Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-05-09, n. 201702109
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Pubblicato il 09/05/2017
N. 02109/2017REG.PROV.COLL.
N. 06342/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6342 del 2014, proposto dalla Ristobar S.a.s., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato C A, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Maratona, n. 56
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati A R e R R, con i quali è domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Ministero per i beni e le attività Culturali, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato
ope legis
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione II-ter, n. 11192/2013;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. C C e uditi per le parti gli avvocati C A e R R e l’avvocato dello Stato Paolo Marchini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con determinazione dirigenziale in data 15 novembre 2012 il Comune di Roma (Roma Capitale) ha negato all’odierna appellante Ristobar s.a.s. la trasformazione della concessione di occupazione suolo pubblico da provvisoria (autorizzata con determinazione dirigenziale n. 1585 del 24 luglio 2002) a permanente in Piazza del Risorgimento, n. 63, angolo via di Porta Angelica 1/5, angolo Borgo Angelico con tavoli, sedie, fioriere, ombrelloni per complessivi mq 75,65.
La Ristobar s.a.s. ha quindi proposto ricorso dinanzi al T.A.R. del Lazio sulla base dei seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 21, 22 e 52 D.Lgs. n. 42 del 2004. Violazione e falsa applicazione dell'art. 63 D.Lgs. n. 446 del 1997. Violazione e falsa applicazione del regolamento Cosap approvato con deliberazione 119 del 2005 come modificata ed integrata dalle deliberazioni n. 75 del 2010 e n. 83 del 2010. Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990 nel complesso e degli artt. 3, 7 e 20 nello specifico. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e segnatamente: travisamento dei fatti, illogicità, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, difetto di istruttoria e carenza di motivazione .
Costituitesi in giudizio, le amministrazioni resistenti hanno insistito per il rigetto del ricorso.
Con la sentenza segnata in epigrafe l’adito tribunale ha rigettato il ricorso.
Avverso tale sentenza ha proposto appello la Ristobar s.a.s., deducendone l’erroneità e l’ingiustizia sulla base dei seguenti motivi: 1) Omessa pronuncia. Violazione dell’articolo art.24, comma 11 della delibera comunale 27/2002, falsa applicazione dell’articolo 4-bis, comma 3 della delibera n. 119/2005. 2) Violazione e falsa applicazione degli articoli 10, 21, 22, 45 in relazione all’articolo 52 del decreto legislativo n. 42 del 2004 .
Si è costituito in giudizio il Comune di Roma (Roma Capitale), il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Si è altresì costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le attività culturali il quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Alla pubblica udienza del 2 marzo 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge in decisione l’appello proposto da una società attiva nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, che opera in Piazza Rinascimento in Roma, avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio che ha respinto il ricorso avverso gli atti con cui il Comune ha negato la richiesta trasformazione della concessione di occupazione di suolo pubblico da ‘permanente ricorrente’ (con validità di nove mesi l’anno) a ‘permanente’.
2. La Sezione ritiene di poter prescindere dall’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla difesa comunale in relazione alla pronuncia (sfavorevole all’appellante) resa dal Tribunale civile di Roma con il n. 20558 del 2015, in quanto l’appello è comunque infondato nel merito.
3. L’appellante lamenta in sintesi l’illegittimità degli atti con cui il Comune ha omesso di rilasciarle in suo favore un titolo atto a trasformare la precedente concessione di occupazione di suolo pubblico da ‘permanente ricorrente’ a “permanente”, con validità estesa ad ogni periodo dell’anno.
4. La pretesa dell’appellante risulta in primo luogo infondata per le medesime ragioni già condivisibilmente individuate dal Tribunale civile di Roma (il quale ha respinto il ricorso proposto dall’appellane avverso l’avviso di accertamento per occupazione abusiva n. 170000047). Si è in quell’occasione osservato che, nel caso in cui il titolare di un’occupazione permanente ricorrente permanga nell’occupazione oltre il termine previsto dal titolo, l’occupazione si rivela come insuperabilmente abusiva, a nulla valendo la circostanza per cui sia stata presentata un’istanza finalizzata alla trasformazione del titolo medesimo.
E’ stato inoltre condivisibilmente affermato che, nel caso di istanze volte ad ottenere concessioni per l’occupazione di suolo pubblico, non trova applicazione l’istituto del silenzio-assenso di cui all’articolo 20 della l. 7 agosto 1990, n. 241;è stato in particolare negata la possibilità di invocare la richiamata disposizione nelle ipotesi in cui l’area cui si riferisce l’istanza di occupazione sia sottoposta a vincoli (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, V, 13 settembre 2016, n. 3857)..
Deve quindi escludersi che in favore dell’appellante si sia perfezionato un titolo legittimante l’occupazione annuale dell’area e che possa pertanto trovare applicazione il comma 11 dell’articolo 24 della delibera n. 27 del 2002 (la quale concerneva soltanto le concessioni permanenti rilasciate entro il 31 dicembre 2001).
