Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-08, n. 201800072

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-08, n. 201800072
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800072
Data del deposito : 8 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/01/2018

N. 00072/2018REG.PROV.COLL.

N. 04900/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 4900 del 2009, proposto dal signor
M C, rappresentato e difeso dall'avvocato M S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E M in Roma, via Ippolito Nievo, 61;

contro

Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati R I, M R S e A M M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato R I in Roma, Lungotevere Marzio, 3;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione seconda, n. 6125 del 23 dicembre 2008, resa tra le parti, concernente un diniego di un permesso di costruire in sanatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2017 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi, per l’appellante, l’avvocato Sanguini e, per il Comune di Milano, l’avvocato Izzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor Carlo Mucci, proprietario di un appartamento in un condominio di Milano, ha impugnato il provvedimento del Comune con il quale è stata respinta la domanda di rilascio di un permesso di costruzione in sanatoria per la copertura del suo terrazzo.

In particolare, il signor Mucci ha realizzato sulla originaria struttura del terrazzo, composta anche da pilastri di cemento con piccole travi inserite nella facciata condominiale, una copertura in policarbonato e un grigliato in legno a chiusura dei tre lati.

Il Comune di Milano ha tuttavia respinto la richiesta di sanatoria per violazione della distanza minima di tre metri dall’affaccio dei condomini soprastanti prevista dall’art. 907 del cod. civ..

2. L’adito T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il suo ricorso.

3. Contro la stessa sentenza il signor Mucci ha quindi proposto appello, prospettando i seguenti motivi di censura.

3.1. Erroneità della sentenza del T.a.r. in ordine alla violazione degli artt. 12 e 36 del d.P.R n. 380/2001 (testo unico dell’edilizia) in relazione al disposto di cui all'art. 907 codice civile.

Il giudice di primo grado avrebbe erroneamente considerato l’art. 907 del codice civile applicabile anche in sede di valutazione della congruità dell’intervento edilizio proposto, in aggiunta alle norme specifiche della disciplina urbanistica. Il T.a.r. invece avrebbe dovuto verificare se la disposizione del codice civile si prefiggesse o meno la sola tutela dei diritti privati. In sostanza, nel caso di specie l’art. 907 del codice civile non avrebbe avuto una valenza pubblicistica, ma solo di tutela del diritto del vicino alla veduta mediante la prescritta distanza dei tre metri. Di conseguenza, non avrebbe dovuto essere richiamato, ai sensi degli artt. 12 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, in sede di valutazione della istanza di sanatoria.

3.2. Erroneità della sentenza del T.a.r. in ordine alla portata dell'art. 907 primo comma codice civile.

L’art. 907 primo comma del codice civile non avendo valenza pubblicistica, non avrebbe potuto essere richiamato dall’Amministrazione comunale per negare il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria. Il T.a.r. avrebbe invece richiamato una generica necessità di tutela di un ordinato sviluppo del territorio senza dare conto del motivo per cui l’art. 907 del codice civile andava inserito nel novero delle norme emanate con scopi anche pubblicistici. Peraltro, il diritto di veduta non sarebbe stato acquistato da nessuno in ragione della preesistente travettatura e comunque non vi sarebbe stata prova della sua sussistenza.

La struttura costituente l'intelaiatura della veranda (pilastri di cemento verticali, sui quali insistono piccole travi in ferro che, orizzontalmente, partono dalla sommità dei pilastri di cemento e si inseriscono nella facciata condominiale) era infatti presente fin dalla costruzione dell'edificio condominiale, conseguendone che l'appartamento dell'appellante sarebbe stato dotato “ ab origine ” dotato della struttura necessaria alla copertura del terrazzo.

4. Il Comune di Milano si è costituito in giudizio il 23 giugno 2009, chiedendo il rigetto del ricorso, ed ha depositato una memoria il 12 ottobre 2017.

5. L’appellante ha infine depositato una memoria di replica il 23 ottobre 2017.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 16 novembre 2017.

