Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-29, n. 201800579

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-01-29, n. 201800579
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800579
Data del deposito : 29 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/01/2018

N. 00579/2018REG.PROV.COLL.

N. 05421/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5421 del 2011, proposto dal signor:
L P, rappresentato e difeso dagli avvocati S C e A F, con domicilio eletto presso lo studio Francesco De Leonardis in Roma, via Cola di Rienzo, 212;

contro

il Ministero per i beni e le attivita' culturali, il Ministero dell'economia e delle finanze, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, l’Ufficio centrale per i beni archeologici, architettonici, artistici e storici del Ministero per i beni e le attività culturali, l’Ispettorato centrale tecnico del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del TAR Veneto, sezione II, 26 novembre 2010 n.2651, resa fra le parti, che ha parzialmente accolto, ma respingendolo nel resto, il ricorso n. 158/2001, proposto per l’annullamento:

a) del provvedimento 1 agosto 2000 prot. n.136 del Direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni archeologici, architettonici, artistici e storici presso il Ministero per i beni e le attività culturali – MIBAC, con il quale è stata inflitta, fra gli altri, al ricorrente appellante la sanzione pecuniaria di Lit. 697.500.000 per la costruzione di un solaio abusivo che ha causato la perdita della spazialità originale del salone del Palazzo Trento Valmarana, sito in Vicenza, contrà San Faustino 23, vincolato ai sensi del d.m. 7 marzo 1956;

b) del parere MIBAC richiamato nel suddetto provvedimento;

c) delle note della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Verona, Vicenza e Rovigo 12 marzo 1999 nn. da 3971 a 3976;
26 maggio 1999 n.8676, 1 giugno 1999 n.8981;
15 luglio 1999 n.15578 e 24 gennaio 2000 n.77;

d) della nota 5 ottobre 1998 n.A24007 del predetto Ufficio centrale presso il MIBAC;

e di ogni altro atto inerente, presupposto, ovvero conseguente;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attivita' culturali, del Ministero dell'economia e delle finanze, della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, dell’Ufficio centrale per i beni archeologici, architettonici, artistici e storici del Ministero per i beni e le attività culturali e dell’Ispettorato centrale tecnico del Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2017 il Cons. F G S e uditi per le parti l’avvocato Jacopo D'Auria, per delega dell'avvocato S C e l’avvocato dello Stato M V L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Palazzo Trento Valmarana, che si trova a Vicenza, in contrada San Faustino 5 e risale al XVI secolo, è stato a suo tempo sottoposto a vincolo storico artistico con decreto ministeriale 8 settembre 1935, emesso in base all’allora vigente l. 23 giugno 1912 n.688, che ne considera la “architettura classica;
nell’interno salone con soffitto affrescato da G.B. T, e saletta attigua, con affresco pur di G.B. T, raffigurante E e V;
salone monumentale con balaustra, due statue decorative e affreschi settecenteschi” (doc. 3 in I grado amministrazione, decreto di vincolo originario).

Dopo che lo stesso palazzo fu colpito e incendiato da bombardamenti nel corso della II guerra mondiale, intervenne un nuovo provvedimento, decreto ministeriale 7 marzo 1956, a riconsiderarne la situazione. Il provvedimento stesso premette che il palazzo in questione “costruito nel 1718 dall’arch. F M, danneggiato dall’incendio del 18 marzo 1945, ha subito la distruzione dello scalone e di tutti gli affreschi della sala. Sono stati salvati solo un tondo del T e alcune statue di O M al sommo della scala”;
ciò posto, ritiene ugualmente che l’edificio conservi “l’interesse particolarmente importante notificato al proprietario” e quindi dispone nel senso che sia “confermato l’interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1 giugno 1939 n.1089 dell’immobile sopradescritto, il quale, pertanto, rimane sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa” (doc. 4 in I grado amministrazione, decreto citato).