5. Si osserva poi che la tesi dell’appellante (la quale invoca in proprio favore un sostanziale automatismo nella trasformazione ai sensi della delibera consiliare 25 febbraio 2002) non può essere condiviso, non risultando impugnato in giudizio il verbale di accertamento elevato dalla Polizia municipale di Roma in data 13 gennaio 2011 ( i.e. : quasi otto anni dopo l’istanza di trasformazione) il quale presupponeva evidentemente il mancato riconoscimento del titolo alla trasformazione.
La mancata impugnativa di quel verbale di accertamento (e comunque il suo mancato annullamento) ha determinato il consolidarsi di un assetto di rapporti sfavorevole all’appellante (la quale, non a caso, ha presentato sua sponte una nuova istanza nel luglio 2011, rigettata dal Comune in data 15 novembre 2012).
Non può quindi condividersi la tesi dell’appellante circa la presunta ultrattività della richiamata delibera n. 27 del 2002 sulla base della presentazione di un’istanza (quella del 13 febbraio 2003) sulla quale non si era in alcun modo espresso il Comune (il quale, al contrario, aveva irrogato all’appellante una sanzione il cui presupposto consisteva proprio nel mancato riconoscimento dell’estensione temporale del titolo).
6. Si osserva ancora che, anche a ritenere (ipotesi qui denegata) che l’appellante potesse invocare una sorta di ultrattività della più volte richiamata delibera n. 27 del 2002, non ne potrebbero comunque derivare le conseguenze indicate.
La delibera in questione (al comma 11 dell’articolo 24) prevede(va) infatti che “ le concessioni temporanee per le occupazioni di cui all’articolo 1, comma 3, lettera e), rilasciate dopo il 31 dicembre 2001, possono essere trasformate, a richiesta, in concessioni permanenti ”.
La litera e la ratio della disposizione in parola non depongono in alcun modo nel senso della sussistenza di una sorta di diritto potestativo in capo al titolare della concessione (il quale godrebbe di un incondizionato titolo all’estensione temporale semplicemente per aver espresso una volontà in tal senso);al contrario, la modalità deontica meramente facultizzante utilizzata nella richiamata disposizione comunale (“ possono essere trasformate, a richiesta (…) ”) indica soltanto una facoltà d richiesta in capo all’interessato e la sussistenza di un mero dovere di pronunciarsi in capo agli organi comunali, i quali devono vagliare l’istanza, negandone tuttavia l’accoglimento qualora dirimenti circostanze impedienti ostino al rilascio.
7. Deve pertanto confermarsi la correttezza dell’operato del Comune, il quale ha rilevato che la fattispecie restasse regolata dalle sopravvenute previsioni di cui al Regolamento comunale in tema di occupazioni di suolo pubblico.
Né può ritenersi illegittima l’acquisizione del parere (negativo) da parte della competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per i Comune di Roma.
Al riguardo il Ministero per i beni e le attività culturali ha condivisibilmente obiettato che:
- del tutto legittimamente la competente Direzione regionale di quel Ministero ha emanato il decreto in data 28 ottobre 2011 con cui è stato nella sostanza vietato l’esercizio di attività quale quella richiesta dall’appellante nella fascia dei 50 metri da alcune aree e immobili facenti parte ope legis del demanio culturale in quanto di proprietà pubblica (nel caso che qui rileva la disposizione mira a tutelare le Mura Vaticane);
- il richiamato decreto è stato correttamente adottato ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo n. 42 del 2004, secondo cui “ i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione ”.
Il richiamato parere ministeriale non contiene valutazioni tecnico-discrezionali di sorta, ma si limita a ricordare agli organi comunali l’esistenza di una previsione (quella del decreto in data 28 ottobre 2011) in via di principio ostativa alla richiesta estensione temporale.
Non può dunque essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui la fattispecie in esame avrebbe – al più – dovuto essere governata dalla diversa previsione di cui all’articolo 52 del ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ (in tema di “ Esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali”: si osserva al riguardo che, pur non disconoscendo la rilevanza delle prescrizioni di tutela che possono essere adottate ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, essa non può essere in alcun modo intesa nel senso di impedire agli organi ministeriali di attivare i diversi e più generali strumenti di tutela riconducibili alla previsione di cui all’articolo 20 del medesimo ‘Codice’. Fra i due tipi di tutela esiste infatti un rapporto di integrazione e complementarietà e non certo un rapporto di esclusione ed alternatività.
8. Si osserva infine che le tesi dell’appellante non possono trovare accoglimento neppure in ragione della sola circostanza fattuale dell’avvenuto pagamento del canone per l’intero anno.
E’ evidente al riguardo che tale circostanza non possa di per sé fondare un contegno affidante, stante la radicale assenza di ragioni atte a supportare la richiesta estensione temporale.
Al più (e laddove non sussistano condizioni ostative), l’avvenuto pagamento potrebbe legittimare l’appellante a pretendere dal Comune la restituzione dei canoni versati in eccesso rispetto al dovuto.
Tale pretesa sembrerebbe in ogni caso infondata in ragione del fatto che la pertinente disciplina comunale assoggetta le concessioni di durata sino a 180 giorni al pagamento di un canone di ammontare analogo a quello annuo, senza ammettere riduzioni di sorta (in tal senso la delibera consiliare n. 75 del 2010).
9. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.