 non si configura quale provvedimento giudiziale definitivo del relativo procedimento, avendo di fatto soltanto precisato che nei riguardi dei provvedimenti impugnati in primo grado, come pure del decreto presidenziale n. 930 del 2003 e dell’ordinanza (collegiale) n. 7 dd. 2 febbraio 2004 emessi dalla Sezione di Brescia del T.A.R. per la Lombardia era a quel tempo operante la sospensione dei procedimenti in atto in materia di condono edilizio fino al 31 luglio 2004 “ed anche successivamente, in presenza di domanda di sanatoria” : assunto, questo, che – per l’appunto – ex se non definiva, né definisce il giudizio da lui instaurato, ma soltanto lo sospende e che renderebbe quindi del tutto illogica l’affermazione dello stesso giudice, che pur contestualmente si rinviene nell’ordinanza stessa e secondo la quale “il ricorso in appello va respinto, mentre le spese di questa fase saranno liquidate al definitivo” .

Il D premette inoltre che in dipendenza di tutto ciò la definizione del giudizio di perenzione si è nella specie completata in primo grado soltanto mediante l’ordinanza collegiale n. 16 del 2010 recante la pronuncia sulle spese del giudizio e che, comunque, la definizione del giudizio medesima si fonda su di una lettura correlata dell’ordinanza medesima con quella n. 7 del 2004 precedentemente emessa dallo stesso giudice.

Il D reputa pertanto illegittimo quest’ultimo provvedimento giudiziale laddove il giudice di primo grado ha respinto in sede di opposizione al decreto di perenzione la censura con la quale era stata dedotta l’irrituale comunicazione del decreto stesso, in quanto avvenuta presso un domicilio diverso da quello eletto dal ricorrente.

2.2. Si è costituito nel presente grado di giudizio il Comune di Almenno S Salvatore, concludendo per la reiezione dell’appello.

3.1. La causa è stata per la prima volta chiamata per la sua definizione nel merito, alla pubblica udienza del 4 maggio 2012.

In tale evenienza su accordo e istanza delle parti la trattazione della causa è stata rinviata la discussione alla udienza del 27 novembre 2012 per consentirne l’abbinamento con il ricorso R.G. 3503 del 2010, previa emissione di avvisi di udienza

3.2. Con memoria dd. 10 0ttobre 2012 il patrocinio del D ha fatto presente di aver pure chiesto l’abbinamento del presente ricorso con quello pendente sub R.G. 2109 del 2004, ma che la relativa istanza “non è stata accettata dalla Segreteria della Sezione, in quanto il ricorso sarebbe ormai esaurito a seguito dell’ordinanza 7 settembre 2004 n. 5784” ;
assunto, questo, che il patrocinio medesimo decisamente contesta, rilevando che l’ordinanza testè riferita “appare estremamente anomala, in quanto ”respinge il ricorso in appello” , ma “rinvia al definitivo la liquidazione delle spese della presente fase” .

In dipendenza di ciò, quindi, il patrocinio del D “chiede che vengano in proposito adottate le relative determinazioni” .

3.3. Alla pubblica udienza del 27 novembre 2012 la causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

4.1. Il Collegio, stante l’espressa richiesta formulata al riguardo dal patrocinio del D, deve innanzitutto farsi carico di chiarire la sorte dell’appello proposto dal D sub R.G. 2109 del 2004, con il quale è stato parimenti chiesta la riforma dell’anzidetta ordinanza collegiale n. 7 del 2004 e in ordine alla quale è stata peraltro già pronunciata da questa Sezione la surriportata ordinanza collegiale n. 5784 del 2004.

Secondo l’allora vigente art. 26, ultimo comma, della L. 1034 del 1971 come sostituito dall’art. 9, comma 1, della L. 21 luglio 2000 n. 205, la perenzione era pronunciata con decreto dal Presidente della sezione competente o da un magistrato da lui delegato.

Il decreto era quindi depositato in Segreteria, che ne dava formale comunicazione alle parti costituite.

Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite poteva proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti e depositato presso la Segreteria del giudice adito entro dieci giorni dall’ultima notifica.

Nei trenta giorni successivi il collegio decideva sull’opposizione in camera di consiglio, sentite le parti che ne avessero fatto richiesta, con ordinanza che, in caso di accoglimento della opposizione, disponeva le reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario.