7. L’appello non è fondato.

8. Il comune di Milano, a seguito di un esposto di alcuni condomini, ha effettuato un sopralluogo nell’immobile di proprietà del signor Mucci, rilevando che lo stesso aveva posizionato abusivamente una copertura in policarbonato sul proprio terrazzo sul quale si affacciano le unità immobiliari poste ai piani superiori. A seguito dell'ispezione, l’appellante ha quindi presentato istanza per il rilascio di un permesso di costruzione in sanatoria, qualificando l’intervento come manutenzione straordinaria. Il Comune ha tuttavia respinto la sua istanza in quanto la distanza fra la tettoia e l'appartamento sovrastante era inferiore ai 3 mt previsti dall’art. 907 del codice civile.

9. Nei motivi di appello proposti contro la sentenza del T.a.r. della Lombardia che ha respinto il suo ricorso, il signor Mucci deduce innanzitutto l’illegittimità della stessa decisione in quanto fondata sull’applicazione dell’art. 907 del codice civile. Per l’appellante, tale disposizione non avrebbe una valenza pubblicistica, ma solo di tutela del diritto del vicino alla veduta mediante la prescritta distanza dei tre metri e pertanto non avrebbe potuto essere richiamata, nel caso di specie, in sede di valutazione della sua istanza di sanatoria.

10. La tesi dell’appellante non può essere condivisa.

11. La sentenza impugnata ha richiamato l'art. 36 del d.P.R. n.380/2001, che prevede la possibilità di sanatoria per gli interventi edilizi che risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda. Ha inoltre richiamato l'art. 12 dello stesso d.P.R., che richiede per il rilascio del permesso in sanatoria la conformità alla " disciplina urbanistica-edilizia vigente ".

La sentenza di primo grado ha quindi correttamente ritenuto legittimo il provvedimento comunale impugnato che è stato adottato sul presupposto che, ai sensi delle citate disposizioni del Testo Unico dell’edilizia, la violazione delle distanze di cui all’art. 907 c.c. tra la tettoia e l’appartamento soprastante non riguardasse semplicemente i profili privatistici, ma incidesse sull’assetto regolatorio urbanistico – edilizio al pari delle altre disposizioni del codice civile relative alla distanze tra fabbricati.

In sostanza, l’art. 907 c.c., applicato dall’Amministrazione mediante il richiamo operato dalle disposizioni del testo unico dell’edilizia, sarebbe posto anche a tutela degli interessi pubblici connessi ad una corretta edificazione.

12. Ed in effetti, la realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti, come nel caso di specie, dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari (cfr. Cass. Pen., sez. III, 23 novembre 2012, n. 45819).

Di conseguenza, il rilascio del titolo edilizio necessita della conformità dell’opera non solo alle specifiche disposizioni del testo unico dell’edilizia (d.P.R. n. 380/2001), ma anche alle norme dallo stesso richiamate sulla disciplina urbanistica ed edilizia vigente (cfr. art. 12).

Tra queste ultime, vanno ricomprese quelle sulle distanze contenute nel codice civile e dunque anche quelle sulle distanze per le vedute di cui al comma 1 dell’art. 907:” Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette [c.c. 900] verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905 ”.

13. Ciò detto, va anche rilevato che nel caso concreto deve essere esclusa la natura pertinenziale della tettoia di copertura del terrazzo in quanto è assente il requisito della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza, costituendo il manufatto parte integrante dell'edificio.

Inoltre, ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici di origine codicistica, la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell'opera (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 354)

14. Quanto, infine, alla preesistente travettazione di ferro, la stessa non può ritenersi di per sé idonea a creare un’originaria ostruzione alla veduta, impedimento invece che si è concretizzato solo con la successiva realizzazione della copertura.

15. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e per l’effetto va confermata la sentenza impugnata.

16. In ragione della complessità della disciplina di riferimento, sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

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