Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-09, n. 202302519

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-03-09, n. 202302519
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302519
Data del deposito : 9 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/03/2023

N. 02519/2023REG.PROV.COLL.

N. 07102/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7102 del 2021, proposto da
Università degli Studi di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato V A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati N S M, R V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per -OMISSIS- n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti l’avvocato V A P;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno appellato impugnava il decreto del Rettore n. -OMISSIS-del -OMISSIS-con il quale gli era stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione per quattro mesi dall’Ufficio e dallo stipendio, ai sensi dell’art. 87 del R.D. n. 1592/1933.

Con sentenza n. -OMISSIS-, pubblicata il -OMISSIS-, il T per -OMISSIS- accoglieva in parte il ricorso, ritenendo necessario un riesame della tipologia di sanzione da applicare, nel rispetto del principio di proporzionalità fra fatti addebitati e sanzione irrogabile.

Il Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo, preso atto del passaggio in giudicato della sentenza, con delibera n. -OMISSIS-, rimetteva gli atti al Rettore per la riapertura del procedimento disciplinare nei confronti dell’incolpato. Di conseguenza, con atto prot. -OMISSIS-, il Rettore riavviava il procedimento, rimettendo gli atti al Collegio di Disciplina per i conseguenti adempimenti.

Il procedimento si concludeva col decreto del Rettore n. -OMISSIS- - -OMISSIS--OMISSIS-, con il quale veniva disposta l’irrogazione della sanzione disciplinare della censura.

Impugnato anche quest’ultimo provvedimento, il T adito, con la sentenza in epigrafe accoglieva il primo motivo di ricorso col quale il ricorrente lamentava la tardività del provvedimento di irrogazione della sanzione nei suoi confronti

Appellata ritualmente la sentenza da parte dell’Ateneo, resisteva l’appellato.

All’udienza del 21 febbraio 2022 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1.Con il primo motivo l’Ateneo appellante deduce Errores in iudicando : erroneità della sentenza di prime cure per avere ritenuto fondato il primo motivo di ricorso;
Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, legge 240/2010;
Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 sulle disposizioni sulla legge in generale (preleggi) del 16 marzo 1942 - n. 262;
Vizio di motivazione per erronea presupposizione, carente ed erronea istruttoria, carente ed erronea motivazione – illogicità.

Evidenzia che l’art. 10 della legge 240/2010 prevede espressamente che i termini di avvio e conclusione del procedimento disciplinare siano applicabili “ per ogni fatto che possa dar luogo all'irrogazione di una sanzione più grave della censura ”, escludendo, dunque, la censura dall’ambito di applicazione temporale;
se il legislatore avesse inteso estendere i termini di cui alla norma in esame anche ai procedimenti per l’irrogazione della sanzione della censura, non avrebbe espressamente previsto che questi, invece, si applicassero solo ai procedimenti finalizzati a dare luogo a sanzioni più gravi.

2.Con il secondo motivo l’appellante deduce Errores in iudicando : Erroneità della sentenza di prime cure per avere ritenuto fondato il primo motivo di ricorso;
Violazione e falsa applicazione artt. 112 c.p.a.;
Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di esecuzione delle sentenze, Vizio di motivazione per erronea presupposizione, carente ed erronea istruttoria, carente ed erronea motivazione – illogicità.

Lamenta che il T aveva erroneamente ritenuto che lo spirare del termine di avvio del procedimento di cui all’art. 10 l. 240/2010 avesse determinato la decadenza dell’Università dall’esercizio dell’azione disciplinare, senza considerare che, nella specie non si fosse al cospetto di un nuovo esercizio della potestà disciplinare, ma dell’esercizio del potere/dovere di esecuzione della sentenza del Giudice.

Le censure non sono fondate.

Ai sensi dell’art. 10 della legge 240/2010 l’avvio del procedimento disciplinare spetta al Rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all'irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall'articolo 87 del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta.

Il Collegio di Disciplina, uditi il Rettore ovvero un suo delegato, nonché il professore o il ricercatore sottoposto ad azione disciplinare, eventualmente assistito da un difensore di fiducia, entro trenta giorni esprime parere sulla proposta avanzata dal Rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare e trasmette gli atti al consiglio di amministrazione per l'assunzione delle conseguenti deliberazioni.

Entro trenta giorni dalla ricezione del parere, il consiglio di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti, infligge la sanzione ovvero dispone l'archiviazione del procedimento, conformemente al parere vincolante espresso dal Collegio di Disciplina.

Il procedimento si estingue ove la decisione di cui al comma 4 non intervenga nel termine di centottanta giorni dalla data di trasmissione degli atti al consiglio di amministrazione.

L’art. 10 della legge "Gelmini" ha indubbiamente innovato il previgente modello procedimentale, decentrando la fase istruttoria del procedimento disciplinare, prima centralizzata, presso Collegi di Disciplina da istituirsi e regolamentarsi presso ogni Ateneo, nel contempo abrogando la competenza del CUN e assegnando la potestà di applicare la sanzione non più al Rettore ma al Consiglio di Amministrazione.

L'esigenza di previsione di termini certi e perentori per l'avvio e l'estinzione del procedimento disciplinare è riconosciuta oltre che da pacifica giurisprudenza amministrativa ( ex multis Consiglio di Stato sez. V, 9 marzo 2010, n. 1374) dalla stessa Consulta (sent. n. 1128 del 1998) laddove è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 2, L. 18 marzo 1958 n. 311, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non richiama, ai fini della sua applicazione ai professori universitari di ruolo, l'art. 120 D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 che stabilisce l'estinzione del procedimento disciplinare quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto.