Nel caso di rigetto le spese dovevano essere poste a carico dell’opponente e venivano liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, “esclusa la possibilità di compensazione anche parziale” . L’ordinanza era depositata in Segreteria, che ne dava comunicazione alle parti costituite.

Avverso l’ordinanza che decideva sull’opposizione poteva essere proposto ricorso in appello, il quale “procede (va) secondo le regole ordinarie, ridotti alla metà tutti i termini processuali” .

4.2. Ciò posto, va innanzitutto rimarcato che il giudice di primo grado ha invero pronunciato l’ordinanza collegiale n. 7 del 2004 di reiezione dell’opposizione al decreto di perenzione, riportata nelle sue considerazioni motive al § 1.6 della presente sentenza, astenendosi peraltro dallo statuire sulle spese del giudizio di opposizione medesimo, come viceversa espressamente previsto dalla disciplina processuale all’epoca in vigore.

In dipendenza di ciò il giudizio d’appello proposto dal D sub R.G. 2109 del 2004 non si è potuto concludere, ma è stata correttamente pronunciata da questa Sezione l’ordinanza collegiale n. 7 del 2004 con la quale è stato dato atto della sospensione dei procedimenti sanzionatori degli abusivismi edilizi conseguente alla riattivazione dell’istituto di cui all’art. 44 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 medio tempore intervenuta per effetto dell’art. 32 del D.L. 269 del 2003 convertito con modificazioni in L. 326 del 2003 e a fortiori applicabile anche ai processi pendenti innanzi al giudice amministrativo e aventi a loro volta ad oggetto - per l’appunto - gli anzidetti procedimenti deputati all’irrogazione delle sanzioni urbanistico-edilizie.

Il giudice di primo grado, non appena il periodo di sospensione del processo è venuto meno, con ulteriore ordinanza collegiale n. 16 del 2010 si è quindi pronunciato sulle spese del procedimento di opposizione al decreto di perenzione, definendo così integralmente il procedimento giudiziale di propria competenza;
e il D, proponendo ora appello avverso tale ulteriore statuizione con la contestuale riproposizione dell’impugnazione dell’anzidetta ordinanza collegiale n. 7 del 2004 ha in tal modo ridevoluto a questo giudice la plena cognitio della fattispecie, tra l’altro ora nella vigenza dello ius novum desunto dal combinato disposto degli artt. 35, 85 e 87, comma 3, cod. proc. amm. in parte riproduttivo della disciplina previgente.

Corre pertanto la necessità di precisare che, in tale contesto, risulta in effetti di per sé anomala la statuizione contenuta nella predetta ordinanza collegiale n. 5784 del 2004, in forza della quale, come si legge sia nella parte motiva del provvedimento medesimo, sia nel suo dispositivo, si “respinge il ricorso in appello” e si “rinvia al definitivo la liquidazione delle spese della presente fase” , posto che in realtà il giudicante ha avuto – come detto innanzi – esclusivo riguardo alla sussistenza di una causa di sospensione del procedimento, sia amministrativo che giurisdizionale, astenendosi in tal modo da qualsivoglia valutazione in ordine ai motivi di impugnazione dedotti dal D avverso la pronuncia con la quale il giudice di primo grado aveva respinto l’opposizione ivi proposta dal D avverso il decreto presidenziale di perenzione.

Né va sottaciuto che a tale anomalia giuridica si è concomitantemente accompagnata pure un’anomalia di tipo informatico che ha impedito alla Segreteria della Sezione di provvedere alla reiscrizione del procedimento d’appello R.G. 2109 del 2004 nel ruolo delle cause da trattare all’odierna pubblica udienza.

Informaticamente – ma erroneamente - l’ordinanza collegiale è stata trattata infatti dal NSIGA (acronimo di “Nuovo sistema informatico della giustizia amministrativa” ) quale sentenza che ha integralmente definito il giudizio in secondo grado, e ciò nonostante la contestuale riserva di ulteriore pronuncia sulle spese in essa contenuta;
e anche il deposito del ricorso del D da cui è conseguita l’ordinanza collegiale n. 5784 dd. 7 settembre 2004 resa da questa stessa Sezione risulta nel protocollo informatico inverosimilmente avvenuto nella sola versione cartacea in data ben successiva, ossia il 26 ottobre 2012 (cfr. protocollo 2012054854 e protocollo

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