Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-16, n. 201702955

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-16, n. 201702955
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702955
Data del deposito : 16 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/06/2017

N. 02955/2017REG.PROV.COLL.

N. 00593/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 593 del 2011, proposto da:
L G, A M V, rappresentati e difesi dagli avvocati F C, E P, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 15;

contro

Comune di Zelo Buon Persico, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati G P, G M, G M M, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14/4a;
Albergo Niki S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati A P, A M, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE IV, n. 173/2010, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria - ris. danni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Zelo Buon Persico e di Albergo Niki S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2017 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati F. Canepa, A. Manzi, G. Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con plurimi ricorsi proposti dinanzi al TAR per la Lombardia gli odierni appellanti invocavano l’annullamento: a) della concessione edilizia in sanatoria nr. 32\c2 prot. 1410 del 8.2.01 emanata dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale del Comune di Zelo Buon Persico;
b) dell’atto di conferma del rilascio della concessione edilizia in sanatoria rilasciato dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale del Comune di Zelo Buon Persico del 24,5,02;
c) della nota comunale del 7.10.04 prot. 8447\9134 a firma del Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale del Comune di Zelo Buon Persico recante diniego di adozione di provvedimenti a tutela del vincolo di inedificabilità assoluta ai sensi dell’art. 33 L. 47\85 nonché rifiuto di esecuzione del giudicato delle sentenze del Consiglio di Stato 596\99 e 3060\02;
d) della delibera del Consiglio Comunale di Zelo Buon Persico nr. 43 del 28.6.01 relativa all’adozione di variante parziale al P.R.G.;
e) della delibera del Consiglio Comunale di Zelo Buon Persico nr. 60 del 11.10.01 relativa all’esame delle osservazioni presentate alla variante parziale al P.R.G.;
f) della delibera della Giunta provinciale di Lodi nr. 317 del 28.11.01 di approvazione della variante parziale al P.R.G di cui alla delibera del Consiglio Comunale di Zelo Buon Persico nr. 43 del 28.6.01;
g) dell’art. 17.1 della N.T.A. del P.R.G. Variante 2000. Nonché con ulteriore ricorso domandavano la determinazione della somma dovuta dal Comune di Zelo Buon Persico a titolo di risarcimento del danno oltre interessi legali dal dovuto al saldo a favore dei ricorrenti, ovvero in subordine determinare detta somma in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.

2. Il primo giudice rilevava che la vicenda sottoposta al suo esame rappresentava il frutto di una lunga vicenda amministrativa e giudiziaria che aveva avuto origine con le concessioni edilizie nr. 31 e 63 rilasciate alla società controinteressata per la costruzione di un albergo nel 1989 e che erano state oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti poiché la distanza dal ciglio della SS415 Paullense era inferiore alla fascia di rispetto prevista dal D.M.

1.4.68. Le concessioni in questione venivano annullate con sentenza n. 596/99 di questo Consiglio, sicché la società odierna appellata avanzava domanda di concessione in sanatoria, i cui esiti venivano nuovamente sottoposti al vaglio giurisdizionale. L’iniziativa giurisdizionale di prime cure si articolava in un primo ricorso arricchito da tre ricorsi per motivi aggiunti e da due successivi ulteriori ricorsi, il primo dei quali integrato da motivi aggiunti, tutti riuniti in prime cure e congiuntamente decisi con la pronuncia impugnata.

2.1. Nel merito il TAR per la Lombardia riteneva di non dover esaminare le eccezioni di inammissibilità e tardività in ragione dell’infondatezza dei ricorsi sottoposti al suo esame. Il primo giudice chiariva che il Consiglio di Stato con sentenza n. 596/99 aveva annullato le originarie concessioni, rilevando una violazione della disciplina sulle distanze da osservarsi per le costruzioni fuori dal centro abitato. Alla data in cui passava in giudicato la sentenza 596\99 era, però, mutato il regime urbanistico della zona a seguito delle deliberazioni nr. 417\95 della Giunta Comunale e 14\98 del Consiglio Comunale;
la delibera di Giunta era stata adottata per dare esecuzione a quanto richiesto dall’art. 4 D.lgs. 285\92 che richiedeva una delimitazione del centro abitato e aveva ricompreso al suo interno l’area oggetto di causa.

