Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-10, n. 202304752
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Pubblicato il 10/05/2023
N. 04752/2023REG.PROV.COLL.
N. 07466/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7466 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con decreto del 7 settembre 2019 il Ministro dell’Interno, ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 286/1998, ha disposto l’espulsione dal territorio nazionale del cittadino tunisino Triki Achraf con contestuale divieto di reingresso per un periodo di 15 anni, in ragione della ritenuta pericolosità sociale dello straniero.
In particolare, l’espulsione dello straniero si fonda sulla circostanza che “da attività info-investigativa risulta che il medesimo rivela la sua concreta radicalizzazione di stampo salafita, maturata anche attraverso la frequentazione abituale di luoghi di culto e di centri culturali islamici locali, consultando e divulgando materiale dai contenuti radicali e inneggianti alle uccisioni degli infedeli”.
In esecuzione del predetto provvedimento, il Questore della Provincia di Ascoli Piceno ha dapprima revocato il permesso per soggiornanti di lungo periodo (decreto del 15 ottobre 2019) e successivamente disposto l’accompagnamento dello straniero alla frontiera (decreto del 17 ottobre 2019).
2. Avverso i sopra menzionati provvedimenti l’interessato ha proposto ricorso per l’annullamento avanti al Tar per il Lazio.
3. Con sentenza n. -OMISSIS- il Tar ha respinto il ricorso, escludendo profili di illegittimità nella valutazione discrezionale operata dall’amministrazione, e ritenendo congruo il bilanciamento di interessi effettuato in raffronto alla lunga permanenza dello straniero sul territorio dello Stato e ai legami familiari da esso vantati.
4. Il ricorrente ha impugnato l’indicata sentenza con appello ritualmente notificato il 21 settembre 2022 e depositato il successivo 30 settembre.
4.1. In via preliminare, la difesa ripropone le censure già oggetto del ricorso di primo grado, con le quali si deduce in sintesi il vizio di carenza di motivazione dei provvedimenti nella parte in cui non recherebbero menzione delle specifiche condotte ascritte allo straniero, sulla cui base l’amministrazione ha fondato il giudizio di pericolosità sociale.
A tal riguardo, la difesa lamenta come la decisione appaia fondata su comportamenti non posti in essere direttamente dall’appellante, bensì da soggetti con i quali egli sarebbe venuto casualmente in contatto in occasione della frequentazione di luoghi di culto.
Di talché il provvedimento espulsivo risulterebbe in primo luogo lesivo della libertà di manifestazione del pensiero, di coscienza e di religione di cui agli artt. 3, 19 e 21 Cost, 9 CEDU, in quanto emesso sulla scorta di soli atti di manifestazione del pensiero che non si sono tradotti in un pericolo concreto per la sicurezza pubblica.
In secondo luogo, la decisione dell’amministrazione sarebbe contraria ai principi costituzionali, nella parte in cui pregiudica l’unità familiare dello straniero, entrato in Italia nel 1997, titolare di permesso per lungo soggiornanti e di regolare contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Si replica, inoltre, la censura relativa all’asserita invalidità del provvedimento di espulsione, nella parte in cui indica in 30 giorni il termine di decadenza per la proposizione del ricorso giurisdizionale, in luogo di quello ordinario di 60 giorni, così arrecando un vulnus al diritto di difesa del destinatario.
Infine l’appellante reitera l’istanza istruttoria, già formulata in primo grado, per l’acquisizione agli atti del processo della documentazione contenente i risultati dell’attività info-investigativa menzionata nel provvedimento impugnato.
4.2. Tanto premesso, con il primo motivo di appello si contesta l’apparenza della motivazione resa dall’amministrazione, in quanto fondata su atti del procedimento mai esibiti dall’amministrazione alla difesa dello straniero.
4.3. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante lamenta la lesione al proprio diritto di manifestazione del pensiero, della propria coscienza e della libertà di culto, nonché il diritto all’unità familiare.
A tal riguardo si osserva come dagli atti di causa non risultino comportamenti concretamente pericolosi posti in essere dello straniero, suscettibili di arrecare la compromissione e il sacrificio dei sopra menzionati interessi costituzionalmente rilevanti.
4.4. Con il terzo motivo si deduce il vizio di illegittima integrazione della motivazione del provvedimento in corso di causa, dal momento che la sentenza del Tar riporta alcuni passaggi relativi ad una indagine penale denominata “-OMISSIS-” menzionata per la prima volta dall’Avvocatura dello Stato in una memoria depositata nel corso del giudizio di primo grado, estranea al contenuto dei provvedimenti impugnati.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con atto depositato il 30 settembre 2023.
6. Con ordinanza collegiale n. -OMISSIS- la Sezione ha ordinato l’acquisizione da parte del Ministero dell’Interno degli atti endoprocedimentali posti a fondamento dell’espulsione amministrativa.