In epoca successiva, posto che il palazzo era stato trasformato in un condominio di appartamenti, il proprietario di uno di essi, l’attuale ricorrente appellante, ebbe a richiedere la sanatoria per i lavori svolti in tal senso alla competente Soprintendenza, la quale dispose in proposito una serie di indagini, e all’esito accertò, con nota 19 marzo 1998 n.3513, che “tali indagini hanno messo in luce alcuni lacerti delle pitture di epoca settecentesca appartenenti all’apparato decorativo – attribuito a Gian Domenico T ed al quadraturista Giandomenico Mengozzi Colonna – che un tempo ornava le pareti del salone principale del palazzo e i cui resti risultano ora interessati da un solaio che ne interrompe bruscamente la continuità … risulta che il solaio fu costruito, in assenza di autorizzazione, tra il 1953 e il 1957… nell’ambito dei lavori edilizi… consistenti nella ricostruzione e nella ristrutturazione dell’edificio, che risultava pesantemente danneggiato dagli eventi bellici, in particolare, a causa di un bombardamento aereo, erano stati completamente distrutti la volta del salone affrescata da Gian Battista T e buona parte dei dipinti parietari a cui si è già fatto cenno. Al di sopra di tale solaio, sono stati realizzati, nello stesso arco di tempo, i locali ora esistenti”, all’epoca appunto di proprietà, quanto ad uno degli appartamenti così realizzati, del ricorrente appellante, e quanto agli altri appartamenti, di altri soggetti estranei a questo processo (doc. 16 in I grado amministrazione, nota citata).

L’amministrazione, sempre nella nota citata, “pur non considerando l’inserimento del solaio compatibile con la struttura monumentale del palazzo, perché lo stesso comunque interrompe la spazialità del salone, ritiene sia opportuno concedere la sanatoria in considerazione della frammentarietà della decorazione che, proprio a causa di tale sua condizione, non riceverebbe sensibile vantaggio dalla demolizione della struttura orizzontale e in considerazione anche del notevole danno che… verrebbe arrecato agli attuali proprietari (certamente non colpevoli di un abuso effettuato da altri soggetti oltre quarant’anni or sono)”;
concludeva quindi con un parere favorevole alla sanatoria, con prescrizione di restaurare comunque i brandelli di affresco sopravvissuti e applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 59 della l. 1089/1939, secondo il quale, ove siano realizzati lavori abusivi come quelli di cui si tratta, e “ la riduzione della cosa in pristino non sia possibile, il trasgressore è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa per effetto della trasgressione ” (doc. 16 in I grado amministrazione, cit.).

La stessa Soprintendenza, dopo avere assunto informazioni da alcune agenzie immobiliari della zona – come da note 12 marzo 1999 prot. n. da 3971 a n.3976 nonché n.8676 e 8981 (doc. ti da 7 a 13 in I grado amministrazione, note citate) - ribadiva con la nota 15 luglio 1999 prot. n.15578 la proposta di sanzione commisurata alla diminuzione di valore del bene, e con la successiva nota 24 gennaio 2000 prot. n.77 la stimava in Lit. 697.500.000, pari a suo avviso al valore medio del salone a prezzi di mercato (doc. ti 6 e 5 in I grado amministrazione, note citate).

Con il provvedimento 1 agosto 2000 prot. n.136 indicato in epigrafe, il Ministero recepiva la proposta, e irrogava al ricorrente appellante e agli altri proprietari interessati la sanzione nella misura complessiva unitaria sopra citata, in relazione al fatto descritto, ovvero “per la costruzione di un solaio abusivo che ha causato la perdita della spazialità originale del salone, in dichiarata applicazione dell’art. 131 comma 4 del d. lgs. 29 ottobre 1999 n.490, ovvero del testo unico, di contenuto equivalente, vigente all’epoca, il quale aveva abrogato la l. 1089/1939 (doc. 1 in I grado amministrazione, provvedimento citato).

Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha parzialmente accolto il ricorso proposto contro tale provvedimento;
in motivazione ha ritenuto che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, sul palazzo non fosse mai venuto meno il vincolo originario, che quindi il citato d.m. 7 marzo 1956 avesse semplicemente ribadito un vincolo ancora esistente, che i lavori abusivi fossero in contrasto con tale vincolo, che quindi la sanzione fosse astrattamente dovuta, ma che incongruo, o comunque non adeguatamente giustificato, fosse il sistema utilizzato per determinarla;
annullava di conseguenza il provvedimento di sanzione, riservati gli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione intendesse assumere e impregiudicata la questione, pure sollevata nel ricorso, ma dichiarata assorbita, della possibilità di irrogare la sanzione stessa ad un soggetto incolpevole.