Era pertanto necessario valutare ai fini della concedibilità di una concessione a sanatoria se, alla luce della normativa nel frattempo intervenuta, la distanza dell’albergo rispetto al ciglio della strada fosse ad essa conforme al nuovo azzonamento derivato dalle delibere sopra richiamate. Dal momento che la nuova disciplina non imponeva alcuna distanza da osservare ciò consentiva la presentazione della domanda di condono ex L. 724\94 poiché, solo nel momento in cui era divenuta esecutiva la sentenza di annullamento, la costruzione dell’albergo era divenuta abusiva. Da quella data decorrono i 120 giorni previsti per la presentazione della domanda di condono non avendo alcun rilievo il fatto che il termine ultimo del 31.3.95 era ovviamente trascorso. Infatti, poiché l’annullamento delle concessioni del 1989 aveva effetto ex tunc , era necessario consentire la possibilità di fruire di un provvedimento di cui avevano potuto avvantaggiarsi tutti coloro che avevano commesso abusi edilizi entro il 31.12.93. Inoltre, la concessione in sanatoria, il provvedimento di conferma ed i provvedimenti amministrativi generali risultavano legittimi, in quanto immuni dai vizi denunciati dagli originari ricorrenti.

2.2. Quanto, invece, alla richiesta di risarcimento del danno patito a seguito delle concessioni edilizie annullate con la pronuncia di questo Consiglio n. 596/99, il TAR rilevava l’assenza di prova di un danno cagionato dai provvedimenti illegittimi e pertanto respingeva anche questo ricorso.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propongono appello gli originari ricorrenti, lamentando l’erroneità della pronuncia di prime cure che: a) non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 39, l. 724/1994, in quanto l’originaria controinteressata non avrebbe potuto presentare domanda di condono edilizio, essendo il correlato termine scaduto. Inoltre, la detta domanda sarebbe stata priva della necessaria documentazione, in particolare, della perizia giurata, non potendo valere quanto accertato nella precedente istruttoria edilizia, e della denuncia al catasto urbano ex art. 52, l. 47/1985, non potendo la stessa essere sopperita dal pagamento delle tasse comunali ed erariali rapportate ai valori catastali ed avrebbe contenuto dichiarazioni mendaci circa l’assenza di vincoli di inedificabilità sull’area;
b) avrebbe dovuto rilevare l’insanabilità dell’opera oggetto della domanda di condono, in quanto realizzata su area soggetta a vincolo assoluto di inedificabilità. In particolare, il giudice di prime cure non avrebbe distinto tra mera delimitazione del centro abitato e perimetrazione, l’unica ad avere effetti conformativi sul piano urbanistico. Sarebbero, pertanto, illegittime sia la deliberazione consiliare relativa all’adozione di variante parziale al P.R.G., che la delibera della Giunta provinciale di approvazione della detta variante;
c) avrebbe dovuto rilevare l’assenza della cd. doppia conformità al fine dell’accoglimento della concessione in sanatoria. Pertanto, risulterebbe violato l’art. 33, l. 47/1985, l’art. 32, comma 2, lett. c), l. 47/1985. La mera sovrapposizione delle prescrizioni afferenti il Codice della Strada non riguarderebbe e non surrogherebbe la normativa generale del Governo del Territorio, ma attiene al mero assetto viabilistico ed alla regolamentazione del traffico veicolare, e da essa non discende alcun effetto