In data 10 marzo 2023 il Ministero dell’Interno, in ottemperanza alla citata ordinanza, ha depositato plico contenente atti classificati riservati relativi al procedimento in esame.
Il successivo 29 marzo 2023, previo decreto presidenziale autorizzatorio n. 300 del 17 marzo, l’avvocato dell’appellante ha preso visione degli atti endoprocedimentali riservati dinanzi al Presidente e ad altro funzionario della Sezione.
7. All’udienza pubblica del 13 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Giova premettere che, in ragione della stretta connessione delle doglianze proposte, i motivi di appello saranno trattati congiuntamente.
1. L’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato per motivi di ordine pubblico o di sicurezza è disciplinata dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 286/1998.
L’art. 3 del d.l. n. 144/2005 recante “norme in materia di espulsioni degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo” prevede inoltre la possibilità per l’amministrazione di disporre l’espulsione dello straniero nei cui confronti vi siano fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
Entrambe le norme, per costante orientamento della Sezione (Consiglio di Stato, sez. III, n. 5408/2022), hanno finalità spiccatamente cautelare e sono pienamente assimilabili alle misure di sicurezza con finalità di prevenzione, avendo esse quale scopo primario quello di evitare il compimento di futuri reati.
In questa prospettiva, ai fini della loro applicazione non si richiede né la comprovata responsabilità penale né la commissione di un fatto di reato, essendo di contro sufficienti fondati motivi di ritenere il pericolo di agevolazione di organizzazioni o attività terroristiche, con conseguente pregiudizio per la sicurezza nazionale.
Tale misura, seppur incidente su diritti costituzionalmente rilevanti, quali la libertà di circolazione e il diritto all’unità familiare, è conforme ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, laddove effettivamente finalizzata a garantire la sicurezza dello Stato quale primario bene giuridico strumentale all’esercizio di ogni altro diritto.
In questo senso si è pronunciata anche la Corte Edu, in relazione alla compatibilità di siffatta previsione con il diritto al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 CEDU, laddove ha affermato che “il provvedimento di espulsione e interdizione del soggiorno non costituirebbe una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto risulterebbe giustificato dall’esigenza di prevenire la commissione di reati e mantenere la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale”. Invero, nel contemperamento degli interessi in gioco, prevale quello alla stessa sopravvivenza dello Stato e dell’incolumità delle persone presenti nel suo territorio (cfr. Corte Edu, Cherif ed a. c. Italia, 7 aprile 2009).
L’atto in esame, affidato alla competenza del Ministro dell’interno, appartiene al novero degli atti altamente discrezionali, stante il carattere ampio ed elastico dei requisiti prescritti dalle norme attributive del potere e la delicatezza della ponderazione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, che investe gli stessi presupposti della sopravvivenza dello Stato e attrae in via diretta la responsabilità del Capo del Governo.
Ne consegue che il sindacato giurisdizionale sui provvedimenti impugnati deve arrestarsi ai profili di manifesta irragionevolezza e sproporzione ovvero di travisamento dei fatti raccolti nel corso dell’istruttoria procedimentale, non potendo penetrare fin nella scelta dei criteri discrezionali adottati dall’amministrazione nel bilanciamento dei contrapposti interessi (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. III, n. 1687/2021).
2. Alla luce delle suesposte coordinate ermeneutiche, nel caso di specie deve escludersi qualsivoglia vizio di illegittimità nella valutazione altamente discrezionale compiuta dal Ministro dell’Interno.
2.1. Essa, infatti, appare fondata su elementi indiziari precisi e concordanti circa la pericolosità sociale dello straniero e il suo atteggiamento simpatizzante verso contenuti radicali di matrice islamico-salafita inneggianti all’uccisione degli infedeli. Ciò è emerso sia dalla assidua presenza dello straniero in luoghi di culto e centri culturali abitualmente frequentati da soggetti radicalizzati, sia dalla consultazione e divulgazione di materiale propagandistico di contenuto radicale.
Tale motivazione, per quanto sintetica in ragione delle esigenze di segretezza e riservatezza degli atti endoprocedimentali concernenti gli accertamenti antiterroristici svolti, non è sindacabile sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, in quanto mette in luce comportamenti materiali concreti assunti dallo straniero all’interno del territorio nazionale e diretti alla potenziale messa in pericolo di beni giuridici primari della comunità nazionale, quali l’integrità fisica dei cittadini e l’incolumità pubblica.
A tal riguardo, non sono meritevoli di accoglimento le censure svolte nell’atto di appello, laddove si lamenta che l’espulsione sarebbe stata disposta in ragione di comportamenti posti in essere non direttamente dallo straniero, bensì da coloro che frequentano i suoi stessi luoghi di culto, di talché il giudizio di pericolosità sociale sarebbe stato formulato dall’amministrazione sulla base di una “contaminazione ambientale” e lo straniero sarebbe stato sanzionato per un mero esercizio della propria libertà di culto slegato da qualsivoglia atto concretamente pericoloso per la sicurezza dello Stato.