Il Consiglio di Stato, in sede di parere sullo schema di decreto legislativo recante “Modifiche ed integrazioni al Testo unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lett. a), e 2, lett. b),c), d) ed e) e 17, comma 1, lett. a), c), e), f), g) h), l) m), n), o), q), s), e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha rilevato che la natura perentoria del termine per la contestazione dell’addebito (termine iniziale) nonché del termine per la conclusione del procedimento disciplinare (termine finale) garantisce la certezza delle posizioni giuridiche coinvolte dal procedimento e la necessità del tempestivo esperimento del medesimo ed ha la funzione di mantenere il nesso causale tra azione e reazione disciplinare, che costituisce fondamento dell’applicazione della misura sanzionatoria, in termini di percezione educativa del disvalore della condotta tenuta dal lavoratore.

Ai sensi del citato art. 10 c. 5 legge 204/2010 "il procedimento si estingue ove la decisione di cui al comma 4 non intervenga nel termine di centottanta giorni dalla data di avvio del procedimento stesso" sì che l'unico termine perentorio appare proprio quello di conclusione del procedimento, restando irrilevanti gli altri.

Al riguardo è sufficiente rilevare che i termini relativi alla fase istruttoria precedente al momento di avvio del procedimento disciplinare, coincidente con la comunicazione della contestazione degli addebiti, devono considerarsi ordinatori, tenuto conto che il legislatore non li qualifica espressamente come perentori e che la fase precedente alla contestazione degli addebiti non può giuridicamente equipararsi a quella ad essa successiva, potendosi riconoscere natura procedimentale soltanto a quest’ultima (cfr., proprio con riguardo alle disposizioni di cui all'art. 10 della L. n. 240/2010Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 aprile 2019, n. 2379).

La sentenza -OMISSIS-OMISSIS-, pronunciata il -OMISSIS-, unitamente alla statuizione di annullamento ha dettato criteri conformativi per la rinnovazione del procedimento disciplinare, confermando la rilevanza disciplinare dell'addebito ma ridimensionandolo e riducendolo ad unico fatto.

Solo con atto prot. -OMISSIS-, quindi a distanza di circa due anni dalla pronuncia del T, il Rettore riavviava il procedimento, rimettendo gli atti al Collegio di Disciplina per i conseguenti adempimenti, quando il procedimento disciplinare era ormai estinto.

Nessuna rilevanza poteva avere la non definitività  della sentenza, essendo le sentenze del giudice amministrativo di primo grado non sospese efficaci ed eseguibili in sede di ottemperanza a norma dell'art. 112 c.p.a. ove ne ricorrano i presupposti.

In tale contesto l'Università, doveva pertanto procedere alla riformulazione degli addebiti disciplinari originariamente mossi nonché alla nuova proposta di sanzione discendente dai principi affermati nella sentenza -OMISSIS-OMISSIS-, conformemente al principio del "giusto processo" di cui all'art. 6 CEDU - applicabile in subiecta materia - ed ai corollari in tema di garanzia del diritto di difesa.

Correttamente il T ha ritenuto che i provvedimenti impugnati, dunque, si palesano illegittimi in quanto violano i termini perentori di avvio e di conclusione del procedimento disciplinare, dal momento che quest’ultimo era già stato avviato nel -OMISSIS-i fatti che avevano fondato l’irrogazione dell’iniziale sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio erano noti alla controparte già da quella data. Tali fatti sono gli stessi che hanno dato luogo, in seguito alla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del-OMISSIS- n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, alla successiva irrogazione della censura, né risultano successivamente contestati al ricorrente nuovi addebiti, che potessero giustificare lo svolgimento di un nuovo procedimento disciplinare nei suoi confronti, nel rispetto dei suddetti termini perentori.

Del resto, che non si sia trattato dell’avvio di un nuovo procedimento è confermato la stessa Università di -OMISSIS- che nella propria memoria di costituzione afferma che “ il segmento procedurale in esame si pone in linea di continuità con l’azione disciplinare a monte intrapresa dall’amministrazione universitaria, stante quanto statuito dalla sentenza del T n.-OMISSIS-OMISSIS- circa l’onere di riesaminare, nel rispetto del contraddittorio, la sanzione già applicata al Prof. -OMISSIS-per le condotte da questo tenute (…)”, evidenziando in tal modo ancor più la tardività del provvedimento di irrogazione della censura in concreto verificatasi. Né può condividersi l’assunto della controparte secondo cui “solo il passaggio in giudicato della pronuncia, verificatosi il -OMISSIS- ha consentito al Consiglio di Amministrazione di deliberare per la doverosa esecuzione della sentenza (…)” al contrario, confermando l’illegittimità dei provvedimenti impugnati anche sotto tale ulteriore profilo. Com’è noto, infatti, la sentenza di primo grado, non sospesa in appello, è immediatamente esecutiva ai sensi dell’art. 33 del codice del processo amministrativo e “deve essere eseguita dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti” (cfr. art. 112 del codice del processo amministrativo).

L’appello deve essere, conseguentemente, respinto.

Le spese seguono la soccombenza

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