conformativo di azzonamento sotto il profilo della pianificazione urbanistica. Il riferimento contenuto in sentenza alle norme regolatrici del codice della strada sarebbe tautologico ed ultroneo, e in definitiva privo di effettività giuridica, per tali ragioni inidoneo a supportare gli effetti costitutivi della concessione in sanatoria n. 32/c del 8.2.2001 impugnata in primo grado;
d) non avrebbe considerato che l'opera edilizia abusiva non poteva usufruire della concessione in sanatoria, poiché costituirebbe minaccia alla sicurezza del traffico;
e) non avrebbe rilevato che sussisterebbe un eccesso di potere sotto il profilo dell'omessa e/o falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto e la violazione e falsa applicazione art. 33 L. n. 47/1985 in relazione alla Circolare Ministeriale del 17 giugno 1995 n. 2241 che al Cap. 2 punto 2.1 e Circolare Ministeriale del 30 luglio 1985 n. 3357 al Capo 9.2;
g) avrebbe erroneamente applicato il disposto dell’art. 35, l. 47/1985, ritenendo utilizzabile il termine ivi previsto di 120 giorni;
h) avrebbe dovuto ritenere necessaria l’acquisizione del parere della commissione edilizia, in ragione del carattere vincolato dell’area, che avrebbe imposto il rilascio del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso;
h) non avrebbe rilevato l’incompetenza ad adottare il provvedimento di concessione in sanatoria e quello di conferma da parte da parte del responsabile del servizio sprovvisto della necessaria qualifica dirigenziale, della nomina all’incarico di responsabile dell’area tecnica e cumulante in se le incompatibili qualifiche di responsabile del procedimento e di autore del provvedimento;
i) non avrebbe dato il giusto rilievo al contrasto con il precedente giudicato rappresentato dalla sentenza di questo Consiglio n. 596/99.

Da ultimo gli appellanti, ripropongono una serie di motivi, ritenendo che il TAR non li abbia esaminati adeguatamente ed, infine, contesta la pronuncia di prime cure laddove avrebbe erroneamente ritenuta assente la prova del risarcimento del danno, che sarebbe, invece, sussistente sia sotto il profilo del danno emergente che sotto quello del luco cessante, come potrebbe appurarsi anche all’esito di apposita verificazione.

4. Costituitisi in giudizio l’amministrazione comunale e l’originaria controinteressata invocano la conferma della sentenza di prime cure e ripropone le eccezioni di inammissibilità e tardività giù spiegate in prime cure e non esaminate dal TAR.

5. Nelle successive difese l’appellante argomenta in ordine all’infondatezza delle dette eccezioni ed insiste nelle conclusioni esposte con l’odierno gravame, mentre le parti appellate chiedono ulteriormente il rigetto dell’appello.

6. L’appello è infondato e non può essere accolto, non potendo trovare accoglimento alcuna delle censure articolate nel gravame in esame. Ciò dispensa dall’esame delle eccezioni di inammissibilità e tardività dei ricorsi di primo grado riproposte in seconde cure.

6.1. Quanto alla prima delle doglianze in esame deve rammentarsi l’orientamento consolidato di questo Consiglio secondo il quale l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non é tutelato in via generale ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994;
ne consegue che, in difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera edilizia sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo (Cons. St., Sez. IV, 10 agosto 2011, n. 4770). Nella fattispecie la scelta del legislatore di consentire la condonabilità delle opere riguarda le opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993. Lo stesso legislatore ha chiaramente valutato anche la possibilità che le opere in questione possano risultare abusive in ragione della caducazione del sottostante titolo autorizzatorio. Infatti, in relazione all’ampiezza dell’opera condonabile ha chiarito che i limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia. Lo stesso legislatore ha indicato nel termine del 31 marzo 1995, la data ultima per la presentazione della domanda di condono. Tanto premesso occorre chiarire che il termine in questione non può valere anche per i titolari di concessione edilizia che abbiano realizzato opere nel termine ivi indicato, ma il cui titolo sia stato annullato successivamente. Ciò in quanto una diversa conclusione annullerebbe il naturale effetto retroattivo della pronuncia giurisdizionale ed introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro i quali si sono visti annullare il titolo in tempo per poter presentare domanda entro il termine del 31 marzo 1995 e quelli che per avventura se lo siano visto annullare successivamente.

Del resto anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha valorizzato il peso dell’affidamento del privato che abbia costruito sulla scorta di un titolo successivamente annullato, chiarendo che: “ In tema di abusi edilizi, l'ipotesi di costruzione eseguita in base ad una concessione edilizia successivamente annullata non è assimilabile a quella di costruzione realizzata dopo la decadenza dell'originaria concessione per mancato rispetto del previsto termine di inizio dei lavori, dal momento che l'art. 39, comma 1, della legge n. 724 del 1994, il quale consente nella prima ipotesi di condonare abusi edilizi per volumetrie eccedenti i limiti fissati dalla medesima disposizione, è norma eccezionale e quindi non suscettibile di applicazione analogica, in quanto volta a tutelare l'affidamento di chi ha costruito presupponendo l'esistenza di un titolo che a ciò lo legittimava ” (Cass., civ. Sez. I, 26 febbraio 2009, n. 4640).

Pertanto, come correttamente individuato dal primo giudice vale il termine di 120 giorni previsto dal comma 2 dell’art. 35, l. 47/1985, secondo il quale il termine in questione inizia a decorrere dal giorno della notificazione o comunicazione alla parte interessata del provvedimento di annullamento del titolo edificatorio.

Del pari, non risulta rilevante la presunta assenza della perizia giurata e della denuncia al catasto urbano ex art. 52, l. 47/1985, atteso che l’istanza in questione non aveva ad oggetto un edificio sconosciuto all’amministrazione, ma un edificio per il quale l’amministrazione già aveva tutta la necessaria documentazione, sicché in omaggio al principio di economicità che deve ispirare l’istruttoria procedimentale, l’assenza dei detti atti avrebbe potuto rilevare solo in costanza di puntuali esigenze rilevate dall’amministrazione anche in ragione dell’annullamento giurisdizionale, che aveva cagionato la caducazione del titolo edilizio. Annullamento che non attiene a profili interessati dalla documentazione in questione.

Quanto, infine, alla presunta mendacità rappresentata dall’aver omesso che l’opera insisterebbe su area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, la censura non può trovare accoglimento atteso che, come si dirà infra , all’indomani del mutamento della disciplina urbanistica ciò non può ritenersi vero.

6.2. Le denunciate illegittimità della deliberazione consiliare relativa all’adozione di variante parziale al P.R.G., e della delibera della Giunta provinciale di approvazione della detta variante, non sono riscontrabili, dal momento che le stesse hanno operato una nuova delimitazione del centro abitato, comprendendo anche l’area in cui è situato l’opera oggetto di condono. Non può, infatti, convenirsi con quanto sostengono gli appellanti in ordine al fatto che questa delimitazione non avrebbe effetti sul piano urbanistico, atteso che la stessa è stata introdotta proprio con variante al P.R.G., che com’è noto contiene la disciplina urbanistica comunale fondamentale. Di conseguenza, al momento del rilascio del provvedimento di condono sull’area sulla quale insiste l’opera dell’originaria controinteressata non era presente alcun vincolo di inedificabilità assoluta.

6.3. Non assume rilievo nemmeno la paventata assenza della cd. doppia conformità, requisito che nella fattispecie non è richiesto, poiché l’istanza positivamente riscontata dall’amministrazione è di condono edilizio, ovvero di sanatoria di opere che al momento in cui sono state realizzate risultavano abusive, non semplicemente perché costruite in assenza di titolo edilizio, ma perché in contrasto con la disciplina urbanistica. Pertanto, i soli limiti al rilascio del provvedimento in questione sono quelli indicati dall’art. 39, l. 724/1994, tra i quali non è prevista la pregressa conformità urbanistica.

Né risulta invocabile il rispetto dell’art. 32, comma 2, lett. c), e dell’art. 33, l. 47/1985, che riguardano le opere costruite su aree sottoposte a vincolo, considerato che il vincolo in questione era venuto meno al tempo dell’istanza di condono. Sempre nella stessa doglianza si lamenta che le norme richiamate dal primo giudice in relazione alla regolamentazione del codice della strada non sarebbero rilevanti nella fattispecie, in quanto prive di efficacia urbanistica. La contestazione in questione non coglie nel segno, dal momento che non incide sulla circostanza che al tempo della presentazione dell’istanza di condono, la disciplina urbanistica contenuta nel P.R.G. risultava mutata. Senza dire che gli strumenti che incidono sul governo del territorio hanno naturalmente vocazione plurima, risultando del tutto abbandonata l’idea che l’urbanistica serva semplicemente la disciplina dell’utilizzazione dei suoli. Com’è noto la stessa incide fisiologicamente su plurimi interessi quali la tutela dell’ambiente, lo sviluppo socio-economico ed anche la sicurezza del traffico veicolare.

6.3. La successiva censura, oltre che generica, risulta proposta per la prima volta in appello, in violazione del divieto dei nova, ed in ogni caso si traduce nella richiesta di un apprezzamento diretto delle scelte di merito dell’amministrazione, in quanto tale inammissibile, in assenza della prova della presenza di illogicità o irrazionalità a fondamento della stessa.

6.4. Non può ancora convenirsi con l’appellante quando lamenta l’illegittimità della nota 7.10.2004 prot. n. 8447/9134, perché trattasi di atto soprassessorio privo di immediata efficacia lesiva, che non esprime definitivamente la volontà dell’ente comunale.

6.5. Ancora non può ritenersi che fosse necessario acquisire il parere della commissione edilizia, atteso che si è detto che l’area al tempo del rilascio della concessione non risultava sottoposta a vincolo. Inoltre, la giurisprudenza di questo Consiglio ha a più riprese chiarito che tenuto conto della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, nonché dell’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità, deve ritenersi che ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria non sia obbligatorio il parere della commissione edilizia, ma esso, al più, sia facoltativo (cfr. Cons. St., sez. V, 8.5.2007 n. 2120;
Id., sez. IV, 16.10.1998, n. 1306).

6.6. Quanto alla paventata incompetenza del Responsabile dell’UTC, perché privo della qualifica dirigenziale, risulta dai decreti di nomina presenti agli atti che lo stesso fosse regolarmente preposto all’ufficio. Inoltre, nei piccoli comuni l’adozione degli atti amministrativi ben può essere posta in essere da soggetti formalmente sprovvisti di qualifica dirigenziale, ma regolarmente preposti agli uffici dotati dei correlati poteri in omaggio a quanto disposto dall’art. 107 del D. L.vo n. 267/2000. Del tutto, infondata è, infine, la doglianza con la quale si pone in luce la differenza tra responsabile del procedimento e autore del provvedimento, dal momento che né la disciplina generale sul procedimento amministrativo, né la specifica disciplina contenuta nell’art. 39, l. 724/1994 ovvero nella l. 47/1985, impongono una simile distinzione di ruoli.

6.7. Quanto al paventato contrasto con il giudicato contenuto nelle sentenze del Consiglio di Stato 596\99 e 3060\02, lo stesso non è rinvenibile in ragione dei mutamenti della disciplina urbanistica medio tempore sopravvenuti e della legittima applicazione del dettato di cui all’art. 39, l. 724/1994.

6.8. Non possono, infine, che essere dichiarati inammissibili i motivi meramente e genericamente riproposti in seconde cure a fronte di una pronuncia di primo grado che ha puntualmente motivato il rigetto di tutte le doglianze ivi proposte.

7. Resta a questo punto da esaminare l’appello nella parte in cui contesta il rigetto della domanda risarcitoria da parte del giudice di prime cure. Al riguardo deve osservarsi che il ragionamento operato dal TAR risulta immune da censure. Il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, infatti, non consegue automaticamente all’adozione di un provvedimento illegittimo da parte dell’amministrazione. Lo stesso, infatti, per essere riconosciuto dal giudice deve essere confortato dalla prova dell’effettiva lesione subita dal privato in termini di danno emergente e/o di lucro cessante. Prova che nella fattispecie non risulta essere stata fornita dinanzi al primo giudice. Ed, infatti, non sono stati depositati bilanci che dimostrino la diminuzione del fatturato dell’opificio degli odierni appellanti ai fini del rilievo di un lucro cessante, ovvero non sono stati evidenziati elementi oggettivi che comprovino la presenza di un danno emergente, risultando del tutto opinabile l’affermazione secondo la quale la costruzione di un immobile destinato ad aumentare l’afflusso di pubblico in una determinata area si traduca in un danno in termini di privacy, amenità o facoltà di godimento per un opificio con vocazione commerciale.

8. Conclusivamente, il presente appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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