In senso contrario, invero, i provvedimenti impugnati si riferiscono espressamente a condotte poste in essere in prima persona dall’appellante, in particolare nella parte in cui il provvedimento menziona la consultazione e divulgazione di materiale dai contenuti radicali e inneggianti alle uccisioni degli infedeli.
Tale circostanza, oltre ad essere stata espressamente posta alla base del decreto di espulsione, risulta confermata da quanto depositato dal Ministero dell’Interno in ottemperanza alla ordinanza istruttoria della Sezione n. -OMISSIS-.
La sufficienza della motivazione provvedimentale nei termini sopra acclarati consente di prescindere dall’esame del vizio di illegittima integrazione postuma del provvedimento sollevato dall’appellante, nella parte in cui la sentenza del Tar ha fatto riferimento ad ulteriori circostanze di fatto rappresentate dalla difesa erariale solamente in sede processuale.
È noto infatti che, in caso di provvedimento plurimotivato e sorretto da ragioni autonome, è sufficiente che anche una sola di esse risulti in grado di sorreggere per intero l’atto ai fini della conferma del diniego opposto (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. VII, n. 2348/2023).
2.2. Quanto ai profili di proporzionalità della decisione adottata, come già sopra anticipato (cfr. § 1), il provvedimento di espulsione non contrasta con il diritto dell’appellante alla libertà di circolazione e all’unità familiare, ben potendo esso giustificare una compressione dei predetti diritti fondamentali al fine di preservare la stessa esistenza dello Stato.
Come recentemente statuito dalla Sezione, in una società democratica la tutela dell’ordine pubblico contro la minaccia del terrorismo può giustificare il sacrificio dei rapporti familiari se l’allontanamento dello straniero è, come nel caso di specie, misura necessaria e proporzionata a tale legittimo scopo, non potendo essere scongiurata altrimenti la minaccia reale di un attentato alla sicurezza pubblica e all’ordine costituito (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 3886/2021;cfr. anche Corte Edu, Pello-Sode c. Svezia, 13 dicembre 2005).
Sul punto, i provvedimenti impugnati sono congruamente motivati nella parte in cui affermano che “la durata del soggiorno del cittadino tunisino, la sua situazione familiare ed economica, il suo stato di salute, il suo livello di integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale ed i suoi legami in Italia non fanno venire meno la necessità di adottate nei suoi confronti un provvedimento di espulsione”.
La ritenuta recessività del diritto all’unità familiare ex artt. 2, 29 e 31 Cost., 8 CEDU, appare ancor più ragionevole laddove si consideri che lo straniero non vanta sul territorio dello Stato né legami coniugali, né la presenza di figli minori a carico.
2.3. Devono infine respingersi le censure svolte nell’atto di impugnazione relative alla lesione del diritto di difesa dell’interessato e alla carenza di motivazione dei provvedimenti impugnati.
In merito, la difesa da un lato lamenta l’apparenza della motivazione nella parte in cui richiama risultanze di attività info-investigative non poste a conoscenza dell’appellante, e dall’altro si duole della errata indicazione del termine di impugnazione del provvedimento di espulsione in calce allo stesso (30 giorni in luogo di 60 giorni).
Quanto al primo profilo, occorre ribadire che il nucleo essenziale delle condotte contestate allo straniero è presente in via riassuntiva nella motivazione del decreto di espulsione, di talché non risulta integrato alcun vizio di carenza di motivazione. Peraltro, a seguito di ordinanza collegiale istruttoria di questa Sezione sono stati acquisiti al processo gli atti classificati riservati oggetto delle attività info-investigative antiterrorismo, i quali sono stati ostesi alla difesa dell’appellante nel rispetto delle garanzie e delle procedure di legge (cfr. verbale di accesso agli atti riservati del 29 marzo 2023).
Quanto al secondo profilo, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza amministrativa per cui l’omessa o errata indicazione del termine per l’impugnazione in calce al provvedimento amministrativo costituisce mera irregolarità, come tale non suscettibile di determinare l’invalidità e l’annullamento dell’atto, potendo essa al più rilevare quale fonte di errore scusabile per la rimessione in termini in caso di impugnazione tardiva (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, n. 840/2009). Tuttavia nel caso di specie – come già ben evidenziato dal Tar – l’impugnazione degli atti è stata tempestiva, con ciò escludendosi un effettivo e concreto vulnus al diritto di difesa dell’appellante.
3. In esito a quanto sopra esposto e considerato, l’appello deve essere respinto con conseguente conferma della sentenza impugnata.
4. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del grado.