Contro tale sentenza, l’originario ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene sette motivi, così come segue:

- con il primo di essi, deduce errore di giudizio rispetto al primo motivo di ricorso originario, e quindi violazione dell’art. 131 commi 1 e 4 del d. lgs. 490/1999, per insussistenza del presupposto oggettivo della sanzione. Sostiene in proposito che la distruzione, a suo dire quasi totale, per cause belliche dell’originario edificio avrebbe fatto venir meno il vincolo su di esso apposto, e che quindi il decreto del 1956 di cui si è detto avrebbe impresso un vincolo nuovo su un bene sostanzialmente diverso, ovvero in ultima analisi una costruzione postbellica che incorporava le poche parti sopravvissute del bene originario. Di conseguenza, nel momento anteriore, in cui fu costruito il solaio, nessun vincolo sanzionabile sulla struttura sarebbe esistito;

- con il secondo motivo, deduce errore di giudizio rispetto al secondo motivo di ricorso originario, e quindi violazione ulteriore dell’art. 131 commi 1 e 4 del d. lgs. 490/1999, nel senso che la sanzione si potrebbe comminare solo a carico del responsabile dell’abuso, e non a carico di un proprietario riconosciuto anche dall’amministrazione ad esso estraneo;

- con il terzo motivo, deduce errore di giudizio rispetto al quarto motivo di ricorso originario, e quindi violazione dell’art. 131 commi 4 e 5 del d. lgs. 490/1999, per esser stata determinata la sanzione senza l’intervento della commissione amministrativa prevista dalle norme indicate;

- con il quarto motivo, deduce errore di giudizio rispetto al quinto motivo di ricorso originario, e quindi violazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990 n.241, nel senso che l’amministrazione non avrebbe motivato né la determinazione della sanzione applicata, né le ragioni per cui ha ritenuto di irrogarla a notevole distanza nel tempo dalla commissione degli abusi;

- con il quinto motivo, deduce errore di giudizio rispetto al sesto motivo di ricorso originario, per non avere il TAR considerato che l’amministrazione non avrebbe potuto, a dire della parte, irrogare la sanzione senza definire la sanatoria da essa richiesta;

- con il sesto motivo, deduce errore di giudizio rispetto al settimo motivo di ricorso originario, e quindi violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n.241, per omissione dell’avviso di inizio del procedimento;

- con il settimo motivo, deduce infine errore di giudizio rispetto all’ottavo motivo di ricorso originario, e quindi illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 342 Cost. dell’art. 131 del d. lgs. 490/1999, per omessa previsione di un termine di decadenza entro il quale esercitare il potere sanzionatorio.

L’amministrazione ha resistito, con atto 14 settembre 2011, in cui chiede che l’appello sia respinto.

All’udienza del giorno 12 ottobre 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello è fondato ed assorbente, per le ragioni di seguito precisate, già esposte nella sentenza 27 aprile 2017 n.1948, che è relativa ad un identico provvedimento di sanzione pronunciato nei confronti di un condomino dello stesso palazzo, e dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi.

2. Come si è detto in premesse, l’originario vincolo sull’immobile per cui è causa, quello imposto con il decreto 8 settembre 1935 riguardava in generale la “architettura classica” del palazzo, il che secondo logica attiene al suo impianto generale, e in particolare riguardava alcune caratteristiche di esso, fra le quali appunto il salone al quale si riferisce la vicenda in esame (doc. 3 in I grado amministrazione, cit.).

Come osservato dalla sentenza 1948/2017, peraltro, il salone stesso era vincolato a causa della decorazione del soffitto, composta dai già ricordati affreschi di Giambattista T, e non già per una qualche sua particolare “spazialità”, termine che secondo logica rinvia alla struttura di una stanza, e non al suo decoro.

3. Non è poi controverso in causa che tale salone, e con esso gli affreschi che lo ornavano, sia stato distrutto dal bombardamento di cui si è detto: lo conferma la Soprintendenza stessa, nella nota 15 luglio 1999 di proposta della sanzione, citata in premesse, in cui si dice che la realizzazione del solaio contestato “non ha arrecato danni alle immagini affrescate, perché il bombardamento bellico aveva già notevolmente frammentato le medesime” (doc. 6 in I grado amministrazione, cit.).

Si conviene quindi con quanto affermato sempre dalla sentenza 1948/2017, nel senso che in quel momento l'oggetto del vincolo, relativo a quella specifica parte dell'immobile, era venuto meno a causa della sua materiale distruzione;
di conseguenza, erano venute a mancare le ragioni di interesse storico-artistico che giustificavano il controllo, e quindi la necessaria autorizzazione, dell'organo ministeriale su eventuali lavori che la interessassero.

4. Di conseguenza, il vincolo successivamente intervenuto con il decreto 7 marzo 1956 va correttamente considerato come nuovo vincolo, imposto dopo un riesame della fattispecie, e dopo aver ritenuto che il palazzo, pur dopo le distruzioni subite e i restauri che lo avevano interessato, conservasse nondimeno un interesse storico e artistico di qualche rilievo. A riprova, la motivazione del decreto ha riguardo ad elementi completamente diversi, e non menziona alcun salone, dando anzi atto, ulteriormente, della completa distruzione di tutti gli affreschi.

Per completezza, va osservato che la sostanziale distruzione del palazzo è ammessa dalla stessa difesa dell’amministrazione, che da un lato, come si è detto in premesse, sostiene che fra il primo ed il secondo decreto di vincolo vi sarebbe stata continuità, dall’altro lato però dà atto (memoria 25 giugno 2010 in I grado, p. 2) che dopo l’attacco aereo si dovettero eseguire “rafforzamenti murari delle pareti slegate e pericolanti”, nonché saldature di “quanto era superstite lungo le pareti del suddetto salone” e ricomposizione della “facciata parzialmente demolita”, il che secondo comune logica rimanda ad un bene in larga parte perito.

Sempre per completezza, va osservato che nemmeno i frammenti di affresco rinvenuti nel 1998, da cui l’intera vicenda di causa ha preso origine, hanno un qualche rapporto con le pitture oggetto dell’originaria tutela, dato che si tratta di affreschi sulle pareti e non su un soffitto, opera poi non di Giambattista T, ma del meno noto suo figlio Giandomenico.

5. Ciò posto, l’intervento per cui è stata applicata la sanzione, ovvero la realizzazione del solaio, deve in base alle prove acquisite esser fatto risalire ad epoca anteriore a quella di imposizione del nuovo vincolo, con il d.m. 7 marzo 1956.

Va considerato in primo luogo il dato che emerge dalla motivazione della sentenza 1948/2017: è stata acquisita agli atti di quel procedimento una nota del Comune di Vicenza del 9 novembre 1997, secondo la quale il “solaio abusivo che taglia il salone” sarebbe stato realizzato nel quadro dei lavori edilizi relativi al progetto n. 14337 P.G. nel 1954 (motivazione della sentenza citata).

La Soprintendenza nella sostanza non contesta tale datazione, limitandosi ad affermare nell’intestazione della già ricordata nota 15 luglio 1999 (doc. 6 in I grado amministrazione, cit.), che l’epoca dell’abuso sarebbe il periodo compreso fra il 1953 e il 1957. In proposito però bisogna osservare che un solaio è la prima opera che si deve costruire se si intendono ricavare appartamenti in condominio a partire da un preesistente volume non diviso, e pertanto non è verosimile, né per vero la difesa dell’amministrazione lo ha mai sostenuto, che il solaio in questione sia stato realizzato alla fine del periodo considerato, dopo il nuovo decreto di vincolo.

6. In conclusione, sotto il profilo delle norme di tutela dei beni culturali, il solaio in questione non integrava in realtà alcun abuso, e non poteva essere sanzionato, perché realizzato nel lasso di tempo in cui, dopo l’estinzione del vecchio vincolo per perimento del suo oggetto e prima dell’imposizione del vincolo nuovo, nessun vincolo esisteva: il provvedimento di sanzione 1 agosto 2000 prot. n.136 deve quindi essere annullato, nei termini di cui subito

7. L’esito dell’accoglimento del primo motivo, per la precisione, è infatti l’annullamento della sanzione senza possibilità di rinnovarla, con due conseguenze.

Da un lato, ciò comporta comunque riforma della sentenza impugnata, che aveva annullato il provvedimento stesso per una ragione diversa, ovvero per non aver reso espliciti in motivazione i criteri con i quali la sanzione era stata determinata, e quindi permetteva all’amministrazione di applicarla nuovamente a seguito di un riesame della fattispecie, il che ora è invece precluso.

Solo per chiarezza, si precisa che l’annullamento si riferisce soltanto all’atto di sanzione indicato, unico fra gli atti esplicitamente impugnati che costituisce un provvedimento lesivo, e non agli altri atti indicati in epigrafe, che appaiono impugnati solo per scrupolo di difesa, dato che integrano pacificamente atti endoprocedimentali, privi come tali di autonoma attitudine lesiva.

Dall’altro lato, l’accoglimento del primo motivo assorbe tutti i motivi di appello residui, dal cui accoglimento ulteriore il ricorrente appellante non potrebbe ricavare alcuna maggiore utilità.

8. Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi