Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-01-20, n. 201500123

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-01-20, n. 201500123
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500123
Data del deposito : 20 gennaio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00031/2014 REG.RIC.

N. 00123/2015REG.PROV.COLL.

N. 00031/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 31 del 2014, proposto da:
-OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avv. E S D, con domicilio eletto presso E S D in Roma, Via Bocca di Leone 78 (Studio BDL);

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE II n. 02563/2013, resa tra le parti, concernente perdita del grado per rimozione – mcp.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’Avv. Saverio Sticchi Damiani su delega dell'Avv. E S D e l'Avvocato dello stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il signor -OMISSIS- militare dell’Arma dei carabinieri, è stato imputato del delitto di corruzione per atti contrari ai doveri del proprio ufficio in relazione a una vicenda di recupero e smaltimento di rifiuti.

Il giudizio penale si è concluso con una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione.

All’esito del successivo procedimento disciplinare, al militare - con provvedimento del 26 novembre 2012 - è stata comminata la sanzione di stato della perdita del grado per rimozione.

Contro il provvedimento espulsivo il signor -OMISSIS- ha proposto ricorso, che il T.A.R. per la Puglia - Lecce ha respinto con sentenza 19 dicembre 2013, n. 2563.

Il signor -OMISSIS- ha proposto appello contro la sentenza, chiedendone la sospensione dell’efficacia esecutiva anche con l’adozione di misure cautelari monocratiche.

La domanda cautelare è stata respinta dapprima con decreto presidenziale 3 gennaio 2014, n. 3, poi con ordinanza della Sezione 29 gennaio 2014, n. 403.

Nel merito, l’appellante riproduce, in sostanza, le censure svolte nel ricorso introduttivo: violazione dei termini per l’avvio del procedimento disciplinare;
carenza di istruttoria e di motivazione;
mancanza di proporzionalità della sanzione.

L’Amministrazione della difesa si è costituita in giudizio per resistere all’appello, senza svolgere difese.

In vista della discussione della causa, l’appellante ha riepilogato e ampliato le proprie ragioni in una memoria difensiva.

All’udienza pubblica del 18 dicembre 2014, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo dell’appello, il militare denuncia l’avvenuta violazione dei termini previsti dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (c.d. codice dell’ordinamento militare;
d’ora in poi: codice) per l’avvio del procedimento disciplinare. Da un lato, non sarebbe stato rispettato il termine di novanta giorni dalla data di conoscenza del provvedimento che ha definito il giudizio penale, previsto dall’art. 1392, comma 1: a fronte della sentenza della Corte di cassazione n. 778/2012, pronunziata il 3 aprile di quell’anno, l’appellante avrebbe ricevuto la notifica dell’atto di contestazione degli addebiti solo il successivo 27 luglio, dunque ben oltre il termine di legge. Dall’altro, l’Arma avrebbe omesso di avviare l’azione disciplinare sin dal momento in cui aveva avuto piena conoscenza dei fatti, cioè quando - con determinazione del 18 ottobre 2003 - ha disposto la sospensione cautelativa dal servizio in conseguenza dell’applicazione della misura cautelare preventiva, poi revocata.

Nessuno di tali profili è fondato.

L’unico termine che viene in questione, al proposito, è quello dell’art. 1392, comma 1, del codice, il quale stabilisce che:

“Il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato entro novanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione”.

Come ha correttamente osservato il T.A.R., la conoscenza integrale, da cui inizia a decorrere il termine, implica la conoscenza non solo del dispositivo della decisione, ma anche della motivazione, a nulla rilevando la circostanza che il ricorso per cassazione fosse stato proposto dall’imputato.

Poiché non è contestato che la Corte di cassazione ha depositato la motivazione della propria decisione il 28 maggio 2012, l’Amministrazione ne ha acquisito documentata conoscenza in data 4 luglio 2012 e ha dato avvio al procedimento disciplinare il 27 luglio successivo, con la notifica degli addebiti all’incolpato, il termine risulta rispettato e la censura priva di pregio.

Con riferimento all’altro profilo della medesima doglianza, va detto che, una volta esercitata l’azione penale, il procedimento disciplinare non avrebbe potuto avere inizio e, se avviato, avrebbe dovuto essere sospeso. La regola, ora espressamente sancita dall’art. 1393 del codice, manifesta un principio generale, già conosciuto positivamente dalla normativa vigente all’epoca dei fatti, cosicché anche tale profilo è infondato.

2. Il secondo motivo dell’appello censura la carenza di istruttoria e di motivazione che vizierebbe il provvedimento impugnato. L’Amministrazione militare avrebbe recepito acriticamente le risultanze del giudizio penale, rinunciando a svolgere quella attività di autonoma valutazione cui invece sarebbe stata tenuta. Nelle decisioni del giudice penale mancherebbe qualunque accertamento del compimento di atti contrari ai doveri del proprio ufficio. Inoltre, sarebbe stata trascurata la circostanza che, nelle circostanze contestate, il militare sarebbe intervenuto quale autista dell’equipaggio radiomobile, perché comandato e mai per autonoma iniziativa: in modo incomprensibile non sarebbe stato chiamato a rispondere anche l’altro componente dell’equipaggio, con funzioni di capopattuglia. Sulle lacune della motivazione, il T.A.R. avrebbe operato una non consentita integrazione successiva, rinvenendo i riferimenti richiamati nella sentenza penale di dichiarazione di prescrizione del reato e non negli atti del procedimento disciplinare.

Per quanto ampiamente argomentato, anche nella memoria depositata prima dell’udienza, il motivo non è fondato.

Sia il Tribunale sia la Corte d’appello di Lecce hanno considerato accertati, in punto di fatto, gli elementi di responsabilità a carico di -OMISSIS- -OMISSIS-. La Corte di cassazione, da un lato, ha ritenuto che le lacune motivazionali denunciate dal ricorso non si tradurrebbero in alcuna evidenza probatoria positiva dell’innocenza dell’imputato;
dall’altro, ha rilevato che questi avrebbe potuto far valere l’interesse al proscioglimento con formula liberatoria di merito mediante la rinuncia alla prescrizione.

Di fronte a indicazioni così chiare, precise e concordanti non vi era alcuna ragione perché l’Amministrazione dovesse riprendere dall’origine un esame che il giudice penale aveva già compiuto in modo esaustivo nel doppio grado di merito e aveva resistito al giudizio di legittimità.

Su questo presupposto, il Collegio è dell’avviso che il rinvio alle risultanze processuali penali, fatto dal provvedimento di destituzione, sia esaustivo e non richiedesse alcuna indagine ulteriore, anche in relazione a fatti (la mancata incriminazione del capopattuglia) che attengono all’ambito del giudizio penale e sono comunque estranei alla presente controversia.

3. Il terzo motivo dell’appello fa leva su una supposta mancanza di proporzionalità della sanzione, anche alla luce dei comportamenti dell’Arma (che non avrebbe fatto ricorso, a suo tempo, alla sospensione dal servizio), dei lusinghieri precedenti di servizio e delle note di plauso ricevute dall’appellante dopo i fatti contestati, della mancata unanimità in seno alla Commissione di disciplina nell’adottare il provvedimento impugnato. Ne risulterebbe violato l’art. 1355 del codice.

Neppure questo motivo è fondato. Al riguardo, infatti, va richiamato il consolidato orientamento - al quale il Collegio ritiene di aderire in assenza di particolari ragioni di segno contrario - secondo cui è incontestabile l’ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell’Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452, ove riferimenti ulteriori, ai quali adde almeno sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 5582;
Id., sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540).

Su tale premessa, non è né illogica né irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare dell’Arma dei carabinieri che risulti essere stato parte di un accordo corruttivo. Infatti la condotta rimproverata è del tutto inammissibile, perché, alla luce dei compiti istituzionali dell’Arma e per la contiguità con soggetti operanti nell’illegalità, che la corruzione per atti contrari al proprio ufficio per definizione comporta, pregiudica la relazione fiduciaria con l’Amministrazione di appartenenza, costituisce una violazione degli obblighi assunti con il giuramento prestato e - tenuto conto dell’oggettiva gravità della condotta - rende del tutto irrilevante qualunque altra valutazione.

4. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Peraltro, considerate la natura della controversia e l’assenza di difese dell’Amministrazione, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi